Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 3 - 21

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Di tutte le genti di Ashe pochi più di quattrocento si ricongiunsero con
Lincoln, il quale per l'effetto di questo infortunio, trovò il suo
esercito avere scemato meglio della quarta parte. Questa vittoria
impadronì di nuovo i regj di tutta la Giorgia, ed aperse loro la via a
poter comunicare coi leali delle parti diretane sì della Giorgia che
delle Caroline; e questi, che ancora non avevano deposto il timore della
fresca percossa, si riconfortarono, e potevano a man salva recarsi ad
ingrossare l'esercito regio.
A tante disgrazie si risentirono vivamente i Caroliniani; ma però non si
sgomentarono; e per impedire il nemico vittorioso, che non venisse ad
osteggiare sulle ricche terre loro, facevano ogni opera per ravvivar gli
animi, e per far nuove genti. Posero severe taglie a coloro, che
richiesti negassero di andar soldati, o ricusassero di obbedir agli
ordini dei capitani; promettevano caposoldi; levavano cavalli; creavano
uffiziali fra i più riputati uomini del paese. Nominavano a governatore
della colonia Giovanni Rutledge, uomo di grandissim'autorità, dandogli
facoltà di fare ogni e qualunque cosa, che credesse al ben pubblico
necessaria. Tanta fu la diligenza che usarono, e tante, e sì possenti le
persuasioni sì pubbliche che private dei più vivi libertini, i quali, e
per amor della patria, e perchè si vedevan ridotti in mal termine, se
gl'Inglesi s'insignorissero della provincia, non cessavano di andare e
venire a questa bisogna, che verso la metà di aprile aveva Lincoln con
sè meglio di cinque migliaia di soldati.
Mentre queste cose si travagliavano nelle Caroline, il generale Prevost
attendeva a ricomporre nella Giorgia le cose guaste dalla guerra.
Ordinava il reggimento interno della provincia, ed allettava i leali
continuamente a venirlo trovare. Non si attentò di passar la Savanna,
perchè ella era per le precedenti pioggia molto cresciuta, perchè non
aveva forze bastanti ad assaltar la bassa Carolina tanto avversa, e
perchè Lincoln, non ostante la rotta di Briar-creek, continuava tuttavia
a starsene sull'opposta riva pronto a combatterlo, se volesse varcare.
Lincoln poi dal canto suo, innanzichè ricevesse i nuovi aiuti, non era
in grado di poter offendere, e stimava sua gran ventura fosse, che il
nemico non l'offendesse. Ma ingrossato finalmente, siccome abbiam detto,
fece una mossa, dalla quale ne nacque un'altra molto importante del suo
avversario. Marciò egli sul principiar di maggio verso Augusta, sia per
proteggere non so quale adunata dei deputati della provincia, che in
quella città si doveva fare, sia per pigliar qualche Forte posto nella
Giorgia superiore, affine d'impedire che in essa le cose non facessero
qualche variazione, e che i leali non mandassero più oltre genti e
vettovaglie agl'Inglesi. Già era arrivato nella Giorgia, ed attendeva
diligentemente a recar ad effetto il suo disegno. Aveva però lasciato il
generale Moultrie con mille cinquecento uomini rimpetto a Prevost, acciò
gl'impedisse il passo del fiume. La qual cosa in un colla grossezza del
medesimo, le paludi prossimane alle sue rive dalla parte della Carolina,
e gli spessi torrenti e fiumane che la intersecano, aveva creduto
sufficiente ostacolo fosse, perchè il generale inglese non si movesse a
varcare per correre la provincia, e minacciar la metropoli, che è
Charlestown.
