La Carrozza di tutti - 04

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gli apparecchi del carnevale in piazza Vittorio Emanuele. E anche
questo fu un caso d'appiccicamento forzato; ma d'indole comica: uno di
quei mezzi briachi espansivi che vi s'attaccano come mignatte. Era un
operaio sui cinquanta, bassotto, col cappello arrovesciato indietro
e un ciuffo di capelli grigi sulla fronte; che pareva si fosse preso
tutta la pioggia della giornata, tant'era fradicio da capo a piedi.
Stava solo sulla piattaforma, masticando un mozzicone di Virginia, con
una faccia che mostrava un gran prurito di chiacchierare. — Appena
salii, mi guardò fisso con due occhi lustri, e si rivelò meneghino
alle prime sillabe: — _Pisson d'on temp!_ — Con questo fiore di lingua
attaccò la conversazione. Aveva fatto una passeggiata fuor di porta
(si vedeva) _cont on amis_, nel quale s'era imbattuto la notte, _a la
vœuna e mezza_, dopo tanti anni che non si vedevano, un compagno d'armi
del 1866, che s'era trovato con lui a Rocca d'Anfo, _sotto Garibaldi_.
— _Hoo minga bevu tropp_ — disse, — .... _duu gott_.... — Era un po'
allegro, ne conveniva; ma questo non gli avrebbe impedito d'andar la
mattina dopo al lavoro: era lavorante in ferro. Poi disse ex abrupto:
_Vedaremm, vedaremm_, queste prossime elezioni. _Cossa el ne pensa
lu?_ — Ma, senz'aspettar la risposta, mi guardò in viso, col capo un
po' inclinato da una parte, sorridendo maliziosamente, e, appuntandomi
l'indice al petto: — _Lu el dev vess de l'oposizion!_
Parendomi pericoloso il fargli delle confessioni politiche, mi
contentai di sorridere. Egli picchiò il pugno nella mano in atto
di trionfo e gridò: — _Ah! el disevi mi! Mi conossi la gent da la
fisonomia._ — Egli aveva dato il suo voto allo Zavattari. — _Cossa ne
pensa lu del noster Zavattari?_
La mia risposta lo soddisfece.
— _El credi mi!_ — esclamò. — _E del noster Cavallotti, sentimm on
poo...? E del noster Imbriani?_
Ma le mie risposte, troppo laconiche, non finivano di contentarlo.
Me ne fece dell'altre, a cui non risposi più che con cenni del capo.
Allora scrollò una spalla, dicendo: — _Hoo capii: el vœur minga
desbottonass._ — E sorrise in atto di compatimento. Poi, tutt'a un
tratto, come se gli fosse venuta su un'ondata di vino, mi fissò negli
occhi uno sguardo torvo, e voltandosi verso di me con un movimento
brusco che gli fece fare un traballone: — _Ovèi, disi.... el me
credariss forsi on confident de questura?_
Caspita! Bisognava rispondere. — Che cosa le passa per la testa? —
dissi con gravità. — So bene che uno che s'è battuto con Garibaldi non
può far di questi mestieri.
— Ah! — esclamò rasserenandosi. — Ecco una parola giusta! — E provò a
ripetersi la mia risposta per gustarla meglio. — _Ben ditt!... Ah lu
l'è fin! Lu el m'ha daa una risposta che ghe fa onor!_ — E poi da capo:
— _Ch'el me disa donca_ — domandò con un sorriso sarcastico —, _cossa
el ne pensa lu de Francesco Crispi?_
Ma non aspettò la risposta: si voltò verso la strada e, tirando un
moccolo, mostrò il pugno all'orizzonte, come se il fantasma del suo
nemico sorgesse dietro la collina di Superga. E poi un'altra volta, con
un'ostinazione mulesca: — _Ma ch'el me disa propri quel ch'el pensa del
noster Zavattari?_
E continuò così, implacabile, per tutto il tragitto. Salirono altri;
speravo che s'attaccasse ad altri. Ma no, egli rimase incollato a me,
seguitando a tempestarmi di domande, ora stizzendosi del mio laconismo,
ora approvando calorosamente le mie mezze risposte, ora interrogando
e rispondendo in vece mia, e lodandomi della risposta che s'era fatta
egli stesso. Ma alla fine si dichiarò malcontento. — _L'è inutil....
