La Carrozza di tutti - 07

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schizzasse il ritratto delle sue passeggiere. Se ha un'innamorata della
sua condizione, la povera ragazza dev'essere terribilmente gelosa al
pensare che, mentre essa è a casa o in bottega al lavoro, lui se la
scarrozza in mezzo alle gale e ai profumi del bel sesso, distribuendo
scontrini e sorrisi e accogliendo ogni soldo come un fiore, e deve con
l'immaginazione inquieta far sulla linea tutte le corse regolamentari,
sospirando il fanale bianco dell'ultima, come un segnale di
liberazione.
*
Sulla stessa linea del Valentino, questa mattina, nell'atto che facevo
fermare il tranvai, uscendo di casa del mio amico, rividi finalmente
la “vergine morta„ che dal febbraio non avevo più ritrovata. Sedeva
sull'ultima panca della giardiniera: bianca, serafica, impassibile
come sempre, spiccante fra le altre signore come una madonna del
Fiesolano in mezzo alle figurine d'un giornale di mode. Standole
dietro ritto sulla piattaforma potei ammirare da vicino la ricchezza
dei suoi finissimi capelli castagni, sotto la quale s'inchinava, come
sotto un peso soverchio, il suo collo bianco e delicato; così bianco
da far pensare che il bacio d'un bimbo v'avrebbe lasciato una traccia
purpurea, così delicato da parer che una leggerissima stretta delle
dita sarebbe bastata a soffocarvi la vita. Aveva sulle ginocchia non
so che di rotondo, rinvoltato in un foglio della _Stampa_, e lo teneva
fermo con una mano sottile e nivea come il suo collo; la quale non vi
doveva pesar su più di un petalo di giglio. Il suo lungo corpo leggiero
non aveva un fremito, come se per lei non fiorisse la primavera, come
se la sua natura angelica fosse insensibile al mutare delle stagioni;
nè le sue guance dalla linea purissima erano più colorite in quel
tepore d'aprile che non fossero nelle giornate rigide dell'inverno; e
non uno dei suoi capelli di seta si agitava sulle sue tempie fresche
di bambina, benchè l'aria si movesse; e quieti come i suoi capelli
erano senza dubbio anche i suoi pensieri. L'osservai per un pezzo,
e mi riprese più acuta la curiosità di saper chi fosse, poichè non
riuscivo a immaginare alcuno stato o occupazione o scopo delle sue
corse che convenisse al suo aspetto tanto dissimile da ogni altra forma
di fanciulla ch'io avessi veduta mai. E anche stamani cercavo con la
fantasia, e tutto quanto trovavo mi pareva discordante, impossibile
a conciliarsi con quel freddo candore, con quella serenità di cielo
d'inverno, con quell'apparenza di ignoranza claustrale o di sovrana
indifferenza pel mondo. Il mio pensiero non riposava che immaginandola
come m'era apparsa la prima volta, coronata di rose e ravvolta in un
velo bianco, distesa sopra un feretro, con le braccia incrociate e
un sorriso sulle labbra, rivolto a un mondo sovrumano. Ebbene, mentre
così l'immaginavo, in un momento che il tranvai, sboccando sul corso
Vittorio Emanuele, faceva un sobbalzo, l'involto ch'essa aveva sulle
ginocchia si schiuse, e la corrispondenza strana, quasi miracolosa di
quello ch'io vidi con quello che immaginavo, mi diede un brivido di
terrore.
Era un teschio.
Il mistero era svelato; ebbi come una visione istantanea di lei in
mezzo agli orrori d'una sala anatomica, e rimasi come trasognato; la
verità era l'ultima cosa a cui avessi mai potuto pensare. Studentessa
di medicina!
*
È scritto: non riuscirò mai, mai a conquistare il cuore del cavalier
“Bicchierino„. Quest'oggi gli sono caduto in disgrazia da capo. L'avevo
accanto sul tranvai, in via Garibaldi, alla solita ora della mattina.
