Attraverso il Cinquecento - 15

Total number of words is 4518
Total number of unique words is 1813
36.2 of words are in the 2000 most common words
51.1 of words are in the 5000 most common words
59.0 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
duca Cosimo II perchè lasciasse abitare in qual parte della città fosse
loro più a grado le cortigiane ricche, le quali pagavano al convento
una tassa cospicua[448].
Persino le leggi penali usavano talvolta alle cortigiane (intendasi
sempre le maggiori, le _onorate_) insolita clemenza. Bisognò che
Isabella de Luna passasse tutti i termini della tracotanza, e facesse
al maggior magistrato di Roma, cioè al Governatore, uno sfregio
sanguinoso, perchè questi si decidesse a punirla con cinquanta
staffilate, datele in pubblico, sulle carni nude. Tuttavia, pensando
egli, il Governatore, ch’era monsignor de’ Rossi, vescovo di Pavia,
«la delinquente essere femina e meretrice pubblica, non volle in
tutto usare quella rigidezza e severità che il caso ricercava»[449].
La onesta Cursetta, di cui, come ho detto, Giovanni Burchard narra la
istoria, fu, per una colpa che non istarò a ricordare, menata in giro
per la città, vestita di velluto nero, e con le membra interamente
libere, mentre il suo complice, un disgraziato moro in vesti femminili,
fu menato in processione coi panni alzati e con le braccia legate, fu
messo in carcere, fu strozzato, dopo alcun giorno in Campo di Fiore,
e finalmente arso, ma solo in parte, perchè di arderlo tutto non
permise una gran pioggia che sopravvenne[450]. E qui vuol anche essere
ricordato come vigesse l’uso per quasi tutta Italia di donar la vita a
quei condannati che fossero domandati per marito da meretrici.
Ciò nondimeno non era tutta rose la vita delle cortigiane. Lasciando
stare il tedio, la sazietà, il disgusto, che non si potevano scompagnar
dal mestiere, c’erano i soprusi degli amatori prepotenti, c’erano
gl’inganni dei truffatori, c’erano infermità vituperose[451], e mille
altri pericoli che in quella vita rimescolata potevano sorgere a
ogni ora. Quante non si videro improvvisamente spogliate d’ogni loro
ricchezza, come quella signora Aquilina Veneziana che il Lasca tentò
consolar co’ suoi versi![452]. Quante non furono percosse, ferite,
uccise! Le più, dopo avere sguazzato un tempo, cadevano in povertà,
e finivano miseramente la vita, all’ospedale, o tramutandosi di
cortigiane in mezzane[453], in locandiere, in lavandaie, o a dirittura
elemosinando alla porta delle chiese[454]. La Salterella, che pagava
ottanta scudi di pigione quand’era in voga, non ne pagava più che
sedici nel 1549. La gloriosa Tullia d’Aragona moriva, non povera
affatto, ma troppo scaduta dall’antica grandezza, in casa di Matteo
Moretti da Parma, oste in Trastevere[455]. La Giulia, che aveva in vita
guadagnato tesori, non ha, morta, un quattrino da pagar Caronte[456].
Tante miserie potevano porgere, e porsero in fatto, soggetto acconcio
a una specie di componimento che ebbe gran voga in quel secolo, il
Lamento[457]. Nel _Dialogo di Amore_ dello Speroni Tullia d’Aragona si
lagna forte dei mali ond’è afflitta la vita delle cortigiane, e lagni
simili ai suoi udremo dalla bocca di Veronica Franco. Molte, dopo aver
battagliato assai cercavano, come la Tullia appunto, rifugio e pace nel
matrimonio, e parecchie seguitavano, dopo maritate, a fare la vita di
prima[458].
