La Carrozza di tutti - 16

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peccatrici la carrozza di tutti. Se uscendo di dove usciva, quella
sventata avesse preso la strada a piedi, certo che sarebbe venuto a
molti, incontrandola, lo stesso pensiero che balenò a tutti noi al
primo vederla; ma, guardata di sfuggita da uno alla volta, essa non
si sarebbe trovata esposta, come fu in carrozza, all'osservazione
minuta d'un'adunanza d'inquisitori, in cui la comunanza visibile dello
stesso sospetto mutava il sospetto in certezza. Era una novizia, si
capiva bene, perchè si turbò sotto il primo fuoco degli sguardi che
non aveva preveduti, e cercò di larvare il suo turbamento voltandosi
verso la strada, leggendo gli annunzi, guardando il ventaglio, fingendo
di cercar qualche cosa nelle tasche. Ma invano, perchè, avendo fatto
cinque passi, ansava come se avesse fatto una corsa, e quello che non
diceva il suo respiro dicevano le pupille umide, le guancie rosse, le
labbra febbrili. E c'erano ben lì delle persone delicate che sentivano
la sconvenienza, la crudeltà dell'osservarla tutt'insieme e di
tormentarla a quel modo; ma potendo la curiosità più della convenienza,
gli sguardi insistevano, accusando il lavorìo impudico delle
immaginazioni, e insistettero a segno, che sul viso di lei succedette
alla vergogna l'irritazione, e poi un atteggiamento forzato d'audacia
e di sfida, la tentazione visibile di dirci fuor dei denti: — Ebbene,
sì! E con questo? Siete un branco d'indiscreti e d'insolenti! — e di
fare una distribuzione circolare di ceffate. La studentessa sola mostrò
di non vederla, di non accorgersi neppure che altri la guardasse, come
se nessuno fosse entrato; non una volta essa girò lo sguardo verso di
lei, non un'ombra, fuorchè quella del suo primo pensiero, passò sul suo
viso bianco ed immobile; e mai non compresi, mai non sentii quanto nel
confronto di quei due visi vicini la superiorità infinita dell'incanto
che vien dall'anima sopra la forza che tenta i sensi. Essa acquistava
dal confronto un lume maraviglioso di bellezza, di grazia e di dignità,
che la faceva parere una creatura d'una razza superiore, a cui si
sarebbe baciata la fronte, tirando indietro le mani.
*
Dalla morte della _Riforma_ alla cattura del _Doelwick_ passò una serie
di giornate senz'incontri di personaggi della compagnia; ma non vane,
poichè da tre casi nuovi dedussi tre precetti di condotta d'una utilità
indiscutibile per i passeggieri dei tranvai.
Dedico il primo ai giovani. — “Quando s'è in piedi in fondo a una
giardiniera, in compagnia d'un amico, non esprimere mai il proprio
giudizio sulle bellezze posteriori d'una passeggiera seduta sur una
delle panche davanti, perchè fra i passeggieri ritti accanto a noi c'è
qualche volta qualcuno a cui la cosa può non garbare.„ — Esempio. Un
giovanotto: — Guarda che bellezza di collo che ha quella donnina, la
prima a sinistra sulla terza panca, con quei ciuffetti arricciolati
sulla nuca! Ah, che amore di collo! Ci metterei una collana di baci....
— Un signore accanto, seccato: — È il collo di mia moglie, badi.
L'altro precetto fa per le signore. — “Stando nel tranvai quando
s'entra in una piazza, non pigliar mai per sè una frase ammirativa
d'un passeggiere, se in quella piazza c'è un monumento.„ Esempio. Sale
una signorina in un carrozzone chiuso, in piazza Statuto, e nell'atto
che entra per l'uscio davanti, il suo cappellino intercetta la visuale
che dagli occhi d'un forestiere seduto in fondo va alla sommità del
monumento del Fréjus, e proprio nel momento che il forestiere dice al
suo compagno: — Guarda che bell'angelo! — La signorina arrossisce, il
compagno risponde: — L'ha fatto il Tabacchi, è fuso all'arsenale.... —
e la signorina.... deve arrossire da capo.