Ma Prevost faceva diversi pensieri da questi. Si era il suo esercito
ingrossato per l'accostamento dei leali. Sperava, che la presenza sua
nella Carolina ve gli avrebbe fatti romoreggiare; difettava di
vettovaglie, delle quali era sicuro di potervisi abbondantemente
fornire, ed in ultimo l'invasione di questa provincia avrebbe rivocato
Lincoln dalla Giorgia, e forse quindi appresentata qualche conveniente
occasione di venirne alle mani. Per la qual cosa determinatosi al tutto
a voltar la fronte alla Carolina, varcò con tremila uomini tra Inglesi,
leali ed Indiani il fiume Savanna ed i vicini stagni, comechè non senza
grandissima difficoltà. Le milizie del Moultrie maravigliate a tanto
ardire, spaventate si disbandarono, e quasi tutte, dopo fatta leggier
resistenza, si ricoverarono a Charlestown. Quelle che rimasero con
Moultrie, alle quali si accostarono i cavalleggieri di Pulaski, facevan
ogni sforzo per ritardar l'impeto del nemico, ma troppo eran deboli per
poter ciò fare efficacemente.
Veduta Prevost la facilità, colla quale aveva superato gli ostacoli de'
luoghi, e la debole resistenza del nemico, innalzava l'animo a concetti
e speranze maggiori; e quel motivo che aveva fatto nel principio non per
altro, che per foraggiare, volle estendere ad una più alta, ed onorata
impresa, e quest'era l'assedio della ricca città di Charlestown;
presupponendo, che questa, acquistato ch'egli avesse la campagna, fosse
prontamente per riceverlo. A ciò lo stimolavano ancora i leali, ai quali
secondo il solito non lasciando lume la troppa cupidità, credon essi, e
voglion far credere agli altri quello che desiderano. Lo assicuravano,
che avevano intendimento coi più, e coi principali cittadini di
Charlestown, e che quando una prima bandiera del Re sventolasse sotto le
mura di quella città, le genti avrebbero tosto fortuneggiato dentro, e
fatto di forza, che ella venuta sarebbe senza dubbio alcuno in poter
suo. Si offerivano poi anche prontissimi a stradar le genti, e dar sulla
qualità de' luoghi tutte quelle informazioni che sarebbero del caso.
Dava inoltre a quest'opinione qualche peso, che Lincoln comunque non
potesse non esser informato, che gl'Inglesi avevano passato il fiume, e
minacciavano la città capitale della Carolina, tuttavia nissuna
sembianza faceva di volerne venire al soccorso suo; sì fattamente era
persuaso, che i reali fossero venuti non per conquistare, ma per
buscare. Per la qual cosa s'incamminava Prevost molto alla sicura verso
Charlestown, sperando nella trepidazione della città avere qualche
occasione di entrarvi dentro. Quando però Lincoln s'accorse dal continuo
avvicinarsi del nemico alle mura di quella, che la cosa non era da
finta, avviò rattamente in aiuto una buona squadra di fanti leggieri, i
quali fece anche montare in groppa sui cavalli, perchè potessero
arrivare più speditamente. Egli intanto gli seguitava col rimanente
dell'esercito. Arrivarono gl'Inglesi sulle rive del fiume Ashley, il
quale bagna le mura di Charlestown dalla destra parte, e subito
passatolo, pigliarono gli alloggiamenti quasi a gittata di cannone dalle
mura, tra il medesimo e l'altro fiume chiamato Cooper, che scorre a
sinistra della città. Avevano i Caroliniani fatto per la difesa di
questa tutti quei provvedimenti, che per la brevità del tempo potuto
avevano maggiori. Avevano arsi i sobborghi, e fatto uno stecconato, che
correva dietro la città da un fiume all'altro; i baloardi furono
rassettati, e le artiglierie piantate sopra tutta quella tela di
fortificazioni, che tra quei due fiumi è frapposta. Due giorni prima
erano arrivati dentro la città il governatore Rutledge con cinquecento
cerne, il colonnello Harris coi fanti leggieri mandati da Lincoln, i
quali avevano corso più di quaranta miglia ad ogni alloggiamento. Eravi
giunto eziandio il conte Pulaski coi corridori della sua legione, la
quale chiamavano la legione americana. La presenza di tutte queste genti
assai confortò i cittadini, i quali, se non fossero arrivate, o che
gl'Inglesi senza aver badato per via, come fecero, non ricordandosi
forse del proverbio volgare che _chi vuol far non dorma_, fossero
comparsi due giorni prima, avrebbero avuto carestia di buoni partiti.
