La Carrozza di tutti - 20

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s'era messa a piangere, i bimbi s'erano svegliati e buttati giù dal
letto, e poi tutti a ridere e a ballonzolare insieme da parer quattro
villeggianti della Villa Cristina. — E che sarà allora — gli domandai
— quando piglierete mille lire d'indennità a causa guadagnata? — A
quella domauda si rioscurò, e parve ripreso dalla paura solita. — No
—, rispose a voce bassa — quelle.... preferisco di non averle. — E
rimase un po' pensieroso. — Ma! — esclamò poi rianimandosi. — Se non
mi capitano altre disgrazie! — E soggiunse umilmente: — Io non faccio
del male a nessuno, non voglio male a nessuno; nessuno dovrebbe volerne
a me, non è vero? Perchè mi dovrebbero far del male? — Poi, dopo una
pausa, guardandosi intorno, disse con un accento d'inquietudine, che mi
fece pena: — Come si son già accorciate le giornate! — Non era ancora
guarito, pover'uomo.
*
Il terzo contento fu un personaggio nuovo, un vecchio pretino che vidi
uscire dalla stazione di Porta Susa, con la valigia e l'ombrello, e
salire sul tranvai chiuso della linea di Casale. Dal modo come girò
lo sguardo per la piazza, soffermandosi, e come lesse l'insegna del
carrozzone prima di salirvi, e come vi salì, osservando ogni cosa con
un sorriso di curiosità e di maraviglia, argomentai che non avesse
mai visto Torino o non ci fosse più stato dal tempo dei tempi. Aveva
l'aria d'un prete di montagna, un viso roseo, gli occhi chiarissimi,
un'espressione ingenua e buona, quasi infantile. Entrò come in una
casa d'amici, sorridendo a tutti, in atto di ringraziare della buona
accoglienza, e, appena seduto, mi domandò se il tranvai passava per la
piazza Vittorio Emanuele. Il tono con cui gli risposi gli fece subito
attaccar discorso familiarmente. Da trent'anni non era più stato a
Torino, era quello il primo tranvai sul quale saliva. Aveva bene inteso
parlar della cosa; ma dall'immaginare al vedere c'è un gran tratto.
Si voltava a osservare il fattorino e il cocchiere, le panche, i
vetri colorati, gli annunzi, gli altri tranvai che passavano, come un
bambino. Mi ricordò un altro prete di montagna che, anni avanti, sul
ponte di Po, m'aveva manifestato la stessa maraviglia per l'_Angelo
Brofferio_, ch'era il primo battello a vapore ch'egli vedesse. — Ma
guardiamo un po', ma guardiamo un po'.... E si fa fermare quando si
vuole, non è vero? E ogni strada ha il suo?... E va così sulle rotaie,
da per tutto, come sulla strada ferrata? — E quando il tranvai si
mosse, diede segno di viva soddisfazione. — Ma è un bell'andare,
proprio.... senza scosse.... e come si corre.... Una bella cosa,
veramente, una bella cosa. E ora si farà andare con l'elettrico,
dicono.... Sarà una maraviglia.... Ah, son cose che fa piacere di
vederle! — E sorrideva intorno ai passeggieri, come a compagni d'un
lungo viaggio, sconosciuti ancora, ma coi quali dovesse far poi
conoscenza; ringraziò come d'un regalo il fattorino che gli porse il
biglietto; stette un minuto in ammirazione del congegno del campanello,
e quando m'alzai per discendere in piazza Solferino, s'alzò egli pure,
e fattomi un cenno di riverenza col capo come a un conoscente, si
rimise a sedere, visibilmente lieto di non avere ancor da discendere,
di doversi trattenere ancora in quella “bella compagnia„ esilarata dal
sorriso gentile con cui egli rispondeva al suo sorriso canzonatorio,
credendolo un segno abituale della squisita cortesia cittadina....
