La Carrozza di tutti - 19

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porta un nuvolo di biciclette, e Tempesta, sopraffatto dai nemici, non
potendo più inveire contro ciascuno, dovette ricorrere alla maledizione
collettiva, gettata intorno a ventaglio, come semente di disgrazia.
E lì ebbi una sorpresa. Feci la conoscenza della sua famiglia: la
moglie e due ragazzi fra i cinque e gli otto anni, che l'aspettavano
col canestro della colazione. Avevo tante volte pensato alle povere
vittime condannate alla sua convivenza, che, vedendole finalmente, mi
feci a guardarle con pietosa curiosità. Ma ebbi un senso di sollievo.
Ah, erano tipi da poterci reggere. La moglie pareva sua sorella: una
tarchiatona di viso sanguigno e fiero, coi capelli per aria, con due
occhi di lottatrice, capacissima di far fronte alle sue furie, e non
soltanto a parole; i figliuoli, rassomiglianti a lui a un segno da far
ridere, due facce strane e torve da ragazzi del Dorè, due predestinati
provocatori della _Società protettrice delle bestie_, ai quali si
capiva ch'era già familiare una gran parte dei moccoli paterni. La
moglie gli porse il canestro con un gesto virile; egli lo afferrò con
un grugnito e, sedutosi sul predellino, si mise a mangiare senza far
parola, dando delle ganasciate da orso, sotto gli sguardi fissi dei
due orsacchiotti, accigliati e silenziosi. — È il solo momento della
giornata in cui si queti —, disse il fattorino, che l'osservava con me,
un po' discosto. E soggiunse sorridendo, con un certo accento benevolo:
— _Rustica progenie._
*
Trovo qui fra gli appunti, sotto il titolo di _rustica progenie_,
varie osservazioni fatte in quei giorni sulla cortesia degli uomini
con le donne sulla carrozza di tutti, e in special modo sull'usanza
di cedere a queste il posto da sedere; alla quale io non credevo che
ci fossero ancora tanti ribelli, e non in una sola classe sociale.
E che amena varietà c'è anche in questa maniera di villania! Il
buon Valentino Carrera, che aveva in petto un libro su _I villani in
Italia_, avrebbe raccolto sui tranvai un tesoro di documenti. Ci sono
gl'incoscienti che, stando seduti dentro a tutto comodo, guardano
in aria d'ammirazione la bella signora ritta sulla piattaforma a due
passi da loro, senza un sospetto al mondo di premere con le natiche il
Galateo, e quelli che restan seduti per pigrizia invincibile, ma che
ne senton vergogna e sfuggon gli sguardi della postulante, fingendo
di non accorgersi della sua presenza. Ci son quelli che s'alzano per
le signore, ma non si scomodano per le donne del popolo, e quelli che
cedono il posto alle giovani e lasciano sui pioli le vecchie. E c'è
chi nella villania raggiunge il sublime: chi sta seduto proprio con
la signora ritta davanti a lui e barcollante, costretta ad afferrarsi
alle maniglie in alto per non cadere, e qualche volta con un bimbo
in braccio o.... nascosto. Ma il caso più comico e più memorando fu
quello che vidi in via Garibaldi il giorno stesso della mia corsa con
Tempesta. Era notte, pioveva a dirotto; dentro al carrozzone chiuso,
dove non c'era più posto, discorrevano con giovialità rumorosa cinque o
sei omoni dell'aspetto di grassi negozianti, che alle facce vermiglie,
luccicanti sotto il raggio della fiammella, parevano usciti da una
ribotta; e sulla piattaforma posteriore stavano in piedi due signore, a
cui il vento sbatteva la pioggia sulle spalle. Quegli allegri amiconi,
seduti vicino all'uscio, non solo le vedevano, ma lanciavan loro
ogni tanto delle occhiate di curiosità galante; ed esse, celiando, ci
facevan su dei commenti esclamativi: — Oh che cavalieri! — E pare anche
che ci canzonino! — E ci vuole una bella disinvoltura! — Ma furono
per ricredersi a un tratto vedendo uno dei cavalieri alzarsi un po'
dalla panca e tendere la mano verso la maniglia interna dell'uscio....
