Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 3 - 22

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gola al Massacciuttesi, sperava non si sarebbero i medesimi osi di
mandar molta gente in aiuto dell'esercito washingtoniano. Saputasi la
cosa in Boston, non si può dire, quanto vi si commuovessero gli animi,
ed in quanta gelosia entrassero sui futuri disegni del nemico.
Determinarono di fare un grande sforzo per cacciarlo da quel nido, che
gli poteva servir di scala a cose maggiori. Allestirono con grandissima
celerità un'armata; ed affinchè non mancassero le navi da carico,
ordinarono, si ritenessero tutte quelle che nei porti loro si
ritrovavano; le fornirono di soldati e di ciurme, ed in poco tempo fu
ogni cosa pronta alla spedizione. Preposero all'armata il comandante
Saltonstall, alle soldatesche il generale Lovel. Fecero vela alla volta
di Penobscot.
Aveva intanto Maclean udito prima i romori, poscia avuto le certe
novelle degli apparecchiamenti, che si facevano nel Massacciusset. Ogni
opera usava, per quanto la brevità del tempo il comportava, per
viemmeglio assicurar le difese del luogo. Arrivarono i repubblicani, e
dopo parecchj tentativi per isbarcare, riusciti vani a cagione della
risoluta resistenza de' regj, finalmente tanto fecero, che fu loro fatto
abilità, ributtati i difenditori, di porre in terra. Lovel, invece di
andar tosto all'assalto, il che gli avrebbe dato la vittoria certa, si
pose in sul trincerarsi. Ripresero animo gl'Inglesi. Vi fa un trarre di
artiglierie continuo per quindici dì. In ultimo, essendo già levate in
parte le difese, deliberarono gli Americani di voler dar la batteria. Ne
ebbe Maclean lingua, e si apparecchiava a ributtargli. La mattina ogni
cosa in pronto; ma un profondo silenzio nel campo degli assedianti. Non
san che dirsi. Finalmente fatta l'esplorazione, trovarono,
maravigliandosene ognuno, i nemici aver del tutto abbandonato gli
alloggiamenti, le opere loro esser rimaste nude di guardia, e ritirati
uomini, armi e munizioni alle navi. Nè stettero gran pezzo ad accorgersi
di ciò, ch'era stato la cagione di sì strano accidente. Era Collier
comparso improvvisamente alle bocche del Penobscot, il quale, avuto
avviso del pericolo di Maclean, era prestamente partito per soccorrerlo
da Sandy-hook con una sufficiente armata. Fe' le viste Collier di
assalir il navilio massacciuttese. Si disordinarono i repubblicani, i
regj gli sfolgorarono. Tutto quel navilio sì da guerra, che da carico fu
arso o preso con danno inestimabile dei Bostoniani, i quali in
quest'impresa avevano posto l'occhio. I soldati ed i navicellai
viaggiando con incredibile disagio tra vasti deserti e profonde selve,
si condussero a luogo di salvamento. Saltonstall e Lovel, ma
principalmente il primo diventarono in odio a tutti, e le botte che
furon date ad ambidue d'ignoranza e di codardìa non furon poche. Questo
fine ebbe l'impresa fatta alla foce del Penobscot, nella quale i
Massacciuttesi provarono con grave danno loro, quanto improvvido
consiglio sia negli Stati confederati l'operare spartitamente dai
compagni. Imperciocchè e' pare, che i Capi loro non abbian voluto in
rispetto a questa fazione non che accordarsi, consigliarsi coi capitani
del congresso. Così della conquista della Giorgia in fuori si
travagliavano in quest'anno freddamente le armi, e non succedevano, se
non effetti di piccolo momento.