Alcune, come la Imperia, la Fiammetta, la Sgarrettona e Camilla da
Fano, ricordate dall’Aretino[459], finirono bene, ricche, in casa
propria, lasciando di sè onorata memoria. La Imperia fu seppellita
con gran pompa nella cappella di Santa Gregoria in Roma, e sulla sua
tomba fu posto questo epitafio, strano un po’ per una chiesa: IMPERIA
CORTISANA ROMANA QUAE DIGNA TANTO NOMINE, RARAE INTER MORTALES FORMAE
SPECIMEN DEDIT. VIXIT A. XXVI. D. XII. OBIIT MDXI, DIE XV AUG.[460].
Nella chiesa di Sant’Agostino si ammirava la cappella della Fiammetta.
Nella biblioteca reale di Monaco si conserva un manoscritto dei tempi
di Alessandro VI, intitolato _Epitaphia clarissimarum mulierum quae
virtute, arte aliqua nota claruerunt_: insieme con parecchi epitafii
di sante, parecchi ce ne sono di cortigiane illustri[461]. Morta, in
età ancor giovane, Maddalena Salterella, Niccolò Martelli, scriveva a
messer Albizzo Del Bene: «Io non pensava già, Mag.º M. Albizzo, d’aver
così tosto a cangiare stile, avendovi pochi dì fa scritto per le mani
del nostro gentilissimo M. Lucantonio Ridolfi e con essa mandatovi
una parte delle lodi alla sfortunatissima Sig.ª Maddalena Salterella;
della quale nel mezzo di certi umor maligni e cattivi entrò morte nel
bel corpo e in pochi giorni ne trionfò allegramente senza una pietà al
mondo. L’anima benedetta della quale si gode ora in pace lieta l’eterno
bene; e nel vero è stata perdita non piccola, che ogni un dì non si
vede un albergo di sì onorati costumi, nè si gusta un trattenimento
sì reale accompagniato da mille onesti passatempi pieni di virtuosi
effetti, e a me ella è doluta assai, e così come la penna mia le
acquistò lodi vivendo, così ora ne ho fatto per memoria quattordici
versi, i quali in un sonetto li vi mando. Che ’l Signor Iddio le abbia
dato quel riposo che meritavan le sue ottime qualitadi e a noi presti
della sua infinita grazia»[462].
Abbiam veduto qual fosse la cortigiana del Cinquecento; è egli vero
che ricompare in lei l’etèra greca dei tempi di Pericle e di Alcibiade?
Molti dissero risolutamente che sì; taluno negò o dubitò[463]; il vero
si è che tra la cortigiana e l’etèra c’è molta conformità, ma c’è pure
qualche disformità. La cosa vuol essere esaminata con discrezione,
tenendo ben presente che nessun fatto storico, nessuna storica
apparizione può mai riprodursi in tutto simile a sè medesima. Se noi
paragoniamo la vita delle Imperie, delle Tullie, delle Lucrezie, delle
Isabelle, delle Camille del Cinquecento con quella delle Aspasie,
delle Frini, delle Mirrine, delle Taidi, delle Glicere antiche, ci
accorgiamo subito di molte e notabili somiglianze. Queste son colte,
e quelle son colte; queste sono corteggiate da politici, da filosofi,
da poeti, e quelle son corteggiate da ogni sorta di letterati e di
gentil uomini; parecchie etère furono scrittrici, e scrittrici furono
parecchie cortigiane. La somiglianza si stende più oltre e abbraccia
certi abiti mentali, certi sentimenti, i costumi, gli artifizii, le
azioni. Come le cortigiane, le etère furono glorificate e vituperate. E
l’ambiente sociale in cui sorgono e si educano le etère ha ancor esso
incontestabilmente molta somiglianza con l’ambiente sociale in cui
sorgono e si educano le cortigiane; anzi questo è, in certe parti, e
in più vorrebbe essere, la riproduzione di quello. Una matura civiltà è
la civiltà greca del quinto secolo avanti Cristo, e una matura civiltà
è la civiltà italiana del Cinquecento; ad entrambe tien dietro la
decadenza. Parecchie delle condizioni che favorirono l’apparir della
etèra si ritrovano nel Cinquecento in Italia, e portano i medesimi
