Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 3 - 13

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necessità sua giudicare, e l'uso sopravvederne. Inoltre già
s'incominciano a pruovar in Francia i pregiudiziali effetti dello zelo,
col quale vi si è questa medesima causa americana favoreggiata; che
quelle massime della monarchia con tanta costanza, e per sì lungo spazio
mantenute dai Francesi, già sonvi contaminate con quelle della
repubblica; e questi semi di libertà sempre diminuiscono la forza del
governo, e se vi metteranno radice, e vi pulluleranno, noi vedremo il
francese governo, quanto un altro qualsivoglia distratto e disordinato.
Odo favellare della difficoltà degli accatti fra di noi, e del disavanzo
dei monti. Ma i prestatori già sonsi obbligati, e le prime rate son
pagate, e l'interesse è non solo non ingordo, ma moderato molto più là
di quello, che il nemico avrebbe desiderato, e questi paurosi
predicavano. Quanto al disavanzo stato è di niun momento, e già si son
riavuti. Ma che dirò di quell'altro spauracchio dell'invasion francese?
Noi abbiamo un formidabile navilio, trentamila stanziali, ottima gente;
possiamo ad un tratto fare adunata delle bande paesane sì fattamente,
che la Francia si terrà giù dall'impresa al tutto, o che glien
increscerebbe, se la tentasse. Così di leggieri non si vincono questi
Brettoni; nè questa patria è così facil preda a chicchessia. Dicesi
ancora, che gli Americani son pronti a far lega con noi, e che di ciò ne
hanno gettato i motti; e questi uomini credevoli già si lascian tirare.
Non sappiamo noi, che coloro, i quali muovono queste pratiche, se però
si dee prestar fede a questi romori, sono i rompitori dei patti di
Saratoga, quegl'istessi, che imprigionano, che tormentano, che uccidono
i fedeli sudditi del Re? Per me temo il dono, e ch'il reca; temo le
americane insidie; temo gli ammaestramenti francesi; temo, vogliano
avvilirci col rifiuto, dopo d'averci ingannati coll'offerta. Fin qui son
ito divisandovi ciò, che la ragione di Stato da voi richiede; ora
brevemente vi parlerò di quello, che la gratitudine, la giustizia, la
umanità ricercano. V'incresca di coloro, i quali in mezzo al furore
della ribellione si sono al Re, a voi, alla patria conservati fedeli.
Muovetevi a pietà di quelli, i quali tutte le speranze loro han poste
nella vostra costanza. Abbiate compassione alle spose, alle vedove, a'
figliuoli loro, i quali, esposti ora senza difesa all'americana rabbia,
pregano il cielo per la prosperità dell'armi regie, e nissun altro
termine traveggono ai martirj loro, che nella vittoria vostra. Vorrete
voi tutti questi abbandonare, e far pruovare loro danno della fede, che
hanno avuta in voi? Dimostreranno gl'Inglesi minor longanimità nei
proprj interessi loro, che i leali americani dimostrato ne hanno? Ah!
questi abbominevoli consiglj non furono mai seguìti da questo generoso
Regno. Parmi anzi già di vedere i vostri forti petti riempirsi di
sdegno, e già le voci gridar vendetta degl'inusitati oltraggi, e già
correr le mani alle riparatrici armi. Itene, o padri, a quel destino, al
quale il ciel vi chiama. Salvate l'onor del Regno, soccorrete ai miseri,
proteggete i fedeli, difendete la patria; e vegga l'Europa con
maraviglia, e provi la Francia con danno, che scorre tuttavia nelle
vostre vene immaculato e puro il britannico sangue. Per istringere
adunque in poche parole ciò, che di questo io sento e penso, dico, che,
posto dall'un de' lati il partito del mio avversario, si assicuri il Re,
essere i suoi fedeli Comuni pronti a tutti quei mezzi somministrargli, i
quali saranno necessarj a mantenere l'onor del suo popolo, e la dignità
della sua Corona».