Il terzo precetto si può rivolgere a chiunque. — “Uscendo di casa, non
pigliar mai per le minute spese, senza previo esame, un rotoletto di
soldi che trovate sul cassettone.„ — Io commisi questo sbaglio e, per
disgrazia, m'imbattei sul tranvai, dove c'era altra gente, in un gran
fattorino barbuto, dall'aspetto e dai modi d'un procuratore del re di
malumore. Mi restituì il primo doppio soldo, dicendomi: — È argentino.
— Mi restituì il secondo, con un'occhiata severa, dicendomi: — È
argentino anche questo. — Mi restituì il terzo, squadrandomi da capo
a piedi, e dicendomi: — È greco. — E il quarto era rumeno, e il quinto
era di Pio nono.... Avevo preso un rotolo di soldi fuor di corso, stati
messi in disparte per precauzione. Tutti mi guardarono; nessuno poteva
pensare ch'io avessi in tasca per puro caso quella raccolta di falsità;
arrossii come un gambero; la mia riputazione era perduta senza rimedio.
Ah se fosse stato là il mio Guyot, come avrebbe trionfato!
*
Povero Guyot! Egli si deve ancor ricordare della data della cattura del
_Doelwick_ perchè quel giorno passò un brutto quarto d'ora. Veramente,
fui crudele. Ma, insomma, fu lui che la volle; doveva far la strada
a piedi piuttosto di venirsi a cacciare in quel solo posto vuoto che
rimaneva sulla giardiniera fra me e un giovanotto in cacciatora, che
teneva spiegato fra le mani il _Grido del popolo_. Data una sbirciata
a me e una al giornale, si ristrinse, si fece piccolo come preso da
un freddo improvviso, per evitare il nostro contatto, e fu appunto
quell'atto provocante che scatenò i miei istinti feroci. Per vendicarmi
raddoppiai il suo tormento cavando di tasca e spiegando la _Lotta di
classe_. Lo sentii fremere come un uomo a cui siano appuntate alle
tempie due rivoltelle. Ah, fui spietato! Ma per poco. Un pensiero
più alto mi sorse nella mente. Pensai che era stolto il maravigliarsi
del lento cammino che fanno nel mondo anche le idee più grandi e più
benefiche, poichè ne avevo accanto una ragione viva così evidente.
Era un uomo che in tutta la sua vita, forse, non avrebbe mai letto nè
un giornale nè un libro socialista, mai accettato nè voluto intendere
una discussione su quella idea; che sarebbe passato a traverso a tutto
questo gran movimento sociale con gli occhi chiusi e con le orecchie
tappate per proposito, portando intatti in sè fino alla morte, come
articoli di fede, tutti i pregiudizi più calunniosi e più insensati che
contro la nuova dottrina e chi la professa aveva accolto alla prima
senza ombra d'esame; che non avrebbe mai capito e nemmeno cercato se
quella parola _lotta di classe_ potesse avere un significato affatto
diverso da quello che gli avevan dato ad intendere; che avrebbe sorriso
di pietà se gli avessero detto che quella era una verità d'ogni tempo,
una necessità storica manifesta, un fatto che è non perchè si voglia,
ma perchè dev'essere, come il corso dei fiumi al mare e l'ascensione
dei vapori al cielo, e che in virtù di quella lotta appunto egli
possedeva quei diritti di cittadino che i suoi padri non avevan
posseduti, e che quella lotta stessa egli combatteva con tutti i suoi
pensieri, con tutti i suoi sentimenti e i suoi atti da che aveva l'uso
della ragione. Povero Guyot! E che colpa ci aveva lui? Era in buona
fede; lo sentiva proprio in fondo all'anima il ribrezzo che gli fece
porgere il soldo al fattorino, sollevando il braccio con cautela per
non toccare quei due fogli esecrandi in cui pensava che si predicasse
lo sterminio e l'inferno! Perchè infierire contro chi, odiando noi,
crede sinceramente di odiare la perversione e il delitto? E questo
pensando, mosso da un senso di pietà, ripiegai il giornale e me lo misi
in tasca. Nello stesso punto il giovanotto discese, Guyot prese il suo
posto subito per iscostarsi da me, e tirò un respiro di sollievo, come
un crocifisso distaccato dalla croce. Non gli restava più accanto che
uno dei ladroni.
