Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 3 - 23

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fatto da Byron a fine di riconquistarla; per aver infine recato in mano
sua la signoria di quei mari. Imperciocchè l'ammiraglio inglese,
ricevuto nelle vele, negli alberi e nel sartiame sì grave detrimento, il
qual era tanto più da lamentarsi, quanto che in que' luoghi poco si
poteva risarcire, si era ritirato a San Cristoforo, risoluto a non
uscirne, se non quando o si fosse il nemico infievolito, o egli stesso
ingagliardito. La qual cosa riuscì d'infinito terrore a tutti gli
abitatori delle Antille inglesi, i quali da lungo tempo, e forse non mai
si erano incontrati a veder i Francesi padroni del mare. Pochi giorni
dopo la battaglia, D'Estaing, rabberciate le navi, commise di nuovo le
vele al vento, ed andò a mostrarsi in cospetto dell'Isola di San
Cristoforo, davanti la cala di Bassa-Terra, dove s'era Byron appiattato,
e ciò a fine d'invitarlo e tirarlo a combattere. Ma tutto fu nulla.
L'Inglese non si mosse. La qual cosa vedutasi dal Francese, si avviò a
San Domingo, dove fatta un'adunata di tutte le navi mercantili di
diverse isole ordinò, partissero alla volta d'Europa con un convoglio di
due navi da tre coperte e di tre fregate.
In questo stato di cose, essendovi ancora buon tempo al poter operare
per la stagione che correva, andava il conte D'Estaing fra sè stesso
considerando, a quale impresa più vantaggiosa al suo Re dovesse volger
le armi. Gli pervennero in questo mezzo lettere dall'America, le quali
recavano, avere i repubblicani gli animi pieni di mala soddisfazione,
poichè la lega fatta col Re di Francia non era riuscita, in quanto alle
cose fatte in su quel continente, nè all'aspettazione loro, nè alla
potenza sua; che le grosse spese fatte nella fazione dell'Isola di Rodi
erano state indarno; che il pronto vettovagliar l'armata regia dai
Bostoniani altro non aveva prodotto, che un allontanamento della
medesima dalle terre loro, e la gita sua a lontane spedizioni; che non
era stata l'alleanza fin allora di nissun frutto all'America, stantechè
la perdita fatta, per cagione della lontananza dei Francesi, di Savanna
e di tutta la Giorgia uguagliava pur troppo il benefizio della
ricuperazione di Filadelfia operata dalla presenza loro, in congiunzione
però colle armi americane, e che finalmente questa istessa perdita della
Giorgia, provincia così lontana dal centro della Lega, e tanto esposta
agli assalti di mare poteva, e doveva presagir danni ancor più gravi per
l'opportunità offerta al nemico di conquistar le Caroline; l'inimico
vivere e trascorrere danneggiando per le viscere dell'America; starsene
intanto, si dolevano, i capitani francesi correndo i mari delle Antille,
facendo il lor pro di quelle ricche isole inglesi, e lasciando gli
Americani soli a travagliarsi nell'aspra e perigliosa contesa.
Accrescersene il numero degli scontenti, sgomentarsene i contenti. Lo
pregavano perciò, ed instantissimamente il richiedevamo, volgesse
l'animo suo al soccorso del fedele e pericolante alleato. D'Estaing si
lasciò smuovere, quantunque avesse commissione dal suo Re di
ritornarsene tosto in Europa colle dodici navi grosse e le quattro
fregate, che componevano la flotta di Tolone, lasciando però alcuni
vascelli e fregate sotto i comandamenti di La-Motte-Piquet alle stanze
di San Domingo, ed altri otto vascelli con altri legni minori ad
invernare nei porti della Martinica, intendendosi, che questi condotti
dal conte di Grasse cooperassero col marchese di Bouillé alla conquista
di altre isole inglesi. Tali erano in quei tempi i pensieri della
Francia; perciocchè, riscaldandosi allora vieppiù le pratiche colla
Spagna, avrebbe essa voluto veder gli Americani coll'acqua alla gola per
ottenerne nel prossimo trattato della Lega col Re Cattolico, e per l'uno
e per l'altro Re più favorevoli condizioni. Ma D'Estaing seguendo meglio
la generosità dell'animo suo, che gli ordini del suo Re, e volendo con
ogni studio fuggire ogni occasione di dare agli Americani alcun sospetto
d'animo poco verso di loro sincero, partì alla volta dell'America con
ventidue navi di alto bordo e otto fregate. Due erano le imprese, le
quali aveva in pensiero di voler fare, accordatosi prima in ciò coi Capi
americani, l'una e l'altra di grandissima importanza. La prima si era
quella di opprimere le forze del generale Prevost, e, spazzata in tal
modo la Giorgia, liberar questa dalla presenza, la Carolina Meridionale
dal pericolo degl'Inglesi. Non credeva, fosse disagevol cosa ad esser
mandata ad effetto. L'altra, di maggior importanza e difficoltà,
consisteva nell'assaltare congiuntamente col generale Washington per
terra e per mare la città di Nuova-Jork. Dalle quali due fazioni, se
avessero avuto felice fine, ne sarebbe stata la guerra del tutto
terminata sulla terra-ferma americana.