Finito ch'ebbe Jenkinson di parlare, seguì nella Camera un bisbiglio
incredibile. Finalmente posto, e raccolto il partito fu quasi con tutti
i voti deliberato, che si ringraziasse il Re, si continuasse a
combattere contro le colonie, si prendesse la guerra contro la Francia.
Ma nella tornata della Camera dei Pari de' sette aprile, dopochè il Duca
di Richmond aveva orato con accomodatissime parole, e con gagliardi
argomenti sforzato si era di dimostrare, ch'era ormai tempo di dare un
altro indirizzo agli affari del Regno, successe un caso molto
lamentevole. Erasi il conte di Chatam, quantunque oppresso da una
piuttosto mortale, che grave infermità, nella Camera, sebbene non senza
grandissima fatica condotto, ed udite le nuove proposte che andavano
attorno, e non potendo sopportare che si volesse la separazione
dell'America persuadere, disse queste, che furono per esso lui le ultime
parole:
«Signori, io mi sono fra queste mura in questo dì, non so come, certo
oltre mia balìa recato per esprimere l'indegnazione, che io sento
all'udire della renunziazione alla sovranità dell'America motivare. Mi
rallegro io meco stesso, che il sepolcro non si sia ancor chiuso sopra
il mio morto corpo; ch'io viva ancora per poter alzar la mia voce contro
lo smembramento di quest'antica e nobilissima monarchia. Oppresso, come
sono, e quasi del tutto vinto dal malore, poco io posso alla mia patria
in sì periglioso frangente soccorrere. Ma, signori, finchè avrò vita e
spirito, non consentirò mai, che si privino i reali discendenti della
Casa di Brunswich, gli eredi della principessa Sofia, del più bel
retaggio loro. Dov'è colui, che s'ardisce dare un tal consiglio?
Succedette Sua Maestà ad un impero altrettanto grande in estensione,
quanto immaculato in riputazione. Offuscherem noi lo splendore di questa
nazione con una ignominiosa renunziazione de' suoi dritti, e delle sue
più belle possessioni? Dovrà questo gran reame, il quale tutto ed
intiero sopravvisse alle danesi depredazioni, alle scozzesi correrie, ed
alla normanna conquista, che stette forte contra la minacciata invasione
della spagnuola armata, cader ora prostrato a piè della Casa dei
Borboni? Certamente, signori, questa nazione non è più quella ch'era.
Potrà un popolo, il quale, son ora diciassette anni, era il terror del
mondo, ora tanto abbassarsi, che dir possa al suo inveterato nemico:
_te', quanto abbiamo; solo dacci la pace_? è cosa impossibile. In nome
di Dio, se sceglier dobbiamo tra la pace e la guerra, e la prima non
possa mantenersi, e perchè non cominciam l'altra senza esitare? Non
conosco per verità, quali siano gli apparecchiamenti di questo regno; ma
spero bene, siano sufficienti a preservare i suoi giusti diritti. Ma,
signori, ogni cosa è migliore della disperazione. Facciasi almeno uno
sforzo, e se cader dobbiamo, caggiamo com'uomini».
Qui fece fine al suo parlare. Sorse il Duca di Richmond, e cercò con sue
ragioni di persuadere, che conquistar l'America per la forza dell'armi
era cosa impossibile diventata, e che miglior partito era congiungersela
in alleanza, che gettarla in grembo alla Francia. Volle il conte di
Chatam replicare e ben tre volte tentò di alzarsi. Tutto fu indarno.
Cadde in fine svenuto sul suo seggio. S'affoltarono per soccorrerlo il
Duca di Cumberland, e parecchj altri de' principali membri della Camera.
Trasportaronlo così fuori di senso com'egli era, nella vicina camera,
che chiamano del principe. Successe una confusione, ed un andare e
venire incredibile. Il Richmond sollecitava, che, stante questa pubblica
calamità, si aggiornasse la Camera al dì seguente, e così fu fatto.