*
Dopo quella mattina, per tre giorni, trovai la carrozza di tutti sotto
l'influsso di Venere. Come accade in certe passeggiate sul lastrico,
che da quando s'esce a quando si rientra in casa ci si vede volteggiare
intorno l'amore come se al mondo non ci foss'altro, così segue qualche
volta nelle passeggiate in tranvai che per un certo tempo, ad ogni
corsa, e più volte in ogni corsa, ci batte l'ali sul viso, come per
tentare noi pure a farci _canuto spettacolo_, il monello divino,
che moltiplica i popoli e ingrullisce i ministri. La prima volta fu
su quell'ultimo tratto del corso Casale, dove, correndo all'ombra
dei grandi olmi che scendono fino alla sponda, si vede tra i fusti
allineati, come per i vani d'una selva di colonne, luccicare il Po,
sparso di barchette di pescatori e di birichini natanti. Qua e là,
sulle panche della giardiniera, eran seduti un bersagliere, un vecchio
signore arcitinto, due musicanti con le trombe fra le ginocchia, una
contadina con un coniglio fra le braccia; e nel mezzo una ragazza e
un giovanotto, che ai primi gesti riconobbi per sordomuti, stretti in
colloquio amoroso. Amoroso, fuor di dubbio: gli occhi languidi e le
guance infiammate di lei lo dicevano. Aveva l'aspetto d'una giovane
di bottega: un viso largo, ma d'espressione infantile, un sorriso
strano, come di chi sorrida soffrendo, ma simpatico; un busto forte
e ben formato. Lo spettacolo era nuovo per me e lo potei godere a
tutt'agio. Avevo osservato altre volte quella mimica misteriosa di
magnetizzatori e di cabalisti, quei gesti vaghi di chi disegni nel
vuoto o cacci farfalle o mova le dita sopra una tastiera invisibile.
Ma non avevo idea del colorito, della modulazione singolare che a quel
linguaggio aereo può dar la passione. Nei gesti di lei, in special
modo, v'era non so che di morbido e di gentile, e anche negli atti
improvvisi e più rapidi qualche cosa d'intraducibile a parole, che
pareva corrispondere alla smorzatura, ai languori della voce, alle
note argentine e quasi involontarie che sfuggono dal petto commosso
d'una ragazza parlante. La sua mano si soffermava per aria, descriveva
delle curve graziose, ricadeva sul ginocchio con un abbandono stanco
o una vivacità capricciosa, e il suo sguardo, mentre gestiva il
giovine, invece di fissarsi nel viso di lui, accompagnava i suoi
gesti, come s'egli avesse gli occhi nelle mani, con una mobilità, con
una vita, con un balenìo che rendeva tutti i moti dell'animo. Quella
conversazione di dita e di pupille m'attraeva, mi faceva pensare a
quella singolarità d'un amore che non conosce la dolcezza delle parole
susurrate nell'orecchio; che nei momenti appunto in cui la passione
cerca le espressioni più ardenti e pronuncia i nomi più soavi, non
può più dir nulla, nemmeno a modo suo; d'un amore in cui l'amplesso
tronca ogni comunicazione del pensiero e l'oscurità separa le menti, e
le dolci apostrofi di _angelo, cuor mio, anima mia_ escono dall'anima
senza musica e senza tremito e non restano nell'anima che nella forma
di due mani agitate. La mimica del giovane, intanto, s'accelerava,
come se allo scendere dal tranvai si fossero dovuti separare e a lui
premesse d'approfittar del tempo; e lei non faceva più che dei gesti
radi e lenti, quasi sempre gli stessi, come la ripetizione d'una frase
o d'una parola, accompagnata da un sorriso continuo, incerto e dolce.
