Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 3 - 12

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quelle sole eccettuate, che sarebbero credute spedienti per avanzar il
commercio, il gettar delle quali però avesse a raccogliersi sotto
l'autorità delle rispettive colonie, ed impiegarsi in uso e vantaggio
delle medesime. Propose inoltre, si creassero cinque commissarj, i quali
la facoltà avessero di accordare con qualsivoglia assemblea o persona le
differenze nate tra la Gran-Brettagna e le sue colonie, intendendosi
però, che gli accordi non potessero aver l'effetto loro, se non quando
fossero dal Parlamento confermati. Fossero anche autorizzati a bandire
ovunque, e comunque opportuno riputassero, la cessazione delle armi, a
sospendere le leggi proibitive, e generalmente tutte le leggi promulgate
dai 10 febbraio 1763, a graziare chiunque, o quanti volessero. Fosse
fatta loro finalmente autorità di nominare i governatori, ed i capitani
generali nelle province pacificate. In cotal modo i ministri britannici
ora costretti da bella forza, e quasi tirativi dall'argano, quelle cose
concedevano, che per ben quindici anni avevano negate, e per le quali
avevano esercitato già da tre anni un'aspra e crudel guerra; soggetti
anche in questo, come in tutte le altre deliberazioni loro, colpa della
fortuna, o propria, ad ostinarsi in tempo, ed a cedere fuori di tempo.
Così seguitavan essi, non guidavano gli avvenimenti. Furono le
provvisioni vinte in Parlamento con consenso pressochè universale. Ma
fuori nissuno contento. Alcuni dicevano, queste concessioni esser troppo
indegne del nome e della potenza britannica; doversi solo venirne là
nell'estrema necessità, dalla quale, la Dio mercè, era tuttavia la
Gran-Brettagna lontana; scoraggiarsene i cittadini; svigorirsene
l'esercito; i nemici più s'ardire; titubarne gli alleati. Altri
disseminavano, giacchè si era rinunziato al dritto di tassazione, che
stato era l'occasione e la causa della guerra, il meglio essere proceder
più oltre, e riconoscer l'independenza. In somma s'accusavano i ministri
d'aver fatto troppo, e troppo poco; destino comune degli uomini
peritosi, e dei mezzani consiglj, i quali nè per la prudenza riescono,
nè per l'arditezza conciliano. Così mordevan l'uno l'altro, ed i
ministri non solo gli uomini parziali, ma eziandio i temperati
cittadini. Ciò nonostante nominò il Re qualche tempo dopo a commissarj
il conte di Carlisle, lord Howe, il cavalier Eden e Giorgio Johnstone in
un col capitano generale dell'esercito inglese in America; uomini tutti,
o per la chiarezza del sangue, o per la gloria delle cose fatte, o per
la molta intelligenza e pratica delle cose americane riputatissimi.
Partirono poscia da Sant'Elena per all'America il giorno 21 aprile
portati dalla nave il Tridente il conte di Carlisle, l'Eden ed il
Johnstone.
In mezzo a questi fortunosi ravviluppamenti, e stando tutta la nazione
britannica sollevata alle future cose, il marchese de Noailles,
ambasciadore per parte del Re di Francia presso il Re della
Gran-Brettagna, presentò, secondo l'ordine avuto dal suo Signore, addì
13 marzo, al lord Weymout, segretario di Stato per gli affari esterni il
seguente rescritto:
«Che gli Stati Uniti d'America, i quali sono in piena possessione
dell'independenza pronunziata per l'atto loro dei 4 luglio 1776, avendo
fatto proporre al Re suo Signore, di consolidare con una formale
convenzione i vincoli, che già avevano incominciato ad unire le due
nazioni, i plenipotenziarj rispettivi fermato avevano un trattato di
amicizia e di commercio, il quale dovesse servir di fondamento alla
buona vicendevole corrispondenza. Che Sua Maestà essendo risoluta a
coltivare la buona intelligenza sussistente tra la Francia e la
Gran-Brettagna in tutti quei modi, che comportar potessero e la sua
dignità, ed il bene de' suoi sudditi, credeva, dover far parte di tale
accordo alla Corte di Londra, e significarle nel medesimo tempo, che le
parti contrattanti astenute si erano dallo stipulare verun esclusivo
vantaggio in favore della francese nazione, e che gli Stati Uniti
avevano conservato la libertà di trattar con tutte le altre nazioni
qualsivogliano nei termini dell'eguaglianza e della reciprocazione. Nel
fare questa comunicazione alla Corte di Londra, essere il Re fermamente
persuaso, ch'ella vi troverebbe nuove pruove della mente sua
costantemente e sinceramente volta alla pace, e che Sua Maestà
britannica albergando nell'animo suo il medesimo desiderio sarebbe
egualmente per evitare tutto ciò, che alterar potrebbe la buona armonìa,
e che particolarmente efficaci ordini darebbe, perchè il commercio dei
sudditi di Sua Maestà cogli Stati Uniti dell'America non venga turbato,
e per fare in questa materia osservare, e gli usi ricevuti tra le
commercianti nazioni, e le regole, che possono riputarsi sussistere fra
le Corone di Francia e della Gran-Brettagna. Concludeva, che in ciò
giustamente confidando, credeva superfluo l'avvertire, che il Re suo
Signore, essendosi risoluto ad efficacemente proteggere la libertà
legittima del commercio de' suoi sudditi, e di difendere l'onore della
sua bandiera, aveva a questo fine Sua Maestà fatti certi accordi casuali
cogli Stati Uniti dell'America settentrionale».
