Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 3 - 14

Total number of words is 4372
Total number of unique words is 1485
37.3 of words are in the 2000 most common words
53.4 of words are in the 5000 most common words
60.1 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
mare ed i venti in calma e sì vicine le due navi. Prevalevano i Francesi
per la portata dei cannoni, pel numero della ciurma, e per la vicinanza
delle coste loro. Gl'Inglesi dal canto loro erano avvantaggiati dal
maggior numero dei cannoni, e dalla presenza di due navi d'alto bordo,
il Valente ed il Monarca, le quali sebbene per la bonaccia non potessero
tanto accostarsi, che potessero aver parte nell'aiutar i loro, davan ciò
non di meno non poco sospetto al capitano francese, e molto le sue mosse
circoscrivevano. Infine dopo un ostinato combattimento la fregata
inglese trovandosi così vicina alle coste di Francia, disperando di
potersi insignorir della francese, ed avendo ricevuto molto danno negli
alberi, nelle antenne e nel sartiame, valutasi opportunamente di una
leggier brezza, che in quel momento era sorta, cessò, e rimorchiata dal
Valente e dal Monarca, si ritirò all'armata. Mentre se n'andava, la
salutarono i Francesi con cinquanta cannonate di colpo, senza che ne
scambiasse ella una sola. La fregata francese non le diè dietro, sia pei
danni avuti, sia per la prossimità delle due grosse navi, anzi di tutta
l'armata inglese. Per la qual cosa De-la-Clocheterie deliberatosi di
ritrarsi al sicuro andò la notte a por l'ancora in mezzo alle secche
presso Plouascat. Vennero all'indomani le due navi inglesi, ed andavano
osservando se possibile cosa fosse l'accostarsi tanto alla fregata, che
la potessero pigliare. Ma, trovati gl'impedimenti delle rocche
insuperabili, si posero giù dall'impresa, ed andarono a ricongiungersi
all'armata. Per l'istesse cagioni, e nel medesimo tempo, ma però con
diverso evento, si attaccarono l'uno l'altro il giunco inglese, e la
fusta francese con molta furia. Ma questa, fatta per più d'un'ora
valorosa resistenza, si arrendè. Perdè l'Aretusa in questo fatto da otto
uomini morti e trentasei feriti. La Belle-Poule da quaranta morti e
cinquantasette feriti. Tra i primi si trovò Saint-Marsault, luogotenente
della nave, tra i secondi De-la-Roche di Kerandraon, banderaio, Bonvet,
uffiziale ausiliario, e lo stesso De-la-Clocheterie, che rilevò due
leccature.
La mattina dei diciotto la fregata il Liocorno, che veleggiava in mezzo
all'armata di Keppel, avendo fatto qualche mossa, che diè sospetto
agl'Inglesi, gli tirarono avanti prua una cannonata per avvertirla,
seguitasse il cammino di conserva coll'altre navi. Al che rispose ella
non senza gran maraviglia dell'ammiraglio e dell'armata inglese con una
intiera fiancata, e con una generale scarica di archibuseria dentro la
nave l'America di settantaquattro, che molto le era vicina, ed alla
quale comandava il lord Longford. Ciò fatto, calate le tende si arrendè,
come se infastidita di quel mezzano stato tra la pace e la guerra, in
cui ella era tenuta, avesse voluto con un'animosa risoluzione porsi,
quantunque prigioniera, in sull'aperta guerra. Keppel la mandava a
Plymouth.
Nel medesimo tempo un'altra fregata francese di trentadue cannoni
chiamata la Pallade s'incontrava nella flotta inglese. L'ammiraglio la
fe' ritenere, non senza averne prima marinati gli uffiziali e la ciurma.
Queste cose fece Keppel contro le navi da guerra francesi; ma le
mercantili, le quali non furon poche a dar di cozzo nella sua armata,
lasciò andar liberamente al viaggio loro, non credendo aver la facoltà
di arrestarle.
