La Carrozza di tutti - 14

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sono settantott'anni! — Ma non dice più quel numero in tuono di vanto:
intacca a metà della parola, che par che s'allunghi e s'appesantisca
sulle sue labbra cascanti. E quanto gli resta di vita negli occhi
lo spende a cercare dal finestrino il suo Ciuchetto, che trotterella
accanto al tranvai, tutto impillaccherato, e ad ammonirlo col dito,
quando ricompare dopo uno sviamento, perchè, dice, _lui_ sa che _egli_
vuole che cammini sempre accosto al muro, per cansare i pericoli e
perchè egli lo possa vedere. E pare che col sentimento della propria
decadenza fisica cresca in lui l'affetto per la povera bestiola, il suo
unico amico, il quale tra non molto, dopo tanti anni di fida compagnia,
egli dovrà lasciar solo nel mondo, a morire forse d'una morte atroce,
dopo molti mesi di vita randagia e famelica, esasperata da persecuzioni
crudeli. Fuggono intanto di qua e di là dal tranvai, sotto la pioggia
dirotta, gli alberi frondosi dei viali, fuggono le colonne snelle dei
nuovi portici, appaiono e dispaiono le imboccature delle grandi strade,
e sopra ogni cosa scorre a traverso ai vetri il suo sguardo velato
da un'espressione di tristezza, come se egli pensasse che è quella
una delle ultime volte che gode quello spettacolo e il suo spirito
pigliasse comiato quel giorno dalla sua cara e bella Torino. — Ah,
bella, sì, e quanto! — par ch'egli dica con quello sguardo, — bella
anche con questo tempo, bella anche così grigia e malinconica, anche
così immollata e infangata come il mio povero cane....
*
Una bella giornata, finalmente, e una bella scena, un esempio
nuovissimo della potenza del femminino eterno, quale non può darsi che
sulla carrozza di tutti. Una bella ragazza bruna, esuberante di vita,
con un roseto vermiglio sul cappellino, stretta in un superbo vestito
nero luccicante di perline nere, che le modella come una maglia il
busto svelto e opulento, siede in capo a una panca della giardiniera,
tenendo una gamba sull'altra e un piedino per aria; il quale sfida
il mondo, di pieno accordo col viso, scintillante di civetteria,
e sorridente d'una larga bontà consolatrice. La giardiniera corre
sotto il sole giù per il viale Regina Margherita, dov'è costretta a
rallentare perchè è smossa la strada, e lì s'incontra con un reggimento
di fanteria che vien su in quattro file, di cui la prima a sinistra
passa rasente la pedana, dalla parte dov'è seduta la bella. Primi i
soldati della fanfara, passando con le trombe alla bocca, volgon gli
occhi a quel viso bruno che sorride sotto quel cespo di rose rosse e
a quello stivaletto giallo che segna il tempo della musica sotto quel
vestito imperlato. E dalla fanfara pare che la scintilla trapassi
lentamente per tutta la colonna. A tre, a cinque, a otto per volta, man
mano che passano, tutti i chepì si voltano, tutti gli occhi s'avvivano,
tutte le bocche si arrotondano; sul viso degli uni guizza un sorriso,
dalla bocca degli altri scocca una parola; molti si girano indietro,
parecchi perdono il passo, e chi dà di gomito al vicino, chi si sporge
un po' in fuori per veder più da presso il piedino e il roseto. A dieci
passi di distanza l'effetto della scintilla è già visibile. E via via,
ufficiali, soldati, caporali, sergenti, teste bionde del settentrione
e teste brune del mezzogiorno, visi barbuti e imberbi di piemontesi,
di napoletani, di siciliani, di sardi, per quanto la colonna è lunga,
tutti si voltano dalla stessa parte, come se sfilassero davanti a un
generale d'armata, ed esprimono con lo sguardo il pensiero medesimo,
con una regolarità preveduta, che finisce con mettere in allegria
tutti i passeggieri del tranvai, adocchianti a vicenda i soldati e la
ragazza, la quale sorride amabilmente a tutto il reggimento, come una
sovrana contenta. Oh eterno femminino! E pensare che la grande forza
dello Stato è formata da cento colonne d'uomini come quella, ciascuna
delle quali, passando davanti a quel roseto, farebbe come quella fa;
che quel visetto bruno darebbe una scossa elettrica a tutto l'esercito
nazionale, se tutto l'esercito le sfilasse accanto a quel modo! Che
cos'è mai un grande esercito visto dall'alto d'una giardiniera, quando
sporge fuor di questa lo stivaletto d'una bella ragazza!