Ma però nel mese di luglio fu fatta addosso gl'Indiani una terribile
rappresaglia dai repubblicani condotti dal generale Sullivan. Le
spedizioni l'anno scorso contro di quelli eseguite da Buller e Clarke
non avevano ancora potuto soddisfare agli animi dei Capi della Lega, i
quali tuttavia ardentissimamente desideravano di fare un'adeguata
vendetta della distruzione di Viomino. Oltreacciò pareva loro necessario
di frenar le correrìe, che sugli estremi confini non cessavano di fare
que' sfrenati selvaggi resi più arditi dall'impunità, ed instigati dagli
agenti britannici, i quali con denari e con presenti, in pubblico ed in
privato avevano tutto quel paese avvelenato. Tra quelli si mostravano
più vive e più moleste le sei tribù più possenti di tutte per la lega
contratta fra di loro, per gli ordini già avvicinatisi a quei di uno
Stato civile, e pel gran numero dei venturieri europei, che alle
medesime tramescolati si erano, e dai quali avevano già in qualche modo
le fogge degli armeggiamenti, e dei militari scaltrimenti d'Europa
imparato. A queste si erano accostate altre nazioni selvagge meno
rilevanti, eccettuati però gli Oneidiani, i quali, standosene di mezzo
ad osservare, tennero il fermo al congresso. Per la qual cosa si
deliberarono i Capi americani a volere con uno sforzo rilevato liberarsi
del tutto da quella rangola; e siccome Dio, secondo il detto del volgo,
non paga il sabbato, far pagar il fio a quella gente spietata delle
crudeltà di Viomino. Alla qual risoluzione altrettanto più volentieri si
accostarono, perciocchè le cose della guerra procedevano, come abbiam
veduto, assai freddamente nelle province più vicine al mare. Fu ordito
talmente il disegno di questa fazione, che il generale Sullivan, il
quale doveva guidare tutta l'impresa, salendo con circa tremila soldati
su per le rive della Susquehanna arrivò a Viomino, e quivi aspettava il
generale Jacopo Clinton, che veniva pel fiume Moacco con sedici
centinaia di soldati. Seguivano un gran numero di guastadori, di
bagaglioni, di saccardi, di galuppi, ed altra simile bordaglia per far
le strade, portar le vettovaglie, devastar il paese. Le vettovaglie
erano copiosamente fornite, sebbene non tante, quante Sullivan avrebbe
desiderato. Doveva l'esercito passar lungo spazio per paesi, che non ne
somministravano. Di cavalli se ne avevano in copia; delle artiglierie da
campo sei con due obici. I due generali congiunsero le genti loro a
Viomino il giorno 21 d'agosto. Messisi all'ordine, di nuovo si ponevano
in via verso le parti superiori della Susquehanna. Alla fama di questa
venuta avevano gl'Indiani fatti tutti que' sforzi, che meglio per loro
si potevano per difendersi, ed allontanar dal paese loro l'imminente
rovina. Guidati da quei Johnson, Butler e Brandt nominati nei precedenti
libri, si erano assembrati in numero assai ben grosso, e si accozzarono
con essi loro da dugentocinquanta leali. Credutisi forti, erano venuti
sopra la Terra di Newtown, per la quale doveva Sullivan passare, e
quivi, aspettandolo, avevan construtto una grossa e lunga trincea, che
assicurarono vieppiù con un palancato, ed alcuni imperfetti bastioni
alla foggia europea. Arrivato Sullivan tosto attaccò la battaglia. Si
difesero gl'Indiani molto francamente per ben due ore, quantunque non
avessero artiglierie. Per isloggiargli più facilmente da quel riparo
commise Sullivan al generale Poor, andasse allargandosi sulla dritta per
andar a riuscir loro alle spalle. Veduta questa mossa, ed assaliti anche
aspramente da fronte, si perdettero gli Indiani di animo, e si diedero
precipitosamente alla fuga. Pochi furono uccisi, nissuno venne in poter
