La Carrozza di tutti - 25

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quante vergogne! Ma qui seguiva una lotta nell'animo mio. Dietro la
faccia bestiale di Tempesta martirizzatore dei cavalli s'alzava il viso
onesto e buono di Giors, che mi diceva sorridendo: — Hai conosciuto
me solo; ma ci sono molti altri Giors, te lo assicuro. — Mi sorgeva
davanti Desbottonass, abbrutito e inferocito dall'alcool, e dietro
a lui una schiera d'altri briaconi suoi pari; ma subito si cacciava
tra me e la sua immagine l'operaio lattoniere, che mi accennava una
folla d'amici suoi, ai quali brillava sulla fronte, come a lui, una
dignità nuova, il raggio della vita intellettuale, l'ardore d'un
santo e infaticabile apostolato di civiltà, d'amor fraterno e di
pace. Mi veniva innanzi uno stuolo di signore e di signori orgogliosi,
sdegnosi del contatto del popolo e spiranti in ogni atto un disprezzo
insultatore della miseria e provocatore dell'odio; ma al momento
stesso lo stuolo s'apriva per lasciarmi vedere la dolce signorina
bionda, intenerita e altera di sorregger con la spalla la testa
grigia del vecchio muratore svenuto. Mi rivedevo di fronte il ricco
egoista ed esoso, incredulo della fame, calunniatore della povertà,
lesinatore arrabbiato del centesimo; ma m'appariva accanto a lui la
buona famiglia borghese, impietosita dal dramma, che accarezzava il
visetto nero e ficcava il gruzzolo in tasca allo spazzacamino. Mi si
rizzava in faccia la persona tronfia di Tintura Migone, il negriere
fallito, insolente con gli umili, prepotente coi deboli, aborritore
dei bambini; ma spuntava al di sopra dei suo capo il viso ardente,
copriva il suo brontolìo la santa voce di donna Chisciotta, che mi
diceva: — Ci son io, e valgo io sola un esercito di costoro! — Poi da
capo m'avvolgeva una folla di superbi, di sordidi, di depravati, di
vili, che mi schernivano e mi dicevano: — Che cosa sogni, imbecille!
Il mondo siamo noi —; e un'altra volta accorrevano donna Chisciotta e
Giors e la signorina bionda e il lattoniere e gli sposi di San Donato
e il tipografo dalla testa d'oro, e mi dicevano tutti insieme: — No,
quelli non sono il mondo come non sono il cielo le nubi nere, se anche
lo coprano intero. Spera in noi, credi in noi, confortati in noi;
noi siamo le avanguardie d'un'umanità bella; noi abbiamo l'avvenire
sulla fronte e la vittoria nel cuore; sarà nostro il regno del
mondo.... —
Fui un'altra volta interrotto; il tranvai si fermò; riconobbi nella
nebbia l'obelisco dei ribelli del 1821: eravamo in piazza San Salvario;
salirono altri passeggieri; si ripartì.
Allora la stanchezza mi vinse, chiusi gli occhi, mi sentii salire
il sonno al cervello, e rimasi non so quanto in uno stato come di
dormiveglia febbrile, agitato da immagini vivacissime. Vedevo a
traverso ai vetri del carrozzone la strada rischiarata da torrenti di
luce bianca, corsa da una moltitudine fitta di carrozzoni luminosi e
di enormi carri sovraccarichi, non più tratti da cavalli, di carrozze
d'ogni grandezza e d'ogni forma, mosse da una forza occulta, che
s'incrociavano e s'incalzavano rapidissimi, come nella previsione
confusa del vecchio fabbro, amico del lattoniere; e pensando al
tempo in cui le vie risonavano di schiocchi di frusta e di grida di
carrettieri e di cocchieri, mi pareva che fosse un tempo remotissimo,
del quale serbassi appena la memoria. Guardavo il tranvai che mi
portava, ampio e elegante come una sala, e la gente che lo riempiva
mi pareva anch'essa mutata. Erano diversamente vestiti; ma non più con
grandi differenze, come se i signori e i poveri si fossero ravvicinati,
quelli discendendo e questi salendo a una mediocrità decorosa; e non
vedevo più nei modi un contrasto di volgarità e di gentilezza, ma
una garbatezza uniforme, meno manierata della presente, una cortesia
dignitosa e semplice, senz'alcun indizio di ostentazione o di sforzo. E
alcune cose mi riuscivano strane e mi facevan pensare. Due passeggieri
in faccia a me discorrevano d'amministrazione comunale, e mi stupivo
che parlassero così familiarmente, vedendo che l'uno aveva le mani
delicate e bianche e l'altro due grosse mani brune di lavoratore, e
più sentendo che il primo diceva: — Quando apersi la seduta.... — e
che l'altro gli faceva in accento di rimostranza delle osservazioni
a cui egli prestava un'attenzione viva e rispettosa, come da pari a
pari; e mi sembrava d'aver visto quei due visi lungo tempo addietro,