Era una negazione? Una promessa? Un'espressione di dubbio? Tutti e due
erano eccitati; ma, benchè avessero addosso gli occhi di tutti, non
davano segno alcuno di timidità e di suggezione, quasi che i presenti
paressero loro gente d'un altro mondo, con la quale essi non potessero
avere alcuna relazione di sentimenti o di riguardi; non altro che
immagini, ombre, quali erano infatti; di cui nessuna parola poteva
giungere all'anima loro, come se una distanza immensa li separasse. Poi
“tacquero„ a un tempo tutti e due, ed essa si rivolse a guardare prima
la cascatella del Po, della quale non sentiva lo scroscio, poi gli
olmi della riva, dove cantavano uccelli di cui ignorava il canto, poi
le trombe dei due suonatori, che eran per lei uno strumento misterioso
come un apparecchio elettrico per un selvaggio. Quando il tranvai entrò
in piazza Vittorio Emanuele riattaccarono una conversazione affrettata,
in cui pareva ch'egli facesse a lei una calda raccomandazione, e lei
lo rassicurasse; poi, all'imboccatura di via Po, essa fece fermare,
gli strinse la mano e discese, avviandosi verso i portici; ed egli si
spinse all'estremità della panca e la seguitò con gli occhi, con un
sorriso singolare di curiosità amorosa e pietosa, fin che disparve. Il
fattorino, che stava sulla pedana accanto a lui, gli fece un cenno del
capo socchiudendo un occhio, come per dirgli: — È la tua bella, eh,
briccone? — Ma rimase stupefatto quanto me udendosi rispondere con voce
piena e con perfetta pronuncia, in accento affettuoso di compassione e
di rispetto: — _Povra fia!_ (Povera ragazza!) — Essa sola era muta.
*
_Amour, toujours!_ come dice la canzonetta. Fu questo un bel caso
(non raro, mi dissero) di persecuzione amorosa in tiro a due. Sul
corso Vittorio Emanuele una bella signora arresta la giardiniera con
un _alt_ imperioso, sale con impeto e siede con dispetto; e ripartiti
appena i cavalli, salta sulla piattaforma di dietro un signore, col
cappello d'alpinista e la lente all'occhio, e resta lì come un piolo,
con lo sguardo fisso sopra la bella, da cui lo separano sei panche,
aspettando che le si faccia un posto vicino. All'incrociamento dei
corsi Vittorio ed Umberto, riman vuoto un posto proprio nella panca
dietro la signora, e lui, lesto, con una faccia imperterrita, corre
per la pedana afferrandosi alle colonnine, e si va a sedere alle
spalle di lei, che lo sente, senza vederlo, e dà un guizzo come per un
pizzicotto. Non passa un minuto che si vede venire innanzi il tranvai
dei Viali. In quel momento appunto il persecutore cominciava a farsi
avanti, dondolandosi, come chi cerca un'entratura di dichiarazione; ma
ecco che la signora balza in piedi, dà uno strappo con la mano sinistra
alla correggia del campanello, e con la destra, brandendo l'ombrellino,
comanda al cocchiere dell'altro tranvai di fermare. Tutt'e due si
fermano, l'inseguita salta giù, raggiunge l'altro tranvai di corsa,
vi sale come un lampo; e l'inseguitore ostinato, giù anche lui d'un
salto, e via come una freccia, e su, sul tranvai della fuggitiva. La
scena, osservata da tutti, suscitò un vivo mormorio di commenti seri
e faceti: — Bellina! — Che sfrontatezza! — Questa è nuova. — Ma è
un'indegnità! Gli dovrebbe rompere l'ombrello sul muso! — Un signore
celione disse che ci sarebbero voluti dei carrozzoni di salvataggio,
per signore sole, circolanti per le vie principali. Ma un mio amico,
che m'era accanto, quello dei sette peccati capitali, lo Schopenhauer,
gli osservò, con un sorriso sarcastico, che sarebbe stato un “servizio
passivo„. E soggiunse che, secondo lui, c'era invece un altro servizio
speciale di tranvai chiusi, sul modello delle carrozze cellulari, il
quale avrebbe dato agli azionisti un grasso dividendo. — Carrozzoni....