Questo rescritto tanto grave in sè stesso, e presentato anche un poco
alla traversa dal marchese toccò sul più vivo l'orgoglio britannico; e
se era uno dei soliti tratti, che costumano di usare tra di loro l'un
l'altro i principi, esso era ancora uno di quelli, che non si sogliono,
nè si possono comportare. Della qual cosa, non che si desse pensiero la
Francia, era appunto quello che desiderava e sperava. Lord North lo
comunicò il giorno diciassette di marzo alla Camera dei Comuni con un
messaggio del Re, il quale conteneva in sostanza, che Sua Maestà, avuto
il rescritto francese, aveva dalla Corte di Francia rappellato il suo
ambasciadore; che per lei non era stato, che non fosse turbata la
tranquillità d'Europa; che credeva, non poter venire incolpata
dell'interrompimento di tale tranquillità, se si risentiva ad
un'altrettanto non provocata, che ingiusta aggressione fatta contro
l'onore della sua Corona, e gli essenziali interessi del suo Reame, e
tanto contraria alle più solenni assicurazioni, sovvertitrice delle
leggi delle nazioni, ed ingiuriosa ai diritti di ogni sovrano potentato
d'Europa. Concluse dicendo, che per quella confidenza, che aveva
fermissima nello zelo de' suoi popoli sperava, sarebbe stata in grado di
difendersi dagl'insulti, di ributtar gli assalti, di mantenere e
conservare la potenza e la riputazione della sua Corona.
La cosa non riuscì nuova nè inaspettata; perciocchè già se ne motivava
nel pubblico. Lord North pose il partito, si rendessero le solite grazie
al Re, e fosse assicurato dell'appoggio del Parlamento. Mosse il signor
Baker, si pregasse il Re, acciò da' suoi Consiglj allontanasse quelle
persone, nelle quali il popolo non poteva più oltre alcuna sicurtà
pigliare. Molti facevano gran querimonia, dicendo aver il Baker tutte le
ragioni; doversi accettare la proposta. Sorse in questo mezzo il
governatore Pownal, uomo grave, e delle cose americane assai pratico, e
parlò nei seguenti termini:
«Io non credo già, signori miei, e cittadini amantissimi, che in questo
solenne dì, in cui dee pigliar principio, od il subito ristoramento, o
l'irreparabile rovina di questa nobilissima patria, ricercare da noi si
debba, se abbiano i presenti ministri a continuare ad indirigere in sì
perigliosa fortuna la sbattuta nave, ovvero se se ne debba ad altri
commettere il timone. Altre più gravi cure debbono, se l'opinione mia
non m'inganna, le menti vostre, e tutti i pensieri occupare.