Che baie! Il cavaliere gentile non fece che chiuder meglio perchè non
passasse il vento pel fessolino. E allora le due signore diedero in
uno scoppio di risa cordiale, a cui fecero eco gli altri passeggieri
ritti intorno a loro, mentre nel carrozzone ripigliava più allegro il
cicaleccio fra i faccioni rossi e luccicanti, beati di star lì dentro,
a bell'agio, al riparo dalla pioggia che immollava il bel sesso Latin
sangue gentile.
*
Ed ecco un'altra volta il conte, a proposito di cortesia. Il carrozzone
chiuso correva per via Cernaia, a notte fatta, sotto una pioggia
minuta. C'era in mezzo a noi, sulla piattaforma affollata, il nobile
fattorino che, allungando le mani bianche al disopra delle spalle dei
passeggieri, pigliava i soldi e porgeva i biglietti con la sua solita
garbatezza timida e premurosa di novizio zelante. Un signore con due
gran baffi a roncolo, mio conoscente di saluto, gli diede un biglietto
da una lira sbiadito. Quegli lo alzò di contro al fanalino e lo esaminò
attentamente. Il signore se n'ebbe a male e disse forte: — Bella
maniera.
Il fattorino arrossì. — Io debbo assicurarmi, — rispose.
— Ma che direbbe lei, — ribattè l'altro, — se io esaminassi il suo
resto in quella maniera?
— Ma.... — rispose il fattorino timidamente — direi che è padrone di
farlo.
— Già — replicò il signore — ciascuno intende la delicatezza a suo modo.
Il fattorino lo guardò un momento, chinò il capo come per inghiottire
la pillola, e si scostò.
Allora io dissi al mio conoscente che quello era un conte, un conte
autentico, e glie ne feci il nome. Credette che celiassi; gli accertai
la cosa, e allora, rimasto un po' sopra pensiero, esclamò: — Ma! Non
lo potevo immaginare. — L'accento di quella esclamazione mi colpì.
Era spontanea, esprimeva un senso di rammarico, voleva dire, insomma:
— Se l'avessi saputo, sarei stato meno duro, o non avrei detto nulla.
— Curiosa! E perchè? mi domandai. Perchè quello ch'egli credette uno
sgarbo, venendogli da un conte, che deve dare a ogni atto il suo peso,
non l'offende di più che venendogli da una persona incolta e volgare,
in cui si può supporre inconscienza della sgarbatezza? Perchè gli duole
di essere stato scortese e ingiusto soltanto perchè l'offeso è un par
suo, o di famiglia più signorile della sua? — Ma subito, interrogando
me stesso, pensai che se fosse occorso a me un caso eguale, avrei forse
fatto irriflessivamente, mosso dallo stesso sentimento ingiusto, la
stessa esclamazione illogica. — E per qual ragione? — Ma per nessuna
ragione! Quelle parole di rammarico sarebbero state in me, come in
lui, la voce improvvisa di certe idee sepolte, ma non morte, di vecchi
sentimenti ereditati, confusi, ravvolti nell'animo nostro dentro alle
idee e ai sentimenti nuovi d'eguaglianza e di giustizia, rimpiattati in
una parte di noi che noi stessi ignoriamo, e di cui restiamo stupefatti
quando per caso e per un momento ci si discopre; la voce d'una
coscienza antica, nella quale non penetra che a lampi e di rado il
nostro pensiero, ma che, se la scrutassimo a fondo, ci chiarirebbe come
non tutta la resistenza ostile che si oppone nel mondo alle nostre più
alte aspirazioni umanitarie e civili si eserciti fuori di noi medesimi,
come anche il più ardente apostolo delle nuove idee porti rannicchiato
nel cuore un nemico della propria fede.... E mi confermai in questo
pensiero osservando che il signore dai baffi a roncolo, quando il conte
ricomparve, evitò il suo sguardo.