*
Ma anche la “bella compagnia„ in quei giorni dava ragion di ridere
alle sue spalle. Trovo notato fra gli appunti: — _Galileo Ferraris._
— È il ricordo d'una corsa fatta con lui per un tratto del viale
Margherita. I giornali avevano pubblicato in quel torno le proposte
fatte dalla Società al Municipio per l'istituzione dei tranvai
elettrici, e spesso, tra i passeggieri, s'udivano su quell'argomento
delle uscite amenissime. Sarebbero forse state più guardinghe le
due eleganti bottegaie o modiste o quidsimile, che ci divertirono
per cinque minuti, se avessero saputo che quel bel signore bruno e
pallido, dal sorriso dolcissimo e dagli occhi socchiusi, il quale
stava leggermente chino per raccogliere, senza farsi scorgere, i loro
discorsi, era un elettricista di fama mondiale. La più giovane, con
un cappellino incoronato di magnolie, giurava che sui nuovi tranvai
elettrici non avrebbe mai messo piede, e domandata dall'altra del
perchè, rispondeva vivamente: — Ma come? _E s'a se scianca 'l fil?_ (E
se si strappa il filo?) Tutto va per aria! — Ma l'amica non si curava
di quel rischio: aveva inteso dire che il maggior pericolo era un
altro: se per inavvertenza, salendo o scendendo, si toccava la cassetta
dov'era “il deposito delle scintille„ c'era da pigliare una scossa da
cadere in terra stecchiti come per una nerbata sulla testa. Come se
la godeva il buon Ferraris, lisciando la barba nera con la sua piccola
mano femminea! Ma non era quella la più amena ch'egli avesse udita in
quei giorni. La sera innanzi, sulla linea del Martinetto, aveva inteso
un vecchietto ciaccolone fare i più neri pronostici su quei novi fili
che stavano per aggiungersi ai troppi altri già distesi fra casa e
casa; i quali, saturando l'aria di elettricità, erano cagione di tanti
sconcerti nervosi, di tante malattie bisbetiche e stravaganze d'idee e
audacie matte di partiti sovversivi, per cui il mondo andava diventando
un inferno. Che strana cosa, non è vero? In una delle città più colte
d'Italia, intorno alle maraviglie della scienza, forza e gloria d'una
civiltà di cui insuperbiscono tutti, udire presso a poco gli stessi
discorsi che s'udrebbero sulle rive del Victoria Nianza o in mezzo alle
foreste del Gran Chaco! — Basta — concluse la modista giovane — non
sanno proprio più che diavolerie inventare per accorciarci la vita. —
Delizioso! — disse il Ferraris. Quella si voltò, e al vedere quel bel
signore bruno che, pur avendo l'aria d'intendersene più di lei, pareva
che consentisse nel suo giudizio, gli fece un sorrisetto di simpatia e
di gratitudine.
*
È di quei giorni una pagina sui “fenomeni d'elettricità erotica„ che
posso trascrivere tal quale. “È l'avvicinarsi, che si sente nell'aria,
della stagione sentimentale, è il pensiero che sia questo l'ultimo
mese delle giardiniere, così propizie all'osservazione del bel sesso,
e l'ultimo dei leggieri e scarsi vestiti estivi, ai quali succederanno
tra poco gli alti colletti che fasciano i colli e gli ampi mantelli
che nascondon le vite, son queste od altre le cagioni, per cui noto ora
negli erotici un'intensità di sguardo, una fissità di contemplazione,
un languore di voluttà più cascante che nei giorni dei grandi calori?
Curiosissimo il tipo osservato stamani sulla linea di Madama Cristina:
un signore vestito correttamente, con gli occhiali d'oro e una barba
di sultano, d'una pallidezza e d'una serietà d'Amleto maturo; il quale,
stando ritto in fondo alla giardiniera, con una spalla appoggiata alla
colonnina, a ogni signora che salisse o scendesse da quella parte,
sporgeva in fuori il busto e il capo per conoscere da quale calzoleria
provenisse il suo stivaletto; ma con un piegamento guardingo,
percettibile appena, della persona, che io gli vedevo preparare con
un moto avanti del piede su cui doveva appoggiare, ogni volta che da
quel lato della strada suonava un _alt_ femminile. Quell'atto ripetuto
di scolaresca curiosità sessuale, fanciullescamente dissimulata,