Anche sulla giardiniera, come nel carrozzone chiuso, se non trova
libero il posto a sinistra della panca in fondo, piuttosto di sedersi
da un'altra parte, egli rimane in piedi sulla piattaforma. Avevamo in
mano tutti e due la _Gazzetta del Popolo_. Io ritardai la lettura per
ammirare la pacatezza e la precisione meccanica con la quale, dopo
letto la prima pagina, per legger l'altra senza tagliare, egli ripiegò
il foglio di mezzo e fece scorrer le dita sulla piegatura, e poi piegò
un'altra volta il foglio intero, e corresse anche la seconda piegatura
con la mano aperta e lenta, premendosi il giornale sul petto come una
cosa sacra. E mentre faceva quel lavoro, lo vedevo nel suo ufficio
fare ogni mattina quegli stessi passi contati, riporre sempre la penna
allo stesso posto, appuntare il lapis ogni tanti giorni a quell'ora,
uscire ogni giorno a quel dato minuto preciso, e pensavo che i suoi
pensieri si succedevano e si riproducevano certamente con lo stesso
ordine e la stessa lentezza, e che doveva essere un'immagine della sua
mente la sua casa assestata e lucida di buon _travet_ torinese, celibe
e tranquillo. Celibe senza dubbio, perchè era impossibile che un uomo
simile si fosse messo in casa il disordine vivente d'una moglie. E
come mai, pensando a tutto questo, io potei commettere sotto i suoi
occhi l'imprudenza imperdonabile che commisi? Per cercare una notizia
nella seconda pagina della _Gazzetta_, vi cacciai dentro la mano e
lacerai il foglio con le dita tese. Egli si voltò, come se un istinto
l'avesse avvertito dell'atto vandalico, osservò con gli occhi allargati
la dentellatura orribile che aveva fatto la mia mano nei margini, e
poi, alzato lo sguardo al disopra degli occhiali, mi fissò per qualche
momento con un'espressione indescrivibile di stupore e di riprovazione.
Compresi allora l'enormità del mio sproposito, e dissi in cuor mio:
— Son perduto; mai più, mai più mi potrò rialzare nella sua stima. —
E infatti, nella cura ostentata con cui ripiegò il giornale prima di
scendere vidi chiaramente l'intento di farmi comprendere che nessuna
relazione amichevole sarebbe mai stata possibile fra di noi due.
Ebbene, sì, egli ha ragione: ci dev'essere una differenza enorme di
temperamento, di vita e di opinioni tra chi straccia il giornale come
faccio io e chi lo ripiega come fa lui. Dimmi come tratti la _Gazzetta
del Popolo_ e ti dirò chi sei.
*
Ho girato tutta la sera della domenica per godermi lo spettacolo
curiosissimo degl'incontri delle giardiniere affollate. Strana è
quella visione fuggitiva di trenta facce, che paiono d'uno sciame
umano volante: facce curiose, facce esilarate, facce impassibili, facce
istupidite dalla digestione difficile d'una mangiataccia domenicale,
o brillanti d'una sbornietta discreta, o sorridenti della dolcezza
d'un riposo onesto; begli occhioni neri o celesti che vi gittano un
raggio di fuga, coppie d'amanti che conversano, vecchi coniugi che
sonnecchiano, teste bionde di bimbi, che agitano le braccia in segno
di festa verso di voi. È un momento; ma se sul tranvai che passa c'è
una signora bella o un vestito elegante o un cappellino bizzarro, non
sfugge all'occhio d'alcuna donna che stia sul vostro, e tutte le teste
femminili si voltano; e in quei rapidi incontri persone si riconoscono
di qua e di là, e si scambiano scappellate a scatto, apostrofi tronche
e saluti della mano, che ripetono a distanza, come da poppa e da prua
di due vaporini. Vedete prima trenta visi in pieno, poi trenta teste
di profilo, poi trenta nuche e trenta dorsi: la comitiva vi si presenta
sotto ogni aspetto come un gruppo statuario sopra il trespolo girante.