a che scopo! — domandò l'altro. Ah! lingua sacrilega. Rispose: — Allo
scopo.... opposto.
*
E ancora l'amore. Vedo sulla prima panca due teste giovanili così
vicine che mi si disegnano tutt'e due sulla schiena del cocchiere
come sul fondo scuro d'un quadro: l'una bionda dorata, senza
cappello; l'altra, con un grazioso cappellino da marionetta, ornato
di tre cardenie; il quale lascia scoperta una salda massa di capelli
bruni, lucidi e freschi, che pare un turbante di velluto nero. Dalla
piattaforma in fondo, dov'io sto, non posso vedere i due giovani
in viso; ma capisco dagli atti che si parlano senza dir nulla, come
fanno gli amanti in ebbrezza, non per altro che per accarezzarsi con
le parole e baciarsi con la voce, sorridendo alla gente, alle case,
agli alberi, al sole, come per ringraziare il mondo della propria
beatitudine. A un tratto la testa bionda si gira indietro, e riconosco
il mio tipografo entusiasta del 1.º maggio, che, appena vedutomi,
schizza via dalla panca e si slancia sulla pedana verso di me, mentre
la testa bruna, voltandosi curiosamente, mi mostra un adorabile
visetto di diciott'anni, tutto vermiglio di passione, nel quale par
che scintillino non due, ma dieci occhi. — Eccomi qui. Buon giorno. Che
bella giornata! Ebbene, che ne dice del Congresso di Londra? Ha veduto?
La maggioranza, insomma, ha accettato il programma socialista.... — Ma
io capii di volo che non veniva da me per gli affari dell'Inghilterra.
E infatti, dopo avermi domandato chi fossero i _Fabiani_, non stette
a sentir la risposta e m'annunziò d'un colpo il suo matrimonio.
Era sposo da un mese e sette giorni; non disse le ore. — Ah! ma non
creda — s'affrettò a soggiungere — io sarò sempre lo stesso.... è
una donnina di testa, sa. — E mi disse tutto. Era una lavorante in
maglierie, istruita, che aveva fatto i primi due anni della Scuola
professionale; s'eran conosciuti l'inverno passato al _Nazionale_,
dov'essa era andata con suo padre a sentire una conferenza sul lavoro
delle donne e dei fanciulli; la madre di lui era stata un po' incerta,
da principio, per via delle _idee_ della ragazza; ma aveva finito con
dir di sì, innamorata anche lei del visetto. Oh, egli la conosceva,
e n'era ben sicuro. Non era di quelle che fanno le socialiste per
il matrimonio, e poi, acchiappato il marito, ripiegano la bandiera,
e addio conferenze, addio oblazioni, addio riunioni. C'erano delle
idee nette e ben piantate in quella piccola testa; era una compagna
di coscienza e di cuore. Se fossero state tutte così non si sarebbero
visti tanti compagni che giravano nel manico dopo aver fatto il passo
al Municipio. E continuò a tesserne l'elogio lanciandole delle lunghe
occhiate azzurre, che la misuravano amorosamente dalle tre cardenie
del cappellino ai due piccoli tacchi neri luccicanti sotto la panca.