dei vincitori. Sottentrarono questi, e s'impadronirono di Newtown. Si
sentirono talmente questi uomini selvaggi a questa rotta, che più non si
rattestarono. Ora altro ostacolo non rimaneva da superare ai sullivani,
per correre il paese indiano, fuori di quello delle vettovaglie e della
difficoltà, la quale era grandissima, delle strade. L'uno e l'altro
superarono con incredibile pazienza. Arrivarono finalmente, e ne seguì
una intiera distruzione della contrada, la quale gli abitatori, uomini e
donne, vecchi e fanciulli intanatisi ne' deserti e foreste più selvagge,
abbandonato avevano. Arsero le case, guastarono le messi, mandarono a
male ogni sorta di biade, tagliarono gli alberi fruttiferi. Nel che fu
tanta rabbia usata, ch'era la cosa venuta a vergogna a parecchj
ufficiali non avvezzi a fare, come dicevano, quel mestier di ladroni. Ma
Sullivan era inesorabile, volendo eseguire le commissioni, ed i soldati
volentieri l'obbedivano, avendo mal animo addosso agl'Indiani, perchè si
ricordavano di Viomino. Guastarono da centosessanta mila moggia di
biade. Rovinarono in fondo da quaranta villate, tagliarono un numero
infinito di alberi sì fattamente, che in un solo verziere ne furono
atterrati da quindici centinaia tra pomi, peri e persici. I bestiami
ancora, quelli, ch'erano rimasti o trasportarono, o uccisero. Nulla si
lasciò che intatto fosse o di ciò, che vegetasse sopra la terra, o di
ciò, che vivesse nelle stalle od in sui pascoli, o che l'industria umana
prodotto o provveduto avesse.
Questa spedizione non solo fu notabile pel rigore, col quale fu mandata
ad effetto, ma ancora per le nozioni, che si acquistarono intorno la
condizione di quelle società selvagge. E' pare che quelle nazioni, le
quali ora furono ad un tanto sterminio condotte, più oltre fossero nella
civiltà procedute, che prima si credesse, o che si sarebbe potuto
giudicare. Le case loro erano nei più ameni e salutevoli luoghi poste,
spaziose, pulite, e non senza qualche eleganza, che poco più si sarebbe
potuto desiderare. I campi poi, nei quali così grasse e prosperevoli
eran cresciute le biade, dimostrarono, non esser ignota a quelle genti
l'arte di coltivar la terra. L'antichità e la maravigliosa grandezza
degli alberi fruttiferi, e la frequenza de' bruoli davano certo indizio,
che non di recente, ma già da lungo tempo fossero ad un tal grado di
civiltà salite. E siccome il seminar le biade, ed il piantar gli alberi
sono non dubbj argomenti, che l'uomo guarda nell'avvenire, così si venne
a conoscere, esser falso quello che si credeva vero degl'Indiani, cioè
non aver essi previdenza. Le quali cose si debbono dalla frequenza della
popolazione loro riconoscere, dalla famigliarità degli Europei, e
massimamente dagli uffizj de' Missionarj, i quali ne' tempi andati, e
forse ancora a quei medesimi erano fra di loro vissuti o vivevano.
Furono gl'Indiani dalla presente battitura sì fattamente sbigottiti, che
non fecero più dopo in alcun tempo verun motivo d'importanza. Compiuta
l'opera, ritornò Sullivan a Easton nella Pensilvania. I suoi uffiziali e
soldati molto lo ringraziarono, e seco lui si congratularono con
pubbliche dicerìe, che andarono anche per le stampe, del prospero
successo della spedizione, ciò facendo o spontaneamente, o perchè
Sullivan, siccome uomo anzi leggieri e glorioso, ch'egli era, che no,
così volesse, facessero. Poco tempo dopo, essendo diventato cagionevole,
chiesta licenza dal congresso, l'ottenne facilmente; perciocchè erano i
membri di quello disgustati con lui, o fosse per le sue superbe
vantazioni, o perchè, siccome quegli, ch'era assai largo di bocca,
sovente gli cardava.