Incontrate delle giardiniere allegre e chiassose in cui predomina la
giovinezza e paion tutti compagni di festa; altre che par che portino
un carico di musoneria, tutte facce gravi o insonnite; qualcuna con
una guardia civica davanti e due carabinieri in fondo e qualche soldato
dai lati, che pare una carrozzata di condannati tradotti alle carceri.
E più curioso è lo spettacolo a notte fatta, quando passano di volo,
illuminati dai raggi bianchi della luce elettrica o dai raggi gialli
del gas, e variamente colorati dai lanternini dei carrozzoni, gli
uni vermigli, altri verdi, altri mezzo accesi e mezzo oscuri, visi
intontiti di briachi, visi languidi d'amanti, bambini addormentati,
teste di donnine appoggiate sulla spalla del marito, braccia maritali
strette intorno alla vita della moglie, e mani amorose intrecciate, e
bocche e orecchie che si toccano, e musi lunghi di solitari, oppressi
da una giornata di noia. Oh quante noie e delusioni, e rammarichi del
denaro sciupato, e impazienze febbrili d'innamorati, e speranze e sogni
d'amori nascenti, e presentimenti tristi d'amari diverbi coniugali
portano a casa la sera tutti quei carrozzoni! E qualche cosa d'amaro ho
portato a casa io pure. In una giardiniera che passava ho riconosciuto
il mio buon nemico _Siapure_. Era ritto anche lui sulla piattaforma
di dietro, e aveva accanto una ragazzina di otto o dieci anni, il suo
ritratto, somigliantissimo; una figliuola di cui ignoravo l'esistenza,
graziosa, con due grandi occhi neri e buoni, già un po' velati dal
sonno. Ci passammo accanto alla distanza di due passi sotto la luce
d'una lampada elettrica; i nostri sguardi s'incontrarono; avremmo avuto
tempo di stringerci la mano.... e voltammo il viso tutt'e due dalla
parte opposta. Ah vecchi bambini vergognosi!
*
Il tranvai, ottimo osservatorio per studiare la tirchieria. Ecco un
signore obeso che scomoda dieci persone e si fa venir le budella in
bocca per cercare un soldo caduto; ecco un facsimile di senatore, con
tanto di pelliccia in dosso, che fa una scenata perchè il fattorino gli
ha dato col resto un soldo greco; ecco un grasso provinciale che non
vuol pagare un soldo di più per l'ultima corsa perchè il suo magnifico
orologio d'oro non segna ancora le dieci precise. Era una famiglia
agiata, si vedeva, quella che è salita questa sera sul tranvai della
barriera di Casale, in piazza Solferino: marito e moglie, tre ragazze
e un bimbo sui tre anni, che teneva in mano un cannocchiale da teatro;
e il marito, che mi dava le spalle, aveva certo nei capelli tinti,
divisi a filo sulla nuca, tanto di cosmetico quanto valeva il biglietto
che s'è rifiutato di pagare per il posto del suo bimbo, disputando col
fattorino dall'imboccatura di via Santa Teresa fino a piazza San Carlo.
— Il bimbo ha l'età....
— Ma su questa stessa linea, ieri l'altro, non ha pagato.
— Non c'ero io.
— Non sono obbligato a ricordarmene.
— Basta ch'io glie lo dica. Non debbo mancare al regolamento perchè ci
ha mancato un altro.
— Eh, il regolamento ve lo fate ciascuno a modo vostro.
— Io non me lo faccio a modo mio: osservo quello della Società.
— La Società prescrive anche di rispondere in un altro tuono.
— Io rispondo nel tuono in cui mi parlano.
— Siamo educati!
— Ma tutti e due.