faceva un contrasto altamente comico con la quasi tragica gravità
del suo viso barbuto, e anche più comico all'immaginare i pensieri
ch'egli doveva volgere in capo, ma di cui non un lampo appariva dietro
agli occhiali d'oro, in quegli occhi sporgenti, grigi, muti come due
palle di cristallo. Ah, se si potesse, in un solo tranvai, penetrar
con la mente dietro al velo misterioso di tanti visi gravi, freddi,
innocenti o indifferenti, che mostruoso guazzabuglio si scoprirebbe di
pensieri e d'immaginazioni, di desideri e di propositi, infinitamente
diversi da quelli che le maschere fanno supporre! Un viso eccettuato,
peraltro: quello della “vergine morta„ che salì al crocicchio del
corso Valentino, e per la quale gli occhiali d'oro si sporsero avanti
come per l'altre; un viso così bianco, così puro, così virgineo da
far giurare che non nascondesse mai neppur l'ombra d'un pensiero che
la bocca non potesse esprimere, e che non sarebbe potuto arrossire
nemmeno s'ella avesse saputo che lo sguardo di quegli occhiali vedeva
a traverso ai panni la sua nudità. Come sempre, si voltarono tutti
a guardarla; ma sul suo viso di marmo candido neanche questa volta
non tremò un muscolo, non passò un lampo, non guizzò il barlume d'un
sentimento di compiacenza. Soltanto, quando fu seduta, cosa insolita,
girò il capo a destra e a sinistra, con un movimento vivace, come
se cercasse per la via qualcheduno, da cui sospettasse d'esser
cercata....„
*
Feci riguardo agli erotici, i giorni appresso, quest'altra
osservazione: che si possono ascrivere alla famiglia loro quasi tutti
quei baldanzosi, i quali, nonostante il peso degli anni e della pancia,
che li dovrebbe render prudenti, rischiano ogni momento d'andare a
letto per quaranta giorni, saltando sul tranvai mentre corre. La più
parte, in fatti, saltano per la donna. Hop! Hop! E là! Cinquant'anni
e vedete che leggerezza! È divertente studiare i diversi campioni. Per
parte d'alcuni, che la compiono con disinvoltura, la prodezza può far
colpo; ma ad altri tolgono ogni virtù di seduzione lo sguardo ansioso
che fissano sul punto di mira, gli atti scomposti della rincorsa, lo
sgomento che mostrano in viso del pericolo corso, e la pena che durano,
dopo seduti, a ricomporre la carcassa, soffiando come foche: quando
pure non cascan sulla panca malamente, aggrappandosi alla colonnina
come a una corda di salvamento, col cappello sbiecato e la parrucca
andata di traverso. Ah, vecchi peccatori impenitenti e temerari! Ma
se sul tranvai non c'è bel sesso, non c'è caso che si cimentino. E
gareggiano nobilmente tra di loro, e sono gelosi del salto più snello e
più aggraziato dei giovani. Ne fui testimonio la mattina sulla linea di
via Cernaia. Uno di questi vecchi acrobati galanti, con tanto di panama
e di sottoveste bianca, che pareva tinto col granatino, aveva fatto la
sua prova in piazza San Martino. Poco dopo, mentre s'andava di tutta
corsa, un giovanotto biondo e asciutto, vestito da damerino, saltò su
egli pure, ma da tre passi distante, e senz'afferrarsi alla colonnina:
un vero salto da maestro. Non era che il primo saggio. Passato il corso
Siccardi, saltò giù, corse a un banco, prese un giornale, raggiunse di
volo il tranvai, e vi saltò sopra come prima. Le signore si voltarono
a guardarlo. All'imboccatura di via Santa Teresa, saltò giù un'altra
volta, corse alla buca delle lettere, vi buttò dentro una cartolina, e
poi da capo una corsa, e un salto, e ritto là sulla piattaforma. S'alzò
un mormorio di stupore: non s'era mai vista una cosa simile: le signore
n'erano ammirate; fu un vero trionfo. Ma l'uomo del panama, ingelosito,
ruppe l'incanto. Si chinò un poco verso le signore dell'ultima panca e
disse abbastanza forte: — È il Tony della compagnia equestre del Balbo,
quello che salta otto cavalli. — Poi soggiunse, scrollando una spalla:
— Sfido io; è la sua professione! — e detto questo, dopo aver dondolato
un po' il piede fuori del montatoio, si lasciò andar giù sulla strada
con mollezza elegante, — vendicato.