Raccontate nel modo fin qui scritto le cose, che accaddero sul
continente americano tra i reali ed i repubblicani, o tra questi e
gl'Indiani, l'ordine della storia richiede, che ci facciamo a descrivere
quelle che avvennero tra gl'Inglesi ed i Francesi nelle isole Antille,
dopoch'erano arrivati ai primi i rinforzi di Europa condotti dal Rowley,
ed ai secondi quelli del conte di Grasse. Dall'accostamento di queste
novelle forze erano le due flotte nemiche divenute a un dipresso
egualmente gagliarde. Avrebbero gl'Inglesi voluto venirne ad una
battaglia giusta. Ma D'Estaing, il quale, siccome molto più forte di
soldati di terra, che Byron non era, aveva in animo principalmente di
conquistare le vicine isole inglesi, fuggiva la battaglia, la quale se
avesse infelice fine avuto, avrebbe renduta la superiorità sua nell'armi
terrestri infruttuosa. Perciò se ne stava quietamente nel Porto-Reale
della Martinica, aspettando una favorevole occasione per far qualche
onorata impresa in servizio del suo Re. Questa non tardò molto la
fortuna a parargli davanti. Erasi partito addì sei di giugno
l'ammiraglio Byron da Santa Lucia per recarsi all'Isola di San
Cristoforo, dove avevan fatto la massa le conserve delle Antille, pronte
a far vela per alla volta dell'Europa. Intendeva di conviarle con tutta
la sua armata per un grande spazio, sia perchè, se ne avesse lasciato
una parte in qualche porto di quelle isole, non avendovene nissuno, che
del tutto sicuro fosse, sarebbe stata esposta agli assalti di un nemico
molto più forte, sia perchè si sapeva, ch'era partito di Francia, ed era
tra via con un altro grosso rinforzo per D'Estaing il conte de
La-Motte-Piquet. Era cosa evidente, che se questi si fosse abbattuto in
sui mari nelle conserve, le avrebbe prese con inestimabile danno
dell'Inghilterra, quando non fossero state da una forza sufficiente
accompagnate. Partito Byron da Santa Lucia non furon tardi i Francesi ad
usar la occasione, che loro si scopriva. Commise D'Estaing al cavaliere
di San Rumain, andasse con cinque navi armate, e quattrocento uomini di
sopraccollo tra soldati stanziali e milizie ad assaltare l'isola di San
Vincenzo. Faceva ottimamente il cavaliere i comandamenti del capitano
generale; e nonostante le correnti che lo sviarono, e la perdita di una
nave, sbarcò le sue genti sopra l'isola. Dal detto al fatto si insignorì
coll'armi in mano di un colle, che sta a ridosso di Kingston, borgo
capitale dell'Isola. I Caraibi, o sia i naturali abitatori, gente
armigera e bellicosa, venivano a torme a congiungersi cogli assalitori.
Il governatore Morris, quantunque avesse sotto di sè più gente da
difendersi, che non aveva San Rumain per offenderlo, forse per paura dei
Caraibi grandemente irritati all'avarizia e crudeltà degl'Inglesi, si
arrendè a patti. Furono essi assai onorevoli e somiglianti a quei, che
ottenne il governatore della Domenica, quando venne quell'isola in poter
dei Francesi.