*
25. _Giornata morta._ 26. _Sine linea._ 27. _Domenica. Suor Teresa,
dramma in cinque atti, rappresentazione diurna._ — Dall'Arena torinese
sgorga sul Corso San Maurizio un'onda umana, e salgono tre coppie
matrimoniali sulla giardiniera, dove non c'è più posto che per loro.
L'ultima siede davanti a me.... To'! I miei due piccoli sposi di borgo
San Donato. Ho tanto pensato e penso così spesso a loro che mi pare
strano che non mi conoscano, che non mi salutino come un amico. O
povera donnina! E che idea le è venuta, nello stato in cui si trova,
d'andare a farsi straziare il cuore dalla monaca agonizzante del
Camoletti? L'ultima scena l'ha fatta singhiozzare, il suo petto ansa
ancora, i suoi occhi sono ancora gonfi di lacrime; e la pallidezza del
suo viso dice che la commozione è stata troppo forte, che essa è andata
a un punto dallo svenire, e lo dice anche la sollecitudine ansiosa
e amorosa con cui suo marito la cova con gli occhi e la riconforta.
— La colpa è mia, — le dice, — non ti ci dovevo condurre. — Ma no,
essa lo scusa, e incolpa sè; è lei che ebbe la prima idea, e d'altra
parte, benchè abbia sofferto, non se ne pente. È la prima volta che
sento la sua voce buona, umile, un po' velata, e come stanca; la quale
forse tra un mese, forse tra pochi giorni, si farà anche più dolce e
più carezzevole per dir mille parole d'amore al capezzale della culla
che già aspetta in casa sua. Vecchio fanciullo incorreggibile! O non
ho messo tanto affetto a questi due poveri giovani sconosciuti da
pensare con inquietudine al giorno che essi sospirano, e che potrebbe
essere un giorno di sventura? La buona donnina è così poca cosa che, a
guardarla, debbo scacciar quel pensiero per non cedere al presentimento
triste di non averla a riveder mai più dopo quest'oggi. E appunto,
mentre il tranvai svolta sul corso Margherita, vedo allontanarsi giù
per il viale del Regio Parco un piccolo carro funebre nudo, seguitato
da due sole persone. Povera donnina! Il suo, forse, sarebbe seguitato
da una persona sola. Ma per uno di quei bruschi mutamenti che son
propri delle donne in quello stato, tutt'a un tratto essa s'asciuga gli
occhi e si mette a ridere; egli tira un sospiro e sorride; e il mio
presentimento svanisce. Come volentieri sporgerei il viso fra quelle
due teste e direi loro: — Non lo sapete che sono un vostro amico? Mi
volete per padrino del vostro bimbo? — Ed eccomi, vecchio fanciullo
incorreggibile, a lavorar d'immaginazione su quella traccia. — Come
continuerei? Che cosa direbbero? Che penserebbero di me? — Eppure....
un giorno o l'altro farò quel colpo; lo prevedo.
*
Un altro par di teste, fra le quali non avrei voluto sporger la mia,
lo vidi due sere dopo, a notte chiusa, in una giardiniera di via
Garibaldi; una coppia in tutt'altra condizione psicologica da quella
dei miei due sposi. Quantunque, stando ritto sulla piattaforma davanti,
li vedessi in faccia a tre panche di distanza, non li riconobbi subito,
perchè l'uomo era sotto “mentite spoglie.„ Solo in un punto che mi si
presentarono tutti e due di profilo, voltandosi l'un verso l'altro per
barattare una parola, ravvisai il bel capitano, in abito borghese,
elegante come un figurino, e la moglina ipotetica dell'impiegato
delle Poste (lettere raccomandate). Ahimè! Tutto finisce. Alla prima
occhiata vidi sui loro visi l'annunzio nero della felicità defunta.