In Francia parve una gran cosa, memorando le passate rotte, questo
fatto, e non v'è dubbio, che tanto gli uffiziali, quanto i marinari
della Belle-Poule abbian dimostrato non solo molto valore, ma ancora una
non ordinaria perizia delle cose navali. Quindi è, che se ne fecero
molte esultazioni, ed a ragione, e per dar animo alla nazione in quei
principj. Il Re poi procedette assai liberamente verso coloro, che
combattuto avevano. Nominò De-la-Clocheterie capitano di nave, Bouvet
luogotenente di fregata, e concedette a Roche-Kerandraon la croce di San
Luigi. Fece pensioni alla sorella di S.t-Marsault, alle vedove ed ai
figliuoli di coloro, ch'erano stati morti nella battaglia. Da un altro
canto Marshall e Fairfax, capitano del giunco, non ottennero provvisioni
di danaro, ma sì veramente molte lodi dall'ammiraglio e dai
concittadini.
Ma il Re di Francia, usando il motivo della battaglia data alla
Belle-Poule, e della presura delle altre fregate, credendo, che queste
cose gli dessero onesta occasione di mandar fuora quello che aveva
conceputo nell'animo, ordinò le rappresaglie contro i vascelli della
Gran-Brettagna, ed immediatamente fece pubblicare il suo decreto intorno
le prede; come se l'aver mandato il conte D'Estaing in America con
quegli ordini, che aveva, non dovesse riputarsi un cominciamento di
guerra. Gl'Inglesi fecero il medesimo, autorizzando colle parole quello
che già, in quanto alle navi guerresche, coi fatti operato avevano. Così
si esercitava ad ogni modo fra le due parti la guerra, quantunque non
fosse ancora, giusta le consuete formalità, bandita.
Intanto l'ammiraglio Keppel raccolse fiere novelle dalle scritture
trovate, e dagli uomini delle prese fregate; esservi nel porto di Brest
trentadue navi di alto bordo con dieci o dodici fregate, l'une e l'altre
pronte a far vela, quando che non aveva egli altro, che venti delle
prime, e tre delle seconde. Si trovava allora a veggente del capo
Ognissanti, e per conseguente vicino alle coste di Francia. Per la qual
cosa era a molto stretti termini condotto. Lo starsene era troppo
pericoloso in tanta prossimità e superiorità delle forze nemiche; ed il
mettersi a rischio di una battaglia, nella quale vi sarebbe andato la
salute del regno, era partito piuttosto temerario, che animoso. Da
un'altra parte il voltar le poppe alle coste di un insultato nemico gli
pareva cosa troppa indegna della propria fama e del nome inglese. Ma
infine badando più all'utile che all'apparente, e meglio consigliandosi
col debito suo che col puntiglio, volse le prue all'Inghilterra, ed
entrò nel porto di Portsmouth il giorno venzette del mese di giugno.
Quivi gli uni per le solite parzialità delle Sette, e per iscusar i
ministri, gli altri per soddisfare al nazionale orgoglio, aspramente lo
laceravano, come se colla ritirata avesse macchiato lo splendore del
nome inglese. Ed in questo alcuni si lasciarono tanto trasportare, che
all'ammiraglio Byng lo paragonavano. Sopportava Keppel con mirabile
costanza queste dicerìe dell'inquieto volgo, e degli impronti
setteggianti, ed ogni ingegno poneva, secondato anche in ciò
efficacemente dall'uffizio dell'ammiragliato, ad ingrossar l'armata, ed
abilitarla a correr di nuovo i mari. Nel che facevasi grandissimo
frutto. Ed essendo a quei dì arrivate nei porti le prime squadre delle
conserve dell'Indie occidentali e del Levante, si potè di maniera
rinforzare di ottimi marinari l'armata, che fu essa in attitudine a
scior l'ancore, e mettersi in mare, come fece il giorno nove di luglio.