*
Uno che non salta, per esempio, è il cavalier Bicchierino. Lo vidi
salire il giorno dopo sulla giardiniera di via Garibaldi, mentre
stavo sulla piattaforma in fondo con l'operaio lattoniere, vestito
dei suoi panni da lavoro, con un tubo da gas acciambellato sotto il
braccio. Posato e preciso in ogni cosa, egli fece fermare alzando e
abbassando tre volte la canna come un antico capo tamburo, non salì
che dopo aver guardato se i cavalli eran ben fermi, e non sedette
sull'ultima panca che dopo averla spolverata accuratamente col
fazzoletto. Poi, per riassestarsi addosso i panni scomposti nella
salita, scrollò un po' il capo e le spalle, come fa la gallina per
scoter le penne, e, compiuta quell'operazione, non si mosse più. Era
proprio un destino ch'io non potessi mai conquistare durevolmente
l'animo suo. Il lattoniere, con la sua serietà e lentezza solita
di pensatore, aveva avviato un discorso sulle nuove funzioni dei
municipi in Inghilterra, delle quali s'occupava da qualche tempo,
nelle ore rubate al sonno, con la diligenza che gli era propria,
ritagliando notizie da giornali e trascrivendo periodi da riviste
nel suo grosso vademecum di conferenziere. Interrottosi un istante
per osservare l'operazione d'insediamento del signore sconosciuto,
ripigliò: — Quando lo diciamo noi, pare che sian cose dell'altro mondo.
Ma il municipio di Birmingham, per esempio, quando saranno passati
i settantacinque anni per cui diede in enfiteusi agli impresari il
terreno per lo sventramento, resterà ben padrone di tutte le case
costrutte, con un reddito annuale di cento mila sterline. E questo è
bene un passo sulla strada che condurrà il municipio ad essere come il
direttore d'una grande impresa cooperativa di cui ogni cittadino sarà
azionista.... —
Un movimento leggerissimo delle spalle del cavaliere m'avvertì ch'egli
aveva inteso le ultime parole e un'inclinazione appena visibile del suo
capo m'avvertì che stava in ascolto.
Il lattoniere, accarezzandosi il mento con la mano nera di piombo,
continuò a citare, pacatamente, col tono d'uno che dettasse. — Un gran
numero di città inglesi avevano convertito in servizi municipali, con
piena soddisfazione del pubblico, i servizi dell'acqua potabile, del
gas, della luce elettrica, ricavandone benefizi enormi e ribassando
i prezzi. Il municipio di Glascow s'era assunto anche l'esercizio
dei tranvai, riducendo l'orario degl'impiegati, aumentando i salari
e istituendo le corse di cinque centesimi per mezzo miglio, con un
profitto molto superiore al canone che gli pagavan prima le Società
private.... —
Tutta la disapprovazione che possono esprimere la nuca e la schiena
d'un cittadino io la vidi espressa a quelle parole dall'aspetto
posteriore del cavalier Bicchierino; il quale doveva credere esagerati
iperbolicamente i dati di fatto, se pur non credeva tutte una fantasia
quelle citazioni.
Il lattoniere continuò, insistendo sull'esempio del municipio di
Glascow, che da qualche anno esercita con vantaggio proprio e del
pubblico anche altre funzioni di indole più privata. — Giusto,
perchè il municipio non potrebbe anche incaricarsi di far lavare la
biancheria?
A quest'ultimo colpo, il buon cavalier Bicchierino non si potè più
contenere e si voltò a guardarci mostrandoci negli occhi arrotondati
e nella bocca aperta tutta la stupefazione che può contenere un'anima
umana. Diede uno sguardo all'oratore e un altro a me, che avevo l'aria
d'approvare, e in quello sguardo lessi la mia sentenza. Un uomo che
stava a sentire, acconsentendo, delle stravaganze così spropositate,
delle assurdità così mattamente ridicole, non poteva essere che un
insensato, meritevole della più profonda commiserazione; un uomo da
perdonargli che gli paresse stretta via Garibaldi e che tagliasse il
_Popolo_ con le dita. E dal modo come voltò le spalle e riprese il suo
atteggiamento capii che non mi restava più nessuna, nessuna speranza di
risollevarmi nella sua stima.
*
Feci un'altra corsa disgraziata pochi giorni appresso: il ventidue,
memorando. Era incominciata bene, peraltro. Ero occupato da qualche
tempo a far raccolta fra i passeggieri di tutte quelle espressioni:
— Io dico la verità.... diciamo la verità.... per dir la verità....