Stettero tutta la notte i Caroliniani dentro la città a diligentissima
guardia, avendo accesi i fuochi nelle case, e sulle mura tutto
all'intorno. Il giorno seguente il generale inglese intimò la resa,
offerendo favorevoli condizioni. Mandaron fuori gli Americani i
commissarj loro per negoziare, e si appiccò una pratica d'accordo, la
quale essi, avendo conosciuto, che gl'Inglesi non erano nè in numero, nè
armati di maniera, che potessero sforzare la città, e credendosi di
sicuro, che Lincoln non avrebbe pretermesso di venir tosto in soccorso
loro, ivano tirando in lungo meglio che sapevano. Proposero, stesse
Charlestown neutrale durante la guerra, ed alla pace si definisse, a chi
dovesse appartenere degli Stati Uniti, o dell'Inghilterra. Fu risposto
dagl'Inglesi, i capitani britannici non esser venuti là con potestà
legislativa, e che, poichè il presidio stava armato, dovevano arrendersi
a prigionieri di guerra. Si fecero da ambe le parti altre proposte, che
non si accettarono, ed in queste pratiche si consumò inutilmente
dagl'Inglesi tutto il giorno. Non furon rotte, se non la sera. La notte
i cittadini aspettavano l'assalto, non rallentata a niun patto la
diligenza del guardare.
Caduto Prevost dalla speranza che preso aveva che si muovesse qualche
cosa di dentro a suo favore, andò considerando, che le mura della città
erano munitissime di artiglierie, e protette da molte navi armate,
massimamente galee; che il presidio era più numeroso del suo esercito
stesso; ch'ei non aveva artiglierie, se non poche e da campo, tali, che
non potevano fare sufficiente passata; che non aveva navi da guerra che
lo potessero aiutare; che già i primi feritori dell'esercito lincolniano
erano comparsi, ed il rimanente si avvicinava con presti alloggiamenti;
e che se l'assalto avesse avuto infelice fine, con una guernigione
vittoriosa da fronte, e con un esercito più grosso del suo alle spalle,
con una contrada da trascorrere frequente di fiumi e di fiumane,
sarebbero le sue genti, quando il sole le avesse trovate in
quell'alloggiamento, in un presentissimo pericolo poste di venir
oppresse, ed intieramente distrutte. Laonde valendosi dell'opportunità
della notte si levò da campo, e si ritirò di verso la Giorgia. Ma invece
di avviarsi per la via di terra, che troppo era pericolosa, traghettò i
suoi nelle isole di San Jacopo e di San Giovanni, poste ad ostro di
Charlestown, fertili e grasse da potervi ristorar dentro l'esercito
comodamente. E siccome una seguenza d'isolette vicine alla costiera si
continua dà Charlestown sino a Savanna, tra le quali scorrendo il mare
va formando qua e là, e canali da navigare, e porti da fermarvisi entro
alla sicura, così Prevost non istava più in pensiero di potersi,
quandochè fosse, senza pericolo a questa ultima città riparare. Ma il
suo disegno per allora si era di andar a porre gli alloggiamenti
nell'isola di Porto-Reale, ferace e sana molto, posta poco distante
dalla Savanna. Le stanze poi dentro di quest'isole erano altrettanto più
accettevoli, che già era giunta sul continente della Carolina e della
Giorgia la stagione insalubre, e pressochè pestilente, dalla quale i
soldati inglesi, non avvezzi, avrebbero gravissimo danno ricevuto.