effetti. I contemporanei di Pericle e di Alcibiade erano assetati
d’ogni bellezza. Ora, la bellezza muliebre, fra tutte la più cara agli
uomini, non può essere liberamente e interamente goduta, se non nella
etèra, ed è perciò che ad Aspasia incinta e minacciata nella scultoria
formosità del suo corpo, l’Areopago ingiunge o permette di scongiurare
con una provvida caduta il pericolo. Gli Italiani del Cinquecento sono
anch’essi assetati di bellezza, e ci rimangono di quel secolo libri
senza numero in cui la bellezza muliebre è descritta, analizzata,
ricercata amorosamente nelle sue ragioni e nelle sue leggi. Ai tempi
di Pericle e di Alcibiade il matrimonio in Grecia comincia a cadere
in discredito; nel Cinquecento in Italia moltissimi lo detestano,
moltissimi lo deridono, e i letterati son quasi tutti dell’avviso
dell’Aretino, il quale dice la moglie esser peso da lasciare alle
spalle d’Atlante. Ora, se il celibato, in genere, tende a suscitare
la prostituta, il celibato delle persone colte, dei letterati e degli
artisti, tende a suscitare l’etèra e la cortigiana[464].
Ma altre condizioni erano in tutto diverse, e favorivano o più l’etèra
o più la cortigiana. La preoccupazione del peccato di carnalità non
turbò mai la coscienza dei Greci, e le loro credenze religiose, non
solo non contrastavano al meretricio, ma tendevano anzi a promuoverlo,
a consacrarlo, come avvertirono molte volte biasimando acremente gli
apologeti cristiani dei primi secoli. Da tempo antico in Corinto le
prostitute erano in istretta relazione col culto, e una specie di sacra
prostituzione si praticava anche in molte altre città della Grecia e
dell’Asia Minore. Solone eresse in Atene un tempio a Venere Pandemia.
A Lamia e Leena, amiche entrambe di Demetrio Poliorcete, Atene e
Tebe consacravano templi sotto la invocazione di Afrodite Lamia e di
Afrodite Leena. La etèra, dunque, non offendeva la morale religiosa
del tempo suo; per contro la cortigiana offende nel modo più grave la
morale religiosa del proprio. Di qui una particolar ragione di biasimo
contro di lei, e in lei una particolar ragione d’indegnità. Alle
cortigiane era rigorosamente vietato l’esercizio del mestiere nelle
feste e nelle vigilie solenni dell’anno. Sapendo di vivere in peccato,
esse medesime cercavano, con pratiche religiose, di riscattar l’anima
dalle mani del demonio[465]. In Venezia, e certo anche altrove, le
cortigiane non si potevano in certa ora del giorno visitare, perchè
andavano a udir vespero[466]. Per tutto usavano di confessarsi a
Pasqua, e in quella occasione sempre qualcuna se ne convertiva, e ce
n’eran di quelle che rinunziavano al mondo e si facevan monache[467].
Fra le lettere dell’Aretino ve n’ha una a certa Angela di Danzica,
la quale si ritraeva dalla vita disonesta per maritarsi, disposta
piuttosto a servire che a riprendere il tristo mestiere. Paolo IV
e Pio V forzavano cortigiane e meretrici volgari ad andare alla
predica[468]. Per questo rispetto dunque le etère godevano, dirò così,
di una legittimità di cui non potevano godere le cortigiane; ma queste
si rifacevano del danno in altro modo, prendendo, cioè, la parte
loro di quel culto che il Cinquecento tributò così largamente alla
donna. Lodando il canto della Tullia dice il Muzio, in un sonetto, che
l’anima, al suono della voce di lei,
Ad ogni uman disio tutta si toglie
E con tutti i pensieri al cielo aspira;
ed Ercole Bentivoglio in un altro sonetto affermava che la presenza
della Tullia in Ferrara aveva spento ogni basso pensiero negli eleganti
frequentatori di quella corte. Di nessuna etèra dell’antichità fu mai
detto altrettanto.