come nei primi anni della mia infanzia. Così non mi riusciva nuovo
il viso del conduttore in bella divisa, che ogni tanto vedevo di
profilo sulla piattaforma, nell'atto d'avvertire garbatamente quei
che scendevano di badarsi dalle carrozze che passavano; e mi destava
una vaga reminiscenza l'aspetto d'un ragazzino seduto in un angolo,
con un fascio di libri sotto il braccio, lindo e sorridente; e
domandai a me stesso: — Dove ho visto costui? — vedendo un operaio
che smise di leggere il giornale e s'alzò rispettosamente per cedere
il posto a una vecchietta ben messa, che entrava salutando tutti con
un sorriso, e che mi fece anch'essa l'impressione d'una conoscenza
antica, ma dimenticata da molt'anni. Poi, a poco a poco, spuntò nella
mia memoria come un raggio, che rischiarò quei visi l'un dopo l'altro.
Nei due che parlavano degli affari del Comune riconobbi il sindaco
di Torino e il falegname propagandista, il conduttore era Tempesta
rincivilito, il ragazzo era lo spazzacamino redento, l'operaio del
giornale, Desbottonass, rigenerato, e la vecchietta ultima entrata, la
madre del soldato, rifatta. E quel contrasto fra le immagini antiche
e quella novità degli abiti, dei modi, degli sguardi, degli accenti,
che rispondeva a una mia vaga e ardente speranza del tempo passato,
quando a sperar quelle cose s'andava in carcere, mi riempiva il cuore
d'una dolcezza inesprimibile, d'una gioia che mi mandava agli occhi
le lacrime. E avevo bisogno di sfogarmi, di far festa con gli altri,
di gridare: — Non era dunque un sogno, no! Com'è bello! E come s'è
potuto credere un sogno? — e stavo per fare il mio sfogo con uno
sconosciuto mio vicino, quando questi mi prevenne afferrandomi una mano
e sciamando: — No, non era un sogno; ed è bello, sì; e come ho potuto
creder questo una follia scellerata? — Mi voltai, vidi due occhiali e
una barba a pizzo: era Guyot!
Ma la mia esclamazione di maraviglia e il sogno con essa furono rotti
da un _alt_ vigoroso, che risonò nel tranvai, e che mi svegliò come
un pugno. Apersi gli occhi e riconobbi nella nebbia il corso Vittorio
Emanuele, dove avevo da scendere per andar a pigliare il tranvai di
corso Vinzaglio, che m'avrebbe portato in piazza Statuto. Trovai a
stento un po' di posto sulla piattaforma davanti affollata, dove
salirono ancora, all'imboccatura di via Roma, altri due; uno dei
quali rimase sul predellino, in barba al regolamento, con una gamba
spenzoloni, come un acrobata sopra un trapezio.
Eran tutti cappottoni di buon panno, tube lustre, “risotti„ freschi,
baffi arricciati, caramelle luccicanti, tutta gente per bene, eccitata
dal pensiero allegro della cena di mezzanotte, e anche dal solo
pensiero della fin dell'anno; chi sa perchè? e ridevano di quel pigia
pigia, cacciandosi a vicenda dei nuvoli di fumo nel naso, negli orecchi
e nella nuca, e domandandosi scusa l'un con l'altro delle fiancate
e delle pestate di calli, con una familiarità da veglione. Di tratto
in tratto il tranvai si fermava per lasciar discendere o salire una
signora; e allora raddoppiava il buon umore e il chiasso, dovendo
saltar giù quattro o cinque per aprirle il passaggio, e sforzandosi
gli altri per far rientrare i petti e le pancie; non tanto però da non
sentire il contatto morbido dei mantelli e dei manicotti e i profumi
delicati delle capigliature, che facevano scintillare gli occhi e
dilatare le nari. E così si percorse il primo tratto di via Roma,
si passò accanto a Emanuele Filiberto grandeggiante nella nebbia e
s'infilò la strada tra piazza San Carlo e Piazza Castello. Qui, per
lasciar passare un grosso signore che scendeva, girai sui talloni e
mi trovai davanti, quasi a naso contro naso, nella piena luce d'una
lampada elettrica, _Siapure_; il quale aperse gli occhi e la bocca con
quella particolare espressione di brusco stupore che suol provocare
l'apparizione inaspettata d'un nemico, e che io sentii riflessa nello
stesso punto sul mio viso. Fu un momento solo, che mi bastò a dir tra
me: — Tocca a lui, poichè lo mandai a salutare dalla figliuola, — e
un impulso brutale dell'orgoglio mi fece girar di nuovo su me stesso,
voltandogli le spalle; pentito dell'atto, peraltro, avanti che fosse
compiuto. — Ah, impostore! Non era dunque sincero il saluto alla bimba
se non hai osato di ripeterlo al padre! — Ma era troppo tardi, dopo
quell'atto. — È finita, dunque, — pensai — fuggita quest'occasione, non
se ne offrirà un'altra mai più; resteremo nemici per sempre! O miseria
dell'anima mia!