Mentre si travagliava Prevost nel muover il suo esercito da un'isola in
un'altra, Lincoln, che aveva seguitato d'in sulla terra-ferma le mosse
degl'Inglesi, credette di poter assaltar con frutto il colonnello
Maitland, il quale con una mano d'Inglesi, di Essiani e di leali
caroliniani stava accampato a cavallo di quello stretto braccio di mare,
che chiamano riviera di Stono, e che l'isola di San Giovanni divide
dalla terra-ferma vicina. Vi si erano affortificati con puntoni muniti
d'artiglierie, e circondati da stecconati. Andarono gli Americani
all'assalto con grande virtù. Si difenderono i regj valorosamente. In
fine essendo i repubblicani sconciamente danneggiati dalle artiglierie
inglesi, non potendo le loro, siccome minute, far sufficiente
impressione contro le fortificazioni, e veduto venire un rinforzo, si
ritirarono. Dopo questo fatto tutto l'esercito britannico, lasciate le
guardie ne' luoghi più opportuni, arrivò alle stanze nell'isola di
Porto-Reale. Gli Americani se ne ritornarono, i più agli alloggiamenti
loro; e la malvagità della stagione pose fine ad ogni ulterior impresa
da ambe le parti. Così rimasero gl'Inglesi quietamente in possessione di
tutta la provincia della Giorgia; e gli Americani, avuto quello
rimescolamento di Charlestown, si riconfortarono, comechè non fossero
del tutto sgombri dal timore di una novella invasione nella Carolina,
avendo i nemici acquistato quel nido della Giorgia.
Questa gualdana nella ricca ed intiera provincia della Carolina
meridionale riuscì non che di nessun giovamento, di danno alle faccende
del Re, di non poca utilità agli uffiziali e soldati, e di grave
pregiudizio agli abitatori, e ciò per cagion del sacco, che vi fecero
strabocchevolmente i reali, e della guerra iniquissimamente esercitata
contro le donne, i fanciulli, gl'infermi, e le mura stesse delle più
conspicue città. In ciò avevan essi per ispie e per compagni i Neri, i
quali trovandosi in grand'abbondanza in que' luoghi, pei quali passavano
gl'Inglesi, concorrevano, sperando di recuperare la franchigia, e per
acquistar grado con essi tutto mettevano a bottino; e se qualche cosa di
valuta avevano i padroni loro nascosa, questa discoprivano, e davano in
mano ai rapitori. Tanta fu la rabbia di costoro, che non contenti di
spogliar le case della più ricca suppellettile, e le persone dei più
cari ornamenti, non perdonando nemmeno alla quiete de' morti, andaron
rovistando le tombe per la gola di trovarvi entro i tesori. Quello, che
transportar non potevano, sformavano. Quanti ameni giardini furon
disertati e guasti! Quanti nobili abituri rovinati od arsi! Quanti
preziosi arredi rotti e fracassati! Gli animali stessi, o grandi, o
piccoli, o necessarj, o diletti che si fossero, furon messi a morte. Non
si potrebbe con meritevoli parole ridire il barbarico furore delle
sfrenate soldatesche, e massimamente di quei feroci, o dai mali loro
inferociti Africani allora allora spastoiati. Ma il maggior danno che
abbiano avuto a sopportare i Caroliniani quello fu di questi stessi
schiavi, dei quali se ne perdettero ben quattromila, o condotti via
dagl'Inglesi nelle isole, o venuti meno di stento nelle selve, o morti
di una pestilenziale malattia, che poco dopo si era ad essi appiccata.
Insomma, se pieno di barbarie si fu il manifesto pubblicato dai
commissarj inglesi in sull'accomiatarsi dall'America dopo gl'infausti
negoziati, nissuno non dubiti, che non ne sia stata la esecuzione
fattasi nella Carolina assai conforme, e risuonò di nuovo per tutto il
mondo la ferita degli eserciti britannici. In cotal modo le cose della
Giorgia travagliate con varj progressi erano ridotte in grandissime
turbolenze.