siamo sinceri.... francamente parlando.... parliamoci schietto, ecc.,
che, appunto perchè occorrono così maravigliosamente fitte sulla bocca
di tutti, sono una prova patente della quasi universale bugiarderia
degli uomini, nei quali deriva dalla coscienza di mentir quasi sempre
il sospetto di non esser creduti mai. Infervorato in questo lavoro,
ero molto contento quella sera d'avere fatto una buona collezione in
dieci minuti sulla giardiniera del _Foro Boario_, e stavo osservando
con piacere, nella conversazione di due signori, che c'è anche un modo
cortese e usatissimo di darsi a vicenda del bugiardo con le formole:
— Dice la verità?... Ma è vero proprio?... Mi dà la sua parola?... —
quando quel senso misterioso che ci annunzia la presenza d'un nemico
alle spalle mi fece voltare il viso indietro.... e riconobbi gli occhi
malevoli e il pizzo ostile di Guyot; il quale discorreva piano con un
grosso signore sonnecchiante, seduto alla sua destra. Ero ben certo
che mi avrebbe sempre odiato; ma il suo sguardo mi fece capire in
quel punto che la scena del _Grido_ e della _Lotta_ aveva invelenito
terribilmente il suo odio, e che egli covava in petto il proposito
d'una vendetta. — È la sua volta — pensai — non c'è che rassegnarsi. E
stetti aspettando, con l'orecchio all'erta.
Il cuore non m'aveva ingannato. Non passò un minuto che l'udii parlare
con quella particolare sillabazione di chi vuol farsi sentire da
qualcuno, che non è la persona a cui parla. Aveva una curiosa voce, che
pareva uscirgli dalle narici, con un soffio di siringa vuota. Galeotto
della vendetta fu il giornale che teneva fra le mani.
— Ha visto? — domandò al suo vicino. — Hanno sciolto la Camera di
lavoro di Livorno.
E dopo una pausa: — Pare anche che il Codronchi, in Sicilia, si decida
a procedere con energia. Ha sciolto la federazione socialista di
Corleone.
Il signore insonnito rispondeva con monosillabi d'approvazione.
— Ah, quello rimetterà presto le cose al posto. Ha anche fatto
sequestrare il libro di quel Giuffrida....
— Scritto in prigione.
— Scarabocchiato in prigione.
Credevo che fosse finita. Ma l'uomo era ben provvisto di materiali da
guerra. Accennò ancora (e sentii fremere di gioia la sua voce) alla
“bella accoglienza„ fatta ai deputati socialisti francesi e agli altri
fondatori della vetreria d'Alby dagli operai di Carmaux — a fischiate.
— Ora sarò libero, — pensai. No, fu spietato. Biasimò ancora l'amnistia
per i condannati politici, che s'annunciava in quei giorni. — Sa che
comprende anche i facinorosi che son dentro per i fatti di Sicilia e
della Lunigiana.... E ci fanno un bel regalo!
Mi prese una tentazione, e fu un punto che non vi cedessi. Volevo
voltarmi a domandargli perchè non annunciava pure, per amareggiarmi
l'anima, ch'era stato ammazzato il brigante Tiburzi nelle macchie
d'Orbetello. Ma non volli turbare la sua gioia. Ah, la sentivo! Egli
doveva sorridere infernalmente come Giacinta Pezzana nella _Maria
Stuarda_ quando grida:
Ella si parte
Col pugnale nel cuore. Oh vendicata
Io son! Divina gioia!
Eppure, io non avevo in cuore che un sentimento di stupore: che due
uomini, viventi nello stesso tempo e appartenenti alla stessa classe,
potessero pensare e sentire così oppostamente intorno alla più alta
delle quistioni del tempo loro, ed esser così certi tutti e due di
esser nel vero, da provar odio e pietà l'uno per l'altro, come due
creature diverse e nemiche di civiltà, di religione e di razza. Guyot
non parlò più; pensava certamente ch'io non avessi più fiato nel
corpo. Io feci il morto, per mantenerlo nell'illusione. Ma la parola
_facinorosi_, detta da lui, mi ridestò un sospetto: quella parola, me
ne ricordavo bene, ricorreva due volte in quella certa lettera anonima
che avevo ricevuto dopo l'assassinio del presidente Carnot. Che la
lettera fosse proprio sua? Mentre ventilavo quest'idea, egli discese
all'imboccatura di via dell'Arcivescovado, e s'allontanò con passo di
trionfatore, senza degnare d'un ultimo sguardo quello che restava di
me sul tranvai. Da tutta la sua persona traspariva la superba certezza
d'avermi finito.