— Edmondo, — sentii dire in quel punto da quella voce, che da tanti
anni non avevo più intesa.
E allora mi voltai di scatto, gli misi un braccio intorno al collo
e lo baciai sul viso; egli fece l'atto stesso, e mi rese il bacio. E
restammo un momento così, col respiro oppresso, senza poter parlare.
C'era lì sulla piattaforma il controllore colosso, l'ex carabiniere,
che ci lanciò un'occhiata severa, non parendogli forse regolare
una scena simile sopra un tranvai in servizio. Ma Siapure non se ne
accorse; aveva gli occhi umidi, il mio buon Siapure. Mi strinse ancora
una mano fra le sue; poi diè uno strappo alla correggia del campanello,
dovendo scendere.
— Voglio rivederti domani, — gli dissi.
— Verrò da te con la bimba, — rispose.
E discese. Sentii una grande contentezza; ma fu breve, chè subito vi
succedette un sentimento amaro di commiserazione per me stesso. O Dio
buono! E c'eran voluti tanti anni per fare una cosa così semplice, così
ragionevole, così buona per tutti e due!
Ma mi distrasse Giors, al quale mi trovai daccanto, essendo scesi
tutti gli altri in via Garibaldi. Era allegro; gli piaceva la nebbia,
che secondo non so quale sua teoria fisiologica “rinforza l'uomo„
e lo stuzzicava la vista dei buoni bocconi esposti nelle vetrine
illuminate dei salumai. Mi parlò con molte esclamazioni ammirative d'un
tacchino in gelatina che aveva visto in via Roma. Ah, sacrista! che bel
bestione! che maraviglia! una rotondità di mappamondo di cavalla, una
bianchezza di latte dentro a quell'oro, tre chilogrammi di ben di dio,
una tentazione che non se la poteva levar dalla mente, che gli ballava
davanti agli occhi per la strada, e la bocca gli faceva acqua come
una fontana. E rideva, dicendo questo, e faceva la gobba come se quel
ben di dio l'aspettasse alla barriera di Francia, sul piccolo desco
dei lupicini; al quale nemmen quella sera, pover'uomo, non si sarebbe
potuto sedere. Ma troncò quel discorso per fare i suoi complimenti
a una giovine bambinaia che salì sulla piattaforma, con una bellezza
di bimba in braccio, d'un anno al più, bionda come il sole, colorita
come una pesca, vestita d'una cappottina azzurra elegantissima, tutta
guernita di pelo bianco sopraffino, che le faceva come una corona di
gelsomini intorno al viso incappucciato. Giors si voltò indietro per
aprir l'uscio; ma la ragazza gli accennò di no, che non s'incomodasse:
la bimba era capricciosa, non voleva star dentro ai carrozzoni; guai a
portarcela; le piaceva star sul davanti a veder correre i cavalli; non
era ancor di sei mesi, che già aveva manifestato risolutamente quella
volontà. E detto questo, rimase accanto a lui, tenendo la bimba su,
col capo all'altezza del suo, tanto accosto che quasi si toccavano.
La vicinanza di quella bimba eccitò Giors fuor di modo. Diede in una
risata enorme. — Ah, la bella _totina_! Lei vuol star fuori, vuol
stare; vuol star qui accanto a Giors; non ha mica paura dei suoi
grossi baffi da spaventapasseri. Ah, che amore di creatura! È l'amica
dei cocchieri, lei. Ecco una signorina che sa stare al mondo! — E
chinando il viso verso di lei, godeva a far scorrere la guancia sulla
guarnizione bianca e morbida del suo cappuccio, e rideva, esclamava,
la guardava negli occhi con la dolcezza d'un padre e l'allegria d'un
fanciullo.