In questo mezzo tempo iva Clinton maturando nella Nuova-Jork, ove si
trovava, una deliberazione, il cui fine si era di rapinare sulle coste
opime della Virginia, o che intendesse con questa crudele ed inutile
guerra eseguire i comandamenti dei ministri, ovvero, che volesse
concordare coll'impresa della Carolina, credendo, che facesse alle cose
di questa provincia non poco momento il tener sulle brighe la Virginia.
Apprestato avendo un sufficiente navilio, e messi in punto duemila
soldati, prepose a quello Collier, ed a questi il generale Matthews.
Sbarcavano, e pigliavano posto in Hampton per interchiudere quel porto e
la navigazione del fiume James; altri, posti a terra sulle rive del
fiume Elisabetta, rattamente procedevano contro la Terra di Portsmouth,
nella quale senza ostacolo alcuno entrarono. Collo stesso impeto
pigliarono il Forte Nelson abbandonato in sui primi romori dal nemico.
Si impadronirono medesimamente della Terra, o per meglio dire delle
reliquie di Norfolk situata sull'opposta sponda del fiume. Usando poscia
la medesima celerità corsero, ed occuparono la Terra di Suffolk posta
sulla destra riva del fiume Nansemondo. In tutti questi luoghi, ed in
quelli ancora di Kempe, di Shepperd's-Gosport, di Tanner's-creek,
siccome in altri circonvicini, procedendo gli Inglesi in ogni cosa con
nimicissimo animo, fecero tutto quel male, che seppero e potettero.
Distrussero i fondachi, guastarono o rapirono le munizioni, arsero o
tolsero gran numero di navi. Una grossa quantità di misalta apprestata
ad uso dell'esercito di Washington, e molte altre munizioni vennero in
poter dei vincitori. Di tabacco poi ne trovarono e rapirono più oltre di
quello che avrebbero voluto; e brevemente quelle sì ricche e
prosperevoli Terre furono in pochi dì arse e distrutte. Se ne
risentirono gravemente i Virginiani, e mandaron dicendo agl'Inglesi:
_Qual modo di guerra fosse quello?_ Al che risposero; _aver essi
commissione di così fare a tutti coloro, che il Re obbedire non
volevano_. I capitani britannici standosene alle novelle dei fuorusciti,
i quali mai non cessavano d'insinuare, che fra i Virginiani eranvi molti
leali, i quali nulla più desideravano, che di far rivoltare lo Stato,
quando vi si fosse fatto in qualche acconcio luogo un capo grosso,
avrebbero voluto più lungamente dimorare su quelle Terre, e disegnavano
specialmente di farsi forti in quella di Portsmouth. Ne scrissero al
generale Clinton. Ma questi, al quale già erano venute a noia quelle
guerre di ladroni, e che siccome non tanto precipitoso, come Collier,
non prestava tanta fede alle baie dei fuorusciti, se n'era messo giù, e
commise loro, che, assicurata la preda, venissero a ricongiungersi con
lui alla Nuova-Jork. Questo fece egli ancora, perciocchè aveva in animo
di fare una fazione sulle rive dell'Hudson di non poca importanza. Così
fu posto fine per allora alle espilazioni ed alle taglie della Virginia.
Avevano gli Americani con molta industria e dispendio rizzato notabili
fortificazioni sui posti di Verplank e di Stoney-point, l'uno situato
rimpetto all'altro sulle opposte rive del fiume sopraddetto, il primo
sulla sinistra, ed il secondo sulla destra. Guardavan questi due posti
il passo del fiume molto frequentato, che chiamano del Re, il quale se
venuto fosse in mano degl'Inglesi, sarebbe stato causa, che i coloni
avrebbero dovuto dare una giravolta di novanta miglia all'insù per
recarsi dalle meridionali nelle settentrionali province, o da queste a
quelle. Aveva Clinton disegnato d'impadronirsi di questi due posti.