l'è inutil_ — concluse scrollando il capo, con un sogghigno amaro: —
_El se vœur propri minga desbottonà_.... — E voltatosi ancora una volta
a guardarmi prima di discendere, diede in una gran risata, e esclamò: —
_Ah! che politicon!... Ah che maggia!_
Discese, respirai. Ma fatti appena quattro passi, mentre era ancora
fermo il tranvai, si voltò indietro: tremai che risalisse; non
risalì. Mi ripetè soltanto con un sorriso furbesco, tendendo la mano e
tentennando sulle gambe: — _E pur.... lu el dev vess de l'oposizion!_ —
Detto questo, se n'andò. Ero libero; ma il divertimento era durato per
la bellezza di duemila e quattrocento metri. E così si chiuse per me
la nefasta giornata del 9, della quale, rientrato in casa, presi nota
con dispetto, maledicendo alla poesia tranviaria, alle amicizie rotte e
alla politica brilla, quasi infastidito del mio soggetto....
*
Mi rinfrescarono l'ispirazione tutt'a un tratto le “giardiniere„
che fecero la solita apparizione transitoria negli ultimi giorni di
carnevale. Quelle grandi carrozze leggiere e aperte da ogni lato, in
cui i passeggieri siedono gli uni dietro gli altri, tutti rivolti da
una parte, in modo che, stando ritti sul davanti, un po' di sbieco,
s'abbracciano con lo sguardo ventotto visi disposti in sette file,
come nella platea d'un teatro minuscolo, presentano un molto più largo
e più vario campo all'osservatore che i carrozzoni chiusi. Vi potei
far subito delle osservazioni nuove sulla famiglia amenissima degli
erotici, che, non potendo più giovarsi della confusione e del serra
serra, vi si mostrano più scopertamente. I più arditi, i giovani per
lo più, s'appoggiano con impostature eleganti al parapetto anteriore,
voltando le spalle ai cavalli, e passano in rassegna il bel sesso della
piccola platea volante, come usano di fare, tra un atto e l'altro,
dalle sedie chiuse. I più timidi, che sono anche gli osservatori
più profondi e i goditori più raffinati, stanno ritti in fondo, di
dove non vedono i visi, ma godono di molti altri aspetti della forma
femminile, che pare li compensino largamente di quella privazione. Di
là, in fatti, possono accarezzare con lo sguardo i colli bianchi, i
ciuffetti di capelli agitati dall'aria sulle nuche, i piccoli recessi
candidi e rosati intorno alle orecchie, i saldi nodi delle capigliature
morbide sporgenti sotto ai cappellini e le lunghe trecce cadenti sulle
schiene giovinette; e possono anche osservare a bell'agio i diversi
atti graziosi, risoluti o languidi, artificiosi o semplici, con cui le
belle persone siedono e si assettano, e misurare con gli occhi le vite
snelle e le braccia rotonde, e spingersi pure, senza farsi scorgere,
ad osservazioni più delicate sulle passeggiere dell'ultima panca,
chinando lo sguardo quasi a piombo sulle linee moventi che s'inarcano
dai colli alle cinture e sulle curve ferme che scendono dalle cinture
ai ginocchi. Si sale di rado in una giardiniera, in cui non si possa
osservare qualcuno di questi osservatori cogitabondi, che col luccichìo
delle pupille dicono chiaramente con che cosa si stia trastullando il
loro pensiero.