Apriti cielo! Mi sarò ingannato, perchè non l'ho potuto vedere in viso;
ma dalla punta dei baffi e dall'accento con cui disse: — R_icorrerò
alla direzione_ — m'è parso quello stesso personaggio, soprannominato
Tintura Migone, che aveva fatto una scena simile sulla linea della
barriera di Nizza. Discese, voltandomi le spalle, all'angolo di via
Plana, e lo vidi andar con la famiglia al Teatro Gerbino a spendere
sessanta volte la moneta per cui aveva alzato tanta polvere. O
miseranda pitoccheria signorile, che per vanità o per piacere butta
via lo scudo da una parte e letica il soldo dall'altra con una tenacia
rabbiosa che fa avvampar dalla vergogna chi veste gli stessi panni!
O razza spregevole d'esosi, che con infinite piccole taccagnerie
spandete intorno a voi tanti semi d'ira e d'avversione, veri eccitatori
dell'odio fra le classi sociali, quando finirete di disonorarvi dieci
volte al giorno per cinque centesimi?
*
Mi è caro il tranvai anche perchè mi dà modo di studiare i bambini,
che per la strada mi sfuggono. Lì posso averli sotto gli occhi per un
po' di tempo e ammirarli a mio comodo, in specie sulle giardiniere,
grazie al vezzo che hanno tutti d'inginocchiarsi sulle panche, dando
le spalle ai cavalli, e di appoggiarsi alla spalliera come a una
balaustrata di terrazzino, col viso rivolto verso i passeggieri.
Faccio ogni giorno qualche conoscenza. Già due volte, tornando a
casa dal Giuoco del pallone, ho potuto ammirare così una bambina di
due anni, che padre e madre portano ogni sera verso le sei a fare il
giro dei Viali. M'è simpatica questa buona coppia, un _Taddeo_ e una
_Veneranda_ sulla quarantina, tutti e due piccoli, rotondi e floridi
come i famosi amanti del Giusti, con l'aria di gente contenta dei
propri affari. E scommetterei che quella bambina è il frutto unico
e tardivo dei loro placidi amori, venuto quando più non lo speravano
dopo averlo desiderato per molti anni, tante son le cure e le carezze
di cui l'affollano, divorandola con gli occhi, tanta è la compiacenza
con cui si sorridono a vicenda a ogni suo gesto e a ogni sua parola
e ringraziano con lo sguardo chi la guarda e le sorride. Questa sera
stava inginocchiata sulla panca in fondo e guardava me, ritto in
faccia a lei, col visetto volto in su, come avrebbe guardato la Mole
Antonelliana: un visetto rotondo di madonnina, illuminato da due begli
occhi azzurri e incorniciato in una finissima capigliatura castagna,
tagliata alla scozzese sulla fronte e ricadente sul vestitino color
di rosa. E sorrideva vagamente, guardandomi, come se si ricordasse
d'avermi già visto un'altra volta, con quella strana espressione tra di
benevolenza, di curiosità e di canzonatura, tutta propria dei bimbi,
che par che dicano: — Chi sei? Perchè mi guardi? Che vuoi da me? — e
intanto moveva le labbra e gonfiava ora una guancia ora l'altra come
se masticasse qualcosa. A un tratto si mise una mano in bocca e poi la
tese aperta verso di me per mostrarmi quello che aveva sulla palma:
un pezzetto di caramella; poi balbettò una parola che non capii,
si rimise la caramella in bocca e riprese a sorridermi, dondolando
la testina da una spalla all'altra. E io la guardavo, la guardavo,
ostinato a cercare il segreto di quel fascino divino dell'infanzia,
che, non parlando, ci dice mille cose dolcissime, confuse, lontane,
quasi sovrumane, impossibili a tradursi in parole; della potenza di
quello sguardo vago, che non penetra nell'anima nostra, ma davanti al
quale si nascondono, friggono, si disperdono tutti i pensieri tristi
ed impuri come un branco d'uccelli notturni al raggio dell'alba. E in
cuor mio le dicevo: — Guardami, guardami ancora, fa fuggir le misere
vanità, gli odî ignobili, le menzogne vili, l'egoismo, l'orgoglio;
fa fuggir ogni cosa.... — Ma un cane che correva dietro al tranvai
la distrasse dall'opera purificatrice, e non mi fu più possibile di
ricondurre la sua attenzione da quel cane sulla mia persona, nemmeno
mettendole una mano sotto il mento; benchè, per istinto amorevole, essa
appoggiasse sulla mano la guancia. Quella carezza fece voltare il padre
e la madre, sorridenti. Domandai loro che età avesse la bimba. Non si
può dir l'accento con cui mi risposero a una voce: — Ventitrè mesi. —
Non avrebbero detto con un altro accento: — Abbiamo ventitrè milioni.