Dovevano essersi scambiati, durante la corsa, delle frasi di un
sapore “di forte agrume.„ Essa aveva l'aria afflitta e pareva ancora
agitata; il viso di lui non esprimeva che una noia compressa, la quale
cercava delle vie di fuga in rapidi sguardi lanciati a destra e a
sinistra sui caffè illuminati, sugli ufficiali “liberi„ che passavano
sui marciapiedi, sulle signore chiaro vestite che si scansavano
al passaggio della giardiniera; e lo sguardo di lei, ogni tanto,
accompagnava il suo, come per vedere dove s'andasse a posare. A un
certo punto, senza voltarsi, essa gli disse una parola, uno di quei
monosillabi, m'immagino, che sono come lo scoppio improvviso d'un lungo
soliloquio muto, ed egli le voltò un poco la spalla, rovesciando il
viso indietro e alzando gli occhi al cielo della giardiniera, come per
invocare il soccorso d'un Santo protettore. Non rifiatarono più. Ma
v'è nell'atteggiamento di certe persone sedute l'una accanto all'altra
qualche cosa d'indefinibile, da cui si capisce che i loro spiriti sono
divisi. Essi mi davano l'immagine d'un tronco spezzato in due parti,
le quali si toccano ancora, ma mostran la linea della spaccatura. Il
tranvai era stato il carro di trionfo, ed era allora il carro funebre
dei loro amori. Chi sa quante coppie consimili, quanti altri amori
morti o moribondi portavano in giro quell'altre giardiniere affollate e
illuminate, che correvano davanti, accanto e di dietro; amori che, come
quello, eran nati sulla carrozza di tutti, e ci s'eran dati i primi
ritrovi e ci avevan provato i primi terrori d'essere spiati e inseguiti
e pagato dieci centesimi le loro prime dolcezze! Chi sa quanti altri
amori avevano preso quella sera l'ultimo scontrino! Quando, uscendo
da questi pensieri, tornai a voltar lo sguardo alla panca, Marte
era volato via, e Venere, tutta sola, guardava lontano davanti a
sè, con gli occhi torbidi e fissi, che parevan dire l'ultima parola
dell'annunzio funebre apparsomi alla prima occhiata sul loro viso; —
_Una prece._
*
Era quella una serata limpida e fresca, come di primavera. Non
ricordo d'aver mai goduto come in quell'ora lo spettacolo mirabile che
presenta una città grande, vista così dal tranvai, in una bella notte
d'estate. Sotto le lunghe ghirlande di lampade voltaiche sospese in
alto sul mezzo delle strade, corrono i fanali delle altre carrozze,
somiglianti a grandi occhi rossi, verdi, bianchi, azzurri di grandi
teste invisibili, che ci vengano incontro di lontano; i mille lampioni
delle piazze e dei viali, fiammeggianti da ogni parte tra il fogliame
degli alberi, danno alla città l'apparenza d'una vastità infinita, e
quella moltitudine di gente che si vede di sfuggita, affollata davanti
ai caffè, a crocchi sugli usci, a gruppi sui terrazzi, a processioni
sui marciapiedi, quei visi innumerevoli che ci passano accanto, ora
imbiancati dalla luce elettrica, ora velati dall'ombra, ora dorati
dal gas, ora neri nell'oscurità, ora mezzo accesi dai fasci di luce
che erompono dalle botteghe, paiono d'un popolo fantastico, vivente in
una vicenda continua di giorno e di notte, sotto un cielo in cui danzi
senza legge una pleiade di lune. E qua e là appaiono altri contrasti
lontani di chiarori diffusi e di oscurità fitte, di masse brune di
vegetazione, che offrono aspetto di boschi stelleggiati dai fuochi
d'un bivacco, e di ampi spazi aperti in cui s'inseguono e s'incrociano
stelle multicolori, di file di case confuse in una sola enorme muraglia
nera e di schiere di palazzi su cui par che batta la luce dell'alba. E
a fuggir così fra quei mille giochi di luce, in mezzo a quel brulichìo
di gente riposata e svagata, in quell'aria profumata dall'erbe e dai
fiori dei giardini, nella quale si succedono e si confondono note