Compariva egli il dì delle calende di settembre sulle coste della
Giorgia con venti navi delle più grosse, avendone tra via mandato due a
Charlestown di Carolina per darvi avviso del suo arrivare in su quelle
spiagge. La cosa riuscì affatto improvvisa agl'Inglesi, i quali a
tutt'altra cosa avrebbero pensato, fuori che a questa. Il che fu
cagione, che la nave inglese lo Sperimento di cinquanta cannoni,
governata dal capitano Wallace, non senza però aver fatto una
valorosissima, e quasi disperata resistenza, si arrendette alle armi
francesi. Tre altre fregate inglesi vennero parimente in poter di
D'Estaing; siccome pure cinque chiatte annonarie, preziosa preda pel
fallimento delle vettovaglie, in cui erano, ai vincitori. Trovavasi
allora Prevost nella città di Savanna con una parte solamente delle sue
genti; le migliori, se non le più, avendo tuttavia gli alloggiamenti
loro nell'Isola di Porto-Reale, situata presso le coste della Carolina.
Conosciuto l'inaspettato e grave pericolo in cui era, mandò
spacciatamente ordine al colonnello Maitland, il quale era al governo di
quelle, non mettesse tempo in mezzo per venire a ricongiungersi seco lui
dentro le mura della città. Gli stessi ordini spedì tosto ad un'altra
presa de' suoi, che stanziavano a Sunbury. Nell'istesso tempo gl'Inglesi
quelle navi, che avevano nel fiume Savanna, e nelle circonvicine acque o
ritirarono in su ne' luoghi più sicuri, o affondarono per impedir il
passo a quelle del nemico. Steccarono allo stesso fine il fiume.
Guastarono le batterie piantate nell'Isola di Tibee. Fecero con fatica
incessabile lavorare i Neri alle fortificazioni. I marinari scesi a
terra si congiunsero coi soldati, e specialmente si accinsero a voler
ministrare le artiglierie.
Ma intanto tostochè si ebbero nella città di Charlestown le novelle
dell'arrivo di D'Estaing, se le genti si rallegrassero, non è da
domandare. Tosto il generale Lincoln si metteva in via con una buona
mano di soldati per alla volta di Savanna. Si spedirono all'ammiraglio
francese piccoli legni in gran numero, perchè gli servissero ad uso di
sbarcare i suoi soldati, non potendo le grosse navi molto avvicinarsi a
quelle spiagge. Avute queste D'Estaing, ed accostatosi allo scanno, che
è posto alla foce della Savanna, traghettò appoco appoco, passando sopra
di questo, le sua genti e le sbarcò a Beaulieu a tre miglia distante
dalla città. Nel medesimo tempo le sue fregate entrarono ad occupar le
diverse fiumane, ed i bracci di mare, che sono in quei contorni assai
frequenti, approssimandosi quanto meglio e più potessero a Savanna. Il
dì quindici settembre comparivano sotto le mura della città i Francesi,
accompagnati dalla legione di Pulaski, la quale, fatta grandissima
diligenza, già era venuta ad accozzarsi coi medesimi. Prevost dopo
alcune leggieri avvisaglie ritirò dentro tutte le sue genti, essendo,
poichè Maitland non era ancora arrivato, poco sufficiente a difendersi,
non che atto ad offendere. D'Estaing con parole alte intimò la resa a
Prevost; che quelle genti, ch'egli aveva guidato sotto le mura di
Savanna, non erano, che una parte di quelle, che avevano conquistato per
assalto la Grenada; che l'umanità sua l'obbligava a rammentarglielo, e
che ciò fatto non potrebbe venir imputato, se non potesse poi la furia
de' suoi soldati raffrenare. Chiedeva, e ciò non senza grave querela e
sospetto degli Americani, si arrendesse all'armi del Re di Francia.