III.
E ora raccostiamoci alla signora Veronica; ma senza occuparci subito
dei fatti suoi. Raccostiamoci a lei, entrando in quella Venezia ov’ella
nacque, visse e morì, e vediamo un po’ come ci stessero le sue pari.
Dice Niccolò Franco che le meretrici al tempo suo erano a milioni, e
Ortensio Lando afferma che a volerle annoverare sarebbe stato «come
volere annoverare le stelle del cielo»[469]. Le cortigiane _oneste_
erano certo in numero molto minore; ma ciò non toglie che fossero
anch’esse innumerevoli, e come se non bastassero le italiane, ce
n’erano di spagnuole, di francesi, di tedesche, di fiamminghe, di
greche e d’altre nazioni. In tutta Italia le cortigiane se la facevano
bene; ma le città dove più prosperavano erano Roma e Venezia; dopo
queste veniva Napoli. L’Aretino chiamò Roma _terra da donne_, e non a
torto. «Dura e mostruosa cosa mi parve», dice il Lando, «che in Roma
santa si comportassero tante meretrici, e in tanta stima fussero, e
a tante facultà pervenessero, che pajono reine»[470]. Nel dialogo del
Pontano intitolato _Antonius_, uno degli interlocutori, il Suppazio,
narra che a stento potè salvarsi in Roma dalle mani delle meretrici.
Ciò non deve recar meraviglia. Nel 1488 Innocenzo VIII aveva bensì
vietato ai preti di tenere macellerie, taverne, bische e lupanari,
e di farsi, per denaro, mezzani di meretrici[471]; ma non perciò era
scemato il numero di queste. Stando a ciò che dice Stefano Infessura
nel suo _Diario_, le meretrici in Roma raggiungevano, circa il 1490,
il numero di 6800, _exceptis illis quae in concubinatu sunt et illis
quae non sunt publice sed secreto_[472]. La tracotanza e sfacciataggine
loro passava ogni termine. Il Burchard ricorda che il giorno 28 di
agosto del 1497, ricorrendo la festa di Sant’Agostino, e celebrandosi
per ciò nella chiesa che da lui prende il nome una messa solenne,
pubbliche meretrici ed altre vili persone ingombrarono tutto il luogo
fra i cardinali e l’altare, il che sturbò molto le sante funzioni. Ai
tempi di Leone X cortigiane abitavano in case appartenenti a chiese
e conventi; in altre erano uscio a uscio con chierici e persino con
vescovi. I cardinali cui Paolo III commise di proporre le riforme che
conveniva introdurre nella Chiesa in generale, e in quella di Roma in
particolare, lamentavano che nella eterna città le donne di mala vita
alloggiassero con pompa eccessiva, e passeggiassero per le strade sopra
magnifiche mule, accompagnate dai famigli dei cardinali e da chierici.
Abbiamo già veduto che effetto sortissero i rigori di Pio V: gli è che
le cortigiane formavano una delle principali attrattive della corte di
Roma. Un anonimo, pentito d’averla lasciata, quella corte, diceva in un
capitolo al Como[473]:
Onde v’esorto, quant’i’ posso, a starvi
Altri vinticinqu’anni, e più ancora,
Se più potete e volete restarvi.
Ch’egli è un bel piacer in men d’un’ora
Trarsi di testa mille volte, e fare
Per Banchi il Giorgio in groppa alla Signora;
e lo lodava d’essersi scelto due _stelle_, Angela del Moro e la
Flaminia, che veramente sono tra quelle più spesso ricordate dai
contemporanei[474].
Son poche le cortigiane famose le quali non abbiano fatto in Roma più
o men lungo soggiorno, il che prova quanto quella stanza tornasse loro
gradita; ma se in Roma stavano bene, non istavano men bene in Venezia,
anzi stavano meglio.