Consisteva in ventiquattro navi di alto bordo, alle quali si congiunsero
poi altre sei di uguale portata. Si noveravan fra queste una di cento
cannoni nominata la Vittoria, che portava l'ammiraglio Keppel, sei da
novanta, una da ottanta, quindici da settantaquattro, e le rimanenti da
sessantaquattro, tutte governate da abilissimi uffiziali e marinari.
Mancavasi di fregate, non avendosene, che cinque o sei con due brulotti.
La flotta era divisa in tre squadre la vanguardia condotta da Roberto
Hartland, vice ammiraglio della Rossa; la battaglia dall'ammiraglio
Keppel aiutato dal sotto ammiraglio Campbel, uomo pratichissimo nelle
cose navali; e che per causa d'antica amicizia e compagnia con quello,
aveva voluto accompagnarlo, e faceva l'uffizio di primo capitano sulla
nave la Vittoria. Il dietroguardo poi era guidato da Ugo Palliser, vice
ammiraglio della Blo, ed uno dei membri dell'uffizio dell'ammiragliato.
Vedutisi forti, e credendosi sicuri della vittoria, vennero sopra le
coste di Francia, e con ogni diligenza cercavano l'armata francese,
ardentissimi nel desiderio di combatterla per preservare il commercio,
per levarsi dal viso la macchia dall'aver pochi dì prima volte le spalle
alle coste francesi, per mantener l'antico nome, per far inclinare già
fin da quei primi principj la fortuna della guerra in lor favore.
Era intanto il giorno otto di luglio uscita dal porto di Brest l'armata
di Francia divisa anch'essa in tre squadre, la vanguardia guidata da
conte Duchaffault, la battaglia dal conte D'Orvilliers capitano
generale, e la dietroguardia dal duca di Chartres, principe del sangue,
il quale aveva per guida e moderatore l'ammiraglio De La-Motte-Piquet.
Vi si noveravano trentadue navi di tre palchi ciascuna, tra le quali il
vascello ammiraglio nominato la Brettagna di cento dieci cannoni, una di
novanta chiamata la Città di Parigi, la quale portava il conte di
Guichen, due di ottanta, dodici di settantaquattro, una di settanta,
dodici di sessantaquattro, e le altre di sessanta con una di cinquanta.
Seguitavano una moltitudine di fregate. Era l'intenzione del conte
D'Orvilliers di non venire a battaglia affrontata col nemico, se non
molto avvantaggiato; non che non gli bastasse la vista, ch'era egli in
vero d'animo alto, e delle cose marinaresche intendentissimo; ma perchè
voleva, si esercitassero prima ottimamente le ciurme, e perchè sperava,
senza mettersi all'incerto rischio della battaglia, prevalendo di navi
spedite, potere far un gran danno all'Inghilterra con intraprendere le
conserve che a quei dì si aspettavano dall'occidente e dall'oriente.
Veleggiava in tanto verso il capo d'Ognissanti, credendosi o che
l'armata inglese, siccome già debole, riputandola a venti navi di linea,
e non di vantaggio, non si sarebbe osa uscir dai porti, o se uscita
fosse, l'avrebbe o cacciata, o sconfitta, ed acquistato ad ogni modo il
dominio del mare. Si dimostrò la fortuna favorevole a questi primi
conati. Imperciocchè sboccati appena da Brest s'incontrarono nella
fregata inglese la Lively mandata avanti a specolare dall'ammiraglio
Keppel, ed, accerchiatala, la pigliarono. Stava tutto il mondo attento e
sospeso nell'aspettazione delle future cose, mentre le due più potenti
nazioni dell'Europa si difilavano in sui mari l'una contro l'altra,
desiderosa l'Inglese di mantener l'antica fama della navale superiorità,
bramando per lo contrario ardentissimamente la Francese di côrre
un'opportuna occasione di cancellar con una nuova vittoria la memoria
dell'antica debolezza, e delle passate sconfitte. A questo fine, nè
indarno, aveva il governo francese tutti i suoi consiglj indiritti già
da parecchj anni addietro. Eran le navi pronte e fornitissime, i
marinari pratichi, i capitani molto eccellenti. Restava, favorisse la
fortuna i generosi disegni.