L'indomani, ricominciatosi a discutere intorno il partito posto da
Richmond, e poscia raccoltolo, non si ottenne.
Addì undici marzo passò da questa all'altra vita nella sua età di
settant'anni Guglielmo Pitt, conte di Chatam. Agli otto giugno lo
seppellirono con onoratissime, e pubbliche esequie nell'Abbazìa di
Westminster, dove gli fu poco poscia rizzata un monumento. Fu egli,
ossiachè si riguardi l'ingegno, o la virtù, o le cose fatte in prò della
patria, uomo piuttosto da eguagliarsi agli antichi, che da anteporsi ai
moderni. Ebbe lungo spazio in mano il governo del ricchissimo reame
d'Inghilterra, e recatolo a tanta gloria, che mai ne' passati tempi non
che avesse avuto, non avrebbe sperato l'uguale. Morì se non povero,
certo sì poco facoltoso, che la famiglia sua non ne avrebbe potuto
vivere orrevolmente. Il che non si sarebbe detto senza ragione a quei
tempi, e molto manco si direbbe nella presente età. Ma la ricordevol
patria riconosceva nei discendenti la virtù del padre. Fece il
Parlamento una provvisione annua e perpetua di quattromila lire di
sterlini alla famiglia di Chatam, e pagò di vantaggio ventimila lire di
sterlini di debiti, che aveva Guglielmo contratti per mantenere il grado
suo e la numerosa famiglia. Nessuno fin là, trattone solo il Duca di
Malsborough, aveva in Inghilterra ottenuto sì alte e sì liberali
ricompense. Fu poi eziandio del pari eccellente oratore, che uomo perito
nelle cose di Stato, o integro cittadino. Difendeva in cospetto del
Parlamento con ammirabil facondia quei partiti, i quali nelle consulte
private aveva e sapientemente deliberati, ed animosamente raffermati.
Abbenchè, in quanto al suo modo di dire, alcuni non senza ragione vi
riprendessero e l'uso troppo frequente delle figure, ed una certa
gonfiezza di stile molto propria di quei tempi. In questo poi
principalmente avanzò tutti i reggitori delle nazioni della sua età, che
seppe spirare a tutti i servitori dello Stato sì civili, che militari
non solo l'animo ed il valore; ma ancora lo zelo e l'entusiasmo. La qual
cosa non si concede dal cielo, se non di rado, e solo, agli uomini
singolari. In somma, ei fu uomo da non ricordarsi mai senza lode, nè
senza ardore d'animo da imitarsi.
Ma ripigliando ora, d'onde lasciammo vedendo i ministri britannici la
guerra diventata essere inevitabile contro la Francia, andavano facendo
all'incontro tutti quei provvedimenti, che necessarj credevan per
esercitarla. Nel che tanto più ardenti si dimostravano, quanto che molto
bene si avvedevano, che alla guerra francese ed americana, se fatta si
fosse infelicemente, si sarebbe tosto aggiunta la spagnuola, e
fors'anche la olandese, mentre che da un altro canto una subita e
rilevata vittoria avrebbe queste due ultime prevenute. Per la qual cosa
erano intentissimi soprattutto ad avanzar gli apparecchiamenti marittimi
nei quali principalmente consistevano la difesa del regno, e la speranza
della vittoria. Ma in questo, esaminatosi attentamente lo stato del
navilio, si trovò, che non era nè sì numeroso, nè sì convenevolmente
provveduto, come si sarebbe desiderato, e come alla gravità delle
circostanze era richiesto. Del che se ne fece un gran romore
nell'universale, e molte male parole si dissero nelle due Camere del
Parlamento dal conte di Bolton, e dal Fox contro il conte di Sandwich,