di cantanti di caffè, suoni d'orchestre di birrerie, ritornelli di
canzonette popolari e musiche erranti di mandolini e di fisarmoniche,
sembra d'attraversare una città maravigliosa, dove rida una festa
perpetua e siano sconosciuti gli affanni, le fatiche e la miseria. Ma
si rompe l'incanto se osservate il fattorino e il cocchiere. Ah, i loro
visi stanchi, in cui gli occhi si chiudono, le loro povere gambe, ritte
dalle quattro della mattina, che irresistibilmente si piegano, e la
loro voce fioca e sonnolenta vi richiamano al pensiero la moltitudine
di tutti quegli altri che, mentre una parte degli abitanti corre ai
piaceri, posano le ossa affrante sopra un povero letto, per ridestarsi
prima dell'alba a una rude vita di lavoro e di stenti.
*
Era una serata, l'ultima di settembre, limpida e fresca come quella,
quando sulla giardiniera di corso Vinzaglio, salendo all'angolo di
via Cernaia, trovai un buon amico mio, cav. avv. prof., e giornalista
pieno d'arguzia, con due ragazzine; delle quali riconobbi subito la
più grande, figliola sua; la sola ch'io sapevo che avesse. Era disceso
allora alla stazione di Porta Susa, venendo da una sua villa dei
dintorni d'Ivrea a ricondurre a casa la figliuola d'un suo parente,
ch'egli aveva ospitata per una settimana. — Lei lo deve conoscere, —
mi disse. Era la figliuola di _Siapure_! Stava seduta davanti a me,
in modo che la sua treccia bruna cadente toccava quasi le mie mani
appoggiate sulla canna; si voltò in quel momento, e la riconobbi. Era
cresciuta assai nei tre mesi da che non l'avevo più vista, e dai suoi
begli occhi neri, che si fissavano nei miei, compresi che anche la
sua intelligenza doveva aver fatto un gran passo. Tirai il discorso
a un altro argomento; ma per tutta la corsa non potei più staccare il
pensiero da quella bimba; la quale, voltatasi di fianco per ascoltare
la nostra conversazione, continuava a fissarmi in viso i suoi occhi
intelligenti e buoni, come se comprendesse che, pure parlando d'altro,
io pensavo a lei e a suo padre. Mi guardava, col capo un po' inclinato
dalla mia parte, come se volesse dirmi: — Oh, tu parlerai questa
volta; tu mi dirai di salutarlo; sarò io che porterò la parola della
riconciliazione; dilla dunque una volta quella buona parola. — E anche
questa volta la buona parola mi venne alle labbra dieci volte, e dieci
volte la rattenni. Mi dicevo: — Quando il tranvai sarà all'angolo di
Corso Oporto, la dirò. — E poi: — Quando sboccherà sul Corso Vittorio
Emanuele. — E poi: — Quando saremo vicini al monumento. — Ma al buon
punto la parola restava dentro, e ne pativo, e quella treccia che ogni
tanto mi sfiorava la mano mi dava il senso della punta d'un dito che
mi stimolasse, e quegli occhi fissi pareva che mi dicessero sempre più
dolcemente: — Ma parla; non hai che da dire: — Saluta il babbo, — e
tutto sarà finito, e tornerete buoni amici come prima, perchè vi siete
sempre stimati e voluti bene. — Ah svergognato! S'era passato già il
Corso Umberto e non avevo parlato ancora; l'amico doveva scendere in
piazza Carlo Felice; non mi restavano che tre minuti, avevo sdegno
di me, e pure sentivo che non avrei fiatato. Ma da che può dipendere
il fare o non fare una buona azione! Quando fummo vicini alla piazza,
dall'orchestra all'aria aperta del Caffè Mogna mi venne all'orecchio il
motivo della sinfonia dei _Vespri_, quel motivo largo e dolce, che è
uno dei primi ch'io ritenni da ragazzo, e che sempre mi ridesta mille
ricordi della fanciullezza, le prime commozioni del teatro, mia madre
giovane affacciata al palchetto, la scena riveduta in sogno, un misto
d'immagini liete e tristi, confuse, lontane, come d'un'altra vita. O
musica benedetta, nobile amica, misteriosa e benefica ispiratrice di
bontà e di gentilezza!