— Sentii che quel numero segnava per loro la data d'una seconda vita,
che diceva da quanto tempo era discesa sulla loro casa la benedizione
e la gloria. Com'è dolce augurare sinceramente il bene ai propri
simili! Sentii una gioia vera a dir loro tra me: — Siate felici, vi sia
lasciata sempre, possa non aver mai un brivido di febbre, mai un nodo
di tosse, mai una notte agitata, mai il viso pallido neppur per un'ora!
*
Sullo stesso tranvai, tre sere dopo, ritrovai l'operaio lombardo del
_desbotonass_, quello che m'aveva dato del _politicon_ perchè non
m'ero voluto sbottonare sull'argomento della politica. Aveva anche
questa volta festeggiato la domenica, e lo diceva il ciuffo che gli
dondolava sulla fronte, e la cicca che gli spenzolava dalle labbra;
ma era frenato dalla moglie, una donnina secca, più attempata di lui,
seduta al suo fianco. Appena mi vide, mi piantò in faccia gli occhi
lustri: tremai che mi riconoscesse e la ricominciasse con lo Zavattari;
ma non mi riconobbe. Borbottò non so che della rivoluzione di Candia;
voleva andare a Candia; e bruscamente, alzando la voce, mi fece la
proposizione d'andar con lui. Ma lo distrasse il campanello del Viatico
che passava dall'altra parte del Corso San Maurizio. E allora ebbe un
litigio con la moglie. Quasi tutti, sul tranvai, si scopersero il capo;
egli no. Sua moglie gli disse di scoprirei: non volle.
— Ma non rispetti nemmeno il Santissimo? — gli ripetè la donna, in
dialetto piemontese, e allungò la mano per afferrargli il cappello.
Egli si dibattè violentemente, dandomi delle spallate. — _Dagh on
taj_ — gridò — _Corpo d'on...! Mì rispetti i idej di alter, vuj che
rispetten i mè.... Mì sont per la libertaa del pensiero_....
Ma la donna riuscì a scoprirlo; egli strepitò: poi, ripreso il suo
cappello, per rifarsi, se la pigliò col fattorino perchè faceva fermare
il tranvai per far salire la gente.
— Io faccio il mio dovere —, rispose quello; — non ha da salir chi
vuole?
No, non aveva da salir chi voleva, e per questa buona ragione: — _Cosa
vœur dì tranvai? Tranvai el vœur dì marcià.... marcià semper, e se el
se ferma tutt'i moment.... l'è minga pu on tranvai, l'è una tartaruga!_
Voleva pagare anche due soldi di più, ma a condizione di _andar
accelerato_, e ad ogni nuova persona che saliva, ribatteva il chiodo:
— _E on alter!... Ah sanguanon! Ma l'è ona robba de rid!_ — Poi,
tutt'a un tratto, rivolgendosi a me col viso grave, disse in italiano:
— Ed è così che si fa il servizio? — Ma, dicendo questo, mi fissò da
capo, come se gli passasse per la mente un barlume di reminiscenza, e
puntatomi l'indice al viso, soggiunse: — _Lu.... me par de conossel._
Per quanto si sforzasse, però, non riuscì a ricordarsi della
conversazione del _desbottonass_, e volle che gli rammentassi io dove
c'eravamo incontrati. Mi guardai bene dal contentarlo. E per fortuna,
fu distratto un'altra volta da una signora che saliva.