*
Sulla stessa linea, partendo dalla barriera del Foro boario, all'ora
dell'uscita libera dei soldati, vidi la sera seguente un quadretto
nuovo e bellissimo: una carrozzata d'artiglieri, con una monaca nel
mezzo, di quelle addette alle prigioniere delle vicine carceri; la
quale dava l'immagine di Santa Barbara, protettrice dell'arma, scortata
da un drappello dei suoi guerrieri, che la conducessero in trionfo
a Torino. C'era al freno il protetto di donna Chisciotta. Appena
lo riconobbi, m'andai a sedere accanto a lui, per vedere se era in
bernecche. Non era, o non pareva; aveva la faccia rossa, peraltro, e
rannuvolata, come sempre. Mi diede un'occhiata, come a un viso noto
di frequentatore di tranvai, e partì. Subito dopo attaccò un moccolo
solenne. Erano state tese le catene a traverso il viale, dovendo
passare il treno di Milano: c'era qualche minuto da aspettare. Ahimè!
L'uomo non perdeva che il pelo: appena fermato il tranvai, saltò giù
e corse verso un bancuccio vicino, dove si dava il bicchierino di
“rabbiosa„.
Il fattorino gli gridò dietro: — Guardati che c'è madama!
A quel grido egli si fermò e girò intorno uno sguardo sospettoso.
L'altro diede una risata, e allora egli scrollò le spalle e andò a
bere. Quella _madama_ non poteva essere che donna Chisciotta, nota
ai colleghi di lui come sua protettrice, e precettrice severa e
vigilante di temperanza. Ebbene, se quel _guardati_ aveva avuto forza
d'intimidirlo, voleva dir che l'uomo non era ancora perduto affatto
sulla via della combustione spontanea. Risalì sul tranvai forbendosi la
bocca col dorso della mano, e sferzati i cavalli appena il passaggio
fu libero, principiò a dar fuori quel tanto di filosofia che s'era
messa in corpo per cinque centesimi. Cadevano le foglie secche dagli
alberi di Corso Oporto: egli si mise a dissertare sulle foglie, come
parlando ai cavalli. E una, e due, e tre, e via senza fine: erano le
annunziatrici dell'inverno. Ah, quante cose gli annunciavano: le lunghe
eterne giornate con la pioggia e col vento in faccia, le nebbie fitte
e gelate, la notte alle cinque pomeridiane, le corse interminabili
nella neve, interrotte da lunghe fermate, da cadute di cavalli, da
sviamenti, da fatiche di negri. A un tratto si rivolse a me, come a
un conoscente. E quella _povra fia_ come avrebbe passato l'inverno con
quella scellerata tosse che le schiantava l'anima? Gli dicevano che le
avrebbe giovato l'aria della riviera. Eh si! Ma l'insegna dell'albergo
dove l'avrebbero tenuta gratis, quella non glie la dicevano. Con chi
non ha _di questi_ la morte non fa cerimonie. Sono soltanto i signori
che possono pregarla d'aspettare. — E soltanto dopo questo sfogo, mi
diede la notizia che aveva una figliuola unica, la quale s'era ammalata
e non più rimessa dopo una certa disgrazia. Ma non disse che disgrazia
fosse.
Quando il tranvai fu per attraversare il Corso Umberto, il suo sguardo
si fece fisso e il suo viso s'incupì anche di più, senza ch'io ne
capissi subito la cagione. Non la capii che quando vidi il Corso Oporto
ingombro di sciami di ragazzi che uscivano dalla Scuola municipale
di Monviso. Allora principiò per il pover'uomo una vera tortura. I
ragazzi, inseguendosi in giro e strillando, passavano e ripassavano
a traverso le rotaie, a pochi passi dai cavalli, come per giocare
col pericolo, e il disgraziato cocchiere, mutato in viso, pregava,
minacciava, sagrava invano, stringendo le briglie con le mani tremanti
e volgendo intorno gli occhi dilatati e spauriti, a cui s'alzava
davanti la visione del bambino travolto ed ucciso; e nel viso e in
tutti i movimenti della persona mostrava un contrasto violento e
doloroso tra la furia di uscir di quel passo e la ripugnanza, quasi lo
sgomento di procedere, come se oltre ai ragazzi scorrazzanti qualche
altro impedimento terribile, veduto da lui solo, gli sbarrasse la
strada. Quando finalmente si svoltò in via Venti Settembre, tirò un
lungo respiro e si asciugò il sudore della fronte.