Non m'era mai parso tanto buono come mi parve in quel momento, mai
tanto retto e sano il suo sentimento della vita; mai non avevo compreso
così chiaramente da quali pure e profonde sorgenti di bontà innata
derivasse la sua allegrezza, il suo coraggio, la sua energia al lavoro,
l'amabile e forte serenità della sua anima onesta.
— Ah, la mia bella _totina_! — continuò a esclamare. — Guardate che
begli occhietti azzurri e che botton di rosa d'una bocca! Che pan di
burro! Ecco una ragazza che troverà marito anche senza dote! Parola
d'onore, se non n'avessi già tre, ne vorrei aver una compagna....
Ed eravamo già in piazza Statuto, tutta grigia di nebbia, ch'egli
seguitava a fare le sue dichiarazioni d'amore. Lo pregai di fermare;
fermò, e mi disse con la sua voce cordiale: — Buon anno, monsù!
— Buon anno, Giors! — gli risposi.
Egli parve colpito dall'accento con cui gli feci quel saluto. Mi
guardò, e poi mi rispose la parola che da molto tempo ripeto sempre,
e che mi pare la più dolce e la più sapiente delle parole umane: —
Speriamo!
Sì, mio buon Giors: speriamo!

FINE.


INDICE

CAPITOLO PRIMO
(pag. 1 a 30).
_Gennaio._
La prima idea del libro. — I due amanti di Borgo S. Donato. —
La nevicata. — Giors il cocchiere. — Il dilettante di tranvai.
— Cocchieri e fattorini. — La vecchia di Pozzo di Strada. —
La _vergine morta_. — Il mio nemico. — Il fattorino Carlin e
la politica africana. — H cavaliere Bicchierino. — Studi sui
passeggieri. — L'ultimo impulso. — I due bambini.
CAPITOLO SECONDO
(pag. 31 a 79).
_Febbraio._
Il pittore e i gelosi. — La linea di Nizza. — Il cocchiere
Tempesta. — Lei, voi e tu. — I prepotenti. — Carlin. — Gli sposi
inglesi. — I cavalli. — Hop! hop! — Una corsa fortunata. — Il
poeta. — Siapure. — Politica brilla. — Ah! che politicon! — Le
giardiniere. — Il biciclista e la _vergine morta_. — La donnina
intrepida. — Il carnevale. — La vecchietta addolorata. Agitazione
elettorale. — Il falegname socialista.
CAPITOLO TERZO
(pag. 80 a 112).
_Marzo._
Abba Garima. — La mente di Carlin. — Il veterano e il suo cane. —
Sposi! — Un convegno sul tranvai. — Il bel capitano. — La linea del
Valentino. — La linea di Borgo Nuovo. — Chisciottina. — Il pittore
che cerca moglie. — L'invasione della _réclame_. — Giors e la madre
del soldato. — La madre del soldato. — Prime aure di primavera. —
Le comunicande.
CAPITOLO QUARTO
(pag. 113 a 155).
_Aprile._
_Il cocchiere marchese._ — La studentessa di medicina. — Il buon
travet. — I tranvai della domenica. — Tintura-Migone. — Taddeo e
Veneranda. — Desbottonass. — Tempesta affamato. — Tempesta punito.
— Il cuore di Giors. — I liberati dal carcere. — Una disgrazia. —
Quistione di colori. — Mancanza di pudor sociale. — La civetta. —
Caramella rifiutata. — Passaggio d'ammanettati. — Il lattoniere e
il capomastro. — Guyot. Macchiette varie. — A che ora, stasera?
CAPITOLO QUINTO
(pag. 156 a 193).
_Maggio._
_Primo Maggio._ — Il tipografo biondo. — Una per uno. — Discorsi
intesi a frullo. — Il mercato. — Il capitano e la signora. — Il
veterano felice. — Il mio piccolo raccomandato. — La protettrice
del cocchiere. — Donna Chisciotta trionfante. — Gelosia coniugale.
— Il pittore, avvocato delle studentesse. — Il terzo aspettato. —
La questua per i prigionieri. — Il fattorino bastonato. — L'operaio
ubbriaco. — Il litro e la bottiglia. — Simpatie. — L'incontro dei
due amanti.
CAPITOLO SESTO
(pag. 194 a 242).