Un bell'originale di questa famiglia conobbi sulla linea dei Viali il
dopopranzo della domenica grassa. Stava ritto accanto a me, in fondo
alla giardiniera. Era un signore attempatotto, rotondo e roseo, senza
un pelo di barba, con una bella capigliatura grigia ondulata che gli
scappava di sotto a un piccolo cappello a tuba: tutto vestito di nero e
impiccato in un alto solino bianchissimo. L'avrei preso per un pastore
evangelico se non avesse mandato intorno un profumo acuto d'essenza di
rose. La giardiniera era piena di signore e di signorine. I suoi occhi
celesti e vivi scorrevano senza posa su quella folla di cappellini che
offriva l'aspetto d'un'aiuola fiorita, accompagnavano per un tratto
ogni signora che scendeva, squadravano, avvolgevano, scrutavano ogni
signora che saliva, non perdevano uno solo dei movimenti che faceva
ciascuna per alzarsi, per voltarsi indietro, per aggiustarsi le vesti,
per far posto ad un'altra: pareva che egli pigliasse degli appunti
mentali. Ma non v'era ombra di sensualità nel suo sguardo: v'era
un'espressione come di compiacenza artistica, un continuo leggerissimo
sorriso di godimento puro e tranquillo dell'immaginazione. A un dato
momento vidi i suoi occhi dilatarsi fissandosi sulla spalliera mobile
dell'ultima panca, alla mia sinistra; guardai: egli aveva colto sul
fatto una crestaina, salita poco prima con un giovanotto, la quale,
tenendo le braccia ripiegate indietro sopra la cintura, e facendo
l'indiana, agitava le dita fra le mani dell'amico, ritto dietro di
lei, indianeggiante egli pure; e mi parve che quella scoperta lo
rallegrasse, gli destasse un senso di gioia benevola, come quella d'un
padre che vede scherzar la figliuola col fidanzato. Un tal colore,
se altro non era, egli dava abilmente al suo sentimento. Lo giudicai
uno di quei vecchi fortunati, sani di temperamento e di spirito, che
dal bel sesso sono ancora attratti, ma non turbati, che ammirano una
bella donna come una bella aurora, che davanti allo spettacolo della
bellezza e della grazia femminile e degli amori e delle ebbrezze della
gioventù, dignitosamente rassegnati alla parte di spettatori, non
provano che un senso di dilettazione serena, scevra d'ogni invidia e
d'ogni rimpianto. Seguitai un'altra volta il suo sguardo, che si fissò,
con un'espressione di maraviglia, all'estremità d'una delle panche del
mezzo.... e riconobbi là il profilo purissimo della “vergine morta„;
la quale subito, nella mia fantasia, si distese sopra un panno nero,
in mezzo a quattro ceri, con gli occhi chiusi e lo braccia in croce,
ravvolta in un velo bianco e coronata di fiori.
Era anche questa volta sola, vestita con la semplicità di tutti
i giorni, con una rosa bianca sul cappellino; bianca come il suo
viso immutabilmente sereno di creatura sovrumana, che non potesse
nè arrossire, nè ridere, nè piangere, intangibile ad ogni passione
terrena. Il chiodo della curiosità mi si ficcò anche più addentro che
la prima volta. Chi poteva essere? Qualcuna delle signore vicine,
di tratto in tratto, si voltava a guardarla: pareva che non se
n'avvedesse. Ma della sua impassibilità maravigliosa diede una prova
anche maggiore. In un momento che s'era fermi, passò lentamente in
bicicletta, venendo in direzione opposta alla nostra, dal lato dov'ella
sedeva, un bel tenente dei bersaglieri, il quale la fissò, e tirò via.