Washington, il quale si trovava allora col suo esercito a Middlebrook,
troppo era lontano, perchè potesse impedir la fazione. Perilchè in sul
finir di maggio ivano gl'Inglesi a questa impresa, guidando Collier le
navi che salivano pel fiume, il generale Vaughan la destra schiera, la
quale sbarcò poi sulla sinistra riva poco sotto di Verplank, Clinton la
sinistra, la quale arrivò sulla destra del fiume in un luogo poco
inferiore a Stoney-point. Gli Americani, veduto sì vicino il nemico, non
essendo apparecchiati contro un sì repentino assalto, abbandonarono
Stoney-point, nel quale entrarono tosto i reali. Ma a Verplank vi fu
maggiormente che fare. Avevano i repubblicani fatto su di questa punta
un'assai forte bastita, che avevano fornita di presidio e di
artiglierie. La nominarono il Forte La-Fayette. Ma ella era
signoreggiata dai poggi di Stoney-point, sopra i quali gl'Inglesi non
senza grave difficoltà avevano condotto la notte le artiglierie ed
alcune bombarde. La mattina incominciarono a fulminar il Forte
La-Fayette. Nell'istesso tempo Collier colle galere, e coll'altre navi
munite di cannoni gli tirava di punto in bianco, e Vaughan colla sua
schiera girava ed arrivava infine alle spalle del Forte. Accerchiato in
tal guisa il presidio, disperato di soccorso, e di poter far più lunga
resistenza, essendo già levate le difese, tutte le mura intronate dalla
furia delle artiglierie, e molti morti o feriti, si arrendè la mattina
seguente a discrezione. Furon trattati umanamente. Ordinò Clinton, si
finissero le fortificazioni di Stoney-point, ed andò a porsi a campo a
Filippoborgo, Terra posta a mezza via tra Verplank e la città della
Nuova-Jork, per esser ivi lesto ad esercitar la guerra, ove l'occasione
si discoprisse. Ma nè egli, nè Washington volevano mettersi al rischio
delle battaglie, aspettando l'uno i rinforzi dalla Inghilterra, l'altro
quei degli alleati. Questa fu la cagione, per la quale le cose della
guerra in questo anno nelle province del miluogo procedettero tanto
rimessamente, e che niente vi si fece, che avesse nervo.
Non potendo i reali conquistare, venivano in sul volersi liberare dalle
molestie dei corsari, ed in sul devastare. Abitavano le coste del
Connecticut che bagna il Sound, arditissimi corsari, i quali correndo
esso Sound, e predando le navi avevano fatto di modo, che tutto il
commercio della Nuova-Jork per quella via ne era stato distrutto con
gravissimo detrimento dell'esercito e dell'armata inglesi, ch'erano
stati soliti di trarre in gran parte da quei luoghi le provvisioni. Per
levarsi quel bruscolo di sugli occhi, mandò Clinton a quella volta il
generale Tryon con due cantari di soldati. Sbarcarono a New-Haven, e
superate le milizie, che volevano difendere la Terra, la pigliarono, e
guastaronvi ogni cosa. Procedettero di là a Fairfield, ed entrati
dentro, l'arsero tutto. In simil modo furon consumate dalle fiamme la
grossa Terra di Norwalk, e la piccola di Greenfield. Il danno degli
Americani fu inestimabile tra per le case distrutte, i fondachi
rovinati, le munizioni guaste o involate, le navi sì grosse, che sottili
bruciate e predate. Tryon, non che gl'increscessero simili enormità, se
ne vantava, ed andava dicendo, aver fatto molto bene, ed utilmente in
servizio del Re, come se nelle guerre che si fanno contro un intiero
popolo non si trattasse piuttosto di vincere, che di gastigare, e le
arsioni e distruzioni, le quali nulla importano alla somma delle cose,
non fossero, e non siano da condannarsi. Ma se quest'errore di mente o
questa stemperatezza d'animo in un uomo del rimanente civile, non debbon
far maravigliare, non avendo mai questa natura umana avuto penuria di
simili generazioni d'uomini, bene parrà strano ad ognuno, ch'ei si
facesse a credere, che con quel modo di guerreggiare potesse far venir
gli Americani a porsi sotto le insegne del Re. Imperciocchè è da
sapersi, che in mezzo a quegl'incendj e devastazioni ebbe mandato fuori
un bando, col quale esortò gli abitatori a ritornare all'antica leanza
ed obbedienza. Ma, o sia che questi modi fossero dispiaciuti a Clinton,
il quale forse voleva solamente ai depredassero, o bruciassero le navi,
non le case ed i tempj, o per qualunque altra più vera cagione, comandò
a Tryon, cessasse, e venisse speditamente a ritrovarlo alla Nuova-Jork.