Imperciocchè, qualunque essi siano questi ministri, dei quali odo
mormorarsi all'intorno, se noi abili siamo al far oggidì un'accomodata
risoluzione, non dubito punto, che saranno pur anche essi capaci a farla
a buono ed utile fine riuscire. Ma se noi, persistendo nei consiglj, che
ci hanno in queste fatali strette impacciati, aggiungiamo agli errori
antichi un nuovo errore, nè questi nè altri potranno nel desiderato
porto ricondurci. Senza di che, coloro i quali son vaghi di ricercar le
cagioni delle presenti disgrazie, e che agli attuali servitori della
Corona le imputano, potranno a posta loro liberamente discorrerne in
quel solenne giudizio, il quale già stato è in cospetto di questa Camera
a questo fine introdotto. Di che cosa si tratta, e qual è la occorrente
disquisizione? Viene contro di noi l'infedele e superba Francia, e ci
minaccia di guerra, se ci risentiamo all'ingiuria, se non accettiamo le
insolite condizioni. Qual è quel cittadino amante della sua patria, qual
è quel Brettone, che non si muova a sdegno, che non s'infiammi a
vendetta agl'inuditi oltraggi dell'implacabile rivale? Scorre anche
nelle mie vene il britannico sangue, sento gli stimoli usati, ed i
generosi ed alti consiglj approvo. Ma questo bene io condanno e, finchè
avrò forza e vita, condannerò, che si voglia due guerre incontrare in
luogo d'una sola, che si ami meglio l'aggiungere un nuovo nemico
all'antico, piuttosto che, accordandosi con questo, avventarsi di
conserva contro di quello. Vincer la Francia e l'America insieme è cosa
da doversi tra le impossibili annoverare; superar la prima, accordandosi
colla seconda, non che possibile, agevole. Ma per quest'ultimo fine
ottenere egli è d'uopo riconoscere ciò, che oggimai impedir non
possiamo, voglio dire l'americana independenza. E quali ostacoli si
frappongono, o quali ragioni addur si possono contro ad una sì salutare
risoluzione? Forse il desiderio della gloria, o l'onor della Corona? Ma
oltre che l'onore sta nella vittoria, e la vergogna nella perdita, e che
nei casi di Stato l'utile è l'onorevole, il riconoscere l'independenza
degli Stati Uniti, egli è un riconoscere non solo quello che è, ma
ancora quello che già, se non colle parole, colle opere almeno
riconosciuto abbiamo. In quelle stesse provvisioni d'accomodamento testè
accettate, se vogliamo dir il vero, ogni sorta di maggioranza è messa in
disparte. Se l'intento nostro è di continuare nella superiorità, già
abbiamo conceduto troppo; se quello di pacificarsi, troppo poco; ed il
nostro tentare stesso di volergli dependenti tenere gli farà procedere
più oltre nella via della independenza. Così di leggieri non si cambiano
le inveterate inclinazioni, nè così facilmente le risoluzioni prese dopo
lunga e matura deliberazione si pervertono. Se guarderem bene addentro,
facil cosa sarà il conoscere, che quelle non sono state l'effetto di un
trasporto di cadevol ira, o di momentanea escandescenza, ma sì piuttosto
il compimento di un antico e molto bene considerato disegno. Tentaron
essi prima i guadi, e, trovatigli sicuri, gli passarono; nè diedero
avanti un passo, se prima non furono o dalla favorevole fortuna delle
battaglie, o dal consenso universale dei popoli assicurati. Fecero essi
la dichiarazione dei diritti nel 1774, la quale già poco colla
maggioranza inglese poteva consistere. La confermaron poscia col
manifesto, col quale si sforzarono le armi loro giustificare; e
finalmente dichiararono la independenza, la quale stata è il colmo ed il
perfezionamento di quell'opera macchinata già buon tempo fa, dalla
stessa natura delle cose favoreggiata, e dai coloni, già son tre anni,
con tanta costanza e valore difesa. Se allorquando questi popoli si
vedevano dai principi europei abbandonati, e soli lasciati nella
sanguinosa contesa; se quando gli estremi sforzi loro prodotto non
avevano, se non disgrazie e danni; se quando parevano non che ad essi, a
tutto il mondo le cose loro disperate, nissun segno diedero di volersi
acchinare; che anzi con una fermezza, da chiamarsi piuttosto ostinazione
che costanza, nell'intrapresa via continuarono, come possiam noi sperare
adesso, che i fati si son volti a lor favore, che non solo si sono abili
trovati a resistere all'armi nostre, ma di più dall'un canto, avuta
contro di noi una gloriosa vittoria, fecero le più valorose genti regie
cattive, e dall'altro strettamente assediano dentro le mura di una sola