Ma appena si ripartì, quegli tornò indietro e prese ad accompagnare
il tranvai, come un aiutante di campo una carrozza reale, col viso
rivolto verso la ragazza. Molti s'accorsero della manovra e si misero
a guardarli tutti e due. L'ufficiale sorrise, un po' confuso, ma non
si scostò; essa non diede il minimo segno nè di compiacenza, nè di
suggezione, nè di dispetto, come se sulla bicicletta ci fosse stato
un bambino di sei anni: osservava le ruote e il movimento alternato
dei pedali col suo sguardo tranquillo e limpido, come se studiasse
il meccanismo. Quegli ci fiancheggiò ancora per un po', continuando
a guardarla; poi fece forza, passò avanti e disparve; e lei girò sui
passeggieri che la guardavano i suoi grandi occhi d'angelo senza sesso,
nei quali non era indizio d'alcun pensiero, come se nulla avesse visto
e nessuno l'avesse guardata. Ma era veramente un miracolo d'innocenza o
d'austerità d'animo, oppure un prodigio di simulazione? Questo sospetto
mi fece riflettere. E doveva aver fatto in tutti un'impressione assai
viva poichè, quando discese all'angolo di via Gioberti, tutte le teste
dei passeggieri, come se un colpo di vento le voltasse, si girarono
a guardarla, e vidi che la sua smilza figura di bambina cresciuta
in furia, la modestia monacale del suo vestire e la sua andatura
stranamente fanciullesca accrebbero in tutti lo stupore, come in me la
curiosità. Ma chi poteva mai essere? E avrei fatto la sciocchezza di
scendere e d'andare a chiederne informazioni al portinaio della casa
dov'entrava, se la mia curiosità non fosse stata attratta in quel punto
dal viso d'un bimbo, che stava ritto sopra una delle prime panche, in
mezzo a una signora e a una governante, e che mi pareva d'aver visto
altre volte.
Mi pareva quello a cui sua madre aveva fatto abbracciare la bambina
bionda, sul carrozzone di Giors, l'ultimo giorno di gennaio. Riconobbi
infatti la madre ai capelli un po' scomposti e al profilo ardito,
mentre si voltava a sinistra, a parlare con una persona che non vedevo.
Essendoci un posto vuoto sulla panca dietro la sua, mi ci andai a
sedere alla prima fermata, curioso di veder da vicino quella signora
originale, a cui avevo ripensato molte volte, ricordando le vampate
rosse che le salivano al viso quando s'accalorava e l'aria di suora
di carità intrepida che spirava dai suoi grossi occhi neri. Parlava
con una ragazzina povera di tredici o quattordici anni, col capo nudo,
magrissima, che pareva convalescente, e tossiva. Mi stupì la sua voce
robusta, calda, un po' velata, come di chi ha molto gridato; ma assai
di più il modo com'essa parlava a quella poverina, alla quale rivolgeva
delle domande e pareva facesse delle raccomandazioni, che il rumore
del carrozzone non mi lasciava intendere. Era un'espressione del
viso, un atteggiamento, un accento di sollecitudine e di cortesia, che
rispondevano mirabilmente a un'idea ch'io avevo in capo della maniera
da usarsi dai signori coi poveri; nella quale la benevolenza non
abbia ombra di curiosità nè di sforzo, e sia delicatamente rattenuta
la manifestazione della pietà, e questa non apparisca punto di natura
diversa da quella che noi sentiamo per i dolori dei nostri eguali, e
la familiarità non si mostri concessa per proposito, ma data per moto
spontaneo dell'animo, senza coscienza di darla.
Eravamo a metà del corso Cairoli quando un pezzo d'uomo barbuto,
una figura di fattor di campagna arricchito, che dava le spalle alla
signora, non mostrando di sè altri connotati che due enormi orecchie
vermiglie, accese un sigaro Cavour e si mise a far fumo come un camino.
L'aria mossa portò i nuvoli in viso alla ragazzina, che prese a tossir
forte, torcendo il capo e schermendosi con le mani.
La signora stette un po' incerta; poi sporse il capo avanti e, con
buon garbo, pregò il fumatore di smettere, accennandogli la ragazza che
tossiva.
Quegli voltò il suo faccione rosso, sgraditamente sorpreso, diede
un'occhiata alla signora e alla sua protetta, e continuò a fumare.