*
E pioggia da capo, e vento, e tuoni: i cocchieri hanno il viso
lavato dagli acquazzoni, i cavalli grondano, i vetri sgocciolano,
le signore salgono con le vesti fradicie e con la bocca torta, e
lanciano, entrando, occhiate feroci l'una all'ombrello dell'altra. La
cortesia consueta si risente del cattivo tempo anche fra le persone
più cortesi, e pure i visi più simpatici appariscono in una luce poco
favorevole. No, non son questi i giorni da cercar moglie sui tranvai:
non ci si vedono che signorine smorte, imbronciate contro il cielo:
il mio bel pittore, se ancora non ha trovato, deve perdere il suo
tempo. E argomento dal suo viso l'una e l'altra cosa, vedendolo salire
sul carrozzone in via Madama Cristina; e più che dal viso, dall'atto
rabbioso, in lui insolito, col quale dà uno strappo all'ombrello che
non si vuol chiudere. Sul suo largo viso roseo di buon ragazzo v'è
un'ombra di malinconia anche più scura di quando lo vidi l'ultima
volta, e sotto quell'ombra un'altra, che par d'una irritazione
abituale. Gli domando se ha trovato: egli scrolla le spalle d'atleta
con un moto di dispetto fanciullesco, corretto da un sorriso forzato
di cortesia, e inveisce contro il tempo. Ma è tutt'altra, capisco, la
causa del suo malumore; lo capisco un momento dopo da una tirata rude
e sconnessa ch'egli fa contro le ragazze torinesi, con la violenza
improvvisa d'un uomo d'animo semplice, a cui manca ogni sentimento
dell'arte delle transizioni. — Anime fredde, pezzi di ghiaccio,
bambole; belle bambole, piene di tritura di legno. — C'è di mezzo
una bambola — dissi tra me, — senza dubbio. — Per loro — continuò
— tutto sta nel _bel contegno_; ma quando sotto il bel contegno non
c'è nulla.... è la virtù delle statue. Manca la materia combustibile,
questo è quanto. Angeli d'alabastro, santine di neve. Ha detto bene
l'Alfieri: _là dove Italia boreal diventa_. Figliuole di Borea. — Io
lo incoraggiai, paternamente. Che diavolo! Se non faceva breccia un
uomo come lui, un Ercole gentile, bello, artista, sul fior dell'età,
chi l'avrebbe fatta? — Ah sì, artista! Non è aria per l'arte qui; se
fossi un uomo di scienza, o se portassi le cedole appese al collo,
forse.... — E poi lo cominciava a seccare anche la città; anzi era un
pezzo che lo seccava: tutta quella geometria, tutto quel giallo, quel
girare e rigirare e parersi sempre nello stesso luogo! A giorni gli
saltava il ticchio di far le valigie e di scappare come un cassiere.
Non aveva alcuna meta determinata: gli sarebbe piaciuto di andare a
caso, di città in città, lontano, fino all'ultima punta della Sicilia.
— Guardi un po' queste case, queste strade, se non fanno pigliare in
odio l'angolo retto e l'omologia. E la gente è tal quale. Non le pare
che tutti si rassomiglino? Come no? Ma ci son centinaia di signorine
che paiono state tutte calcate l'una sull'altra, ritagliate con un solo
giro di forbici sopra un foglio piegato in cento.
— Ah! — gli dissi ridendo — ce ne dev'esser una che è sfuggita alle
forbici....
Ma non mi badò, e insistette. Da qualche tempo vedeva delle carrozzate
di gente che avevan tutti un'aria di famiglia; tutti i giovani
gli parevano impiegati a _mille e due_, i vecchi, tutti sergenti
pensionati, le signorine, tutte istitutrici di collegio, tirate a filo
di regolamento....
— Eh, lasci andare, — gli osservai, — ci son pure delle belle
ragazze....
— Oh per questo sì! — E qui si tradì. — Ci son dei tipi.... delle
figure raffaellesche.... certi visi bianchi con gli occhi azzurri....
d'una purezza, d'una grazia! Ma manca la vita, la fiamma. N'ha più una
siciliana nel dito mignolo che dieci di loro da capo a piedi....
Io ci volevo un core
Dentro a quel seno bianco....