In questo mezzo era arrivato al Forte Reale della Martinica l'ammiraglio
La-Motte-Piquet, che aveva condotto sei navi di alto bordo, le quali,
congiunte alle diciannove, che già aveva D'Estaing, componevano una
fioritissima armata di venticinque grosse navi di fila. Si annoveravano
fra di esse due di ottanta cannoni, ed undici di settantaquattro. Queste
forze erano superiori a quelle di Byron, il quale non aveva altro che
diciannove, tra le quali una di novanta, undici di settantaquattro, le
altre minori. Aveva inoltre La-Motte-Piquet recato un rinforzo di
stanziali con molte munizioni sì navali, che da guerra. Elevato per
queste cose D'Estaing a maggiori speranze, si risolvette a far l'impresa
della Grenada, difficile assai per la fortezza dei luoghi, ma di non
poco momento per la situazione, e pei proventi dell'isola. Aveva egli
già buon tempo posto il capo a questa fazione; ma sempre andò
indugiandosi, aspettando il tempo, in cui fosse per prevalere di armi
navali. La quale cosa avendo conseguìto per l'arrivo di La-Motte-Piquet,
la mandava ad effetto. Salpò addì 30 di giugno dalla Martinica, ed il
secondo giorno del seguente mese dato fondo nel Molinier, che è un seno
di mare così detto nell'isola di Grenada, pose in terra da duemila e
trecento soldati, la maggior parte Irlandesi condottisi ai soldi della
Francia, e capitanati dal colonnello Dillon. Occuparono incontanente i
posti circonvicini. Era tutta l'isola governata dal lord Macartney con
un presidio di circa ottocento soldati, dugento stanziali, i rimanenti
milizie. Erano questi alloggiati sopra un poggio, che chiamano Morne
dell'Ospedale, il quale oltrechè si è naturalmente di una salita assai
ripida, resa anco più difficile dalle more, che vi avevano alzate qua e
là, era stato affortificato da parte delle falde con una grossa
palificata, e più insù con tre trincee, l'una posta a sopraccapo
dell'altra. Signoreggia questo poggio la città di Giorgio, il Forte ed
il porto. D'Estaing intimò la resa a Macartney. Rispose, che per verità
non conosceva le forze di D'Estaing, ma che conosceva bene le sue, e si
voleva difendere. Sapeva benissimo il capitano francese, che se v'era
modo alcuno di conquistare l'isola, questo si era per una battaglia di
mano. Imperciocchè non dubitava punto, che indugiandosi, sarebbe
sopravvenuto Byron in soccorso, e gli avrebbe rotto il disegno. Per la
qual cosa non mise tempo in mezzo, ed ordinò i suoi all'assalto. Vennero
la notte seguente approssimandosi al poggio, ed a due ore dopo
mezzanotte da ogni parte lo accerchiarono. Eran divisi in tre colonne
per dare all'inimico diversi riguardi, la dritta guidata dal visconte di
Noailles, la manca da Dillon, la mezzana tra le due dal conte D'Estaing
medesimo, il quale s'era animosamente posto a capo ai granatieri. Gli
artiglieri, non avendo cannoni da governare, chiesero, ed ottennero di
marciare i primi. Incominciavasi la battaglia per un assalto simulato
dato sotto l'ospedale dalla parte del fiume San Giovanni. Non così tosto
ebbe principio, che le tre colonne con grand'ordine, e con maggior
ardire inarpicandosi per l'erta ivano all'assalto. Sostennero gli
assaltati l'urto loro con molta costanza. Parvero esitare un istante.
Gl'Inglesi scrivono, avergli ributtati. I Capi gl'incoraggiavano. Si
avventavano più fieri che prima. L'uno serrava l'altro e lo spigneva
avanti. Nè le palificate, nè la difficoltà della salita, nè le trincee,
nè la furia dell'armi nemiche tanto poteron operare, che non
riportassero una gloriosa vittoria. D'Estaing il primo coi granatieri
saltò armatamente dentro gli alloggiamenti inglesi. Lo seguitarono gli
altri. In un momento gl'inondarono. Gl'Inglesi chiedevano la vita, i
Francesi la concedevano. L'oscurità della notte ebbe accresciuto orrore
alla cosa, gloria ai vincitori. Trovarono undici cannoni di diversa
gittata e sei bombarde. La mattina, fatto dì, voltarono le conquistate
artiglierie contro il Forte, che tuttora si teneva per gl'Inglesi. Fatto
il primo colpo, mandò Macartney un trombetto, chiedendo i patti.
D'Estaing gli concedeva un'ora e mezzo, perchè facesse le proposte.