Prevost, considerato che le genti di Maitland non erano arrivate, e che
le fortificazioni, che intendeva di fare, non erano ancor compite, dava
del buono, e s'ingegnava di logorar tempo con far le viste di voler
introdurre una pratica d'accordo. Rispose pertanto a D'Estaing, non
potere, nè dovere arrendersi, se prima non conosceva le condizioni.
Aggiunse, proponessele. Dopo varie pratiche, Prevost fu tanto astuto, e
D'Estaing tanto dolce, o tanto confidente, che conchiusero una sosta di
ventiquattr'ore. In questo frattempo arrivò dall'Isola di Porto-Reale
con tutte le sue genti Maitland, dopo di aver superato con molta sua
lode tutte le difficoltà opposte tra via da' luoghi e dal nemico.
Ricevuto questo rinforzo, nel quale per verità consisteva la principale
speranza della difesa, Prevost fece intendere a buona cera a D'Estaing,
che si voleva difendere. Ma due giorni prima era arrivato nel campo
degli assedianti il generale Lincoln con circa tremila soldati tra
stanziali e milizie. Sommavano i Francesi al novero di quattro o cinque
migliaia. Il presidio tra soldati, marinari e leali arrivava bene a tre
migliaia di soldati. Pigliarono i Francesi il campo a dritta, gli
Americani a sinistra. Non avendo gli alleati potuto insignorirsi della
città di queto, nè credendosi poterla pigliare d'assalto per la
gagliardìa del presidio e delle fortificazioni, le quali già fatto
avevano, e tuttavia facevano gl'Inglesi con grandissima diligenza, si
risolvettero a volerla pigliare per oppugnazione. Per la qual cosa,
incominciarono a lavorar di forza alle trincee, e già il giorno
ventiquattro avevano sboccato a trecento passi dalle palificate sulla
sinistra della città. Fecero gli assediati ogni sforzo per impedir
l'opere degli assedianti, sebbene con poco effetto. Finalmente avendo
gli alleati condotto a fine le trincee, e piantatovi le batterie,
incominciarono la notte dei tre ottobre, a briccolare in gran copia le
bombe dentro la città, ed in sul far del dì dei quattro trassero
furiosamente con trentasei bocche da fuoco dalle batterie di terra, e
con nove bombarde. Nel medesimo tempo fulminavano di fianco con sedici
cannoni posti sulle navi. Per accrescer terrore alla cosa non cessavano
dal gettar dentro carcasse, le quali appiccarono il fuoco a parecchie
case. Questa tempesta di tant'istromenti da guerra, che durò bene cinque
giorni, siccome causò un danno infinito alla città, così fece poca
impressione dentro le mura, le quali non erano sì tosto in qualche luogo
danneggiate, che non fossero più presti gli Inglesi a rassettarle.
Quindi invece di perdere della forza e solidità loro in mezzo a tanta
furia di cannonate e di bombe, pareva che nuove ne acquistassero. I
soldati poi del presidio, e molti ancora fra gli abitanti, siccome
quelli, che stavano sulle mura per difenderle, ne ricevettero pochissimo
danno. Ma bene fu assai grave quello delle donne, e dei fanciulli, e
delle altre turbe inermi, le quali disseminate qua e là per le case che
diroccavano od ardevano, non trovavano contro tanto furore rifugio
alcuno. Molti perirono, altri furono sgabellati a doverne increscer loro
la vita. Mosso dalle miserabili grida loro Prevost mandò pregando
d'Estaing, fosse contento, che le donne ed i fanciulli fossero mandati
sopra di una nave giù pel fiume, e posti sotto la protezione di una nave
da guerra francese, e là stessero, finchè la bisogna dell'assedio fosse
terminata. Aggiunse, che ove per sua cortesia concedesse la domanda, gli
faceva a sapere che la sua moglie stessa, i figliuoli ancor fanciulli, e
tutta la famiglia l'avrebbero usata. Alla quale richiesta piuttosto da
desiderarsi da un generoso nemico per concederla, che da apprendersi per
negarla, trattandosi, come invero si trattava di un'impresa da doversi
terminare colla forza, non colla fame, rispose superbamente D'Estaing, o
di per sè stesso, o messo su da Lincoln, il quale siccome
Massacciuttese, era uno dei più risentiti libertini del paese, che non
poteva acconsentire, perchè Prevost lo aveva ingannato colla tregua; che
nella presente domanda vi poteva esser sotto materia (sospettando, che
il generale inglese volesse con questo stratagemma cansare le ricche
spoglie della Carolina); che finalmente lamentava bene l'infelice
condizione di quelle persone, ma che se non poteva fare altro, lo
imputasse Prevost a sè stesso, ed a quella illusione che gli offuscava
l'animo.