E tacque un momento; poi riprese bruscamente: — Io, già, vedo delle
gran facce antipatiche. — E chiamò la mia attenzione sui passeggieri.
— Veda un po' che mutrie. Mi par di vedere un piccolo museo d'automi di
cera. Sarà anche un po' effetto del tempo, forse.... Insomma, mi secco.
— E dopo un po', nell'atto di scendere, soggiunse sorridendo, ma con
accento di tristezza: — Mi darei per un nichel....
— È preso, — pensai, — non c'è dubbio; preso da un viso bianco con gli
occhi azzurri. Oh, imbroccherò bene il tranvai dove ci saran tutti e
due....
*
Fu il pittore che me l'attaccò? Fu il brutto tempo? Fu una cattiva
disposizione di salute? Per alcuni giorni soffersi anch'io del suo
male — l'uggia del prossimo — un male bisbetico, il quale s'inasprisce
in particolar modo nei tranvai, dove le facce antipatiche, che per la
strada non si vedono che di sfuggita, ci rimangono sotto gli occhi per
qualche tempo, e s'è quasi forzati a guardarle. Antipatiche, perchè?
Non può esser altro che per questo, che son per noi delle maschere di
nemici ipotetici, facce da cui argomentiamo opinioni, passioni, gusti,
consuetudini opposte alle nostre, esseri, fra i quali e noi, se ci
frequentassimo, non potrebbe correre nè affetto, nè stima, nè accordo
alcuno. Quante ne vidi in quei giorni, e quante ne ricordai! E a chi
non accade lo stesso? Son persone sconosciute con cui da anni, ogni
volta che c'incontriamo, scambiamo uno sguardo malevolo, o indifferente
ad arte, o facciamo uno sforzo per non guardarci; gente di cui lo
sguardo, la voce, la sola vicinanza ci mette in impiccio, ci dà una
molestia, un senso sgradevole come quello d'una punta di stecco fra i
denti o dei capelli tagliati nel collo; disgraziate creature, di cui
il passo, il modo di far fermare il tranvai, di salire, di sedersi, di
pagare, di metter lo scontrino sul cappello, tutto ci è spiacevole,
come se fossero stati impastati e ammaestrati per farci dispetto.
Quando ce li vediamo all'improvviso daccanto, ne risentiamo una scossa,
come per un urto, e un sentimento di suggezione ad un tempo, come se
sotto il loro sguardo si tradisse il nostro pensiero, ed essi potessero
misurare la piccolezza dell'animo nostro dal potere che hanno sopra di
noi. E quella promiscuità forzata del tranvai ce li rende più uggiosi,
come degli intrusi in casa nostra, ed è una vera liberazione quando
discendono. Quanti ce ne sono, e come ci pullulano davanti in quei
giorni di malumore! Pare che ciascuno ci perseguiti e che tutti si
siano dati l'intesa per non lasciarci pace. Non ricordo bene quanto
sia durato quel periodo; ma so che mi parve di riveder tutti quelli che
avevo intoppati in vari anni. Feci delle corse calamitose, durante le
quali cinque o sei, successivamente, mi si strofinarono addosso salendo
e scendendo, m'infradiciarono coi loro ombrelli, mi soffiarono in viso
il loro alito, mi gridarono all'orecchio degli _alt_ e dei _ferma_
stonati, nasali, villani, melliflui, irritanti, mi fecero sentir dei
discorsi scipiti, vanitosi e pedanteschi, mi tormentarono coi loro
sguardi insistenti coi quali parevano dirmi: — Siamo saliti apposta per
te e spendiamo con piacere due soldi per farti soffrire. — Che rabbia
e che vergogna! Sì, proprio, patimenti vergognosi, antipatie ignobili,
rabbie miserabili, mosche e vermi dell'anima, che, se un atto della
volontà si potesse rassomigliare a un atto meccanico, direi che vanno
spazzati via con la scopa.
