Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 3 - 17

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una gentildonna lo era venuto a trovare mandatavi dal Johnstone, e molto
esortato lo aveva a promuovere la riunione tra le due contrade; nel qual
caso si sarebbe rimeritato dal governo con diecimila lire di sterlini, e
colla concessione di quel migliore uffizio, che stesse in facoltà del Re
di conferire nelle colonie; al ch'ebbe egli risposto, siccome affermava;
_ch'ei non era da tanto da esser compro; ma quando pure si fosse, non
essere il Re della Gran-Brettagna a bastanza ricco per poter ciò fare_.
Decretò il congresso sdegnosamente, queste esser tente per subbillare e
corrompere il congresso degli Stati Uniti d'America; e che l'onor loro
non poteva più comportare, continuassero a tenere alcuna pratica, od
alcuna corrispondenza avere con Giorgio Johnstone, massime nel negoziar
di quegli affari, nei quali era la causa della libertà e della virtù
interessata.
Questa deliberazione del congresso diè luogo ad una molto risentita
dichiarazione di Johnstone, nella quale, se avesse usato più modeste
parole, avrebbe meglio fatto credere quello che voleva persuadere.
Disse, che quella deliberazione se la recava ad onore, non ad offesa;
che allorquando il congresso contendeva agli essenziali privilegj
necessarj alla conservazione della libertà loro, e solo mirava alla
emendazione dei torti, la censura loro avrebbe riempiuto l'animo suo di
rammarico e di dolore; ma adesso che vedeva il congresso essere sordo
alle miserabili grida di tanti cittadini sperperati dalla guerra,
contaminare con motivi di privata ambizione i principj della primiera
resistenza; ora che gli vedeva far le sberrettate e le genove
all'ambasciador francese, allearsi coll'antico nemico delle due
contrade, e ciò coll'evidente disegno di abbassar la potenza della
patria, qualunque siano le opinioni di tali uomini sul fatto suo, non se
ne curare. In quanto poi alle accusazioni cavate dalle lettere non negò,
nè confessò. Solo affermò, che la presente risoluzione del congresso non
aveva miglior fondamento di quella, che aveva preso per le fiaschette
dell'esercito burgoniano. Riserbò però a sè stesso la facoltà di
giustificarsi prima che partisse dall'America. Aggiunse, che intanto si
sarebbe astenuto dall'operare nella sua qualità di commissario.
Un'altra dichiarazione fecero i commissarj Carlisle, Clinton ed Eden per
significare al congresso ed ai popoli, che nissuna notizia avevano avuto
delle cose messe in palese da quello; facendo fede nel medesimo tempo
dell'integrità e del liberale animo di Johnstone, e del desiderio suo di
vedere ridotti a buona via gli Americani, e con termini giusti, ed alle
due parti profittevoli, ristorata l'unione tra la metropoli e le
colonie.
Ma l'intento dei commissarj nel pubblicar queste dichiarazioni non era
solo per iscusarsi, ma ancora, e molto più, per cancellar l'effetto dei
trattati fatti colla Francia, e per dimostrare all'universale dei
popoli, che il congresso non aveva la facoltà di ratificargli. Questo
era il consiglio che avevano abbracciato, sperando di poter far gran
frutto. Sapevano, che molti fra gli Americani si erano non che
raffreddi, crucciati, dopochè l'aiuto del D'Estaing, con tanta pompa di
parole pronunziato alle genti, era riuscito di così poca, anzi di
nissuna utilità. Erano anche i commissarj, secondo il solito, messi su
dai fuorusciti, i quali dicevan loro le più gran novelle del mondo
intorno la moltitudine e la potenza dei leali, ed egli se le credevano.
Pubblicarono adunque molte cose sulla perfidia della Francia,
sull'ambizione del congresso, e soprattutto molto s'affaticarono per
pruovare, che questo, trattandosi d'interessi così gravi, dove n'andava
la salute o la rovina di tutta l'America, e giusta le stesse
costituzioni loro non aveva la potestà di ratificare ai trattati colla
Francia, senza interpellare alla volontà del popolo, massime allorquando
notoriamente si aspettavano da parte del governo della Gran-Brettagna
quelle proposte d'accordo, e quelle concessioni, che avanzavano di gran
lunga non solo le domande, ma ancora l'aspettazione degli abitatori
dell'America. Concludevano, la fede loro non essere obbligata dalla
ratificazione fatta dal congresso.