Ma rimasero miserabili vestigi della rabbia degl'Inglesi, ed il nome
loro per le molte estorsioni fatte, divenne vieppiù grave ai popoli.
Mentre in tal modo le rive del Connecticut erano vessate dall'armi
britanniche, fu fatta dagli Americani una fazione piena di grandissimo
ardimento, la quale dimostrò non solo non mancare, ma ancora abbondare
in essi quel coraggio, pel quale tanto sono celebrati gli uomini
europei. Eransi gl'Inglesi molto diligentemente affortificati a
Stoney-point, e già avevan ridotto quella rocca nella condizione di
un'assai buona e stabile Fortezza. Vi avevano posto dentro una
guernigione pel luogo assai gagliarda, e tutta composta di soldati
valentissimi. Nè mancavano le munizioni, ed ogni cosa necessaria alla
difesa. Tutte queste cose però non poterono tanto trattenere Washington,
il quale, udita la presura di Stoney-point e di Verplank, era venuto a
porsi ne' luoghi superiori delle montagne dell'Hudson, che non facesse
il disegno di correr contro l'una e l'altra di queste rocche, sperando
d'impadronirsene con una battaglia di mano. Commetteva al generale
Wayne, assaltasse Stoney-point, al generale Howe Verplank. Fu data al
primo una presa di gente eletta, usa ai pericoli ed alle più difficili
imprese. Partivano addì 15 luglio, e camminando per erte montagne, per
profonde paludi, per istrette difficili, per sentieri disagiosi
arrivarono alle otto della sera ad un miglio distante da Stoney-point.
Fatto alto, andava Wayne a riconoscere il sito dei luoghi, ed a
squadrare la condizione della Fortezza e della guernigione. Gl'Inglesi
tuttavia non se ne addavano. Poscia partì le sue genti in due colonne.
La dritta intendeva di guidar egli stesso; precedeva una vanguardia di
cento cinquanta soldati scelti, uomini arrisicatissimi, ai quali prepose
quell'animoso e destro Francese il colonnello Fleury. A quest'istessa
vanguardia poi camminava avanti una piccola frotta di fanti perduti,
guidati dal tenente Gibbon. La sinistra, la quale era condotta dal
maggiore Stewart, aveva anch'essa somigliante vanguardia, ed una squadra
di fanti perduti, che obbedivano agli ordini del tenente Knox. Dovevano
i fanti perduti fare ogni sforzo per rimuovere i primi intoppi delle
sbarre e degli stecconati, affine di agevolare la via alla vanguardia,
che da vicino gli seguitava. Comandò Wayne a tutti i suoi, camminassero
ordinati, cheti, cogli archibusi scarichi, colle baionette appiccate.