— Bambina, saluta tuo padre per me....
E il suo _sì_ vivo e soave mi parve una nota di quella musica.


CAPITOLO DECIMO.

Ottobre.
Sulla soglia dell'ottobre trovo un controllore colosso, che è uno
dei più bei tipi ch'io abbia intoppati nell'annata. Tocca col capo il
cielo del carrozzone, con le spalle chiude gli usci e ferisce in viso
i passeggieri con le punte di due baffi enormi, che paiono due S da
cartellone d'arena. Fu carabiniere, ed è ancora; non ha fatto che mutar
divisa; presta il nuovo servizio con gli stessi modi e con lo stesso
linguaggio che usava nell'antico. Ha un aspetto terribilmente severo.
Quando si pianta in faccia a un passeggiere, par che lo voglia invitare
a _declinar le generalità_, ed esamina lo scontrino come un passaporto,
e glie lo rende fissandolo in viso, come se dicesse fra sè: — Costui
mi ha l'aria d'un pregiudicato. — Non attacca discorso, non sorride
con nessuno. Non intesi ancora che due parole sue, e furono una frase
carabinieresca: disse bruscamente a uno che stava ritto sul predellino:
— _È difeso!_ — Ho un forte sospetto che porti in tasca un par di
manette. Certo, tutte le sue idee sociali e politiche sono in armonia
col suo essere visibile. E io penso, guardandolo, al grande numero di
quegli altri cittadini che dalla forma della professione o mestiere
o stato in cui furono chiusi per caso riescono modellati moralmente
in quel dato modo come quei bimbi che si facevan crescere dentro
vasi di varia foggia quando fioriva l'industria dei mostricciattoli e
dei balocchi umani, e vedendo all'opera con la fantasia le fabbriche
innumerevoli di spiriti conservatori che la società tiene in moto,
dico che hanno da lavorar molto e bene le officine avverse per far
concorrenza efficace a una produzione così vasta, forte di tanti
privilegi e avviata così bene. Mi apparve per la prima volta questo
controllore Golia sulla linea di Vanchiglia, dove, avendogli fatto
aspettare un pezzo lo scontrino che non trovavo, me lo restituì, dopo
un serio esame, dandomi uno sguardo profondo, che pareva dire: — _Te
tegnerò d'oeucc!_ — Mentre si voltava, gli vidi dietro un orecchio
una cicatrice: forse d'una coltellata tiratagli da qualche arrestato
ribelle. Quando discese, rimase ancora un momento duro come un pilastro
in mezzo alla strada, a guardare con occhio sospettoso il tranvai
che s'allontanava, come avrebbe guardato in altri tempi una carrozza
cellulare non ben sicura....
*
Dopo questo spauracchio per vari giorni non trovai che gente contenta.
L'ottobre si presentava col sorriso in fronte. Il primo fu il mio buon
Giors, sulla linea di Vinzaglio, allegro e fresco come la mattinata.