Non mancarono dalla contraria parte autori, i quali cogli scritti loro
vollero purgare nell'anima dei popoli queste querele dei commissarj, tra
i quali più chiaro nome si acquistarono il Drayton sopraddetto, e quel
Tommaso Payne che aveva composto il libro del _comun senso_. Checchè si
debba di questa controversia pensare, le pubblicazioni dei commissarj
furono affatto inutili. Nissuno nicchiò.
Trovatisi adunque i commissarj caduti intieramente dalle speranze della
concordia, si consigliarono, prima di partirsene, di pubblicare un
manifesto, col quale denunziarono agli Americani gli estremi della più
distruggitiva guerra, che l'uomo potesse immaginare. Speravano, che il
terrore avrebbe quegli effetti prodotti, che le offerte della pace non
avevano potuto. Questa maniera di guerra, della quale molti erano stati
autori in Inghilterra, poteva invero tanti e sì gravi danni recar agli
Americani, che forse di breve ne sarebbe loro grandemente incresciuta la
presente condizione, ed avrebbero volti i desiderj e le speranze loro
all'antica pace e congiunzione. La vastità delle coste americane, la
frequenza e la profondità dei fiumi navigabili sono causa, che il paese
sia esposto e sui confini, e nelle sue più interne parti agl'insulti di
un nemico gagliardo in sull'armi di mare. A questo dava eziandio maggior
facilità l'esservi colà le città e le ville molto disperse, e poste qua
e là in lontani e disparati luoghi. Incominciarono i commissarj nel
manifesto loro con rammentar la crudel ostinazione dell'una delle due
parti, lamentandosi, essere loro proposte cose troppo esorbitanti per
venirne alla pace, e mescolando in ogni parola doglianze gravissime del
congresso; da un altro canto magnificavano i replicati sforzi fatti
dall'altra per arrivar ad un'amichevole composizione. Annunziarono
poscia, essersi risoluti a far di breve la dipartita loro dall'America,
non potendo nell'attuale stato delle cose colla dignità loro consistere
il rimaner più lungamente; dichiarando però, che durante tutto il tempo
in cui tuttora rimanessero, e le medesime condizioni d'accordo
offerivano, ed il medesimo animo disposto alla pace conserverebbero.
Finalmente informarono, ed avvertirono i popoli, che per l'avvenire si
sarebbero usati tutti gli estremi della guerra; e che, poichè l'America
apertamente professava di volere non solo diventare straniera
all'Inghilterra, ma ancora di dar sè stessa e tutte le cose sue in preda
al suo nemico, cambiavasi affatto la natura della controversia, e che
ora si trattava di sapere, sino a qual punto potesse la Gran-Brettagna,
coi mezzi che aveva in poter suo impedire, o render inutile una
connessione stata immaginata a sua rovina, e ad aggrandimento della
Francia. Terminarono con dire, che in tali circostanze le leggi della
propria conservazione dovevano indirigere la condotta della
Gran-Brettagna, e che se le colonie erano per diventare un'accessione
alla Francia, dover di quella era il render quest'accessione di così
poco frutto, di quanto possibil fosse, al suo nemico.
Questo manifesto, il quale fu poscia con acerbe parole censurato, e come
crudele e barbaro condannato da molti oratori del Parlamento,
specialmente dal Fox, non operò nella mente degli Americani maggior
effetto, che le offerte di pace operato si avessero.
Incominciò il congresso con mandar fuori un bando, col quale avvertì i
popoli pei siti loro esposti alle offese, che, poichè così piaceva al
crudel nemico loro di voler saccheggiare, ardere e sterminare ogni città
e Terra del continente, edificassero capanne a trenta miglia almanco
distanti dalle abitazioni, ed al primo romore del nemico là si
ritraessero, recando seco le mogli, i figliuoli, i bestiami, le
masserizie, e tutti coloro, che atti non fossero a portar le armi.