Qualunque fosse la perizia degl'ingegneri inglesi, e specialmente quella
del capitano Moncrieff, l'opera del quale fu di grandissimo comodo in
quest'assedio, nel racconciar le mura rotte dall'impeto delle
artiglierie nemiche, ed il valore, col quale gli assediati le
difendevano, poca speranza potevano avere di poterle tenere ancora lungo
tempo, e minor eziandio di ottenere la vittoria, quando gli assedianti
avessero perseverato nell'assedio. Ma si trovava D'Estaing oppresso da
gravissime difficoltà. Non si era egli persuaso, che fosse per trovare
sotto le mura di Savanna un sì duro incontro; ed era venuto in tanta
confidenza di una prossima vittoria, che si era fermato con tutta la sua
flotta su quelle spiagge poco sicure in ogni stagione dell'anno, ma
molto pericolose in quella, che allora correva. Aveva anzi significato
agli Americani, che non poteva fare in terra più lunga dimora, che di
otto o dieci giorni. Già ne erano trascorsi venti, dacchè era venuto a
oste sopra Savanna, e questa città nissuna sembianza faceva di volersi
arrendere. La stagione diventava ogni dì più infedele, ed i suoi
uffiziali non cessavano di mostrargli, in quanto pericolo esporrebbe
l'armata del Re, e tutti i suoi, se più lungamente si ostinasse
nell'incominciata impresa. Poteva anco un'armata inglese fresca, e
fornita di ogni cosa arrivar in quelle spiagge, e dar la battaglia alla
francese mancante allora di tutti i soldati e marinari, e di tutte le
artiglierie sbarcate alla fazione di Savanna. Onde è, che quantunque le
trincee non fossero a quella perfezione condotte, che era necessaria, nè
le mura della città altrettanto danneggiate, quanto si sarebbe
desiderato, si deliberò D'Estaing a volerle dar l'assalto; tratto ora
dalla necessità delle cose a quella risoluzione, la quale avrebbe dovuto
mandar ad effetto, allorquando in sul principio poco era la città
difendevole, e gli aiuti di Maitland non arrivati. Fatta la risoluzione,
consultò con Lincoln del modo di eseguirla, ed ambidue si fermarono di
voler assaltar la città sul fianco destro da quella parte stessa, dove
si erano gli Americani accampati. Da questo lato una strada fonda e
paludosa poteva condurre gli assalitori, senza che potessero essere non
che danneggiati, veduti dagli assediati, sino distante solo a cinquanta
passi dallo sdrucciolo della Fortezza, ed in qualche luogo anche più
presso. La mattina dei nove ottobre, prima del dì, D'Estaing e Lincoln,
raccolto il fiore dei soldati loro, andarono per la strada coperta a
riconoscere la batteria. Ma a cagione del buio s'innoltrarono più in là
nella fondura, che non avrebbero voluto, avendo dato una più gran
giravolta a sinistra. Il che fu causa, che ci si perdè tempo, e si
disordinarono i soldati. Tuttavia, ripigliato tosto le ordinanze, si
affacciarono alle mura, e diedero con incredibile ardire un ferocissimo
assalto. Gl'Inglesi, i quali, come scrivono alcuni, ne avevano avuto
qualche fiato la sera precedente, e che perciò stavano sull'intesa, con
quel medesimo valore si difendevano, col quale erano assaliti. Si
attaccarono principalmente, con un furore inestimabile gli uni gli altri
intorno un bastione posto sulla via per Ebenezer, facendo gli alleati un
incredibile sforzo per ispuntar di quello gl'Inglesi. Si combatteva
anche nelle altre parti con uguale valore, e non si poteva
conghietturare, da qual parte fosse per inclinar la vittoria. D'Estaing
e Lincoln in capo alle file dei loro, ed esposti ad un grandissimo
pericolo gli animavano. Da un altro canto Prevost, Maitland ed il
Moncrieff non mancavano a lor medesimi, continuamente aizzando i loro,
cacciassero da quelle mura i ribelli al Re, i nemici inveterati del nome
inglese sfolgorassero. Durò l'ostinatissima contesa per ben un'ora. Ma
infine cedendo il valore degli assalitori alla costanza dei difensori,
ed essendo quelli grandissimamente infestati dalle artiglierie, le quali
poste con mirabile industria da Moncrieff nei luoghi più opportuni
piovevan loro addosso continuamente, e da tutti i lati palle e scaglia;
incominciò l'impeto degli alleati a raffreddare; poscia balenarono.