Gli domandai subito della moglie. Guarita! Guarita da un pezzo, salda
sui trampoli, _ardita_ come una sposa, e sana anche la frittura, tre
sacchetti senza fondo, una rovina quotidiana. E, sorridendo, soggiunse
in un italiano suo proprio una frase proverbiale che gli avevo inteso
dire altre volte: — _Tuto va bene, trane la gran miseria_; — e si provò
a fischiare il motivo della _Carmen_, ma senza riuscirvi. Poi mi diede
notizie della _veja_, e poichè non capivo a chi volesse alludere:
— Non si ricorda? La vecchia di Pozzo di Strada, quella del soldato
d'Africa, che si mise a piangere a veder la battaglia stampata? Matta
dalla contentezza, la povera vecchia! — Era stata nel tranvai quella
mattina: un'altra faccia; pareva risuscitata; il figliuolo era vivo;
le avevan mandato dal Ministero degli “affari della guerra„ per via
del Comando del distretto, un pezzetto di carta sporca con quattro
parole del ragazzo prigioniero, un foglio arrivato di laggiù, _da
ca' del diau_, in un gran pacco, con molte altre lettere, che aveva
raccolte e spedite quel prete mandato dal Papa. Ma proprio fuor di sè,
da parere che avesse alzato il gomito, felice da allargare il cuore
a vederla, povera anima tribolata! Portava il foglietto in seno, in
un portamonete di pelle di pecora, e l'aveva fatto vedere a lui, e
lo faceva vedere a tutti. — È venuto il foglio, va bene; ma quando
verrà il figliuolo? Chi lo sa? Quando faranno la pace? Ne sa qualche
cosa lei? Io non leggo la gazzetta perchè mi fan male agli occhi le
parole piccole.... — E diede in una risata. C'era sulla prima panca
un ostricaro con la berretta rossa e col canestro sulle ginocchia.
Egli prese a stuzzicar l'ostricaro. Roba per aguzzar l'appetito, non
è vero? E non c'era già abbastanza appetito per il mondo da portare
in giro delle diavolerie per aguzzarlo? Che gusto avevano quelle
bestie senza testa? Egli non n'aveva mai assaggiato in vita sua, e
sentiva quella mattina un maledetto prurito di farne la conoscenza.
E dicendo questo, fra una scossa di redini e l'altra, si voltava a
guardare il canestro con un'espressione così comica di curiosità e di
diffidenza, che l'ostricaro, esilarato, prese un'ostrica, l'aperse
e glie la porse. Giors la sorbì, e trattenendola in bocca come per
meditarne il sapore, domandò quanto costasse. — Un soldo e mezzo —
rispose l'altro. — _Baloss d'un lader!_ — gridò lui, trangugiandola
con una smorfia di spaventato —, e hai la faccia di far pagare quanto
un pane una porcheria compagna? — Tutti i passeggieri risero, e quel
riso lo eccitò. Eppure, sì, quell'acquolina “amaricante„ stuzzicava
la fame, ed egli avrebbe dovuto tribolare il doppio quella mattina
per arrivare all'ora della macinatura. Ma già era destino che glie
ne capitasse una ogni giorno per scavargli lo stomaco. E raccontò
quella del giorno avanti. Stava discorrendo con una guardia daziaria,
alla barriera, quando, al momento di partire, era salita una bella
contadinotta, un fior di ragazza, che n'aveva quanto tre balie, un vero
capitale, una cosa, una cosa.... insomma, una cosa magnifica. E lui,
così in celia, l'aveva presa a complimentare, maravigliandosi, però,
di vederle fare il viso verde invece di rosso. A un tratto quella gli
aveva detto nell'orecchio, presto e secco: — _Ciuto, c'a son d'tomin!_
— (Zitto, che sono caciole). Erano caciole di Rivoli! E qui una gran
risata. Naturalmente, egli era stato zitto, non l'aveva tradita. Ma il
più bello era stato poi: che, partito il tranvai, pigliando sul serio
una sua facezia sul diritto a un compenso che gli dava la connivenza
nel frodo, la bella ragazza s'era cavato dal seno e gli aveva dato
un _tomin_, un po' ammaccato, ma fresco e di quei grassi, d'un odor
squisito di panna, ch'egli aveva aggiunto, con gran piacere, alla sua
colazione. Ah, che delizia di _tomin!_ Mai da che era al mondo egli
s'era messo nel laboratorio un boccone così saporito, gli era colato
giù fino alle polpe, gli aveva fatto montare alla testa mille grilli. E
seguitò un bel pezzo a scherzare così sui cento sapori di quel boccone,
senza mai eccedere, con una discrezione quasi istintiva d'uomo sano
di nervi e di spirito, rifuggente dalle sudicerie, spandendo intorno
la schietta allegria del suo buon appetito e del suo buon cuore e
sorridendo coi denti bianchi all'aria viva d'ottobre, che accarezzava
la sua bella faccia di galantuomo....