Aggiunsero, ed in questo, se era da biasimarsi la risoluzione dei
commissarj inglesi, non è tampoco da lodarsi quella del congresso, che
immediatamente, che il nemico avesse incominciato ad ardere o
distruggere qualche Terra, dovessero i popoli di quegli Stati por fuoco,
saccheggiare e distruggere le case e le proprietà di tutti i Tori nemici
alla libertà ed alla independenza dell'America; e sostener coloro fra i
medesimi, che credessero necessario aver in mano, perchè non aiutassero
l'inimico. Solo si avesse cura di non maltrattare inutilmente nè essi,
nè le famiglie loro, non volendo, che in questo imitassero gli Americani
i nemici loro, nè gli alleati di questi o Germani, o Neri, o Bronzini,
che si fossero. A tali esorbitanze si lascian trasportare gli uomini del
rimanente civili, quando da quella peste dell'amor delle parti sono
invasati. Gl'Inglesi minacciavano di voler far quello che già avevano
fatto, gli Americani quello, che non avrebbero dovuto fare, e che
precisamente tanto in quelli, e con tanta ragione, condannavano. Ma
molto più ama l'uomo appassionato imitar il male in altrui, che lo
spassionato il bene.
Qualche tempo dopo, per impedire che pel rigore delle parole inglesi non
germinassero nei popoli nuovi pensieri, pubblicarono un manifesto, col
quale rammentaron prima, che poichè non avevan potuto prevenire, avevano
essi almeno cercato di alleviare le calamità della guerra. Poscia si
fecero coi più vivi colori a descrivere quelle enormità, delle quali
accusavano la contraria parte. Ricordarono le devastazioni delle
campagne, le arsioni dei non difendevoli villaggi, e le beccherie fatte
dei cittadini d'America. Chiamarono le prigioni britanniche pesti dei
soldati loro, i vascelli dei marinari. Essersi aggiunti gl'insulti alle
ingiurie; gli scherni alle crudeltà. Esclamarono, che poichè gl'Inglesi
non avevano potuto rintuzzare quei generosi spiriti della libertà, si
erano volti agl'inganni, ai corrompimenti, alle servili adulazioni. Han
fatto, continuarono, scherno all'umanità con una fantastica distruzione
degli uomini; han fatto scherno alla religione con empie appellazioni a
Dio, mentrechè i suoi sacri comandamenti violavano; han fatto scherno
alla ragione stessa, sforzandosi di provare, che sicuramente potesse la
libertà e la felicità dell'America confidata essere a coloro, i quali la
loro avevano venduto, senza ristarsi nè a' precetti della virtù, nè agli
stimoli della vergogna. E siccome, terminarono dicendo, nè amorevolezza
alcuna gli tocca, nè la compassione gli muove, così avrebbero gli
Americani rappigliato e vendicato i diritti dell'umanità, un tale
esempio ponendo, che ne sarebbero sgomentati coloro, che avessero in
animo di usar per l'avvenire tanta barbarie. E ciò giurarono di voler
fare scevri d'ira e di vendetta, in presenza di quel Dio, che ricerca e
vede addentro negli umani cuori, ed il quale chiamarono in testimonio
della rettitudine delle intenzioni loro.
In questo mentre sdegnatosi il marchese De La-Fayette al modo, col quale
i commissarj inglesi nella lettera loro dei 26 agosto avevano parlato
della Francia, e dell'intervento suo nella presente querela, il quale
attribuirono all'ambizione, ed al desiderio di veder attritarsi le due
parti col prolungamento della guerra, mandò un cartello al conte di
Carlisle, sfidandolo a venir render ragione in singolar battaglia della
offesa fatta alla sua patria. Fuggì il conte la tela con dire, che,
siccome in ciò, di che si trattava, aveva egli operato in qualità di
commissario, e che la sua condotta, siccome le sue parole stat'erano
pubbliche, così a nissun altro averne a render conto fuori che alla
patria sua ed al suo Re. Terminò dicendo, che rispetto alle nazionali
differenze, sarebber elleno meglio decise, quando l'ammiraglio Byron ed
il conte D'Estaing si sarebbero incontrati sui mari.
Poco tempo poi partirono i commissarj disconclusi in tutto per alla
volta dell'Inghilterra, e, svanita ogni speranza di pace, restarono vie
più accesi i pensieri della guerra.