— _E on'altra anmò!_ — ricominciò a esclamare. — _E seguitemm
inscì_.... Ah questa sì che è una bella farsa! —
— Ma la finisca una volta, — gli disse il fattorino.
— Io la finisca? _Ah faccia de bogher!_ — e, levandosi in piedi, tese
il pugno verso di lui.
Ebbi una buona ispirazione: gli misi una mano sulla spalla e gli dissi
all'orecchio: — Andiamo, un vecchio soldato di Garibaldi non deve far
di queste scene.
Fu un effetto magico: si voltò a guardarmi, stupefatto. O come mai io
potevo sapere ch'egli era stato con Garibaldi? Ma non me lo domandò. Mi
guardò un pezzo, sorridendo; poi mi porse la mano e disse: — _E ben....
lu el gh'ha reson._
Detto questo, scrollò il capo in atto di disapprovazione per sè stesso,
e ricadde pesantemente sulla panca. E quando io discesi, non se ne
accorse: dormiva.
*
Sono in un periodo fortunato d'incontri e d'avventure. All'uscita dello
Sferisterio, mi decisi a prendere il tranvai della linea di Vanchiglia
vedendo sulla piattaforma quel porcospino di cocchiere Tempesta, che
conobbi due mesi fa sulla linea di Nizza. La primavera non l'ha punto
raddolcito. Salendo, gli ruppi in bocca un'invettiva feroce che faceva
contro una cavalla chiamata _Balia_; dalla quale egli volse lo sguardo
sopra di me senza mutarne l'espressione, come s'io fossi un complice
della bestia. Tacque per un po', coi denti stretti; ma quando fummo in
piazza Vittorio Emanuele, essendo salita una donna che depose ai suoi
piedi un grosso cesto, egli cominciò contro il cesto una ruminazione
sorda di sacrati, che protrasse fin che si sboccò in via Principe
Amedeo; dove andò addirittura fuor dei gangheri contro una vecchietta
sorda alle sue fischiate, urlandole nella schiena: _O trombon! O
terremot! O tamburnassa!_ — con quanta vociaccia aveva in canna. Poi
ricominciò a grugnire vedendo di lontano la strada ingombra dalla
folla, che usciva dalla rappresentazione diurna del teatro Gianduia. E
forse la ragione di tutte quelle furie era nel canestrino ritto ch'era
ai suoi piedi, nel quale si raffreddava il suo magro desinare, ch'egli
aveva mangiato a mezzo alla barriera di Casale, e che gli premeva di
finire in piazza Carlo Felice. Povero Tempesta! Si capisce come la
fame, in un temperamento come il suo, dovesse fare un tristo lavoro.
Fermò davanti al teatro, infatti, dando al freno una girata furibonda,
come se lo volesse spezzare. E qui la sua violenta natura fu messa a
una prova durissima. Doveva salire con un nuvolo dì figliuoli grandi
e piccini una di quelle povere mamme piene di timori e di affanni,
per le quali una salita nel tranvai è come un imbarco per l'America.