Della qual cosa accortisi quei di dentro, e conoscendo benissimo, quello
essere il momento, il quale se bene usassero, doveva dar loro la
vittoria compiuta in mano, saltaron fuori, granatieri massimamente e
marinari, e spintisi a trabocco nei fossi e nei ripari, in men che non
si dice, gli spazzarono, cacciatine di forza tutti i nemici. Nè contenti
a questo, avventati pel calor della battaglia, e gonfiati all'aura della
vittoria, gli perseguitarono sì ferocemente e sì precipitosamente, che
gli ributtarono fuori delle palificate dentro la fondura. Il quale
cacciamento fu così subito, che quelle insegne, che Prevost aveva
mandato dietro i suoi alle riscosse, non ebbero tempo di arrivare ad
aver parte nell'impresa. Non è da passar sotto silenzio, che mentre più
ardeva la battaglia, il conte Pulaski postosi alla testa di dugento
cavalleggieri tentò galoppando a tutta briglia di entrare tra mezzo i
ripari nella città per assalir poscia alle spalle, e scombuiar i nemici.
Ma ferito in quel punto mortalmente, fu costretto a ritirarsi; ed i
suoi, perduto il capitano, disanimatisi si tolsero dall'impresa.
Dissipata la nebbia ed il fumo, che avevano ingombrato l'aria nell'ora
dell'assalto, si scoperse uno spettacolo orribile a vedersi. Mucchi di
morti misti coi viventi qua e là, ma principalmente intorno il puntone
di Ebenezer; armi rotte, sangue sparso, grida lamentevoli, ogni cosa
degna di compassione. Chiedevan gli alleati una tregua per seppellir i
morti, e raccorre i feriti. Fu concessa, con restrizione però rispetto a
quei che si trovavano in un certo spazio vicino alle mura.
Fu molto grave in questo fatto la perdita degli alleati. Dei Francesi
morirono, o furono feriti meglio di settecento, tra i quali più di
quaranta uffiziali. Tra i feriti si annoverarono lo stesso D'Estaing, i
visconti di Fontange, e di Bethisì, ed il barone di Steding. Degli
Americani tra morti e feriti mancarono da quattrocento. La perdita
degl'Inglesi fu di poco conto, avendo combattuto da luoghi sicuri. Ora
si facevano dai vinti le invenie per la risposta data a Prevost rispetto
alla moglie e figliuoli di lui. Davano la colpa, come dicevano, a
quell'avventato Lincoln. Offerivano adesso, imperciocchè facevano
tuttavia le viste di voler continuare l'assedio, quello che prima tanto
rigidamente avevano negato. Gissero pure la donna, ed i figliuoli del
generale col seguito loro; sarebbero ricevuti a bordo della nave la
Chimera dal cavaliere di San Rumain. Rispondeva con sopraccigli levati
Prevost, che quello che stato era negato una volta con insulto, non
francava la spesa di accettare.
Pochi giorni dopo passò da questa all'altra vita il conte Pulaski, uomo
polacco di chiaro sangue, il quale non trovando più nella patria sua
modo alcuno di adoprarsi in questa causa della libertà di cui ei faceva
professione, s'era con generoso consiglio condotto ad aiutarla
presenzialmente in America. Nel che fare se perdette la vita, acquistò
non poca laude presso gli uomini valorosi. Raccontasi, che quando fu al
Re di Polonia annunziata la morte di Pulaski, abbia esclamato: _Pulaski
sempre bravo, ma sempre nemico ai Re_. E certo, se il Re Stanislao si
doleva di Pulaski, ne aveva ben anche il perchè. Il congresso decretò,
gli si rizzasse un monumento.