Ma mentre le legazioni discorrevano, era il congresso ritornato a
Filadelfia pochi giorni dopo che gl'Inglesi avevano questa città
abbandonata, e a dì sei agosto ricevè pubblicamente, e con tutte le
cirimonie usate in simili casi, il signor Gerard, ministro
plenipotenziario del Re di Francia. Questi, consegnate prima le sue
lettere di credenza, le quali erano sottoscritte dal Re Luigi, ed
indiritte _ai suoi cari e grandi amici ed alleati, il presidente ed i
membri del generale congresso dell'America settentrionale_, orò molto
acconciamente intorno al buon animo della Francia verso di quegli Stati,
della obbligazione, in cui si trovavano le due parti, considerati i
preparamenti, ed i disegni ostili del comune nemico, di mandar ad
effetto tutte le condizioni stipulate nel trattato casuale, e che già
dal canto suo il Re Cristianissimo aveva mandato in soccorso loro una
fiorita e possente armata. Sperava, che le massime, le quali
abbraccerebbero i due governi, sarebbero sì fatte, che quella unione si
consoliderebbe, ch'era stata dal vicendevole interesse delle due nazioni
originata.
Rispose con molto accomodate parole Enrico Laurens presidente, che bene
dai presenti trattati si dimostrava la sapienza e la magnanimità del Re
Cristianissimo, che l'aver trovato un sì possente ed illustre amico
riputavano ad un benigno riguardo della Provvidenza verso i virtuosi
cittadini dell'America. Non dubitasse punto, che tale sarebbe la
condotta loro, che l'amistà ne sarebbe confermata; e che giacchè
l'Inghilterra, per la scellerata ambizione del dominare, voleva si
prolungassero colla presente guerra le miserie degli nomini, si eran
essi risoluti a riempir tutte le condizioni del trattato casuale,
avvengadiochè ardentemente desiderassero, deponendo gli sdegni e l'armi,
il sangue umano risparmiare. Che speravano, l'assistenza del generoso e
saggio alleato avrebbe fatto rinsavir la Gran-Brettagna, ed avviatala su
i sentieri della giustizia e della moderazione. Furono presenti a questa
audienza molti gentiluomini, i maestrati della Pensilvania, molti
forestieri di conto, e gli uffiziali dell'esercito. Le esultazioni e le
allegrezze pubbliche in questo dì non furon poche. Nascevano in tutti le
speranze non solo dell'independenza, imperciocchè di questa già più non
si dubitava, ma ancora della futura prosperità; tutti credevano essere
coll'intervenimento francese solidato l'impero americano. Così un Re
porgeva la mano aiutatrice ad una repubblica contro di un altro Re; così
la lingua francese veniva in soccorso di una lingua inglese contro di
un'altra simil lingua; così le nazioni europee, le quali fin allora
riconosciuto non avevano altre nazioni independenti nell'America fuori
delle selvagge e barbare, tenendo tutte le altre in luogo di suddite
incominciarono a riconoscere come independente e sovrana una nazione
civile, e con essa lei trattare e concludere alleanze. Avvenimento al
certo cotanto grave, che, dopo la scoperta fatta dell'America da
Colombo, un eguale, nè un somigliante non s'era perancora agli occhi
degli uomini appresentato. Tanto poterono in America, o l'amor della
libertà, od il desiderio dell'independenza, ed in Europa una cieca
ostinazione, od un necessario orgoglio da una parte, la gelosia della
potenza, e le brame della vendetta dall'altra.
Addì quattordici settembre il congresso trasse ministro plenipotenziario
alla Corte di Francia il dottor Beniamino Franklin.
Già si è da noi raccontato come, e per quali ragioni la spedizione della
Delawara, per la quale se erano proposto, ed avevano sperato gli alleati
di opprimere ad un tratto, e l'armata e l'esercito britannici, non aveva
avuto effetto. Perciò, volendo tentare qualcun'altra fazione
d'importanza, dalla quale, e le armi loro ricevessero riputazione, e
qualche gran vantaggio si ricavasse, si risolvettero a voler far quella
dell'Isola di Rodi. Parve loro questa più d'ogni altra opportuna;
perciocchè tal era in quella provincia la natura dei luoghi, che gli
Americani coi soldati loro di terra, ed i Francesi coll'armi da mare
potevano gli uni gli altri aiutare, e congiunte le forze loro al
medesimo fine cooperare. Questo disegno era stato ordito tra i Capi
americani e D'Estaing a tempo della sua stazione presso Sandy-hook; e
già si era mandato nei contorni dell'Isola di Rodi il generale Sullivan,
acciocchè comandasse a quella parte dell'esercito, che doveva tentar
l'impresa, ed intanto facesse adunate delle bande paesane della
Nuova-Inghilterra. Fu ivi fatto andare medesimamente il generale Greene,
il quale, come nato in quell'isola, vi aveva grandissima dependenza. Non
istava il generale inglese senza sospetto di questo disegno degli
alleati, e perciò aveva mandato dalla Nuova-Jork grossi rinforzi al
maggior generale Pigot che governava l'isola, di maniera che i presidj
erano gagliardi, sommando bene a seimila combattenti. Aveva Sullivan
posti gli suoi alloggiamenti poco distante dalla Terra della
Provvidenza, e si noveravano nel suo campo da diecimila soldati, incluse
le milizie. Era il disegno, che, mentre Sullivan sarebbe venuto sopra
l'isola da tramontana, entrasse D'Estaing nel porto di Nuovo-Porto da
ostro, e quivi distrutto il navilio inglese, che si trovava, desse un
feroce assalto alle mura della città di questo nome, di maniera che il
presidio inglese, assalito nell'istesso tempo da due contrarie parti,
non avrebbe potuto, speravasi, reggere a tanta furia, ed avrebbe dovuto
arrendersi.