Poi, parendogli d'aver troncato troppo alla leggiera il primo discorso,
si rifece serio per calcolare che al Congresso i centottantacinque
delegati delle _Unioni dei mestieri_ rappresentavano su per giù
ottocentomila soci organizzati, mentre gli altri trecento delegati
inglesi non ne rappresentavano forse duecentomila.... Ma che! Io vedevo
bene che c'era un'altra _unione_ che in quel momento gli premeva assai
di più di quelle di cui discorreva, e, pietosamente, gli apersi la
via d'uscita che cercava, avvertendolo che stavano per prendergli il
posto. E in un attimo egli si ritrovò seduto accanto alla sua bella
socialista, con la quale riprese a solfeggiare il duetto interrotto,
sorridendo alla gente, alle case, agli alberi, al sole. Oh i buoni
borghesi che guardavano con simpatia quel bel ragazzo innamorato e
felice, erano ben lontani dal pensare ch'egli appartenesse a quella
setta orribile che vuole fra gli altri istituti, com'essi dicono,
quello della “_moglie in comune_„. Con che immonda gente ci mette in
promiscuità, a nostra insaputa, la carrozza di tutti!
*
All'influsso amoroso succedette sul tranvai un influsso maligno. Ahimè!
S'ha un bel fuggire per le strade senza toccar la terra e non guardando
da alcuna parte: la miseria, la sventura, il dolore c'inseguono,
ci raggiungono anche su quelle tavole fuggenti e ci costringono a
guardarli in viso. Fu come uno schianto di fulmine fra tutta quella
gente allegra che riempiva la giardiniera della linea Ponte Isabella.
Il povero cocchiere scherzava e rideva con un amico ritto al suo fianco
quando, arrivato in piazza Carlina, nello stringere a tutta forza
il freno per non urtare in un carro, si lasciò sfuggir di mano il
manubrio che, girando rapidissimamente, lo colpì nel costato destro e
lo gettò riverso fra le braccia dei passeggieri, bianco come un morto.
Fu creduto morto, scoppiò un grido, tutti s'alzarono, una signora
svenne, dei bimbi si misero a piangere, accorsero il fattorino e una
guardia, alcuni passeggieri discesero, e pigliandolo per le spalle e
per le gambe lo calaron giù come un cadavere e lo portarono a traverso
alla piazza verso la farmacia più vicina. Il passaggio istantaneo di
quell'uomo dall'espressione della forza e dell'allegrezza a quella
immobilità molle e cascante di tutte le membra che aveva l'apparenza
della morte, destò prima nei presenti un senso di terrore che imbiancò
tutti i visi, come se tutti comprendessero in quel punto per la prima
volta la fragilità miseranda della vita; e poi una grande pietà, che
l'accompagnò con un mormorio doloroso fin che disparve in mezzo a una
folla spintagli intorno da quella curiosità frenetica delle disgrazie,
che è uno dei segni più odiosi di quanto rimane nell'uomo civile della
barbarie antica. Uno solo dei passeggieri, un omuccio secco e grigio,
dal viso itterico, con gli occhiali affumicati, alzò la voce fra quel
mormorio di pietà, sforzandosi invano di colorire di questo sentimento
il dispetto messogli in corpo dalla scossa violenta che gli aveva
sconvolto i nervi. O povera natura umana, quando ti cade la maschera!
A sentirlo, pareva che il colpo l'avesse avuto lui. — Ci mancava
questa! — esclamò con voce acre e tremola. — Un bel momento che ci
fa passare! Benedetta gente, sempre sbadata, che rischia la vita....
Guardate se debbono accadere di queste cose.... Un uomo rovinato! E
poi.... lo spavento dei passeggieri. Eh sì, fa pena anche a me; come
no? Ma facciano attenzione, in nome di Dio, anche per riguardo al
pubblico.... Pare che se le cerchino.... Un giorno è uno scontro, un
altro è il freno.... Ce n'è sempre una.... Non è più un servizio....