*
Una commozione viva di pietà mi ruppe il corso di queste giornate
maligne. In una giardiniera di via Garibaldi, su una delle prime
panche, era seduto un soldato con l'uniforme d'Africa: un piccolo
fantaccino macilento, che pareva non accorgersi d'essere guardato
da tutti, e che alle domande di cui lo tempestavano alcuni vicini
curiosi rispondeva a monosillabi, con l'accento d'una persona seccata,
guardando qua e là, come se cercasse qualcosa per aria, con lo sguardo
diffuso e fuggente, proprio degli scampati a una strage. Ebbi un
rimescolo quando, voltandomi indietro, vidi ritta dietro all'ultima
panca, col suo sacco solito, la vecchia di Pozzo di Strada, immobile,
con tutta l'anima negli occhi, fissi sull'elmetto di quel giovane con
l'espressione attonita e profonda dell'ipnotizzato, intento all'oggetto
che lo affascina. Certo, essa viveva ancora tra la disperazione e la
speranza, e la vista di quell'uniforme le risollevava nell'anima in
tutta la prima violenza la tempesta dei due opposti sentimenti che se
la contendevano. Era una povera divisa di tela come quella, che da
quattro mesi eterni essa vedeva col pensiero, lacera, sforacchiata,
insanguinata, fatta a brani e sparsa per le rocce e pei rovi del campo
di battaglia scellerato. Chi sa mai che cosa pensasse, che cosa vedesse
in quel momento nella figura di quel soldato? Che cosa le diceva mai
quello spettro del suo figliuolo, sorto improvvisamente sulla sua
strada: — Mamma, son vivo? Mamma, soccorrimi? Mamma, muoio? son morto?
addio per sempre? — Le era un conforto o uno strazio il vederlo? Non
si poteva comprendere da quel suo viso chiuso di vecchia contadina
usata a soffrire, da quel suo occhio immobile, dilatato, asciutto, che
pareva fisso in un punto solo di quella persona come in un altr'occhio
che s'affisasse in lui, fisso come se non si fosse dovuto movere
mai più se la corsa non avesse avuto più fine. E mi domandai perchè,
appena vedutolo, essa non fosse corsa a interrogarlo con quell'ingenua
illusione delle madri ignoranti che domandano allo sconosciuto reduce
dall'America notizie del figliuolo emigrato. Pensai che forse ella
aspettava che il tranvai si fermasse per andarsegli a sedere accanto;
ma il tranvai si fermò ed ella non si mosse. Fu timidezza? O la ritenne
il terrore di saper la verità? Discese, come sempre, al crocicchio di
via Venti Settembre, e appena fu sul marciapiede, si fermò, col suo
sacco in spalla, e si voltò indietro a guardare il soldato un'ultima
volta. E poi tirò via, a guadagnarsi il pane, curva sotto il suo sacco
e sotto il suo dolore.
*
Ripiove, e riecco la noia dei carrozzoni chiusi; ma rallegrata da
una “scena d'interno„ amenissima. V'è nel mezzo una signora secca e
elegante, già sulla “detestata soglia„ della maturità, visibilmente
stizzita dalla vicinanza d'una bella bionda giunonica di vent'anni,
che la offusca con lo splendore del suo viso e con lo sfarzo dei
suoi abiti, e a cui ella saetta delle occhiate di traverso come se
le volesse dar fuoco. In un angolo, seduto sulle ginocchia di sua
madre, un bimbo paffuto, inebbriato dal profumo d'un canestrino di
lamponi, su cui lascia gli occhi, senza punto intenerire la servotta
rosata e tutta curve che lo tien fra le mani; la quale finge di non
sentire il gomito e il ginocchio audace d'un satirello canuto, con
gli occhiali d'oro e il nastrino di cavaliere, che par che fonda al
suo contatto. — _Invidia, gola e lussuria_, — mi dice all'orecchio
quel diavolo di _Schopenhauer_, a cui nulla sfugge; un mio buon amico,
pessimista marcio, ma galantuomo, che non avrebbe alcun difetto oltre
la sua filosofia, se non fosse, nonostante questa, infiammabile come
un arabo. Il tranvai si ferma per aspettare la pancia d'un signore
che viene avanti di lontano a passo di lumaca, come se dormisse
camminando. E l'amico scatta: — Ma costui s'infischia del mondo! — e se
la piglia col fattorino: — O che dobbiamo aspettare il comodaccio di
quel pachiderma?... E avanti dunque, maledetta l'accidia! — _Accidia
ed ira_, — dico io, puntando il dito nel petto a lui, che sorride
amaro. Sale finalmente l'aspettato, s'adagia, e si riparte. Ma ecco
che, dopo pagato il biglietto, il nuovo entrato si lascia sfuggire
dal portamonete bellissimo un soldino, che rotola fra i piedi dei
passeggieri. Si china lui, si china il fattorino, si scomodano tutti,
e il soldo non si trova, ed egli s'ostina a cercare e a scomodare
il prossimo, che principia a brontolare, sudando e soffiando, col
viso acceso e turbato, come se avesse perduto un diamante. — To' —
dice allegramente lo Schopenhauer, — l'_avarizia_. — Ma la nostra
attenzione è attirata in quel punto da una vecchia signora segaligna,
entrata poc'anzi dall'altro uscio, la quale, all'atto di pagare,
s'accorge, quasi spaventata, di non avere in dosso il portamonete.