ch'era allora Capo dell'uffizio dell'ammiragliato. Tuttavia nessuna
diligenza si ometteva per ristorarlo. Volendo poi in così grave
frangente gli animi dei popoli confortare, e specialmente colla
confidenza del capitano spirar coraggio, ed ardire ai marinari, elessero
i ministri, a Capo di tutta l'armata, che era sorta nel porto di
Portsmouth, l'ammiraglio Keppel, uomo nelle bisogne navali
riputatissimo, e risplendente di molta gloria per le egregie cose da lui
fatte nelle precedenti guerre. I lordi Hawke, ed Anson, quei due sì
chiari lumi dell'inglese marineria, lo avevan tenuto molto caro, ed in
gran conto; e certamente nissuna elezione d'uomo, quantunquemente
celebrato ei fosse, avrebbe potuto altrettanto soddisfare agli animi di
tutti, quanto questa dell'ammiraglio Keppel. Non isfuggì egli il carico,
quantunque già fosse a quell'età pervenuto, nella quale l'uomo meglio
desidera lo starsi, che l'operare, e maggior gloria di quella, che aveva
ottenuto fin là, acquistar non potesse; che anzi doveva ripugnar
naturalmente al commetterla di bel nuovo alla fortuna delle battaglie.
Vi era anche in questo suo affare un'altra disagevolezza, e questa era,
che i ministri, come libertino, gli puntavano addosso. Il che poteva
riuscirgli nel corso delle cose di molto disgusto. Ma egli, risguardando
meglio all'utilità della sua patria, che in così gran bisogno desiderava
l'opera sua, che alle proprie comodità, non esitò punto ad accettare
quell'uffizio, che con tanta contentezza de' suoi concittadini gli era
stato commesso. Furono nominati a militare sotto di lui i due
vice-ammiragli Hartland e Palliser, l'uno e l'altro uffiziali molto
riputati. Arrivava Keppel a Portsmouth, dove in luogo di una grossa
armata lesta al veleggiare trovò, non senza grandissima maraviglia,
solamente sei navi di alto bordo pronte a mettere in mare, marinari
pochi, ed a gran pezza non sufficienti provvisioni, ed attrezzi
mancanti. Allegavano i ministri, le altre navi essere state mandate a
diverse fazioni, ma di breve dover ritornare. Comunque ciò sia,
l'ammiraglio tanto fece, e tanta diligenza usò, che a mezzo giugno si
trovò in grado di salpare con venti navi di fila. Aspettava ancora altri
e pronti rinforzi. Diè le vele al vento da Sant'Elena addì tredici. Lo
accompagnavano i desiderj ardentissimi dei popoli. I tempi correvano
oltre ogni dire stretti e difficili. Sapevasi, che aveva la Francia una
grossa armata a Brest pronta a far vela, e fornitissima di ogni cosa. Le
conserve, che portavano in Inghilterra le ricchezze dell'Indie, si
aspettavano di dì in dì, e potevan diventar preda ai Francesi. Il che
sarebbe riuscito di un danno inestimabile, non solo per la perdita delle
ricchezze medesime, ma ancora e molto più per quella di un gran numero
di marinari, i quali con gran desiderio si aspettavano per fornirne le
navi da guerra. A questa cagione già di tanto momento si aggiungevano la
difesa di tutte le coste della Gran-Brettagna tanto vaste, la sicurezza
della grande e ricchissima metropoli, la preservazione degli arsenali,
nei quali si contenevano tutte quelle cose, sulle quali e la presente
grandezza dell'Inghilterra, e tutte le speranze avvenire stavano
fondate. Tutti questi oggetti piuttosto di totale che di grande
importanza erano commessi all'opera di venti vascelli.