Alla signora venne su una delle vampate solite e si gonfiò il collo
come a una cantante che prepara una nota poderosa. — Signore, — ripetè,
meno cortesemente di prima —, abbia la bontà di smettere.... per
umanità, non per cortesia.
L'uomo scrollò una spalla e cacciò fuori un altro nuvolo.
— Mettiti al mio posto —, disse allora risolutamente la signora alla
ragazza, scattando in piedi, e soggiunse forte: — Che screanzato!
Quegli si voltò in tronco, con gli occhi larghi, dicendo con violenza:
— Guardi come parla!
— Parlo come debbo!
L'uomo s'alzò.
— Oh s'alzi pure; sono una donna; ma non ho paura! — E ritta in faccia
all'omaccione, mentre il fattorino ed altri s'interponevano, col viso
eretto e acceso e l'occhio imperterrito, stringendo a sè con una mano
il bimbo piangente e tenendo l'altra sulla spalla della ragazzina
impaurita, la piccola e brava signora era bella da baciarla in fronte.
Sopraffatto da un coro di voci ostili, l'uomo si rimise a sedere,
bofonchiando, senza levarsi il sigaro di bocca, ma non fumando più;
e pochi minuti appresso, arrivando il tranvai allo sbocco di via
Bonafous, la signora discese col bimbo e con la governante, dopo aver
salutato la sua protetta, e si perdette in mezzo alla folla immensa
accalcata intorno ai baracconi e alle giostre di piazza Vittorio
Emanuele, donde s'alzava un frastuono infernale di grida e di musiche
discordanti.
*
Per tre giorni le giardiniere furono infestate da un esercito di
_pierrots_ e di _bébés_, vestiti a centinaia d'un solo colore, come
se li avesse arruolati e mascherati la Prefettura, e ripetenti tutti,
dalla mattina alla sera, lo stesso eterno _ciao_ e _ti conosco_,
col medesimo grido in falsetto, acuto e molesto come i loro fiati
vinosi e le esalazioni della loro biancheria sospetta e della loro
pelle in sudore. Nel piccolo teatro del tranvai, con mio rammarico,
si sostituiva alla commedia piacevole di tutti i giorni il veglione
chiassoso, dove non potevo più osservare che la caricatura buffonesca
della vita. Di mala voglia, il dopo pranzo del martedì grasso, feci
una corsa da piazza Statuto alla Gran Madre di Dio. Erano giunte
dall'Africa le brutte notizie dei combattimenti di Seeta e di Alequà
coi ribelli. Intorno a me, fra i passeggieri, si commentavano i fatti,
e alle parole tristi che si scambiavano intorno alla strage, alle
sevizie usate ai feriti, alla morte dei tenenti Negretti e Caputo e
dell'ufficiale arso vivo, e ai pronostici che si facevano di altri
casi più funesti, si mescolavano le note festose delle trombette e dei
corni, gli strilli e i canti delle maschere che passavano e i lazzi e
le risa di quelle del tranvai; e in mezzo a quella baldoria mi parevano
più miserande e più terribili le immagini di quelle povere vittime
lontane della guerra maledetta. Ah, che cosa sono i lutti nazionali
quando cadono nei giorni destinati dal Calendario alla gozzoviglia e al
baccano!