— Mi permetta di pagar per lei, _madama_, — le dice cortesemente un
signore che le sta accanto. — A chi dovrò render la moneta? — domanda
essa, con un'aria di diffidenza. — La darà a un povero, — risponde il
passeggiere. Quella sta un momento pensando.... Che sarà mai passato
per quel cervello di scarafaggio? Prende un'aria sostenuta, come se
fosse stata offesa, tira il campanello, e discende. — E _superbia_! —
esclama il mio amico ridendo. — Tutti e sette in una corsa sola! Ah,
siamo proprio maturi per un nuovo diluvio. È un mondo finito!
*
Sì, strano davvero un mondo in cui si fanno delle scoperte come quella
che facemmo il giorno dopo, sulla linea della barriera di Casale, io
e un mio amico emiliano, critico letterario acuto, e raccoglitore
attivissimo di “documenti umani„. Questi, nell'atto di pigliare il
biglietto, osservò e mi fece osservare la mano aristocratica del
fattorino, piccola e bianca, con le dita affusolate; alla quale
corrispondeva, più nell'espressione che nei lineamenti, il viso
pallido, contornato d'una barba castagna finissima. Subito dopo il
fattorino scambiò col controllore alcune parole in italiano, ma con un
accento emiliano spiccato, in cui il mio amico riconobbe la pronuncia
particolare della classe signorile della sua regione. Osservammo i suoi
modi: era singolarmente cortese, ma un po' impacciato, un po' timido,
come se fosse nuovo al suo ufficio; nel quale, peraltro, pareva che
mettesse molto impegno. — Qui c'è un mistero, — disse il professore,
investigatore eterno d'uomini e di cose; e appena il fattorino si fu
scostato, domandò al controllore come si chiamasse. Costui, una figura
alta di prete spretato, dalla voce e dai gesti rudi, sorrise, e gli
diede la risposta nell'orecchio. L'amico ebbe una scossa. Era un conte,
d'uno dei più illustri casati d'una città illustre, discendente, forse,
della madre d'un poeta famoso.
Eccitati dalla curiosità, domandammo al controllore se sapesse da quali
vicende quegli fosse stato ridotto in quella condizione. Non lo sapeva;
ma conosceva l'uomo da vari mesi. Oh, un gran buon volere, una gran
forza d'animo. Da principio ei gli aveva detto: — Badi, questo mestiere
non fa per lei; vedrà che non ci può reggere. — Ma il conte gli aveva
risposto con fermezza: — Vedrà che mi ci adatterò come gli altri. —
E, infatti, aveva tenuto duro. Egli, peraltro, gli continuava a far
delle raccomandazioni, di quando in quando: che non usasse con la gente
troppe delicatezze, perchè eran mal ricambiate; che a chi trattava male
rispondesse secco, se voleva che lo rispettassero; che certi villani,
a trattarli coi guanti, s'insuperbiscono, e diventano più prepotenti.
Ma sciupava il suo fiato: quegli era malato di gentilezza incurabile,
e appunto per questo, che cos'è il mondo! i passeggieri, in generale,
trattavan peggio con lui che con gli altri.
Mentre il controllore parlava, il fattorino girava dentro il carrozzone
e con le sue mani patrizie pigliava i due soldi da signore, da donne
del popolo, da operai; nessuno dei quali poteva immaginare per che
lungo ordine di magnanimi lombi discendesse il sangue purissimo a
quell'uomo che porgeva loro lo scontrino con tanto rispetto. Ed io
lo guardavo, e pensando ai tanti che si bruciano le cervella per un
rovescio della fortuna, sentivo una simpatia e un'ammirazione più
viva per lui, che la mala sorte sopportava con così sereno coraggio,
guadagnandosi il pane con un lavoro onesto, mostrandosi veramente
nobile d'animo quale era di sangue.