Arrivarono a mezzanotte sotto le mura della rocca. Le due colonne
andavano all'assalto sui fianchi, il maggiore Murfee minacciava il
presidio da fronte. Incontravano l'ostacolo impensato di una profonda
palude, che s'interponeva tra essi e la Fortezza. Gl'Inglesi traevano
furiosamente a scaglia. Ma nè l'impedimento della palude, nè quello di
un doppio stecconato, nè le mura di magnifica opera, che torreggiavano
da fronte e da lato, nè la tempesta delle archibusate e delle cannonate
poterono la virtù americana sormontare. Facevansi i waynesi la via a
forza di baionette, sinchè finalmente, superati tutti gli ostacoli de'
luoghi e dei difensori, espugnarono la Fortezza, e le due colonne si
ricongiunsero dentro la piazza principale di quella. Wayne rilevò una
leccatura nella testa da una palla di moschetto. Fleury spiantò colle
sue mani proprie lo stendardo reale d'in sulle mura. Dei fanti perduti,
di venti, ch'erano con Gibbon, morirono diecisette. Perdettero
gl'Inglesi fra morti e prigionieri meglio di seicento soldati. La Terra
fu preservata dal sacco, e da ogni ingiuria dei soldati. Nel che tanto
più sono gli Americani da lodarsi, quanto che si ricordavano dei freschi
ladronecci, e delle uccisioni commesse nella Carolina, nel Connecticut,
e nella Virginia; mirabile vittoria, e pel valore di chi l'ottenne, e
per l'umanità che l'accompagnò.
Da un altro canto non avvenne bene il disegnato assalto contro la
Fortezza di Verplank per gl'impedimenti trovati fra via da Howe. Ma
intanto erano le novelle pervenute a Clinton della disgrazia di
Stoney-point; e non volendo, che il nemico si annidasse su quelle mura,
senza soprastamento alcuno mandò i cavalli ed i fanti leggieri in aiuto
della Fortezza. Ma Washington, che aveva disegnato di venire, e non di
stare, abborrente dalle occasioni di mettere per una parte sola tutta la
somma delle cose in potestà della fortuna, e che altro non aveva avuto
per mira, che d'impadronirsi delle artiglierie, e delle munizioni del
Forte, guastar le opere, e catturar il presidio, ottenute tutte queste
cose, aveva ordinato a Wayne, si ritirasse. Il che eseguì, dopo di avere
smantellato il Forte, felicemente. Di questa impresa tanto gloriosa alle
armi americane si fecero molte allegrezze in tutte le parti della Lega.
Il congresso rendè pubbliche grazie a Washington ed a Wayne, a Fleury, a
Steewart, a Gibbon ed a Knox. Presentò con una medaglia di oro gettata a
posta, e rappresentante con acconci intagli il fatto, il generale Wayne,
e con un'altra somigliante d'argento Fleury e Stewart. Per non lasciare
senza premio la virtù de' suoi soldati, fatto fare una stima del valore
delle munizioni da guerra trovate a Stoney-point, le partì tra di loro.
Fatti i repubblicani più arditi dal prospero successo di questa impresa,
andavano spesso infestando le prime scolte dell'esercito regio, e ne
seguivano frequenti avvisaglie con diverso evento tra le due parti. Una
più grossa delle altre se ne fece a Paulus-hook, luogo posto rimpetto
alla Nuova-Jork sulla destra del fiume. Ma poco frutto vi fecero i
soldati del congresso.
Un'altra fazione di maggiore importanza si fece sulle rive del fiume
Penobscot presso l'estremo confine della Nuova-Inghilterra e della
Nuova-Scozia. Erasi partito da Halifax il colonnello Maclean con un
grosso squadrone di stanziali per recarsi a pigliar posto sulle bocche
di questo fiume in mezzo a quella contrada, che chiamano la contea di
Lincoln. Arrivatovi si affortificava. Intendeva di noiare da quel luogo
molto acconcio i confini orientali della Lega, e tenendo quel calcio in
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