Per un tratto di strada mi stette seduto accanto un uomo maturo, il
quale non aveva altra maschera che un gran naso orizzontale, e con
quel becco di cicogna sul viso, come se lo portasse per obbligo,
leggeva con gran serietà la _Gazzetta del Popolo_; poi un operaio
alticcio e mezzo assonnito, che, dimenticando d'essersi annerita la
faccia con sughero bruciato per divertir sè ed il pubblico, discorreva
con accento lamentevole di certi suoi dispiaceri di famiglia a un
amico addormentato. A metà di via Po, una graziosa mascherina verde,
scendendo dal carrozzone mi diede un lattone sul cappello e mi disse
nell'orecchio: — Abbasso il socialismo! —; ma non me n'offesi perchè,
agli occhi e ai modi, non mi parve, per quanto riguardava la sua
persona, una troppo fiera nemica della proprietà collettiva. Al posto
di lei salì poco dopo una vecchia signora, di capelli bianchissimi,
d'aspetto dignitoso e buono, che serbava ancora i segni d'una bellezza
gentile, e sulla panca davanti un giovanotto in maschera di pulcinella,
con gli occhi accesi dalle libazioni, che stringeva un sacchetto di
confetti con due mani rudi d'operaio. Ed ebbi allora un esempio di
quanto valga la gentilezza più dello sdegno a imporre rispetto anche a
un animo volgare. Colpito da quella bella canizie signorile, il giovane
s'appoggiò alla spalliera della panca, proprio in faccia alla signora,
sorridendole con familiarità impertinente, con l'intenzione manifesta
di dirle qualche facezia grossolana. Cominciò con la formola solita: —
Ah, ti conosco.... t'ho conosciuta quand'eri giovane.... cerca un po'
di ricordarti.... — Una risposta secca avrebbe provocato un'insolenza.
La signora rispose invece dolcemente, scrollando il capo: — Tu sbagli,
povero figliuolo; quand'io ero giovane tu non eri ancora nato....
La pacatezza, la grazia sorridente, velata d'una certa mestizia,
e l'accento di benevolenza quasi materna con cui ella disse queste
parole, tanto diverse da quelle ch'egli s'aspettava, fecero rimanere il
giovane come interdetto. Sorrise, scotendo il capo; volle ribattere, ma
non osò, e per uscirne tuffò la mano nel sacchetto e porse alla signora
due caramelle, che essa accettò; poi si mise a sedere, e non disse più
nulla.
Il tranvai, come un barcone scendente da un fiume in un lago, entrò
dentro alla folla enorme di piazza Vittorio Emanuele; e in mezzo
a quella moltitudine bamboleggiante attorno alle grandi giostre
scintillanti d'oro e di specchi, ai baracconi imbandierati, ai
pagliacci urlanti, ai fantocci mostruosi, dinanzi allo spettacolo
di tutta quella gente d'ogni condizione e d'ogni età che girava sui
cavalli di legno, sulle barche, sui velocipedi, sulle altalene e
accorreva agli squilli di tromba dei ciarlatani chiamanti a raccolta
l'imbecillaggine umana, la persona più seria, l'unico che paresse un
uomo, che mostrasse d'aver ancora un cervello nel cranio era il povero
cocchiere, un gobbetto di pelo rosso, che, rattenendo i cavalli,
s'affannava a fischiare, a gridare: — Attenti! — a rimovere dalle
rotaie i rimbambiti, molti dei quali gli rivolgevano delle ingiurie,
offesi dalla superiorità di giudizio ch'ei mostrava d'aver sopra di
loro. Che respiro tirò il pover'uomo quando si trovò all'aperto sul
ponte di Po, fuor del pericolo di storpiar senza colpa il suo prossimo
e della necessità d'aver cervello per mille! Tirò fuori il fazzoletto
turchino e s'asciugò la fronte grondante di sudore, e quando si arrivò
in faccia alla Gran Madre di Dio, staccati appena e riattaccati i
cavalli, afferrò il suo canestro, sedette sul predellino, e si mise
a ingozzare in furia una povera minestra fredda di riso e fagioli.