Il giorno 18 ottobre, gli alleati, aperto del tutto l'assedio, si
levarono da campo, e tale fu la diligenza che usarono nel ritirarsi, che
non fu fatta agl'Inglesi veruna abilità di poter far loro danno. I
regolari di Lincoln si ripararono sulla sinistra riva della Savanna; le
cerne si disbandarono. I Francesi si ritrassero alle navi. D'Estaing,
posti di nuovo sopra di queste i soldati, le armi e le munizioni,
abbandonando del tutto le spiagge dell'America, commise le vele ai
venti, intendendo di recarsi egli stesso con una parte dell'armata in
Europa, e di rimandar la rimanente alle Antille. Ma una grossa folata
disperdè le navi, le quali penarono poi gran pezza prima che si
potessero, raccozzare.
Questo fine ebbe la spedizione di D'Estaing sulle coste dell'America
settentrionale, nella quale avevano gli alleati tante liete speranze
collocate. Rottogli prima dall'avversa fortuna il disegno della
Delawara, abbandonò poscia due volte in sul bel compirla l'impresa di
Nuovo-Porto; e finalmente sotto le mura di Savanna, dopo d'essere stato
troppo rispettivo nel principio riguardando all'assalto, tanto lo
affrettò sul fine, che ne ricevette una grave sconfitta. Acquistò per
altro alla Francia due ricche isole nelle Antille, e combattè con non
poco frutto una onorevol battaglia contro un'armata inglese
esercitatissima, e governata da capitani espertissimi. Era D'Estaing,
del pari precipitoso nel risolversi che animoso nell'eseguire; e se la
fortuna avesse, siccome amica agli audaci, aiutato l'audacia sua, o
voluto favorire gli ottimi consiglj presi dai ministri francesi nelle
cose ordinategli, avrebbe fuor di dubbio grandemente afflitta la
possanza navale dell'Inghilterra, ed un grande aiuto porto all'America,
che dal suo operare aveva sperato il pronto fine della guerra. Con tutto
ciò, sebbene l'opera dell'ammiraglio francese non sia riuscita in
America di quella utilità, che si aspettava, fu però di non poco
vantaggio agli Americani. Imperciocchè la sua presenza contenne
gl'Inglesi, che non si recassero sì tosto, come disegnato avevano,
contro le province meridionali. Inoltre i ministri britannici, temendo
non solo dell'Isola di Rodi, ma ancora della Nuova-Jork, quando le genti
loro continuassero ad alloggiare spartitamente in quelle due province,
ed in altri luoghi, comandarono a Clinton, volasse speditamente la
prima, e tutto il presidio ritirasse alla Nuova-Jork; il che eseguì il
giorno 25 di ottobre. Così la provincia dell'Isola di Rodi, la quale era
venuta di queto in mano dei reali, tornò nel modo stesso in poter dei
repubblicani. E siccome era allora D'Estaing sulle coste della Giorgia,
così temendo i generali inglesi, venisse tosto sull'Isola di Rodi,
questa votarono sì all'inviluppata, che vi lasciarono le grosse
artiglierie, ed una gran quantità di munizioni. Ne pigliarono gli
Americani possessione immantinente. Vi lasciarono per alcuni dì
sventolare le insegne inglesi; al quale inganno prese molte navi del Re
entrarono in Nuovo-Porto altrettanto ricca, che sicura preda ai
repubblicani.
Raccontato avendo sin qui gli accidenti della guerra, che nacquero in
quest'anno, sia nel continente d'America, sia nelle isole occidentali,
ci è ora mestiero descrivere quelle cose, che nel medesimo frattempo
avvennero, e che risguardano, o l'erario pubblico, o le opinioni, i moti
e le sette di quei popoli agitati da sì gravi e sì spessi rivolgimenti.