Mandata una bozza di capitolazione a D'Estaing, questi ricusò le
condizioni. Ne mandò il Francese un'altra del suo all'Inglese,
contenente sì nuovi e strani capitoli, che Macartney e gl'isolani stessi
amarono meglio rimettersi senz'alcuna condizione nell'arbitrio dei
vincitori, che accettargli. E così fu fatto. Se grandi e meritevoli di
eterna memoria furono le virtù ed il coraggio degli assalitori durante
la battaglia, non furono minori la temperanza e l'umanità loro dopo la
vittoria. La città fu preservata dal sacco, al quale avrebbe potuto
esser posta giusta le consuete regole della guerra. Furon protetti gli
abitatori nella roba e nelle persone, e le salvaguardie concedute a
tutti coloro che le domandarono. Dillon specialmente meritò la lode di
mansueto e civile guerriero. S'impadronirono i Francesi di cento pezzi
di artiglierie e di sedici bombarde. Fecero settecento prigionieri.
Vennero anche in mano loro da trecento bastimenti mercantili di ricco
carico, che si trovavano nel porto. Tra morti e feriti perdettero poco
più di cento soldati.
La prudenza di D'Estaing nell'aver voluto con tanta celerità compir
l'impresa della Grenada gli tornò bene. Imperciocchè il giorno sei di
luglio compariva a veduta del porto di San Giorgio tutta l'armata
inglese condotta da Byron, seguitata da molte navi da carico, le quali
portavano un buon nervo di soldati da sbarcare levati da Santa Lucia.
Aveva quest'ammiraglio accompagnato buona pezza le conserve delle
Antille nel viaggio loro verso l'Europa, e poscia concessa loro la
scorta, che credette necessaria fosse per conviarle sino nei porti
d'Inghilterra. Se n'era poscia tornato colle diciannove navi di tre
palchi, che gli rimanevano, e con una fregata a Santa Lucia. Quivi ebbe
le novelle della perdita di San Vincenzo, e perciò si era recato in un
col generale Grant sul volerla ricuperare. A questo fine aveva imbarcate
le genti, e veleggiava alla volta di quell'isola. Durante il viaggio gli
sopraggiunse la notizia, che D'Estaing aveva assaltato la Grenada.
Perilchè ebbe tosto rivolto il suo cammino per andarsene all'aiuto di
questa. Aveva D'Estaing avuto avviso per mezzo delle sue fregate mandate
fuori a speculare dell'approssimarsi dell'armata inglese, ed aveva
perciò comandato ai capitani delle sue navi, salpassero e si
discostassero da terra. Alcuni avevano di già questo comandamento
eseguito, altri erano in punto per eseguirlo, quando comparì a piene
vele l'armata di Byron, che correva sopra quella di D'Estaing, e le
presentava la giornata. Spirando il vento di levante, e da greco
levante, e venendo quegli di Santa Lucia sulla Grenada lo aveva in
poppa. Veduto D'Estaing sì vicino il nemico, ordinò a quelle navi che
ancora salpato non avevano tagliassero i cavi, e si mettessero tosto in
mare in ordine di battaglia colle altre, e così fu fatto. Ma siccome in
questo mentre sopraggiungeva l'inimico, ciascuna nave si recò in fila,
come più presto potè, senz'andare a cercar i luoghi loro nella solita
ordinanza. Gl'Inglesi godevano il sopravvento, ed ivano poggiando verso
la Grenada, credendo, che Macartney tuttavia si tenesse. Seguitavano più
ancora in fuori a sopravvento le navi da carico. I Francesi avevano il
sottovento, ed orzavano verso l'armata inglese. I primi desideravano
molto di venire ad una stretta battaglia, perciocchè speravano colla
rotta dell'armata francese ricuperar la Grenada. I secondi, siccome
quelli, che là erano venuti principalmente per conquistare questa isola,
e che questo fine ottenuto avevano, non volendo più mettere in arbitrio