Essendo sparsi qua e là i posti liberi, i figliuoli più grandi salirono
da varie parti, e fu una faccenda interminabile il mettere al posto i
più piccoli; e la mamma a gridare: — Dov'è Carlino? — Giulia, siediti
là. — No, Augusto, in piedi non voglio. — Carlino, vieni qua che c'è
posto. — Marietta, tienti bene alla colonnina —; e Tempesta, voltato
indietro in atteggiamento minaccioso, fremeva come un mastino alla
catena. Quando stava per sferzare i cavalli, la signora lo rattenne con
un gesto perchè uno dei figliuoli s'aveva ancora da sedere. Finalmente,
sbuffando come un bufalo, Tempesta ruttò l'_avanti_. Ma la mamma gridò:
— Un momento! È proprio questo il tranvai che va a Porta Nuova? —
Egli rispose un _questo_ con sette esse, partì, e tirando giù tutti
i santi, cominciò a flagellar la cavalla, che non andava a tempo e
faceva delle scartate, e a soffiar nel suo strumento, fra un moccolo
e l'altro, con tanta rabbia da parer che fischiasse Torino. Fischiò
il monumento di Carlo Alberto, fischiò la Posta centrale, fischiò il
palazzo dell'Accademia delle Scienze, e infilò via Lagrange con la
furia d'un guidatore di carro falcato irrompente contro il nemico. Ma
era destino che la finisse male. All'angolo di via Cavour si staccò
dal gancio l'anello del bilancino, i cavalli s'impigliarono nelle
tirelle, e s'arrestarono. Saltò giù Tempesta schizzando fiamme e,
mentre il fattorino riattaccava, prese a martellar di pugni i poveri
animali, saettando con gli occhi me e altri due che dalla piattaforma
gli gridavano di smettere, e inferocendo in special modo contro la
povera _balia_; la quale alzava ed agitava la testa, scalpitando,
tutta convulsa e tremante, ma senza mandare lamento, come una povera
donna che tace, per non chiamar gente, sotto la percossa del marito
bestiale, di cui non comprende e perdona l'insania. Indignati, stavamo
per scendere, quando accorse dalla cantonata un vecchietto in tuba,
un ometto di nulla, ma ardito e risoluto come un cavaliere antiquo, e
affrontò l'aguzzino, afferrandogli il braccio a due mani. Tempesta si
svincolò con violenza e lo trattò di _avvocato delle bestie_. Cascava
male. Era per l'appunto un avvocato delle bestie, membro della _Società
protettrice degli animali_, e se ne vantò, e tirò fuori un taccuino
per segnarci il numero della giardiniera, dicendo che sarebbe andato
in persona alla direzione. Tempesta risalì sulla piattaforma con la
faccia verde, masticando ira di Dio; ma, ripartito appena, udendo dire
dietro di sè: — _A l'a fait bin_ (Ha fatto bene) —, si voltò a guardare
il temerario con due occhi di fuoco. Chi aveva parlato era un uomo sui
quaranta, di viso serio a benevolo, che aveva l'aspetto d'un operaio
istruito. Questi sostenne serenamente la sua guardataccia, e gli disse
con pacatezza, in accento amichevole, e un po' a rilento, come chi
vuol ripetere esatta una frase letta in un libro-; — Sicuramente.... le
bestie sono i compagni di lavoro, non gli schiavi dell'uomo.
Tempesta non rispose.
*
Siamo in piena primavera. I tranvai dei viali corrono per lunghi tratti
sotto le grandi chiome degli ippocastani, dei tigli e delle acacie, ed
escono al sole e si rituffano nell'ombra, come carrozze erranti in un
parco; i vetri dei finestrini e i visi dei passeggieri si velano di
riflessi verdi; i predellini delle giardiniere strisciano i cespugli
che fiancheggian la via, e passan d'intorno per aria note d'uccelli,
farfalle bianche e profumi di rami in fiore; e il buon Giors nuota e se
la gode in tutta questa freschezza, aspirando a pieni polmoni l'aria
imbalsamata, che gli scava lo stomaco. Glie lo scava così addentro,
dice lui, che a rigor di giustizia, quando viene la primavera, la
Società gli dovrebbe dar doppia paga. Povero Giors! Questa mattina, sul