Arrivarono le due armate in cospetto l'una dell'altra la sera dei 23
luglio, essendo distanti a trenta leghe dal capo d'Ognissanti, e
spirando il vento da ponente. Il conte D'Orvilliers, credendo l'inimico
più debole di quello ch'era veramente, desiderava e cercava la
battaglia. Ma fattosi vicino all'armata inglese, e scoperto ch'essa era
a un dipresso altrettanto forte, quanto la sua, la schivava con
altrettanta industria, con quanta dapprima la ricercava. E godendo egli
il sopravvento, era impossibile che gl'Inglesi lo venissero malgrado suo
ad affrontare. La notte due navi francesi s'erano lasciate trasportare
sottovento dell'armata inglese. La qual cosa vedutasi la mattina da
Keppel, ordinò ad alcune delle sue, si avventassero contro, e le
pigliassero, od almeno le mozzassero fuori dalla restante armata.
Sperava in tal modo, che o l'ammiraglio francese si sarebbe per
soccorrerle posto al rischio della giornata, ovvero almeno, che si
sarebbero potute pigliare, o tagliar fuori di modo, che non potessero
raccozzarsi. Preferiva D'Orvilliers il non fare alcun motivo per andare
in aiuto loro, in guisa che, sebbene non venissero le due navi in poter
degl'Inglesi, furon esse però sì lungo spazio allontanate, che non
ebbero più nissuna parte negli avvenimenti che seguirono. Continuarono
le due armate a veggente l'una dell'altra pei quattro seguenti giorni,
studiandosi con molta industria l'Inglese o di alzarsi al vento, o di
talmente accostarsi al Francese, che di necessità si dovesse appiccar la
battaglia. Ma per arrivare a questo fine egli era impossibile serbar
l'ordinanza intiera, e perciò aveva Keppel comandato si desse la caccia
alla spezzata verso sopravvento; con ciò però, che si tenessero le navi
ristrette, quanto meglio si potesse. La qual mossa era anche necessaria
per non perder di vista l'inimico. Questo partito, il quale non era
senza pericolo, perciocchè poteva facilmente accadere, che si offerisse
ai Francesi qualche buona occasione di opprimere subitamente con forze
superiori qualcuna delle navi inglesi, fu causa, che la mattina dei
venzette, giorno in cui seguì la battaglia, l'armata francese fosse con
miglior ordine attelata, che non l'inglese, la quale pareva disordinata.