Non è più un vivere questo.... Oh santa pazienza benedetta!... —
Sopraggiunse il controllore, e ritornò un momento dopo il fattorino; il
quale, pigliando le redini, annunciò che il cocchiere si riaveva. Tutti
respirarono, il tranvai ripartì; ma il signore dagli occhiali scuri
restò imbronciato. E si capiva perchè: il triste caso l'avrebbe forse
impietosito, invece d'irritarlo, se fosse seguito tre ore prima; ma
era l'ora del desinare, e l'appetito, per quel giorno, era perso senza
rimedio. — Ah tristo animale! — gli dissi in cuor mio. Ma queste parole
mi svegliaron dentro un'eco inaspettata; l'eco d'una voce severa che mi
domandava se c'era al mondo un uomo, il quale, riandando la sua vita,
non trovasse d'esser stato qualche volta irritato, non impietosito
dalla sventura d'un suo simile, per la stessa misera, vile, disonorante
ragione.... E quella voce mi fece abbassare la fronte.
*
Così è: come dalla faccia placida e azzurra del mare spuntano qua e là
teste deformi di pescicani e tentacoli orrendi di polipi, così per le
vie della città dalla lieta pace della vita ordinaria erompono a quando
a quando improvvisi la violenza, la barbarie, il delitto, la morte, a
rammentarci che sotto all'ordine e all'armonia apparente della civiltà
infuria la lotta eterna delle passioni e delle forze nemiche. È l'ora
della siesta; il tranvai va a rilento sotto il sole, per una strada
solitaria, tirato da due cavalli in sudore, che par che s'assopiscano
al suono cadenzato e pesante del proprio passo; una lavandaia
tarchiata, seduta in fondo, si appisola sopra una bracciata enorme
di biancheria che le preme il ventre; accanto a lei un giovanotto di
dubbia eleganza, inanellato e infiorato, dorme col capo ciondoloni sul
petto e la sigaretta spenta fra le labbra; tutti gli altri tacciono; il
fattorino sonnecchia; parlano soltanto due vecchietti, seduti davanti a
me, che commentano senza fine, con voce monotona, l'ultima estrazione
del lotto. A un tratto, in mezzo a quella quiete narcotica, scoppia
un grido selvaggio: — Ladro! Ladro! T'ho visto! Sei tu! Rendimi i miei
danari! — e voltandoci, vediamo il giovane della sigaretta dibattersi,
pallido, fra le braccia poderose della lavandaia che l'ha agguantato
con una mano alla strozza e cerca di cacciargli l'altra in una tasca
del soprabito, seguitando a urlargli sulla faccia: — Ladro! Ladro!
Sei tu! Rendimi i miei danari! — Il cocchiere ferma, il fattorino
accorre, altri s'interpongono, la donna è spinta in là, il giovane è
afferrato, parecchie mani lo frugano, il portamonete vien fuori....
— Aaaaah! — grida la donna con un riso feroce di trionfo. Il ladro,
col capo scoperto e i capelli arruffati, bianco e stravolto, cessata
ogni resistenza, cerca intorno con due occhi stupidi il cappello
caduto e con un moto meccanico della mano libera si tasta la cravatta
snodata.... fin che sopraggiunge una guardia civica, che fa scender lui
e la donna, e il gruppo s'allontana dalla parte opposta al tranvai, che
riprende la corsa, mentre s'affaccia gente a tutte le porte e da tutti
i canti accorrono ragazzi. Dire che in tanti anni da che sono al mondo
non avevo mai visto acciuffare un ladro in flagrante! Quello spettacolo
mi rimescolò il sangue come se non mi si fosse mai presentato neppure
all'immaginazione. — _Baloss!_ — udii gridare intorno a me. — Brigante!