Intanto i preparamenti di terra con eguale passo procedevano con quei di
mare. La bisogna del reclutare si forniva efficacemente; e le cerne si
levavano speditamente, e si ordinavano in bande a mò degli stanziali. Si
ponevano parecchj campi ne' luoghi, che si credevano più esposti alle
percosse del nemico. In cotal modo si preparavano gl'Inglesi alla vicina
guerra. Già il governo aveva ordinato, rappigliandosi contro la Francia,
che si ritenessero nei porti tutte le navi francesi, che dentro vi si
trovassero.
Ma nella Francia, la quale, siccome quella chiedi che di lungo proposito
aveva disegnato di muovere l'armi contro l'Inghilterra, meglio di questa
stava fornita in sugli apparecchiamenti necessarj, il navilio era
grandissimo, ed ogni cosa in moto. Non prima vi si ricevettero le
novelle, le quali pervennero in brevissimo tempo, del nimichevole modo,
col quale il Re Giorgio aveva ricevuto il rescritto del marchese di
Noailles, che aveva il governo francese spedito ordini in tutti i porti,
acciò vi si fermassero le navi inglesi. Abbenchè da questa ritenzione,
siccome pure da quella fatta nei porti inglesi delle navi francesi,
pochi effetti ne seguissero; perciocchè i padroni pei sospetti di
guerra, che già da buon tempo andavano attorno, si fossero ai porti
patrj ritirati. Poscia, lasciate in disparte tutte le dubitazioni, ed in
quell'attitudine disponendosi, la quale ad una grande e possente nazione
ottimamente si conviene, volendo altresì perfezionar quell'opera, che
dal rescritto incominciata si era, e fors'anche gli animi dei nuovi
alleati confermare col dar quel passo, dal quale più non si poteva, se
non con vergogna, tornar indietro, si deliberò a ricever pubblicamente e
solennemente riconoscere i commissarj americani, come ambasciadori di
una nazione franca ed independente; la qual cosa, se riuscì dura
agl'Inglesi, non è da domandare. Adunque addì 21 del mese di marzo i tre
commissarj furono introdotti dal conte di Vergennes avanti il trono, su
di cui sedeva in mezzo ai Grandi della sua Corona il Re Luigi
decimosesto, e quivi ricevuti con tutti quegli usi e cirimonie, le quali
soglionsi osservare, ogni qualvolta che i Re di Francia danno audienza
agli ambasciadori delle nazioni sovrane ed independenti. Caso memorabile
in vero, e tale, che pochi, o forse nissuno se ne trovano nei ricordi
delle storie. Imperciocchè gli Americani sperimentarono in questo
miglior fortuna, che altre nazioni, le quali acquistarono
l'independenza, non provarono, come per cagion d'esempio gli Olandesi e
gli Svizzeri, i quali se non a stento, e dopo lungo tempo furono
riconosciuti come independenti da quegli stessi potentati, che a levarsi
dal collo la superiorità degli antichi signori loro gli aiutarono.
Avendo in tal modo la Francia passato del tutto il guado, ad avvedendosi
benissimo, che nella presente guerra si doveva far maggior fondamento
sulle armate, che sugli eserciti; che una parte ragguardevole della
guerra marittima consisteva di necessità nel predare sia le navi
guerresche del nemico per diminuire la sua potenza, sia le commerciali
per iscemar la ricchezza, cosa sempre di grandissima importanza, ma di
molto maggiore, quando si combatte contro l'Inghilterra, determinò di
porre avanti gli occhi degli uffiziali di mare e delle ciurme maggiori
incentivi, acciocchè con più animo e diligenza le navi nemiche
perseguitassero. Si usava in Francia per aizzar gli uomini al
corseggiare a' tempi di guerra di concedere alcune ricompense ai
rapitori delle navi di guerra, ed a quei delle navi mercantili un terzo
del provento della vendita delle navi medesime. Il Re per un decreto suo
dato addì 28 marzo ordinò, che le navi da guerra, ed i corsari nemici
venuti in poter de' suoi, cadessero in piena ed intiera proprietà dei
comandanti, uffiziali e ciurme, che intrapresi gli avessero, e che
medesimamente i due terzi del valore delle navi mercantili, e dei
carichi loro divenissero proprj di coloro, che predate le avessero,
salvando solo l'altro terzo da essere incamerato nella cassa
degl'invalidi di mare. Ma per altro questo decreto, sebbene sottoscritto
dal Re e dal duca di Penthièvre, grande almirante di Francia, per esser
mandato ad esecuzione il dì quattro del seguente maggio; nondimeno
ossiachè il Re, siccome credono alcuni, molto ripugnasse per la
benignità della natura sua al dar cominciamento al versar il sangue,
ovverochè la ragione di Stato il persuadesse, doversi aspettare, che
gl'Inglesi commettessero essi le prime ostilità, fu rattenuto gran
pezzo, e non fu pubblicato, nè eseguito prima del cominciar di luglio.