E per tutta la via Venti Settembre non parlò più. Stetti attento quando
si passò nel punto dov'era seguita la disgrazia; ma egli non voltò il
capo: tenne lo sguardo diritto davanti a sè, in fondo alla strada;
con la fronte così alta, però, e con un'attenzione così fissa, da
non lasciar dubbio che fosse forzata. Solo quando si sboccò sul viale
Margherita, tornò a guardare le foglie che cadevano e riprese le sue
considerazioni sull'inverno. — E una, e due, e via, a poco a poco,
l'una dopo l'altra, vengon giù tutte; gli alberi perdono i capelli.
Si sente già l'odore del giorno dei morti. Quest'inverno vuol essere
anche più tristo dell'estate. Cosa ne dice? C'è mai stata un'annata
_pì malheureusa_? Avremo una gran mortalità, certamente. Oh, per quel
che è di me!... Andarsene, è tanto di guadagnato. Ma è veder andar gli
altri.... Oh che brutto mondo!
Ma qui, curvandosi e cacciandosi avanti tutt'a un tratto come per
gettarsi fuori del parapetto, urlò un: — Via! — sgangherato, che mi
diede un rimescolo. Un ragazzo scalzo aveva attraversato le rotaie
sfiorando il muso ai cavalli col capo.
— Ah! questi ragazzi! — esclamò poi con voce quasi di pianto. — Questi
ragazzi mi faranno morir disperato! — e fermato il tranvai vicino al
casotto di piazza Emanuele Filiberto, sbattè le redini sul parapetto
con un atto di desolazione....
*
Quelle ultime giornate del mese furono per le mie escursioni le più
piacevoli dell'annata. Era il mio punto di partenza Porta Palazzo,
donde passano o si diramano otto linee dirette ai sobborghi più
lontani, e la mia linea preferita quella del Ponte Isabella; la quale
percorsi l'ultima volta in una di quelle mattinate dolci e chiare di
fin d'ottobre, in cui si confonde col sorriso della stagione che se
ne va la malinconia di quella che viene, e si sente nell'aria come la
mestizia d'un addio. Attraversato il centro della città, e percorso
un gran tratto di quella interminabile via Cristina di cui sfugge il
fondo allo sguardo, si svolta nel viale ridente di Raffaello, e di
là si esce all'aperto, fra la fuga dei nuovi edifici universitari, ai
quali i camini altissimi dalla forma di minareti danno l'aspetto d'un
enorme falanstero orientale, e l'ultimo lembo del grande parco del
Valentino, che si ristringe lungo la riva e va a finire con un bacio
nel fiume. Qui nulla parla del passato, tutto è giovinezza e speranza,
e par che non ci giunga il rumore e il fumo della battaglia della vita.
Si attraversa una piccola città adolescente, tutta nomi di poeti e
d'artisti, dove poche case rustiche resistono ancora all'assalto dei
villini e dei palazzi, brillanti avanguardie cittadine, che da ogni
parte le incalzano e le avvolgono; si arriva allo sbocco del corso
Dante, di là dal quale sorge ancora un altro sobborgo bambino, che va
fino al corso Galileo, ultima onda di Torino, a morire fra i campi;
e si giunge sulla strada di Moncalieri, alle falde dei colli, dove il
tranvai si ferma, in mezzo alla solitudine e al silenzio. E là discesi,
ad aspettare che si ripartisse, ammirando il paesaggio vasto e sereno.
Di qua le rive serpeggianti e solitarie del Po, ristretto e imbrunito
dalle ombre dei boschetti, e la piramide del Monviso all'orizzonte,
già tutta bianca; di là le acque larghe e lucide, rispecchianti il
villaggio medioevale; più oltre, il castello rosso del Valentino; la
mole Antonelliana nel cielo; e dietro di me la collina che cominciava a
ingiallire, macchiata da un folto di pini, come una testa grigia da una
ciocca nera. Tutto era terso e fresco, e l'aria odorava di vegetazione
autunnale; ma pareva che vi corresse ancora un fremito della primavera
e vi passasse già un brivido dell'inverno. Salì sul tranvai una coppia
d'innamorati, che si tenevan per mano; di ritorno da una passeggiata
romantica, forse: rosati in viso, eccitati dalla frescura e dal moto,
luminosi d'amore. Il cocchiere solfeggiava un'arietta guardando le
Alpi. Il grande silenzio non era rotto che dal filo di quella voce e
dai picchi sonori delle lavandaie del fiume, che non si vedevano. Era
uno di quei momenti in cui ci coglie come a tradimento il pensiero
della vecchiezza, e ci rattrista. Guardavo i due amanti, e pensavo:
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