— Canaglia! — E per un tratto di strada feci eco in cuor mio a quelle
invettive; ma sempre più fiocamente, via via che la scena avvenuta mi
s'andava tramutando al pensiero in un'altra; nella quale la donna era
rappresentata dall'immagine dell'Italia e il giovane da un personaggio
coperto di nastri e di croci; ma con queste circostanze diverse: che
nella mia visione i vicini voltavano la testa dall'altra parte per non
dar noia al ladro, e i lontani s'inchinavano, e la guardia gli faceva
il saluto con la spada.
*
E ancora il malo influsso, ancora un incontro triste, sul tranvai della
linea Vinzaglio, in via Roma: il mio buon Giors, che non guarda più
le botteghe dei salumai, che non fischia più l'aria della _Carmen_,
che non sorride più, che ha un altro viso, ch'io non gli vidi mai, e
una voce che non riconosco. Tra una fermata e l'altra, lentamente, con
un accento triste e sempre eguale, come se parlasse a sè stesso, egli
mi discorre di sua moglie malata che “prende una cattiva piega„ e lo
tiene in affanno. Anche questa mattina essa gli disse: — Va, Giors,
va tranquillo, tutto andrà bene. — Ma egli non ne è punto persuaso e
dice di no, con un dondolio del capo continuo. Ieri il medico fece una
brutta faccia, una faccia.... che egli non avrebbe voluto vedere. — E
quando penso! — esclama, voltandosi verso di me. — Una donna che non ce
n'è un'altra. Non è il caso di vantarsi, capirà bene; ma quello che è
giusto.... Levata la mattina alle quattro, tutta la giornata al lavoro,
la sera su fino alla sant'ora, a aspettarmi con l'ago alla mano.... E
mai un capriccio, mai un soldo male speso, mai un pensiero per sè, mai,
mai un dispiacere che m'abbia dato. Ma che dispiacere! Mai una parola
che è una parola non c'è stata fra di noi.... — E dopo una pausa: — E
cosa faccio io se mi manca?
E dopo una girata di freno: — Già, e cosa faccio io se mi manca?
E non serve fargli animo; egli segue il corso dei suoi pensieri senza
badare alle mie parole, esclamando di tratto in tratto, con accento
di profonda pietà per sè stesso: — Ah, povero Giors! — Quello che
lo tormenta di più è di dover restar lì al freno mentre essa è là,
senz'assistenza, a rodersi l'anima perchè la casa è in disordine e
i piccini son per la strada e lui non troverà pronta la colazione.
— Eppure, come si fa a perder la giornata? Come si fa? Bisogna ben
mangiare, prima di tutto! — E ripete dopo un po', come se avesse
scoperto allora quella verità: — Già, bisogna ben mangiare.
E poi riprende l'elogio della moglie, ricorda atti suoi di bontà,
sacrifici fatti per la famiglia. Anni sono, quando egli era senza
impiego e senza aiuti, e avevano già un bimbo di due anni, che
stentavano a nutrire, una sera, rientrando in casa con un po' di legna
che era andata a prendere alla parrocchia, la povera donna vacillò
e gli cascò quasi fra le braccia. — Cos'hai? — le domandò. Si mise a
ridere: era passata da Catlinin, una sua amica che teneva un banchetto
di liquori, e, invitata a bere, ne aveva mandato giù un sorso di
troppo. — Ah, non è vero! — disse lui; — fa sentire il fiato. — Che!
niente. — Tu hai digiunato! — E allora a lei era scappato da piangere.
Non aveva mangiato in tutto il giorno per empire il marmocchio. — Ma se
ci fu verso di farglielo dire!... No, non ce n'è un'altra compagna. Ah,
povero Giors!
In quel punto fermò per lasciar salire un signore e rimise subito i
cavalli in moto. Ma quegli strepitò e fece rifermare: — Ma non vede,
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