Perchè poi non potesse, temendo di sè medesimo, il governo inglese
mandar soccorsi di genti in America si facevan correre da tutte le parti
della Francia sulle coste, che prospettano l'Inghilterra, i reggimenti,
e già un esercito potente vi si trovava adunato, pronto, come se fosse,
ad essere imbarcato a bordo della grande armata di Brest, e sull'opposta
spiaggia trasportato. In Brest intanto non si perdeva tempo, e con
grandissima assiduità s'insisteva sui marinareschi lavori. Meglio di
trenta grosse navi di alto bordo già vi stavano allestite con un gran
numero di fregate, queste massimamente per correre contro, e far gran
danni al commercio inglese. Un'altra flotta trovavasi pronta a salpar
dal porto di Tolone. Questo quasi subito mutamento del navilio francese
causò non poca maraviglia a tutte le nazioni, e molta apprensione
all'Inghilterra; la quale, solita a tenere la signoria dei mari, non
poteva darsi a credere, che ora un altro potentato sorgesse, che potesse
di quella con essa lei contrastare. Per verità la debolezza in cui si
trovò la Francia al tempo della morte del re Luigi decimoquarto non solo
fu causa, che non si potè riparare alla debolezza, in cui fu lasciato il
navilio francese a' tempi della guerra della successione di Spagna, ma
ancora, che quelle navi stesse, le quali già stavano allestite nei
porti, curate non essendo, andarono a male. Le guerre poi d'Italia,
delle Fiandre e di Germania, che succedettero nel regno di Luigi
decimoquinto, facendo in modo, che tutte le rendite pubbliche, e tutti
gli sforzi dello Stato si rivolgessero agli eserciti di terra,
produssero una pregiudiziale freddezza nelle opere di mare; e stette la
Francia contenta all'armar alcune poche navi, piuttosto per proteggere
il suo commercio marittimo, che per turbare quello del nimico. Quindi le
sconfitte e le perdite non furon poche. S'aggiunse a tutte queste cose
l'opinione impressa nell'animo dei popoli francesi contenti alla
ricchezza delle terre loro, ed alla moltitudine delle manifatture, che
poco bisogno si avesse di un navilio gagliardo, e del commercio di mare.