La mattina medesima continuando tuttavia il vento da ponente, ed avendo
i Francesi il sopravvento, erano le due armate separate l'una dall'altra
lo spazio di tre leghe, di tal maniera però, che la dietroguardia
inglese si trovasse un po' più indietro sottovento, che la battaglia e
la vanguardia. Laonde ordinava Keppel a Palliser, si facesse avanti, e
cacciasse verso sopravvento, acciò venisse ad affilarsi coll'altre due
squadre dell'armata. Eseguì Palliser gli ordini dell'ammiraglio. Questa
mossa fe' credere al D'Orvilliers (e forse non senza ragione, perciocchè
Palliser colle sue navi sempre più andava rimontando al vento) che
l'intenzione del nemico fosse di assaltare il retroguardo francese, e di
girargli dietro per andar a guadagnare il sopravvento. Per prevenir il
qual disegno, fatte girar di bordo le navi, iva a porsi, rivoltando
l'ordine dell'armata colle navi del centro e della vanguardia dietro
quelle della retroguardia. Intanto, e per questa stessa mossa, e per
alcune variazioni di vento, delle quali molto acconciamente si giovarono
gl'Inglesi, vennero tanto vicine le due armate, che s'incominciò la
battaglia, spirando il ponente, e correndo i Francesi da tramontana a
ostro, gl'Inglesi da ostro a tramontana. Questo modo di combattere,
stando le armate non ferme, ma in mozione, il quale era anche l'effetto
della mossa testè fatta dalla francese, molto piaceva al D'Orvilliers,
siccome quegli, il quale non avendo potuto schivar la battaglia, ne
otteneva almeno, che ella non potesse esser terminativa; poichè ne
seguiva necessariamente dal modo sopraddetto, che le due armate si
disordinassero durante la battaglia, e quegli, che avrebbe minor danno
ricevuto, non potesse immediatamente valersi della fatta impressione sia
in una particolar nave del nemico, sia in tutta la sua armata. Adunque,
camminando in tal guisa le due flotte nemiche in contrario verso, e
molto vicine l'una all'altra, cominciarono ad attaccarsi le prime navi
della vanguardia inglese colle prime della dietroguardia francese, la
quale, siccome abbiam detto, era succeduta nel luogo della vanguardia, e
così continuò la battaglia, finchè tutta la fila inglese fosse passata a
petto a petto di tutta la fila francese, di modo che la retroguardia
inglese guidata da Palliser, e la vanguardia francese divenuta
dietroguardia, e condotta dal Duchaffault, furon le ultime a
spiccarsene. Fu in quest'affronto grave il danno da ambe le parti; ma
siccome seguendo il costume loro i Francesi avevan tratto al sartiame, e
gl'Inglesi, come soglion fare, ai gusci delle navi, così le navi
francesi ricevettero in questi maggior danno, che le inglesi, e per lo
contrario le vele, le corde, gli alberi, e le antenne in queste molto
maggiormente danneggiate furono, che in quelle. I Francesi dopo il fatto
non tardarono a riordinarsi, trovandosi le navi loro per la ragione
sopraddetta più atte al veleggiare. Medesimamente la vanguardia e la
battaglia inglesi non indugiarono molto, quantunque la nave
dell'ammiraglio avesse ricevuto molto danno, ad ordinarsi, e presentare
di nuovo il viso al nemico. Ma le navi del Palliser con alcune altre non
solo non avevano ancora orzato, e non s'erano rivolte di bordo, ma
essendo molto danneggiate obbedivano al vento, ed andavano abbassandosi
sottovento. In questo stato di cose D'Orvilliers o sia che si
proponesse, come scrivono gl'Inglesi, di tramezzare e tagliar fuori
dalla restante armata loro queste navi, ovvero che, come affermano i
Francesi, intendesse, di recarsi a sottovento, perchè, aspettando una
seconda battaglia, volesse tôrre agl'Inglesi, ed acquistar per sè il
vantaggio di poter scaricar con frutto anche le artiglierie del ponte di
sotto, andava distendendosi in punta per entrar di mezzo tra le navi di
Keppel e quelle di Palliser. Accortosi l'ammiraglio inglese del disegno
dei Francesi si fece avanti colle sue navi, ordinando nel medesimo tempo
all'Hartland, lo seguitasse colle sue per mettersi di traverso tra la
vanguardia francese, che incominciava a spuntare, e le navi di Palliser.