*
Trovai un'altra anima contenta sulla linea di Vanchiglia. Bastò il
suo _cerea_ a rivelarmi l'uomo mutato. Una vera trasfigurazione. Era
il povero fattorino stato ferito da una bastonata e rimasto malato di
terror cronico. Al primo vedere la sua nuova faccia pensai che fosse
stato accomodato l'affare della querela, e glie ne domandai. Gli passò
un'ombra sulla fronte. No, non ancora; la cagione della sua contentezza
era un'altra, e, raccontandola, tornò a rischiararsi. Gli era caduta
sul capo una di quelle carte da visita della fortuna, che fanno data
nella vita dei poveri diavoli come le vittorie in quella dei generali.
Tre giorni avanti, arrivando col carrozzone vuoto alla barriera di
Casale, raccattò sotto una panca un portafogli di bulgaro rinvoltato
in un pezzo di giornale, se lo ficcò in tasca senz'aprirlo e, secondo
la regola, lo rimise nella corsa di ritorno al controllore, perchè
lo portasse alla direzione. Rivenendo verso la barriera, arrivato
in piazza Vittorio Emanuele, vede correre incontro al tranvai, col
viso spaventato, un signore grasso; il quale salta sulla piattaforma
e gli domanda con voce di moribondo: — Avete trovato...? — e al
sentirsi rispondere: — Sì, è stato trovato.... — si lascia cascar di
picchio sulla panca, con le braccia aperte e gli occhi in su, ansando
come un mantice. Atto finale: comparsa del signore alla direzione,
interrogatorio e riscontro, restituzione del portafogli, tanto per
cento secondo l'uso: cento lire al fattorino. — Cento lire, m'intende;
un biglietto rosso nuovo fiammante, coi due occhi di civetta, che
pareva stampato il giorno prima! Ah, benedetto Iddio, son venute a
tempo! — Dopo quella disgrazia che l'aveva tenuto tre mesi a mezza
paga non gli era più riuscito di riassestarsi; la famiglia menava una
vita d'angustie; si dovevan misurare il pane per pagare i debiti, e non
vedevan la fine di quel purgatorio.... — Ed ecco tutt'a un tratto....
Ah, bisogna dire che c'è un Dio! — Splendeva una tal contentezza sul
suo viso pallido, e abitualmente spaurito, che metteva pietà; metteva
pietà il pensare che cento lire possano operare un tal rivolgimento
nell'anima d'un uomo da guarirlo anche dal terrore abituale d'essere
ammazzato. E ragionava sulla sua fortuna per gustarla meglio. Su
tante linee, si sa, tutti i giorni si trova qualche cosa: fazzoletti,
spille, chiavi, scatole di sigarette, perfin delle lettere amorose;
ma dei portamonete con migliaia di lire, bazzica, è un caso raro. E
proprio doveva toccare al figliuolo di sua madre! Si chiamava _nascer
fortunati_. E mi descrisse la scena della sera, quando, rientrando
in casa, aveva sventolato il biglietto, come una bandiera, sul viso
di sua moglie e sulla testa dei bimbi addormentati: la povera donna
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