Tornato accanto a noi, egli porse lo scontrino a una graziosa ragazza
in capelli, salita un momento prima sulla piattaforma, con un grosso
involto di panni sotto il braccio; la quale mostrò di compiacersi assai
dell'atto e del sorriso cortese con cui egli prese i suoi due soldi
e le disse grazie, inchinandosi leggermente. Il fattorino rientrò; il
professore domandò alla ragazza: — Vuol diventare contessa?
Quella lo guardò, stupita.
— Ma sì, — riprese l'amico; — non ha che da innamorare quel fattorino,
che è un conte.
La ragazza diede in un gran ridere; poi, accennando col piede
il canestrino della colazione posato contro il parapetto della
piattaforma, disse: — I conti non mangiano lì dentro.
Noi confermammo ed essa continuò a ridere; ma, cominciando a dubitare,
arrossì un poco, e si mise a guardare il giovane, che era dentro
il carrozzone, con una curiosità viva, che diventò seria a poco a
poco, come se le sorgesse dietro un sentimento di pietà. E forse per
dissimulare questo sentimento tornò a sorridere. Ma si rifece seria da
capo e, messo fuori un _mah!_ pensieroso, espresse il suo pensiero con
questo proverbio filosofico: — _Il mondo è fatto a scala_....
*
Sì, uno strano mondo veramente; e scopersi appunto in quei giorni,
perdurando la pioggia, che in nessun modo se ne può veder meglio la
stranezza che di dentro al carrozzone, osservando tutto ciò che passa
di volo nel finestrino di faccia, quando si corre per una delle vie
principali. È la lanterna magica della vita pubblica, la più bizzarra
fuga delle più disparate immagini che si possano incalzare nella mente
d'un febbricitante che sogna. Ecco una gran donna seminuda, dipinta
a colori di pesca, che vi offre una bottiglia enorme d'un liquore
miracoloso, e cede il posto subito all'annunzio d'una conferenza
agraria; al quale succede una vetrina di decorazioni cavalleresche e
una vetrina di burattini, e poi il vano d'una stradetta oscura della
vecchia Torino e il cartellone della _Figlia di madama Angot_ e il
fondo nero d'una chiesa, stellato dalle candele accese dell'altar
maggiore, nel momento che un gruppo di devoti uscenti alzano la tenda
della porta. La cornice rimane immobile per pochi secondi inquadrando
una gran testa di maiale esposta nella vetrina d'un salumaio; poi
racchiude successivamente l'interno d'una bottega dove una bocca
squarciata urla una _liquidazione volontaria_, l'annuncio del Fonografo
a dieci centesimi, le _Vergini di Torino_, romanzo a dispense, e una
vetrina piena di cedole e di marenghi, nell'atto che vi specchia la
sua miseria una povera donna in cenci, con un bimbo al seno e uno
per mano. Si va di tutta corsa, e nella cornice che fugge passano con
rapidità crescente una elegante signora senza testa, col prezzo fisso
sul petto, un uomo scorticato dalla fronte ai piedi, che vi mostra
tutti gli organi dipinti, e cinquanta lire di mancia per chi ritrovi
una cagna; e poi, più a rilento, un angolo di giardino tropicale, pieno
di ananassi e di banani, e _L'assassinio della corriera di Lione_,
dramma in sette quadri, “con sparo di pistole sul palco„, e le teste
d'una ragazza e d'un giovanotto che amoreggiano al banco in fondo a
una tabaccheria. Segue un'altra breve fermata, durante la quale il
finestrino vi presenta un annunzio d'_Indulgenza plenaria_ affisso
alla porta d'una chiesa; e avanti da capo, a precipizio, l'immagine
colorita d'un biciclista che par che v'irrompa addosso, il _Pagamento
gratuito dei coupons_, la Colonia Eritrea a volo d'uccello, una gran
madonna di porcellana che guarda il cielo e un giocatore che guarda
il pallone in aria, seguìti istantaneamente da un crocchio di signori
che bevon la birra dietro un lastrone di cristallo e da un piroscafo
imbandierato che porta all'altro mondo mille affamati. L'occhio e il
pensiero riposano per un breve tratto in cui non passa che l'assito
nudo d'una casa in riparazione; e poi ricominciano a incalzarsi più
rapidi gli abiti fatti, i libri di lusso, gli specifici portentosi,
le ghiottonerie, la _Società di Cremazione_, il _Cinematografo_,
il _Sapone della Vergine_, intercalati di cento grida stampate:
— O anemici! — Tutti al Bazar! — Leggete tutti! — Incredibile! —
Inarrivabile! — Occasione unica! — che vi par di sentirvi risuonare
nell'orecchio; fin che, al momento di sboccar nella piazza, vi appare
nel finestrino, ultima visione, un piccolo cane agitantesi sull'alto
d'un carro carico e latrante furiosamente non si sa a chi o a che
cosa.... forse a quel carnevale strambo della vita, a quella confusione
matta di cose e di idee, a quella fuga ciarlatanesca di vanità, di
pompe, di promesse, di menzogne e d'insidie, che gli dà le vertigini e
gli muove la bile.