corso Vinzaglio, ebbe un vero dolore. C'era un garzonetto d'osteria,
ritto accanto lui, con quattro dozzine d'agnellotti crudi posati
sopra un'assicella, ch'egli teneva col braccio arrotondato fuor della
colonnina, per non impedirgli il maneggio del freno. A un tratto, uno
scossone della giardiniera gli fece perder l'equilibrio, l'assicella
piegò, e gli agnellotti si rovesciarono sulla strada. Non si può
descrivere l'atto di desolazione che fece il buon Giors a quella
vista: non c'è per nulla quello che fa don Baldazar-Ferravilla quando
la cuoca dei suoi ospiti gli porta via di sotto il naso il piatto
prediletto. E lamentò per un chilometro la “disgrazia„ scrollando
il capo tristamente; e messo così in un corso di pensieri tristi, mi
raccontò altre “disgrazie„ consimili di cui era stato spettatore, e non
ne pareva ancora consolato. Una vecchia signora venuta dalla campagna,
scendendo male dal tranvai, era caduta sul suo panierino pieno d'ova,
e n'avea fatto un lago, da cui l'avevan tirata su in uno stato! e ova
freschissime, che mandavano una delizia d'odore.... che peccato! Un
grullo d'ortolano, un'altra volta, aveva messo sotto la panca della
giardiniera, a un'estremità, un piatto di fragole ammucchiate, che a
ogni sobbalzo cadevano a mezze dozzine per la strada, dove un branco di
monelli, correndo e facendo un baccano indiavolato, le raccattavano,
senza che lui se n'avvedesse; e quando se n'era avvisto.... certi
fragoloni come palle, che profumavano il corso, una vera grazia
di Dio: disgraziato! A una povera ragazzina, in fine, proprio nel
momento che il tranvai si fermava in piazza Statuto, in capo alla
linea, s'era rovesciata dalla piattaforma una zuppierata di minestra,
ch'essa era andata a prendere all'osteria per suo padre; e gli aveva
fatto tanta pena quella povera _morfela_, a vederla inginocchiata in
terra a raccogliere singhiozzando le pastine e i piselli, che lui
e il fattorino avevano _fatto una sottoscrizione_, essi due soli,
mettendo ciascuno dieci centesimi, perchè la _morfela_ potesse andare a
ricomprar la minestra. — Ma a me — disse poi con un sorriso trionfante
— queste cose non sono mai accadute, nemmeno quando ero alto un palmo;
l'appetito m'ha fatto sempre stare in guardia; guardi, potrei giurare
che non m'è mai cascata di mano una ciliegia! — Bravo Giors! Egli m'ha
l'aria d'un uomo che non abbia mai mangiato a sua voglia in vita sua.
La vista delle tavole di trattoria apparecchiate all'aria aperta,
questa mattina, gli dava dei brividi di voluttà. — Ah! — esclamava,
adocchiandole di passata, — con che gusto mi ci metterei a sedere! — E
si capisce come il sedersi a tavola, per lui che non ci siede mai, sia
un ideale epicuréo, uno scialo da milionari, il non plus ultra delle
raffinatezze della vita. E confessando che sarebbe disposto a mangiare
a ogni ora del giorno, ride; e dicendo che trecento volte all'anno fa i
suoi pasti sulle ginocchia, ride; e raccontando che s'è levato il pane
di bocca per salvar dalle busse una povera bimba, ride. Ah, quanto è
buono senza saperlo, e come mi fa bene il suo riso!
*
Una corsa memorabile, ma che vorrei dimenticare, sulla linea del
Foro Boario. Venivo di fuor di porta. Era una mattinata incantevole.
Partito appena dalla cinta, il tranvai si fermò davanti alla porta
delle carceri giudiziarie, dove salirono sei giovani, accompagnati da
due guardie di polizia, pallidi e malamente vestiti, ciascuno con un
involto di panni sotto il braccio. Erano sei prigionieri liberati che
le guardie conducevano alla questura centrale a ricevere il commiato
ammonitorio dell'autorità. Ma non occorreva che me lo dicesse il
fattorino; lo compresi, nell'atto che salirono, dal modo come girarono
lo sguardo intorno sugli alberi fioriti, sul corso inondato di sole
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