La congiunzione delle armi di Francia a quelle del congresso, se dall'un
dei lati era stata di non poca utilità agli Americani e per dar loro
migliori speranze dell'avvenire, e per difendergli effettualmente dagli
assalti britannici, dall'altro riuscì di notabil danno rispetto alla
comune opinione dei popoli. Questa stessa possente tutela, e quelle
speranze che ne furono l'immediato e necessario effetto, furono causa,
ch'eglino si dessero a credere, che la contesa fosse ormai vicina al suo
fine; che l'Inghilterra fosse per calare; e che altro non rimanesse a
farsi, che aspettar quietamente il termine dei mali loro, ed attendere a
godersela, e a darsi buon tempo. Quella causa stessa, la quale avrebbe
dovuto per l'emulazione verso il possente alleato stimolargli a
comportarsi da valorosi, ed a concorrere efficacemente alla comune meta,
gli faceva per lo contrario impoltronire, proponendosi eglino di volere
anticipatamente, e quando tuttavia durava il pericolo quel riposo
godersi, che non avrebbero dovuto desiderare, se non quando avessero
ottenuto l'intento loro. In mezzo a quelle vivaci immagini di non
lontana felicità, che la vaga immaginazione continuamente rappresentava
alle menti loro, non si ricordavano, che il negozio poteva ancor venir
guasto in sul compirsi, e che poteva tuttavia, siccome si suol dire,
cader loro la gragnuola in sul far della ricolta. La Francia, vedutigli
così trasandati, avrebbe potuto far altri pensieri, servendo la
trascuraggine loro di pretesto apparente, e d'accrescimento di forza
alla ragione di Stato sempre pronta a pigliar le occasioni di fare il
suo interesse a spese degli alleati. La Spagna ancora avrebbe potuto
starsene, e non si discoprire con grave danno di tutta la Lega, la quale
dall'accessione di lei sperava la vittoria certa. Nè pensavano gli
Americani, che se le buone armi ed i forti eserciti sono causa, che più
presto si finiscono le guerre, così lo sono ancora per ottenere le più
favorevoli condizioni della pace. Tutte queste cose nissuna, o poca
impressione facevano negli animi dell'universale, e contenti a quello
che fin là fatto avevano, e grandi assegnamenti facendo sugli aiuti
francesi, si stavano, e parevano voler lasciare tutto il peso del
fornire la bisogna all'alleato loro. Questa rilassatezza, la quale era
entrata in tutti gli ordini di persone, era altrettanto più grande,
quanto era stato più vivo l'entusiasmo degli anni precedenti. La qual
cosa era anche maggiormente di sinistro augurio; imperciocchè
l'esperienza dimostra potersi bene facilmente concitar i popoli la prima
volta, ma risvegliargli da quel torpore che tien dietro all'ardore,
difficilmente. I Capi americani più prudenti, e massimamente Washington,
conosciuto ottimamente il male, ne stavano di malissima voglia, e vi
facevan contro tutti quei rimedj, che migliori e più efficaci immaginar
potevano e sapevano. Usavano le esortazioni, gli argomenti della passata
gloria, la necessità di non iscomparire in paragon dell'alleato, i
pericoli, che tuttora soprastavano, la possanza e le arti
dell'Inghilterra. Tutto era nulla. Se ne stavano tuttafiata a gambe
larghe, e lasciavano portare al caso le cose di maggior momento. Non vi
era modo che si volessero risentire. La bisogna del reclutare procedeva
peggio che lentamente. I soldati, che si trovavano all'esercito di
Washington, alcuni, perchè avevano finite le ferme, altri, perchè eran
loro venute a noia le guerre, lo desertavano, ed alle case loro
ritornavano. Nè il riempire le compagnie assottigliate era facil cosa a
conseguirsi. Pochi, o nissuno volevan obbligarsi giusta le provvisioni
del congresso a tre anni, o sino al finir della guerra. Il condurgli per
un più breve spazio, oltrechè riusciva di poco profitto, non era anche
concesso per la torpidezza dei popoli. Il trar le sorti, ed obbligargli
per forza ad andar sotto le insegne era creduta, ed era in vero in mezzo
a quelle opinioni che regnavano, cosa troppo pericolosa. Dormiva ogni
cosa nell'esercito, avendo per grazia, che gl'Inglesi non
l'assaltassero. Queste state sono le cagioni per le quali così
freddamente procedettero in quest'anno le cose della guerra, e per cui
Washington, oltre la sua naturale prudenza di non volere, se non
avvantaggiatissimo, riporre nel rischio delle battaglie una impresa, che
già credeva vinta, non che assaltar volesse, recava a sua gran ventura
il non essere assaltato. Che se le cose fossero avvenute, non come
andarono, ma come avrebbero dovuto andare, gli si sarebbe scoperta
qualche buona occasione di fare un gran fatto in servigio e gloria della
patria sua; e forse gl'Inglesi non se ne sarebbero stati nella
Nuova-Jork così quieti, come fecero tutto l'anno, e l'Isola di Rodi non
avrebbe penato sì lungo tempo a ritornare alla divozione dell'America;
poichè si trovavano i reali in quei primi mesi molto indeboliti per
cagione dei soldati mandati alle fazioni delle Antille e della Giorgia.
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