Lo Stato dell'Isola di Rodi è composto di molte isole adiacenti l'una
all'altra, delle quali la principale e la più vasta è quella che dà il
nome a tutta la provincia. Tra la spiaggia orientale di questa ed il
continente s'insinua il mare, e correndo a tramontana va a dilagarsi, ed
a formare il golfo di Montesperanza. Questo braccio di mare chiamano
Seacannel, o passaggio orientale. Tra l'Isola di Rodi e quella di
Conanicut entra pure il mare, e chiamano questo passo il canale di
mezzo, il quale è molto stretto. Fra la riva occidentale poi dell'Isola
di Conanicut ed il continente s'interpone un altro braccio di mare, il
quale nominano il passo occidentale o Naranganset. Giace la città di
Nuovo-Porto sulla sponda occidentale dell'Isola di Rodi a rimpetto di
quella di Conanicut, e poco distante dall'estremità sua australe una
giogaia di monti si distende a traverso l'Isola di Rodi dal canale
orientale sino a quello di mezzo dietro la città. Questi monti avevano
gl'Inglesi affortificati molto diligentemente per assicurarsi dagli
assalti degli Americani, i quali dovevano venire dalla parte
settentrionale dell'isola.
Il generale Pigot con eguale prudenza ed ardire si preparava alle
difese. Spogliò con ottimo consiglio di presidj l'isola di Conanicut, e
gli ritrasse tutti a Nuovo-Porto. Così fece anche sgombrare dentro a
questa città le artiglierie ed i bestiami. Le poste disperse qua e là
per l'isola, e massimamente quelle che stanziavano presso la sua punta
settentrionale, tenevan ordine di andar tosto a ricongiungersi colle
altre nella città, tostochè s'accorgessero dell'approssimar del nemico.
Le mura che prospettano il mare, si bastionarono con ogni diligenza; le
navi da carico si affondarono ne' luoghi più opportuni, ovvero si
arsero; le fregate si ritirarono, quanto possibile fosse, a luoghi
sicuri. Ma però, dubitandosi delle medesime, furon tolte le artiglierie
e le munizioni; i marinari appartenenti alle navi affondate, od arse si
fecero venire a governar le artiglierie sulle mura della città. Della
qual cosa e molto si dilettavano, e molto s'intendevano.
In questo mezzo tempo, D'Estaing partitosi da Sandy-hook dopo di aver
segato il mare vers'ostro sino ai capi della Delawara, rivolte le prue,
ivasene poggiando a greco verso l'Isola di Rodi. Addì 29 luglio arrivò
alla punta di Giuditta, e col grosso dell'armata diè fondo presso
Brenton's-ledge, cinque miglia distante da Nuovo-Porto. Due vascelli
però, passato il Naranganset, gettaron l'ancora a tramontana di
Conanicut. Alcune fregate entrarono pel Seacannel; il che fu causa, che
gl'Inglesi arsero una corvetta e due galere armate, che in questo luogo
si trovavano. Non fece D'Estaing per alcuni giorni verun'altra
dimostrazione per entrare col grosso dell'armata nel canale di mezzo a
fine d'andare all'assalto contro la città, secondochè si era cogli
Americani indettato. Perciocchè Sullivan non aveva ancora tutti quei
rinforzi ricevuti, massimamente di milizie, che aspettava, e che
abbisognavano alla sicurezza dell'impresa. Finalmente gli otto agosto,
essendo ogni cosa in pronto, ed il vento favorevole, entrò D'Estaing nel
porto, traendo contro le batterie inglesi, e contro la città, le quali
anch'esse trassero contro i Francesi, però con poco danno dell'una parte
e dell'altra. Andò ad afferrare poco sopra la città tra le isole di Goat
e di Conanicut, più vicino però a questa, dove già avevano gli Americani
posti i presidj. Arsero gl'Inglesi in questo mentre, non le potendo
salvare, molte fregate e parecchj legni minori. L'indomani Sullivan, il
quale da Provvidenza si era già condotto su quella parte del continente,
che guarda da levante l'Isola di Rodi, varcato con tutte le sue genti il
Seacannel al passo di Howland, sbarcò sull'estremità settentrionale di
quella. La qual cosa non era passata senza mala contentezza di
D'Estaing, il quale voleva esser egli il primo a por le genti a terra.