Ma finalmente l'incremento dei proventi delle colonie loro, e la
grandissima utilità, che ne ritraevano dalla vendita di quelli sui
mercati esteri, fecero accorti i Francesi, di quanta importanza fosse il
commercio d'oltremare. Si avvidero inoltre, che senza un navilio
guerresco, che protegga il mercantile, il commercio marittimo è sempre,
siccome incerto, povero, e che la guerra distruggerebbe in pochi dì i
frutti di una lunga pace. Per la qual cosa si rivolsero i pensieri della
Francia al creare, ed intrattenere una possente armata, la quale potesse
e tener le guerre lontane, ed esercitarle con prosperità di fortuna, e
proteggere il commercio dagl'insulti delle navi nemiche. La presente
guerra di America poi, la quale tante speranze appresentava alla mente
dei Francesi, dava anche un potente incentivo a questi nuovi disegni; e
perchè non mancassero i marinari abili a governar le navi, si
chiamarono, imitando in ciò gli Inglesi e gli Olandesi, al servigio
delle navi del Re i marinari del navilio mercantile. Ed inoltre, cosa
che riuscì di grandissima utilità, si eran fatti uscire negli anni 1772,
1775 e 1776 tre flotte capitanate da tre eccellentissimi uomini di mare,
i conti d'Orvilliers, di Guichen e Duchaffault non ad altro fine, se non
perchè servissero di scuola pratica ad ammaestrare gli uffiziali e le
ciurme in tutte le mosse, esercizj ed armeggiamenti navali. Brevemente
tanto fece il governo francese, e tanto trovò consenzienti i popoli in
questo voler ristorare il proprio navilio, che in sul principio della
presente guerra se non superava, certo uguagliava quello
dell'Inghilterra; parlandosi però di quello, che allora avevano in
pronto gli Inglesi, o che potevano in poco spazio preparare.
Nè questo navilio si voleva tenere ozioso nei porti. Due erano le
imprese, l'una e l'altra di somma importanza, che per mezzo delle
apparecchiate navi si proponeva la Francia di voler fare, la prima colla
flotta di Tolone, l'altra coll'armata di Brest. Intendevasi, che quella
partitasi molto per tempo da Tolone se n'andasse colla maggior celerità,
che possibil fosse, in America, ed entrasse improvvisamente nelle acque
della Delawara. Dal che ne sarebbero nate due cose, fatali ambedue alla
Gran-Brettagna, e queste si erano, che l'armata del lord Howe, la quale
era sorta dentro di quel fiume, e molto era inferiore di forze alla
francese, sarebbe stata senza dubbio alcuno distrutta, o sarebbe venuta
in poter de' Francesi. Distrutta, o presa l'armata, l'esercito di terra
sotto gli ordini di Clinton pressato a fronte da Washington, ed alle
spalle per la via del fiume dall'armata francese, sarebbe anch'esso
stato costretto ad arrendersi, o certamente avrebbe avuto un molto
difficile scampo. In tal modo si sarebbe vinta ad un tratto tutta la
guerra americana. Quest'era il disegno, ch'era stato discorso ed
accordato in Parigi tra i commissarj americani ed i ministri francesi.
Nè si mise punto tempo in mezzo all'esecuzione. Partì da Tolone addì 13
aprile la flotta francese condotta dal conte d'Estaing, uomo di gran
valore e d'altissimi pensieri, la quale consisteva in dodici navi d'alto
bordo, e quattro fregate molto grosse. Portava molti soldati da
sbarcarsi ai servigj di terra. Silas Deane, uno dei commissarj
americani, il quale aveva ricevuto lo scambio, ed il Gerard eletto dal
Re a suo ministro presso il congresso, si trovarono a bordo. Si mostrò
la fortuna favorevole a questi primi principj. Viaggiava con vento
prospero l'armata; e quantunque i ministri britannici avessero tostano
avviso di questa partenza avuto, tuttavia parte pei venti di ponente,
che soffiarono per alcuni dì contrarj, parte perchè non sapevano, a qual
via s'indirizzasse d'Estaing, non fu, che sul principiar di giugno, e
dopo molte irresoluzioni, che ordinarono all'ammiraglio Byron, partisse
con dodici navi per alla volta dell'America, il quale doveva scambiar
l'Howe, che aveva chiesto la licenza di ritornarsene in Inghilterra. Ma
l'armata di Brest più grossa, capitanata dal conte De Orvilliers
desideroso di gloria, e di sostentare il cetto, che si aveva della sua
virtù, era destinata a scorrere i mari d'Europa per tener vivo sulle
coste della Gran-Brettagna il timor di una invasione, e soprattutto col
mezzo delle fregate, ch'erano numerosissime, intraprendere le navi
inglesi, le quali cariche di ricchissime merci si aspettavano di breve
dalle Indie sì occidentali, che orientali. In questa maniera le cose
s'incamminavano tra i due Stati a manifesta rottura, e le vicine
ostilità si aspettavano, quantunque non ancora la guerra fosse stata
denunziata dall'una parte all'altra secondo gli usi e le regole
d'Europa. Così la contesa tra la Francia e l'Inghilterra, sì possenti
nazioni, era negli occhi di tutti gli uomini, e dependevano gli animi
loro da aspettazione di cose di grandissimo momento. Non tardò la
fortuna ad offerire la occasione, perchè si accendesse quel fuoco, che
doveva quindi in tutte le quattro parti del mondo diffondersi.