Io stetti osservandolo, aspettando che il tranvai ripartisse. Poteva
aver trentacinque anni; doveva esser un contadino, perchè portava due
cerchietti dorati alle orecchie, e all'udire il suo accento vercellese,
pensai che fosse uno di quei lavoratori delle risaie, che i loro
colleghi del tranvai chiamano burlescamente _mangiarane_, dicendo che
la vita dura del cocchiere è una delizia per essi, appetto a quella
d'inferno che menavano prima. Vedendo che l'osservavo, mi raccontò a
parole rotte, masticando, la storia della sua colazione; la quale era
in ritardo di quattr'ore, poichè quella mattina, essendo egli stato
mandato all'improvviso dalla linea dei Viali a quella del Martinetto
a supplire un assente, il canestro, che gli aveva portato sua moglie,
s'era sviato. e passando di tranvai in tranvai, aveva girato per
le linee dalle dieci alle due, prima di raggiungerlo. E il povero
gobbetto, digiuno dall'alba, mentre mangiava a precipizio, si voltava a
ogni boccone a guardar se l'altro tranvai arrivasse, già affannato dal
pensiero della folla che avrebbe dovuto riattraversare, spolmonandosi
a fischiare e a urlare, in piazza Vittorio Emanuele, in via Po, in
via Garibaldi, fino al capo opposto di Torino.... — Ah il carnevale —
esclamò — per noi altri!... Se conoscessi chi l'ha inventato! — E fece
l'atto di scaraventare il canestro in faccia a qualcuno.
Ripartii con lui; si ruppe un'altra volta l'onda umana della gran
piazza, in mezzo a un frastuono diabolico, e anche prima d'arrivare in
via Po, il tranvai era stracarico. V'era una mescolanza di cappellini
fioriti, di chepì, di tube, di capigliature arruffate, di berrettine
rosse e di cappelli a pan di zucchero e di cappucci di maschere,
un pigia pigia di gente con l'argento vivo addosso, che lanciavano
risa e grida, come scoppi di razzi e di petardi, agli alti tranvai
che passavano; dai quali rispondevano altre bocche spalancate e
braccia fendenti l'aria, come da tanti gabbioni di matti. A ogni
tratto la giardiniera si fermava, e molti scendevano, molti salivano,
disputandosi il posto, cadendo seduti e rialzandosi, strofinandosi
a vicenda per tutti i versi e scambiandosi urtoni, complimenti e
pizzicotti, con un cicaleccio e un vocìo che assordava. In piazza
Castello mi si venne a piantar davanti, sulla piattaforma posteriore,
un mascherone colossale, insaccato in un dominaccio nero che gli
dava l'aspetto d'un fratello della Misericordia, e costui e altri due
mascherotti vinolenti, quando furono in via Garibaldi, cominciarono
a tormentare una donna, che le loro schiene mi nascondevano,
tempestandola di domande buffe, e chiamandola _mare_ e _nona_, per
canzonatura.
— O _mare_, come ve lo siete goduto il martedì grasso?
— Guarda che po' di sacco di confetti che ha vuotato!
— O una giratina sulla giostra a barche l'avete data?
— L'ho trovata io in un _Gabinetto riservato agli adulti_!
— L'ho vista in maglia nel _Padiglione orientale_!