città un esercito poco fa vittorioso; quando vedon l'Europa alzarsi in
piè al patrocinio loro; quando scorgono le più possenti nazioni, e
riconoscer la independenza loro, e tenergli in luogo d'eguali, ed
ammettergli come alleati; quando già la Francia si scopre; quando si sa
che la Spagna sta per iscoprirsi, quando non si dubita, che la Olanda
verrà dietro; come, dico, possiam noi sperare, sian essi per rinunziare
al loro franco e nazionale governo per accettar il nostro, soggetto e
provinciale? Come possiam noi sperare di poter vincer quel nemico ora
unito ad altri, contro il quale solo stati siamo perdenti? Abbonda la
Francia d'uomini pugnaci e valorosi, e di questi ne manderà il bisogno
nell'americane terre; e se saremo noi abili, non che al conquistare, al
resistere, ognuno sel pensi. Senza di che, nissun non s'accorge, che
veggendo noi sin di qua le francesi spiagge, e stando quel governo
fornitissimo di apparecchj navali, se non abbiam timore, certo dobbiam
sospetto avere di un assalto dentro di queste terre stesse, dalle quali
minacciamo noi tanto sterminio all'America che ci combatte, ed alla
Francia che la soccorre. Quindi è, che quei soldati, che si potrebbero
alla guerra americana mandare, dovranno nella Gran-Brettagna ristarsi
per difendere le sante leggi, i sacri altari, la patria stessa contro il
francesco furore. Già sta pronta a sboccare la numerosa armata da Brest,
già le coste della Normandia si empiono di soldati, già fan vista di
avventarsi contro di questo felice regno. Noi intanto stiamo qui
deliberando, se sia meglio aver più nemici, che un solo; o se sia più
profittevole il combattere ad un tempo l'America e l'Europa a nostri
danni congiurate, che l'Europa combattere coll'armi dell'America con
essi noi confederata. Nè nel partito che io pongo, son io solo a
contendere, consistere la salute dell'Inghilterra, ma tutti gli uomini
prudenti venuti sono nella medesima sentenza, alla quale s'accosta la
voce universale dei popoli, i quali a queste deliberazioni dei ministri,
più ventose che animose, s'insospettiscono, e mali irreparabili alla
patria presagiscono. Del che non dubbia pruova si ha in questo, che i
capitali dei monti non poco disavanzarono, tostochè s'intese di questa
nuova pazzia ministeriale, e di questa più scozzese, che inglese
ostinazione. Dite su, o ministri, or dolci al credere, or ostinati al
deliberare, come facilmente avete riempiuto voi l'accatto dei varcati
dì, e l'interesse che ne pagate? Ma voi vi ristate. Ciò non dovrebb'egli
farvi accorti della perversità delle risoluzioni vostre? So, che alcuni
vanno spargendo, che il riconoscere l'indipendenza, oltrechè sarebbe
cosa nel fatto poco onorevole, sarebbe anche nel fine incerta, nissuna
sicurtà avendosi, che gli Americani ne vogliano star contenti. Ma come
possiam noi credere, siano gli Americani per anteporre alla nostra
l'alleanza della Francia? Non son questi quei Francesi medesimi, che già
gli hanno voluti soggiogar altre volte? Non son questi quei Francesi,
che non istaranno contenti, finchè non avranno spento al tutto il nome e
la lingua inglese? Come si può dubitare, che non entri nell'animo degli
Americani il pensiero, che, distrutto una volta il propugnacolo
dell'Inghilterra, saranno essi posti senza scudo e senza difesa alcuna
in balìa della Francia, la quale ne farà il voler suo? Come non si
accorgeranno essi di questa insidia francese, non nuova, ma ora
dall'imprudenza nostra più vicinamente apparecchiata, la quale consiste
nel voler romper l'unione nostra per opprimerci spartiti? Preferiranno
eglino certamente l'amicizia e la lega francese alla dependenza; ma
questo so, e certo sono che ameran meglio l'alleanza britannica
congiunta coll'independenza. Oltreacciò a nissuno è nascosto, essere gli
Americani sdegnati contro la Francia per aver essa in questo stesso
negoziato fatto mercato dell'avversità loro, e posta a prezzo la
independenza. Vagliamci noi, se saggi siamo, degli effetti della
francese avarizia, e sì facendo sperimenteremo amici quelli, che oramai
sudditi avere non possiamo. Senza di che, passate anche sotto silenzio
tutte queste cose, facilmente si vede, che l'interesse solo del
vicendevole commercio farà sempre in modo che gli Americani, postergata
la francese amicizia, alla nostra s'accosteranno. Ma perchè mi vado io
aggirando per persuadervi ciò, di che posso ad un tratto