della fortuna ciò, che di già aveva ella posto in mano loro, ripugnavano
ad una battaglia giudicata, ed intendevano di combattere alla larga, e
solo quando necessario fosse per romper agl'Inglesi il disegno di
ricuperar la Grenada. Con questi diversi fini andavano l'uno
all'incontro dell'altro i due ammiragli. Da principio solamente quindici
navi dell'armata francese si appresentarono alla battaglia; perciocchè
le altre per la forza delle correnti erano state risospinte a
sottovento. Arrivava il vice ammiraglio Barrington, che guidava
l'antiguardo colle tre navi, il principe di Cornovaglia, il Boyne ed il
Sultano, e si attaccava colla vanguardia francese. Si combattè da ambe
le parti con grandissimo furore. Ma le tre navi inglesi, avendo contro
di loro molte più francesi, perchè le compagne non avevano ancora avuto
tempo di arrivare, ricevettero gravissimo danno, massimamente negli
attrazzi, sia perchè tal è la maniera del trarre dei Francesi nelle
battaglie navali, sia perchè si combatteva di lungi, e sia finalmente
perchè i Francesi tiravano da sottovento, e perciò le palle loro
andavano più alte. Barrington ne rimase ferito. Arrivarono intanto le
altre navi inglesi, e dal canto suo D'Estaing aveva fatto di modo, che
quelle fra le sue, le quali erano rimaste indietro a sottovento, fossero
venute a trovarlo, e postesi in fila colle prime quindici, che
incominciato avevano la battaglia. Gl'Inglesi si difilavano
continuamente verso la Grenada, viaggiando di conserva le navi da carico
sulla sinistra loro verso l'alto mare, trovandosi la fila delle navi da
guerra tra esse navi da carico e l'armata francese. Scorrendo in tal
guisa le due armate l'una a riscontro dell'altra per contrario verso si
combattè senza cessare, finchè entrambi ebbero trapassato. Ma siccome le
navi inglesi erano venute contro le francesi cacciando, e però un po'
disordinate, e che da un altro canto erano queste molto più destre a
vela, e perciò in piena potestà di serbar a posto loro quelle distanze
che volevano, ne seguì, che poche delle prime ebbero a sopportare tutto
il peso delle artiglierie di molte, o di tutte le seconde. Quindi è, che
furono grandemente danneggiate, e più di tutte il Grafton, la
Cornovaglia ed il Lione; massimamente quest'ultima, la quale fu rotta di
modo, che pareva vicina a naufragare. Il Montmouth altresì, il quale si
era ravvisato per indur i Francesi a combattere più manescamente, di
mettersi di traverso della vanguardia loro per arrestarla, fu malconcio
di modo, che il Lione stesso non l'era di vantaggio. Ma la testa della
vanguardia inglese continuando a camminare era pervenuta alla bocca
della cala di San Giorgio nella Grenada, dove veduto le bandiere
francesi sventolare sulle creste dei Forti, e ricevuto anche i colpi
delle batterie più vicine, furono fatti certi gl'Inglesi di quello
ch'era, la Grenada venuta essere in poter del nemico. Per la qual cosa
conoscendo ottimamente l'ammiraglio Byron, che nella presente condizione
della sua armata, e con quella dei Francesi tanto superiore a ridosso,
era diventata cosa impossibile lo snidargli, commise tostamente al
capitano Barker, ch'era preposto alle navi da carico, facesse altri
pensieri, e più che velocemente le conducesse in salvo in Antigoa o a
San Cristoforo. Egli intanto rivoltò le prue verso tramontana affine di
proteggere le navi da carico nel viaggio loro pure a quella volta, acciò
non venissero in mano del nemico. Ma le tre navi, il Grafton, la
Cornovaglia ed il Lione, le quali pei gravi danni sofferti non potevano
acconciamente governarsi, non solo rimanevano indietro, ma ancora si