Sperava Sullivan, che non si sarebbe indugiato ad andar all'assalto,
quando ecco l'istesso giorno nove apparire in vista tutta l'armata
dell'Howe, il quale, udito che D'Estaing si era avviato contro l'Isola
di Rodi, si era mosso in aiuto del generale Pigot. Era egli, nonostante
l'accostamento delle navi ultimamente arrivate, tuttavia inferiore di
forze ai Francesi, se si considera la portata, e dei vascelli e delle
artiglierie; quantunque avesse più navi di questi, consistendo la sua
armata in una nave da settantaquattro, sette da sessantaquattro, e
cinque da cinquanta con parecchie fregate. Sperava però, che la fortuna
gli avrebbe appresentato qualche occasione di poterne venire alla
battaglia avvantaggiato, o pel favor del vento, o per altre circostanze.
E certo, se tostochè ebbe fatto la risoluzione di correre sopra l'Isola
di Rodi, avesse provato i venti prosperi, vi sarebbe arrivato sì per
tempo, che avrebbe trovato l'armata francese dispersa nei varj canali
dell'isole adiacenti, ed il grosso fuori del porto, sicchè ne avrebbe
facilmente avuto la vittoria. Ma soffiaron quelli sì fattamente
contrarj, che non potò arrivare, se non il giorno dopo che D'Estaing si
era riparato con tutta la flotta a luogo sicuro dentro il canale di
mezzo. Consideratasi da Howe ottimamente la natura de' luoghi ed il sito
delle navi francesi, e tenuto anche a questo fine qualche pratica col
Pigot, soffiando per sopra mercato il vento contrario, venne in questa
sentenza, che non vi era modo alcuno di soccorrer la città. Il porto era
così fatto, la gola sì stretta, le difese apparecchiate sull'isola di
Conanicut sì gagliarde, che non che un'armata inferiore, come l'inglese
era, ma una di gran lunga superiore non avrebbe potuto, se non
temerariamente, tentar la impresa. Per la qual cosa, se l'ammiraglio
francese, secondo ch'era rimasto d'accordo con Sullivan, avesse voluto
continuarla di presente, e non isnidare di là fino a tanto che fosse
stata compiuta, ogni ragione persuade, che la città di Nuovo-Porto
sarebbe venuta in poter degli alleati. Conciossiachè le circondanti
acque fossero occupate dai Francesi. Ma D'Estaing, uomo, siccome
Francese, impaziente ed animoso, essendosi la mattina del giorno dieci
vôlto il vento improvvisamente a greco, e diventato perciò propizio
all'uscita, entrò in tanta fantasia di combattere, che non potè temperar
sè medesimo, ed uscì fuori a trovar l'armata inglese nell'alto mare.
L'ammiraglio Howe, vistasi venir all'incontro una sì poderosa armata,
stando anche a sottovento, il che rendeva grandemente avvantaggiati i
Francesi, evitava la battaglia, ed iva volteggiandosi con gran maestrìa
per riuscir a sopravvento. Ma quanto s'ingegnava egli per guadagnarlo,
tanto si studiava, e non con minor industria, D'Estaing per conservarlo.