dimostrativamente rendervi certi? Ho io veduto e letto con questi occhi
miei proprj una lettera scritta da Beniamino Franklin, uomo, come ognuno
sa, d'autorità tanto irrefragabile presso quei popoli, e mandata a
Londra dopo che stato era fermato il trattato della lega tra la Francia
e l'America, per la quale affermò, che se la Gran-Brettagna rinunziar
volesse alla superiorità, e cogli Americani, come con una independente
nazione trattare, potrebbe essa tosto aver la pace coll'America. Non son
queste le novelle e le baie, colle quali i nostri buoni ministri si
lasciano intrattenere dai fuorusciti. Ma s'ella è chiara la probabilità
dell'amicizia e della lega coll'independente America, egli è del pari
chiaro ed evidente, che invece di diventarne noi più deboli, ne
diverremo, malgrado la separazione, e più atti alle offese, e più
gagliardi alle difese. Imperciocchè una parte di quei soldati, che ora
l'inutil guerra esercitano nelle colonie nostre, potranno allora
opportunamente condursi a porre i presidj nel Canadà e nella
Nuova-Scozia, e queste province da ogni insulto e pericolo guarentire.
Altri potranno recarsi ed a guardare le nostre isole, e ad assaltare le
francesi, le quali sopraffatte dall'improvviso impeto, e non
sufficientemente munite, in mano nostra verranno. Il nostro navilio poi
potremo in tal modo partire, che ne siano le possessioni nostre ed il
commercio sì d'America, che d'Europa guarentite e difese. Così liberi
del tutto da quelle molestie americane, ci sarà fatto abilità di
rivolgere tutti i nostri pensieri e le forze contro di questa inquieta
Francia, e farle pagare il fio dell'oltracotanza ed ardimento suo. Per
la qualcosa io porto opinione, che, lasciate dall'un de' lati le mezzane
vie, ed ampliando il mandato dei commissarj, che in America s'inviano a
far le concessioni, sia fatto loro abilità di trattare e consultare, e
finalmente accordare e riconoscere gli Americani come una nazione
independente colla condizione però, ed in quel punto stesso, in cui
concluderanno con essi noi un trattato di commercio, ed una lega
difensiva ed offensiva. Per avventura, se della opinion mia non
m'inganno, maggior frutto ricaveremo noi da questa sola risoluzione, che
non da parecchie vittorie in una disperata guerra. Che per lo contrario,
se vogliamo ostinati nell'invasazione persistere, proveremo con nostro
irreparabil danno, quanto pregiudiziale consiglio sia il credere più
alle apparenze che alle realtà, ed il lasciarsi trasportare alle
ingannatrici passioni del dispetto e dell'orgoglio. Siate pur sicuri,
che se non avranno i commissarj il mandato libero per riconoscere
l'independenza, l'opera loro in America riuscirà di nessun frutto, e
meglio saria il non mandargli, che il mandargli all'onte ed agli
scherni».
Queste ragioni gravi in sè stesse, e con molta asseveranza dette fecero
molta impressione nella mente dei circostanti, e si vedeva chiaramente,
che alcuni fra i ministeriali medesimi balenavano. Ma il signor
Jenkinson preposto agli affari della guerra, e personaggio di non poca
autorità, fece dalla contraria parte la seguente orazione.
«Debbono, onorandi cittadini, le nazioni, come gli uomini, seguire il
giusto e l'onesto; il debbon tanto più efficacemente, quando caso è
ancora, siccome per lo più è, onorevole e grande; e da un altro canto
nessuna cosa più nuoce alla felicità degli Stati, che l'incertezza e
l'instabilità dei consiglj. Imperciocchè il volere, ed il disvolere
spesso significano da una parte in coloro che reggono, o debolezza di
mente, o timidità d'animo; dall'altra sono non di rado cagione, che non
si finiscano i disegni. Le quali cose essendo vere, siccome sono
verissime, spero io, che non durerò molta fatica a persuadervi, che
nella presente causa, nella quale gli uomini parziali corron pur troppo
dietro a vane immaginazioni, molto bene si confà alla giustizia del pari
che alla dignità nostra, ed ai più gravi interessi di questo regno il
non discostarsi dagli abbracciati consiglj. Comunque abbia a girar la
ruota sua la fortuna, questa, che facciamo, è una giusta guerra. Così
definì la sapienza del Parlamento; così confermò il consenso dei popoli;
così vuole la natura stessa delle cose. Perchè poi questa medesima
guerra stata non sia fortunata, non è questo il tempo da doversi
investigare. Comunque ciò sia, il difetto di prospera riuscita ha fatto
in modo, che ora i Francesi c'insultano, e minacciano di assaltarci.