Già Venezia era di tutte le città d’Italia quella dove si viveva più
agiatamente, più allegramente e più liberamente. Pietro Aretino,
che se ne intendeva, la chiamava il Paradiso terrestre. Non solo
i patrizii, ma moltissimi altri cittadini v’erano ricchissimi, e
spendevano volentieri e largamente, tanto che il Lando rimproverava
loro la ridicola magnificenza e la pazza vanagloria. A Rialto e in
Merceria erano panni e suppellettili, ninnoli e gemme d’ogni qualità
e paese, e se si toglie Roma, nessun’altra città aveva tanta frequenza
di forestieri. I palazzi erano i più suntuosi del mondo; nell’isola di
Murano ridevano al sole giardini meravigliosi, e i ricchi possedevano
nel Padovano, nel Bassanese, nella Marca Trivigiana, sui colli
del Friuli, ville d’impareggiato splendore. Le feste erano molto
frequenti, e a quella sola dell’Ascensione accorrevano di fuori oltre
a centomila persone: in nessuna città erano trattenimenti più varii e
più lieti; in nessuna si mangiava e si beveva meglio. A dispetto delle
leggi suntuarie il lusso era sfoggiato. I belli spiriti convenivano
d’ogni banda nella città delle lagune, e vi trovavano le più oneste
accoglienze, l’ospitalità più generosa e più affabile. Ciò spiega
il numero stragrande di meretrici di cui la città andava, non dirò
orgogliosa, ma allegra: in sul principiar del secolo esse erano,
secondo afferma Marin Sanudo, 11654 sopra una popolazione di 300,000
abitanti[475]. Alcuni anni dopo, Lorenzo Veniero le assommava _a tre
legioni o quattro_,
Parte in gran case e parte in carampane;
e Pasquino, a modo suo, assegnava la ragione di tanta copia:
Urbe tot in Veneta scortorum millia cur sunt?
In promptu causa est: est Venus orta mari[476].
Non so quante fossero in questa turba magna le cortigiane nobili; ma
sul declinare del secolo, il Montaigne ne contava ancora centocinquanta
circa, le quali spendevano assai e scialavano da principesse.
Bisogna anche dire che la Serenissima le trattava con molta indulgenza
e liberalità. Più e più volte il Consiglio dei Dieci tentò di mettere
un qualche freno ai loro trasmodamenti, costringendole ad abitare
in luoghi determinati, e a portare un segno per cui facilmente
potessero essere riconosciute; vietando loro il soverchio lusso delle
suppellettili e delle vesti, e ponendo all’esercizio del loro mestiere
altre condizioni e restrizioni a tutela della pubblica moralità. Ma
tali rigori giovarono sempre assai poco, e il frequente rinnovamento
delle medesime leggi prova la inefficacia loro e il poco conto in cui
erano tenute. Si può dire che durante tutto il secolo XVI in Venezia,
le cortigiane, così le maggiori, come le minori, abitano dove vogliono,
vestono come lor piace. Del resto il Consiglio dei Dieci aveva
molte volte provveduto, con leggi non men savie che umane, a che le
meretrici fossero libere, non potessero essere impegnate, nè frodate,
nè maltrattate da faccendieri e da strozzini ingordi; e se non è vero
che esso le abbia mai chiamate in atto pubblico _le nostre benemerite
meretrici_, gli è più che probabile che se ne sia qualche volta servito
negli intricati maneggi della sua terribile polizia. Giordano Bruno
dice che _per magnanimità e liberalità de la illustrissima repubblica_,
le cortigiane erano _esenti da ogni aggravio e manco soggette a leggi
che gli altri_[477].