_Giugno._
Le teste del prossimo. — I cappellini delle signore. —
Inconvenienti dei tranvai. — La festa dello Statuto. — I primi
calori. — La signora e l'erbivendolo. — Le tre coppie. — Una
corsa tempestosa. — L'amante del _marchese_. — Uno scandalo. —
La punizione del tiranno. — Il falegname e la studentessa. — La
colazione di Giors. — Per la _Torinese_ e per la _Belga_. — Il
malato. — Personaggi comici. — Il fattorino dantista. — La piccola
convalescente. — Avanti! — La bambina di _Siapure_. _Desbottonass_
intenerito.
CAPITOLO SETTIMO
(pag. 243 a 281).
_Luglio._
Gli esami. — L'uscita dai teatri. — Il terzo incomodo. — Quadretti
di Torino. — Effetti del cattivo tempo. — Eterno femminino. — Le
malinconie del pittore. — Le figlie di Borea. — Visi antipatici.
— Il reduce dall'Affrica. — I sette peccati capitali. — Il
fattorino conte. — La fuga delle botteghe e degli annunzi. —
Carlin e l'amore. — Amor materno. — Gratitudine briaca. — _Vado
alla direzione!_ — Visioni dell'avvenire. — Aria e acqua. —
Scoraggiamento e speranza.
CAPITOLO OTTAVO
(pag. 282 a 319).
_Agosto._
Grulli ed ingenui. — Il tranvai nuziale. — Il ritratto della
principessa. — La mano della _vergine_. — Il peccato e l'innocenza.
— Precetti utili. — Fra due fuochi. — L'amore muto. — L'inseguita.
— Il tipografo sposo. — Il cocchiere ferito. — Al ladro! — La
moglie di Giors. — Vecchie conoscenze. — Bicchierino in licenza. —
Bicchierino e lo sciopero. — Il muratore svenuto. — I tranvai e la
pinguedine.
CAPITOLO NONO
(pag. 320 a 360).
_Settembre._
I reduci dalla campagna. — Il trionfo della bimba di Taddeo. — Il
pittore innamorato. — La _colonia alpina_ di donna Chisciotta.
— Gli sbeffatori dei villeggianti. — Il veterano felice. — La
_musoneria settembrina_. — Alla barriera di Lanzo. — L'ubbriaco e
il dantista. — I passeggieri solitari. — Confusione d'idee. — Le
vecchie dell'Ospizio. — Il falegname e l'albero. — Le biciclette.
— La famiglia di Tempesta. — I ribelli al Galateo. — Fra conte e
borghese. — _Suor Teresa._ — Amore morto. — Notte estiva. — _Saluta
tuo padre._
CAPITOLO DECIMO
(pag. 361 a 394).
_Ottobre._
Il controllore colosso. — La povera vecchia. — Giors e le ostriche.
— Un biglietto di cento lire. — Il pretino forestiere. — Galileo
Ferraris. — Fenomeni d'elettricità erotica. — I saltatori — Il
cav. Bicchierino e il socialismo municipale. — La bugiarderia.
— La vendetta di Guyot. — Le foglie secche. — La linea del ponte
Isabella. — Pensieri d'autunno. — L'amico della scuola di Modena. —
Busse in tranvai. — L'operaio della caramella e il suo bimbo.
CAPITOLO UNDECIMO
(pag. 395 a 431).
_Novembre._
Il giorno dei santi. — Il giorno dei morti. — Una moribonda. —
L'ultima uscita del veterano. — Il poeta umiliato. — Desbottonass,
finito! — Giacolin ritorna. — La vecchia ringiovanita. — _Bambino
e belva._ — La donna con la maschera. — L'ultima apparizione di
Chisciottina. — L'uomo spauracchio. — Una bella torinese. — Gli
effetti d'un dramma. — La _vergine morta_ fidanzata. — Il segreto
del pittore. — La bimba è morta.
CAPITOLO DODICESIMO
(pag. 432 a 472).
_Dicembre._
Tempesta nella neve. — L'ultima sfuriata di Carlin. — _Siamo
in troppi!_ — Il sindaco incognito. — Torino nella nebbia. — I
Torinesi. — Gli sposi socialisti. — Considerazioni sul matrimonio.
— La propaganda per le tasche. — Come s'innamorò il pittore.
— Fra due carabinieri. — Il giorno di Natale. — È venuto! —
L'ultima corsa. — Una visione. — Un sogno. — Il risveglio. — La
riconciliazione. — Buon anno!

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