Sonci alcuni, i quali vogliono, che in tale condizione la Gran-Brettagna
si disperi, che deliberi disonoratamente, che dia per una minaccia
francese vinta la causa agli antichi suoi sudditi. Ma che dico? Vogliono
perfino, che noi temiamo di noi medesimi, e par loro già di vedere
sventolar a rincontro delle porte di questa città le francesi insegne.
Ma, lasciate dall'un de' lati le battisoffiole di questi uomini, non so
se mi debba dire ambiziosi, o paurosi, io sarò per dimostrarvi, che la
via, che sin qui si è seguita, non è solo giusta ed onorevole, ma ancora
utile e profittevole. Ed in sul bel principio del mio ragionamento
dimanderò io a questi sviscerati amici dei ribelli, se certi sono, che
l'America intiera, ovvero solo pochi faziosi, i quali coll'arti, e
coll'audacia loro si sono della somma delle cose impadroniti, vogliano
l'independenza avere. In quanto a me si appartiene, io avviso, che
questa independenza sia piuttosto una visione, la quale appare ai
cervelli vaghi di nuove cose al di là, e al di qua dell'atlantico, che
un universale desiderio dei popoli. Di ciò fan fede tutti gli uomini
prudenti, che hanno lungamente conversato con quella gente invasata;
questo medesimo attestano i migliaia di leali, che corsi sono alle reali
insegne nella Nuova-Jork, e combattuto hanno pel Re nelle pianure di
Saratoga, e sulle sponde del Brandywine. Questo finalmente confermano le
prigioni stesse ripiene di uomini, che hanno amato meglio perdere la
libertà, che rinunziare alla leanza; e preferito un vicino pericolo di
morte all'impresa della ribellione; e se l'opera loro non riuscì di
quella utilità, che dal numero e possanza loro aspettar si doveva, ciò
non da tiepidezza, ma piuttosto dall'eccessivo zelo, che gli fece
prorompere innanzi tempo, si debbe riconoscere. Ogni ragione persuade,
che a quest'uomini, stati fedeli sin quando pretendeva l'Inghilterra
alla tassazione, molti altri si aggiungeranno, ora che a quella si è
rinunziato; poichè già tutti si sono accorti, quanto sia da anteporsi il
vivere sotto il moderato imperio d'un giusto principe alla tirannide
d'uomini nuovi ed ambiziosi. Qualche cosa ancora si dee concedere alla
corrispondenza dei sangui, alla comune favella, agl'interessi
vicendevoli, alla medesimità dei costumi, alla ricordanza dell'antica
congiunzione. Quello stesso argomento tratto dal mio avversario
dall'avarizia e dalle stranezze usate agli Americani dal governo
francese nel negoziato della lega, molto mi persuade, che al nuovo,
cupido, insolente ed infedele amico anteporranno l'antico, benefico ed
amorevole concittadino. Nè debbo io sotto silenzio passare una cosa, che
ad ognuno è nota, e questa è la povertà dell'erario americano, la quale
fa, che affamano, e van nudi i soldati; che il congresso non si può di
nessuna cosa necessaria allo Stato accivire; ed i creditori non hanno a
gran pezza l'aver loro dai debitori; cosa di gravissimi scandali, d'ire
private, e di molte maledizioni contro il governo loro cagione. Nè vi è
nissuno fra gli Americani, il quale non veda, che, accettati i termini
dall'Inghilterra proferiti, la Camera pubblica sarebbe ristorata, le
proprietà particolari sicure, l'abbondanza in ogni parte del socievol
corpo restituita. Verso la quale prosperità con maggior animo
concorreranno, quando vedranno la possente Inghilterra, essersi risoluta
al tutto a volere far pruova della sua fortuna, e con ogni sforzo suo la
guerra continuare. Certamente non crederanno essi, che neanco gli aiuti
di questa superba Francia possano di breve costringerci a calare ai
vergognosi accordi. Parmi veder correre già fin d'adesso, o m'inganno
forte, le americane genti alle nostre insegne, parte per fedeltà verso
il Re, parte per amore del nome inglese, parte per la speranza del
ristoro, parte per disgusto contro i nuovi ed insoliti alleati, e parte
infine per concetta collera contro la tirannide del congresso. Allora è,
che ci applaudiremo della costanza nostra, e conosceremo, quanto miglior
partito sia stato, l'aver la parte più onorevole e degna di così gran
Reame, come questo è, seguitata. Se non che io credo ancora, che la
nuova guerra contro la Francia in luogo di sbigottirci, debba a migliori
speranze innalzarci. Poichè se finora poco frutto abbiam fatto contro
gli Americani, qualunque di ciò ne sia stata la cagione, qual è
quell'Inglese, che non isperi, anzi che fermamente non creda, di dover
le gloriose vittorie contro i Francesi riportare? Di ciò mi persuade la
ricordanza delle passate imprese, l'amor dell'antica gloria, il presente
ardire dei nostri soldati, e soprattutto la potenza del nostro navilio.