lasciavano cadere a sottovento, e perciò più vicine ai Francesi, ed in
pericolo di esser mozzate fuori e prese. Infatti accortosi D'Estaing
dello stato loro aveva voltati i bordi, e poste le prue a ostro per
eseguir ciò, che Byron temeva, cioè di tagliar fuori, e pigliar quelle
tre navi. Ma l'ammiraglio inglese per impedir questo disegno rivoltò
anch'esso i bordi, e veleggiò di nuovo vers'ostro. Mentre in tal modo le
due armate nemiche, dopo d'aver orzato buona pezza, correvano poscia
l'una e l'altra poggiando vers'ostro, il Lione arrancandosi, così
scassinato com'egli era, il meglio, che potesse, e pigliando il vento da
poppa, s'incamminò verso ponente, ed arrivò qualche giorno dopo alla
Giamaica. Avrebbe potuto facilmente D'Estaing, se avesse voluto,
pigliarlo. Ma non volle sparpagliar la sua armata per non correr
pericolo di cadere a sottovento della Grenada. Perciocchè intendeva di
raccorla tutta nei porti di quest'isola. Le due altre navi delle tre
trovaron modo, prima che i Francesi s'interponessero, di ricongiungersi
colla restante armata. Il Montmouth non potendo più mareggiare, fu
mandato speditamente ad Antigoa. Le due armate nemiche continuarono a
stanziar nelle medesime acque a veduta l'una dell'altra fino alla
seguente notte, e standosene gl'Inglesi tuttavia a sopravvento per
protegger le navi da carico, che se ne andavano, e non osando assaltar
l'inimico, perchè inferiori di forze, e molto danneggiati. I Francesi se
ne stettero anch'essi oziosi a sottovento, non potendo rappiccar la
battaglia, appunto perchè si trovavano a sottovento, e forse ancora
probabilmente non volendo D'Estaing fare l'ultima sperienza della virtù
de' suoi, perciocchè quello, che sin là s'era fatto, si poteva, come se
fosse una vittoria, rappresentare, oltre i motivi che gli facevano
desiderare di schivar l'estreme battaglie. La mattina seguente rientrò
D'Estaing nella cala di San Giorgio con infinito plauso dei soldati e
degli abitanti francesi, i quali erano stati spettatori della battaglia.
Le onerarie inglesi, eccettuata una, che venne in mano dei Francesi,
arrivarono tutte a salvamento nell'Isola di San Cristoforo. Byron dopo
di essersi tenuto in sul mare alcuni dì dopo il fatto, andò finalmente a
porre anch'esso nei porti dell'isola medesima.
Ebbero gl'Inglesi in questa giornata, che si combattè il dì sei di
luglio, 183 morti, e 346 feriti; ma grandissimo fu il danno loro negli
attrezzi navali. Mancarono dei Francesi molti più, sia a cagione del
modo del trarre degl'Inglesi, sia perchè le navi loro erano ingombre non
che di ciurme, di soldati da terra. Ebbero perciò molti uffiziali di
conto, da dugento marinari o soldati uccisi, e pressochè ottocento
feriti. Questa fu la battaglia della Grenada, per la quale si fecero
molte allegrezze in Francia, ed il Re Luigi scrisse all'arcivescovo di
Parigi, seguendo in ciò il costume solito ad osservarsi nelle occasioni
delle vittorie, cantasse l'inno delle grazie nella chiesa metropolitana.
Pretendeva infatti D'Estaing la vittoria, per aver tenuti accesi i lumi
tutta quella notte, che venne dietro al giorno della battaglia, per
averla Byron ricusata lo spazio di molte ore, quantunque avesse il
sopravvento, per non aver fatto l'Inglese nissuna dimostrazione per
preservar il Lione, mentre andandosene a mala pena verso ponente si
trovava in tanto pericolo, per aver il medesimo abbandonato il campo di
battaglia, ed essersi ritirato; per aver esso D'Estaing catturato una
nave da carico al nemico, conquistato la Grenada, e reso vano il disegno
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