Non udii alcuna risposta. Un minuto dopo, i tre buffoni saltarono giù,
e io riconobbi all'estremità dell'ultima panca la vecchietta di Pozzo
di Strada, che doveva esser salita, come sempre, all'angolo dì via
XX Settembre. Aveva il fazzoletto in capo, il suo sacco vuoto sulle
ginocchia, il suo solito atteggiamento umile e raccolto. Non mostrava
alcun risentimento delle beffe, come se non le avesse neppure intese:
guardava con lo sguardo attonito d'un bimbo le ragazze mascherate che
passavano in bicicletta, i drappelli di maschere che sfilavano accanto
al tranvai pestando i tacchi e ripetendo tutte in coro lo stesso grido
come branchi di capre, la doppia processione nera che andava e veniva
sui marciapiedi; ma pareva che non vedesse nulla. Vide però la chiesa
dei Santi Martiri, quando vi si passò davanti, e si fece il segno
della croce. Quel pensiero fisso, che già le avevo visto nel viso,
pareva che si fosse fatto più profondo e più inquieto; più sovente essa
socchiudeva gli occhi e chinava il mento sul petto e poi si riscoteva
come da un breve sogno angoscioso, e m'appariva più piccola, più
risecchita, più meschina, come se dall'ultima volta che l'avevo veduta
non avesse più dormito e fosse diventata più povera. Che cos'aveva? Non
immaginavo alcuna causa determinata del suo dolore; ma sentivo così in
confuso che la cognizione di quella causa era celata in qualche parte
della mia mente, e che quando l'avessi saputa mi sarei maravigliato
di non averla scoperta io medesimo. Si segnò di nuovo quando passammo
davanti alla chiesa di San Dalmazzo, chiuse gli occhi ancora una volta
quando si sboccò in piazza Statuto, e più su, vicino al monumento del
Fréjus, quando io discesi a destra per andare a casa, essa discese
a sinistra verso lo stradone di Rivoli. La vidi allontanarsi col suo
sacco vuoto sotto il braccio, a passi lenti e uguali, curva sotto il
suo dolore misterioso, come sotto un giogo invisibile, solitaria in
mezzo alla vasta piazza già oscura, piccola, compassionevole come
una formica smarrita. E con quel povero punto nero che si perdette
nell'orrizzonte silenzioso della campagna svanirono per me tutti gli
splendori e tutti gli strepiti del carnevale.
*
La ritrovai pochi giorni dopo sulla stessa linea, alla prima corsa
della mattina, e cercai subito un modo d'interrogarla, per scoprire
il suo segreto; ma mi distrasse da lei un nuovo spettacolo, un
corso d'osservazioni nuove sul singolare aspetto in cui si presenta
all'occhio del passeggiere dei tranvai la battaglia elettorale. Ferveva
già l'agitazione per quelle tanto aspettate elezioni amministrative,
che dovevan decidere finalmente della prevalenza del partito cattolico
o del partito liberale. I muri erano tappezzati di manifesti d'ogni
forma e colore che s'alzavano superbamente fino ai terrazzini e
scendevano umilmente fin sui marciapiedi, come per attaccarsi alle
gambe dei signori e per leccare le scarpe ai poveri. Su tutte le
linee si correva per lunghi tratti in mezzo a un coro visibile di
esortazioni, di promesse, di accuse, di preghiere, di minacce, fra cui
sonavano più alto, come note acute, centinaia di nomi noti ed ignoti,
aristocratici, borghesi, plebei, quasi gridati dai muri, come da una
folla, con mille diverse intonazioni allegre e solenni, imperiose
e supplichevoli; alle quali pareva che il carrozzone sfuggisse,
fischiando e scampanellando per dir di no, che non ci credeva, e
che aveva altre cure per la testa. A ogni fermata, tutte quelle voci
si facevan sentire più forti e più chiare, e poi si confondevano da
capo in un mormorìo sordo e lontano, in cui non si raccapezzava più
nè programmi nè nomi. Dentro al tranvai, peraltro, sorgevano dispute
concitate, delle quali non m'arrivava all'orecchio che qualche parola,
come _baloss_, _ciarlatan_, è tempo di finirla, la vedremo, e cose
simili; e c'eran dei signori che, senza disputare, aprivano l'uno in
faccia all'altro, in atto ostile, l'_Italia reale_ e la _Gazzetta del
Popolo_, altri che facevan pacatamente discussioni tutte aritmetiche,
in cui ritornavano a ogni tratto i cinque mila, i sette mila, i dieci
mila, come nei discorsi di guerra, e altri parecchi che, tendendo un
orecchio a quei discorsi, guardavan la fuga dei manifesti sui muri con
un sorriso canzonatorio continuo, come gente che si spassasse a un modo
dei neri, dei rossi e dei tricolori. Sugli altri tranvai che passavano,
intanto, vedevo dei giovani di mia conoscenza, che tenevan sotto il
braccio dei pacchi di stampati, con l'aria di gente affaccendata,
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