O sia, che questa mossa di Keppel abbia veramente rotto il disegno ai
Francesi di tagliar fuori queste ultime navi, come infatti ottenne,
ovvero, che non avessero questi in animo altro che di recarsi al
sottovento, certo è, che per queste volte ne rimasero gl'Inglesi al
sopravvento, ed i Francesi al sottovento. Stava perciò in balìa dei
primi il rinnovar la battaglia, se però tutte le navi loro fossero state
a questo bisogno sufficienti. Ciò avrebbe voluto Keppel eseguire. Ma le
navi di Palliser, ora che l'ammiraglio, e l'Hartland s'eran frapposti
tra lui ed i Francesi, ed a questi avvicinatisi, si trovavano in
sopravvento dell'altre, e per conseguente più lontane dall'armata
francese, e poco in atto di poter aiutar le compagne nel caso della
rinfrescata battaglia. Per la qual cosa Keppel, prima di volerla
ricominciare, pose fuori il segnale, che tutte le navi, le quali stavano
a sopravvento, venissero ad arringarsi ai luoghi loro nella generale
ordinanza. Qui nacque un equivoco, che fu causa, che gli ordini di
Keppel non furono eseguiti. Non avendo la nave propria di Palliser
ripetuto il segnale, i capitani delle altre credettero, che quello fatto
da Keppel volesse significare, andassero a raggiungere la nave del
Palliser, e non quella dell'ammiraglio, e così fecero. In questo mezzo
continuavano i Francesi ad appresentarsi ordinati alla battaglia a
sottovento. Ripetè Keppel il medesimo segnale; ma non con miglior
frutto. Mandò poscia alle cinque della sera (Palliser scrive alle sette)
il Capitano della fregata il Fox acciò a viva voce comandasse a Palliser
quello, che già gli aveva ordinato col segnale. Tutto fu nulla. Nè il
Formidabile ch'era la nave propria del Palliser, nè le altre non si
muovevano. La qual cosa vedutasi da Keppel, ed essendo già l'ora
trascorsa fino alle sette, pose il segnale a ciascuna delle navi di
Palliser particolarmente, eccettuato però al Formidabile, forse per un
certo riguardo al grado ed all'uffizio, che teneva il vice ammiraglio,
venissero a' luoghi loro. La qual cosa si mettevano in punto di
eseguire. Ma intanto era sopraggiunta la notte, che pose fine ad ogni
speranza di combattimento. Queste sono le cagioni, che impedirono
l'ammiraglio Keppel dal rinnovar la battaglia, ossiachè la disobbedienza
del Palliser procedesse dalla impossibilità di muoversi pei gravi danni
provati nell'affronto, come par probabile, e come giudicò la Corte nel
solenne processo che ne seguì, ovvero da alcune sue parzialità, essendo
esso ministeriale, contro il Keppel. Comunque ciò sia, questo diè luogo
ai Francesi di dire, che da mezzodì fino a sera appresentarono la
battaglia a Keppel, ma che questi non la volle accettare. La qual cosa
fu vera nel fatto. Ma in rispetto alle intenzioni dell'ammiraglio
inglese, volle egli bene, ma non potè per le raccontate ragioni
attaccarsi di nuovo col nemico. La notte, o sia che i Francesi contenti
al modo, col quale avevano combattuto la battaglia, e del fine di
questa, che si poteva, come una vittoria, appresentare ai popoli il che
su quei primi principj era una gran cosa, più non volessero tentar
l'indomani la fortuna di un'altra giornata, oppure, che talmente fosse
danneggiata la flotta loro, che non potessero, valendosi
dell'opportunità del vento, che spirava propizio, voltaron le prue verso
le coste loro, ed entrarono il giorno seguente a piene vele nel porto di
Brest. Lasciaron però al luogo della battaglia per ingannare il nemico
col fargli credere, che vi stessero, tutta la notte fermi tre vascelli
corridori coi soliti fuochi accesi. La mattina in sul far del dì già ai
era dilungata l'armata francese dinanzi all'inglese, che appena si
poteva dai calcesi travedere. Solo continuavano a starsene poco lontani
a sottovento i tre vascelli. Ordinò Keppel alle navi il Principe
Giorgio, il Robusto, ed un'altra, desser loro la caccia. Ma non si fe'
frutto alcuno, essendo molto franchi veleggiatori; ed avendo le navi
inglesi gli arredi sconciamente rotti e sconquassati. L'ammiraglio
Keppel si addrizzò a Plymouth, dove intendeva di rassettare le navi,
lasciatene però in crociata alcune delle più intiere, acciò il commercio
britannico proteggessero, e principalmente le flotte che si aspettavano.