Quindi è, che le cose prosperamente fatte per terra e per mare contro i
Francesi compenseranno le perdite avute in America, e mancata agli
Americani la speranza, che sì grande han posta nella efficacia degli
aiuti del nuovo alleato, isbigottiranno, e preferiranno la sicura pace
degli accordi alla futura independenza cotanto incerta renduta dalle
nuove sconfitte degli alleati. Oltre a questo chi oserà affermare, che
non sia la fortuna per inclinare a favor nostro sulle terre stesse
americane? Forse non dobbiam noi sperare, che le armi nostre portate
nelle province piane, fertili ed abbondanti di leali, più fortunate
saranno, che allorquando nelle contrade delle montagne, e sterili, e
selvagge, e piene di ribelli si esercitarono? Per me non dubito punto,
che la felicità della guerra giorgiana e caroliniana sarà per ristorarci
dell'infelicità della guerra cesariana, e pensilvanica. Ma pongasi, il
che Dio non voglia, l'infelicità della guerra, io questo pure mantengo,
che noi non dobbiamo però ristarci; imperciocchè se si perderà
l'impresa, non si perderà l'onore; ed amo meglio, che l'americana
independenza, seppure quest'è colassù prefissa dai fati inesorabili, sia
piuttosto il risultamento dell'avverso destino, che della viltà nostra.
Così adunque ci troverà dolci la Francia, che noi siamo per abbandonare
la nostra fortuna, e per cedere alla fama della nimicizia di lei il
possesso di tanta gloria? Noi che tutti ancora ci ricordiamo del tempo,
in cui dopo d'avere colle replicate vittorie abbassato l'orgoglio e la
potenza sua, correvam trionfanti i mari tutti e le terre americane? Di
qual paese adunque sono gli autori di sì timidi consiglj? Inglesi forse?
Per me nol credo. Di chi è questa bassezza d'animo, che ci vuol far
disperare? Quella forse di donnicciuole, o di fanciulli aombranti? Certo
il crederei, se non gli vedessi venire spesso fra queste mura a far le
sinistre cornici, a sbizzarrirsi della fantasia di dir male della patria
loro, a favellar dilettevolmente della debolezza sua, e la potenza
dell'ambizioso nemico magnificare. E qual è poi questa Francia, che ci
debba far tremare così molto alla prima? Dove sono le ciurme sue
pratiche delle opere navali? Dove i soldati, che abbian vedute le
battaglie? Dirò io a coloro che nol sanno, o che fan le viste di non
saperlo, ch'ella è a questo tempo da interno male occupata, il quale
farà, che verrà meno, quando vorrà muoversi. Chi non sa, che le mancan
trenta milioni all'anno per far le spese allo Stato? Chi non sa, che
delle prestanze non si può valere, gli uomini abbienti i grossi capitali
essendovi e rari, e sfiducciati? E non solo la diffidenza vi è grande;
ma l'opinione vi è contraria alla natura del governo. Imperciocchè per
le spesse investigazioni, che recentemente si son cominciate a fare in
Francia in fatto delle materie di Stato, già vi si va dicendo, che il
vigesimo è un dono gratuito; che ognuno ha diritto di potere, e della
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