In tali volteggiamenti si consumò tutto il giorno dieci. L'indomani
continuando tuttavia il vento contrario agl'Inglesi, si risolvette, non
ostante, l'Howe a voler far la giornata, e perciò dispose le sue navi in
ordinanza, dimodochè potessero esser raggiunte da tre brulotti, che
venivano a rimorchio dietro le fregate. I Francesi ancor essi si
prepararono alla battaglia, e già si doveva definire, a quale dei due
forti avversarj dovesse la signoria dei mari americani rimanere. Ma in
questo punto cominciò a trarre una brezza gagliarda, la quale crescendo
appoco appoco diventò un vento furiosissimo. Il mare cominciò fortemente
a turbarsi ed a tempestare, sicchè gittatosi in una fiera burrasca, che
durò ben quarantott'ore, non solo separò e disperse le due flotte
nemiche, ma ancora sì forte le ruppe, che non potendo più mareggiare
furono costrette ambedue a cercar di rifuggirsi nei porti. La francese
ricevè maggior danno dell'inglese, principalmente negli alberi e negli
attrazzi. La Linguadocca di novanta cannoni, vascello ammiraglio, che
portava il conte D'Estaing, perdette il timone e tutti gli alberi. Così
disarborato e malconcio, andando vagando a seconda del marosi, fu
incontrato dalla nave inglese la Rinomea di cinquanta cannoni
padroneggiata dal capitano Dawson, il quale gli diè un furioso assalto,
che durò sino alla notte. Si difendeva a mala pena la Linguadocca, non
potendo usare che sette, o otto cannoni. Ma l'oscurità, ed il mare, che
continuava tuttavia molto fresco, preservarono il Francese da una
perdita, che pareva inevitabile. La mattina comparivano a veduta
parecchie navi francesi, le quali si cacciaron dietro al Dawson senza
però poterlo raggiungere. Ma liberarono intanto l'ammiraglio dal
presentissimo pericolo che correva. Nelle medesime circostanze, e colla
medesima speranza di vittoria incontratasi lo stesso giorno la nave
inglese, il Preston, di cinquanta cannoni, colla francese, il Tonante,
di ottanta, priva dell'artimone e del trinchetto, la assaliva. Ma ebbe
l'incontro l'istesso fine, e per le stesse cagioni, che il precedente.
Gl'Inglesi si ricoverarono parte a Sandy-hook, e parte alla Nuova-Jork,
dove attendevano con molta diligenza a racconciarsi. I Francesi si
ripararono all'Isola di Rodi.
Erasi intanto Sullivan, quantunque impedito dai cattivi tempi e dalle
difficoltà trovate nel far venir a sè le munizioni e le artiglierie,
condotto vicino alle mura di Nuovo-Porto; e già aveva sboccato
sull'Honeyman's-hill, e dava opera a piantar le batterie con molla ed
attività ed industria. Nè quei di dentro mancavano a sè stessi, rizzando
nuove fortificazioni, e nuove batterie per rimboccar le americane. Ma
con tutto ciò, se ritornato, che fu D'Estaing dalla sua più dannosa, che
utile fazione sul mare, a Nuovo-Porto, si fosse messo a voler cooperare
cogli Americani, le cose di Pigot si sarebbero trovate in grandissimo
pericolo. Avendo il presidio di Nuovo-Porto gli Americani, che lo
serravano alle spalle, se i Francesi, oltre del dar l'assalto dalle navi
loro alle mura della città dalla parte del mare, avessero sbarcato un
buon numero di soldati, il che poteva agevolmente loro venir fatto,
verso la punta australe dell'isola, e fossero corsi sul sinistro fianco
della città, il quale era il più debole, poca speranza poteva rimanere
agl'Inglesi di potersi difendere. Ma molto diversi da questo erano i
disegni di D'Estaing. Significò egli a Sullivan, che per obbedir agli
ordini del suo Re, e per conformarsi al parere concorde de' suoi
uffiziali, si era risoluto a ridursi nel porto di Boston per ivi
rassettar le navi malconce dalla precedente tempesta. Per verità le sue
istruzioni eran sì fatte, che, ove accadesse qualche sinistro, o si
avessero le novelle dell'arrivo di qualche armata nemica superiore alla
sua, dovesse in quest'ultimo porto subitamente ripararsi. Si avevano gli
avvisi, ch'era arrivato, quantunque colle navi assai malconce per aver
incontrato la stagione molto sinistra, l'ammiraglio Byron ad Halifax, e
pareva altresì, che l'evento della battaglia, e principalmente i danni
causati dalla burrasca, lo mettessero in quella condizione, di cui si
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