Morirono nella narrata battaglia degl'Inglesi da cento quaranta con
circa quattrocento feriti. La perdita dei Francesi non è certa. Ma è
assai probabile, abbia avanzato quella degl'Inglesi. La qual cosa si
ritrae da alcune autorità private, dalla moltitudine dei marinari e
soldati di mare, coi quali sogliono essi riempir le navi loro, e dal
modo del trarre degl'Inglesi, i quali hanno in costume di por la mira,
rasentando coi tiri l'acqua del mare, al corpo delle navi nemiche.
Il mese che seguì, uscirono di nuovo le due nemiche armate all'alto
mare. Ma o che si cercassero vicendevolmente, come pubblicarono, o che
si schivassero l'una l'altra, come alcuni lasciarono scritto
dell'inglese, molti della francese, certo è, che più non s'incontrarono.
Certo è ancora, che si purgò il mare, e si aprirono i vantaggi alle
flotte mercantili d'Inghilterra, mentre dall'altra parte molti ricchi
bastimenti francesi con grave danno e querela delle città di Bordeaux,
di Nantes, di Saint-Malò, e di Avra di Grazia vennero in poter del
nemico.
Tale fu l'esito della battaglia di Ognissanti, la quale incominciò la
guerra europea, e nella quale ebbero gli Inglesi ad osservare, non senza
maraviglia loro, che i Francesi non solo combatterono col solito
coraggio, ma che di più, e molto acconciamente, seppero dell'opportunità
dei venti valersi, e con mirabile destrezza e disinvoltura le navi loro
maneggiarono, e per ogni verso andaron facendo molto maneschi le volte.
Il che diè a temere ai primi, avessero a riuscir più duri gl'incontri di
questa guerra, che non quei della passata. In Francia se ne fecero molti
rallegramenti per dar animo, e migliori speranze ai popoli; in
Inghilterra se ne favellò molto sinistramente. Alcuni si dolsero del
Keppel, altri del Palliser secondo i diversi umori delle Sette; tutti
della fortuna. Dopo varie vicende ne nacquero due solenni processi l'uno
contro l'ammiraglio, l'altro contro il vice ammiraglio. Furono assoluti
ambidue, il primo con universale esultazione dei popoli; il secondo con
quella dei ministeriali.

FINE DEL LIBRO NONO


LIBRO DECIMO

[1778]
L'infelice successo della guerra canadese, e l'inutilità dei prosperi
eventi della pensilvanica avevano convinto la pertinacia dei ministri
britannici, che colla forza dell'armi impossibile fosse il ridurre gli
Americani a soggezione. Della qual cosa ora tanto più fermamente si
persuadevano, che la Francia, tanto possente per terra e per mare, aveva
le sue alle armi del congresso congiunte. Nissuno non vedeva, che avendo
potuto gli Americani durare contro la guerra fatta loro coll'estremo
sforzo suo dall'Inghilterra lo scorso anno, molto più facilmente
avrebbero potuto resistere per l'avvenire, confermato lo Stato loro dal
tempo, assicurate le speranze dalla prospera fortuna, aiutate le armi da
un principe potente. Invano si sarebbe sperato di potere in America
mandare nei futuri anni altrettanti soldati, quanti se n'erano mandati
nei passati. Perciocchè oltre che de' lanzi pochi o nessuno se ne
potevano più oltre ottenere, e che la bisogna del reclutare procedeva
tuttavia lentamente in Inghilterra, si aveva ed il timore di
un'invasione francese nel cuore stesso del regno, e bisognava di
necessità fornire le Antille di grossi presidj per preservarle dagli
assalti dei Francesi, i quali si sapeva, che stavano assai forti nelle
loro. Non era nascoso nei Consiglj britannici, che la principal mira,
che in questa nuova guerra, dopo la separazione dell'America dalla
Gran-Brettagna, ponevano i Francesi, era l'acquisto delle ricche isole