*
Qui trovo segnato fra gli appunti un cambiamento generale nello stato
psicologico dei tranvaioli (la bella parola non è mia: la coniò una
povera pazza che saluta ogni giorno i passeggieri del tranvai a vapore
di Pianezza da una finestra della Villa Cristina). “A una settimana
d'acquate essendo succeduto un sereno fermo e un calore torrido e
secco, succede alla musoneria, come nei primi giorni dell'estate, un
sovreccitamento nervoso, che fa le discussioni più vivaci, la mimica
più scomposta, la galanteria più ardita, e mette ogni tanto in volto
alla gente delle vampe improvvise, da parer che piglin fuoco come
covoni di paglia.„ Tra i più eccitati trovai una mattina Carlin, sopra
una giardiniera dei Viali, acceso in viso e col berretto per traverso.
Quando salii, tuonava contro l'Impero Ottomano: le notizie dei
combattimenti seguiti in Macedonia con la peggio dei Turchi l'avevano
invasato d'odio bellicoso contro i Turchi; ai quali imprecava morte e
distruzione, mostrando il pugno a quello ch'egli credeva l'Oriente.
Ma mutò a un tratto discorso, e teso il pugno proprio dalla parte
opposta alla Svizzera, inveì contro Zurigo per la cacciata degli
operai italiani, dicendo che si dovevan mandare centomila uomini, con
gli alpini alla testa, contro quei patatucchi, a snidarli da quelle
case che avevamo fatte noi, — _noi_ — diceva, picchiandosi la mano
sul petto, — _noi_, con le nostre sacrosante mani. — Poi si rasserenò
alquanto parlando della mandata del Commissario civile in Sicilia, che
per lui era un _vicerè, dispotico di far quel che voleva_. Ma anche
su questo argomento si rinfiammò subito. — Per quella gente che non
sta mai quieta, che non vuol intender ragione, non c'è altro che la
mano di ferro d'un vicerè, che possa ridurla al dovere. — E diceva
questo senz'aver la più vaga idea delle condizioni dell'isola, per un
puro sentimento atavico d'idolatria del potere, per la compiacenza che
gli dava il pensiero d'una qualsiasi forza che vincesse e comprimesse
un'altra forza, fuori d'ogni considerazione di giustizia e di diritto.
In fine, venne a una conclusione profonda: tutto il mondo andava per
traverso; c'eran miserie e guai da per tutto; di contenti non c'eran
che quelli che facevano all'amore. — _Rien que l'amour_, — disse con un
sorriso che diede alla sua faccia un'espressione affatto nuova per me.
— Avere una donnina che ci voglia bene, e _fessla bonna_, far la dolce
vita insieme, così, come quei due là, che son sempre attaccati l'uno
all'altro come due spicchi d'arancia, sempre d'amore e d'accordo, come
se li avesse maritati nostro Signore in persona.... — E la coppia che
m'accennava, sulla terza panca davanti a noi, eran proprio i piccoli
sposi di borgo San Donato, che non avevo più visti dopo quel giorno
alla barriera di Casale.
Potei veder bene lei perchè stava seduta un po' di fianco, col viso
voltato indietro, in ammirazione di tre splendidi bambini biondi,
con le vestine bianche ricamate; il più piccolo dei quali era tenuto
sulle ginocchia da una balia in gran gala. La gestazione avanzata
aveva ridotto anche più smunto e compassionevole quel suo povero
viso a cui la natura aveva negato ogni grazia femminina e perfin la
freschezza giovanile; ma vi splendeva in quel punto la dolcezza soave
di quel primo sentimento della maternità, che in ogni bambino fa vedere
alla sposa un fratello della creatura che aspetta, e istituire dei
confronti amorosi fra quello e l'immagine che essa vagheggia; e questi
pensieri balenavano nella bontà dei suoi occhi quando essa fissava il
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