Erasi appena l'ammiraglio Keppel partito da S. Elena il giorno tredici
giugno, e condottosi nel golfo di Biscaia, che scopriva in poca
lontananza due navi grosse con altre due più piccole, le quali facevan
le viste di esplorare gli andamenti della sua armata. Eran queste le due
fregate francesi chiamate il Liocorno e la Belle-Poule. Quivi si trovava
in un frangente molto difficile costituito. Da una parte desiderava
molto di impadronirsi delle navi per ricavarne notizie sullo stato e
sulla positura dell'armata di Brest; dall'altra la guerra non si era
ancora chiarita tra le due nazioni, e si sarebbe potuto riputare
l'incominciarla alla sua temerità. Nè trovava egli nelle istruzioni
avute dai ministri alcuna cosa, che lo potesse cavare dal dubbio in cui
era; poichè erano molto larghe, e tutto lasciavano in balìa ed alla
discrezione sua. Aggiungevasi, che essendo egli di una setta contraria a
quella dei ministri, poteva la sua condotta, caso ch'egli incominciasse
le ostilità, essere a mal fine interpretata, attribuendosi alle
parzialità politiche appartenenti alla sua setta quello, che appariva
essere la necessità delle cose. In tanta perplessità Keppel, da quel
buon cittadino ch'egli era, amò meglio servir la patria con pericolo
suo, che, stando, lasciar quella in pericolo. Perilchè il giorno 17
giugno ordinò alle sue navi, dessero la caccia alle francesi. Tra le
cinque e le sei della sera la fregata inglese il Milfort venne sopra il
Liocorno, ed il suo capitano richiedeva, con termini civili però, il
Francese, avesse a recarsi colla sua fregata a poppa dell'ammiraglio
Keppel. Il Francese sulle prime ricusò; ma veduto avvicinarsi l'Ettore,
vascello d'alto bordo, che gli trasse anche d'una cannonata, cedè alla
fortuna, e seguitando l'Ettore si condusse dentro le file dell'armata
inglese.
In questo mezzo il capitano Marshall colla sua fregata l'Aretusa di
ventotto cannoni da sei, di conserva col giunco l'Alert di dieci cannoni
se ne iva contro la Belle-Poule, che portava ventisei cannoni da dodici,
ed era accompagnata da una fusta armata di dieci cannoni. L'Aretusa,
siccome più veloce, arrivava verso le sei della sera a rincontro della
Belle-Poule a tiro di moschetto, ed intimavale, la seguitasse, perchè
aveva ordine dal suo ammiraglio di condurla a poppa della capitana. Il
Signor Chadeau-de-la-Clocheterie, che comandava la Belle-Poule, rispose
animosamente del no. Marshal gli fe' tirar d'una cannonata a traverso, e
La-Clocheterie ciò stante gli tirò di tutta una fiancata. Ne seguì tra
le due fregate una ferocissima battaglia, nella quale aizzati gli uni e
gli altri da emulazione, e volendo ad ogni modo riportare la vittoria di
quel primo fatto, combattettero con un valore inestimabile. Durò la
battaglia per ben due ore con grave danno delle due parti, essendo il
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