inglesi; nè ignoravasi, che già avevano prevenute le mosse, e mandato a
questo fine molte genti nelle proprie possessioni. Stavano perciò le
Antille inglesi quasi senza difesa esposte agli assalti nemici;
qualunque fosse di ciò la cagione, ossiachè i ministri avessero creduto,
che la guerra colla Francia non si dovesse rompere sì tosto, ossiachè
quelle sì vive speranze, che avevano di vincere ad ogni modo la guerra
del passato anno gli avessero indotti a pensare, o che la Francia non si
scoprirebbe, o che quando pure si scoprisse, la vittoria avuta sulla
terra-ferma americana avrebbe pôrta la opportunità di potere inviar per
tempo i richiesti aiuti nelle vicine isole. Si temeva eziandio del
Canadà, non solo dal canto degli Americani, ma ancora, e molto più, da
quello dei Francesi, essendo i Canadesi più francesi che inglesi, e
tuttavia ricordevoli dell'antica congiunzione. Perciò vi si volevano
lasciare presidj gagliardi e fermi. Ne seguiva da tutte queste cose, che
non si potessero rifornire gli eserciti, che militavano contro gli Stati
Uniti, e bisognava per lo contrario menomargli per mandarne una parte a
tutti gli anzidetti servigj. Ma dall'altro lato non si sgomentavano i
ministri, sperando di potere colle offerte d'accordo, e col cambiare il
modo della guerra, e fors'anche per le vittorie da aversi contro la
Francia, ottenere ciò che colle sole armi fin allora non si era potuto
ottenere. Si persuadevano, che gli Americani stanchi dalla lunga guerra,
e tanto scarsi di pecunia e di credito pubblico, sarebbero facilmente
calati agli accordi; o che almeno, se non il congresso, o tutti, certo
una considerabile parte avrebbero accettate le proposte; e speravano,
che le parzialità e le dissensioni avrebbero od alla totale
ricongiunzione, od al totale soggiogamento aperta la via. A questo fine
si era apposta nella provvisione d'accordo fatta dal Parlamento la
clausola, che i commissarj avessero facoltà di negoziare non solo con
qualunque maestrato, ma ancora con qualunque ordine di persone, e con
qualsivoglia privato cittadino che si fosse. Avendo poi trovato sì dura
resistenza negli abitatori delle settentrionali province, si eran fatti
a credere, stando essi molto alle baie e novelle dei fuorusciti, che
troverebbero la materia più tenera nelle meridionali; e perciò si
determinarono a volger le armi contro di queste, le quali siccome più
abbondanti d'uomini fedeli alla Corona, si sarebbero, come riputavano,
più facilmente, e dalla guerra lasciate sbigottire, e dalle offerte
degli accordi lusingare. Oltrechè abbondavano esse di grassi pascoli e
di feraci terre molto opportune al vivere degli eserciti, e molto più da
increscerne agli abitatori, quando andassero guaste dalla guerra. Ma a
qualunque fine avessero a riuscire queste speranze, volevano i ministri
continuar nella guerra, quando tornassero vani i tentativi d'accordo,
per non aver la sembianza di credere alle minacce della Francia; e
qualunque avesse ad esser l'esito, che riserbassero i fati alla guerra
americana, e' bisognava pure, credevano, se però debbon gli Stati aver
cura dell'onore e della propria dignità, sperimentar ancora per un tempo
la fortuna dell'armi; e se si aveva in ultimo a riconoscere la
independenza dell'America, il che diventato era l'oggetto proprio venuto
in contesa, di ciò pensavano, essersi sempre in tempo, e doversi meglio,
cedendo all'avversa fortuna, concedere dopo le infelici battaglie
onorevolmente, che vilmente acchinandosi alle minacce di un superbo
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 3 - 15