Se si aggiunge, oltre tutte le ragioni indicate, che le donne oneste,
e soprattutto le patrizie, vivevano in Venezia assai ritirate, di rado
si lasciavano vedere in pubblico e poco o nulla partecipavano alla
vita colta ed elegante, si comprenderà anche meglio come la città
delle lagune dovesse essere la Terra Promessa delle cortigiane, e
come molte di quelle che lasciarono Roma al tempo dei rigori di Pio
V, vi riparassero assai volentieri[478]. Per contro Ippolito Salviano
lascia intendere, in certa sua commedia, che quelle le quali lasciavano
Venezia per andarsene a stare in Roma non facevano il guadagno che si
credevano[479].
Il Calmo, esortando una signora Romana a venirsene in Venezia,
ricordate molte cose notabili che erano nella città, dice: «si vu
gustassè, anema mia, i spassi de andar al fresco in barca, in cochio
per tera ferma, i bancheti secreti, le festine, i solazzi incogniti, el
ve parerave d’esser deventà una rezina, un’Ancroja, e una Pantasilea...
el ve sarà fatto segondo i tempi soto le fenestre musiche de canto,
de soni, de bufoni, e de mille missianze de dolcezze, e de vertue,
che ve anderà i polmoni in bruo d’allegrezza; e tutti a onor de la
signora, a nome de la so belezza, con el bon pro de la so reverenzia.
El magnifico tal, el signor qual, missier, lu istesso, certi zoveni
a refuso ve fa sta matinada»[480]. Il Calmo si dimentica di ricordare
un’altra comodità di cui le cortigiane potevano, nonostante il divieto
della legge, godere in Venezia (come del resto ne godevano in Roma):
quella di girare per la città travestite[481]. Un’altra notizia curiosa
della vita delle cortigiane in Venezia ci dà il Bandello, in una delle
sue novelle: «Quivi intesi», dic’egli, «esser una usanza, che in altro
luogo esser non udii già mai, che è tale: ci sarà una cortigiana,
la quale avrà ordinariamente sei o sette gentiluomini veneziani per
suoi innamorati, e ciascuno di loro ha una notte della settimana, che
va a cena e a giacersi con lei. Il giorno è della donna, libero per
ispenderlo a servigio di chi va e di chi viene, acciò che il molino
mai non istia indarno, e qualche volta non irrugginisse per istare in
ozio. E se talora avviene che qualche straniero, che abbia ben serrata
la borsa, voglia la notte dormire con la donna, ella l’accetta; ma fa
prima intender a colui, di chi quella notte è, che se vuol macinare,
macini di giorno, perciocchè la notte è data via ad altri; e questi
così fatti amanti pagano tanto il mese, e si mette espressamente
nei patti, che la donna possa ricevere ed albergare la notte i
forestieri»[482]. In così fatta usanza, e in alcuno errore involontario
cagionato da essa, sarebbe forse da ricercare la origine prima dei
furori del Veniero e delle contumelie della _Zaffetta_.
Insomma non era città in Italia dove le cortigiane stessero meglio
che in Venezia. Il Brantôme narra di una nobile dama o damigella di
Francia, la quale, udito del lieto vivere delle cortigiane di Venezia,
disse a una sua amica: _Hélas! si nous eussions fait porter tout nostre
vaillant en ce lieu là par lettre de banque, et que nous y fussions
pour faire cette vie courtisanesque, plaisante et heureuse, à laquelle
toute autre ne sçauroit approcher, quand bien serions emperières de
tout le monde_. Il Brantôme, che di questa materia s’intendeva assai,
soggiunge: _et de fait, je croy que celles qui veulent faire cette vie,
ne peuvent estre mieux que là_[483].
Marin Sanudo dà copia ne’ suoi Diarii di una lettera che Francesco
Mazardo scriveva da Gand, ai 22 d’aprile del 1531, a Tommaso Tiepolo
a Venezia. Il Mazardo vi parla, tra l’altro, di un banchetto, al quale
il legato Campeggio, in Anversa, aveva invitato molti signori, e molti
mercanti italiani, e dice come essendo venuto in discorso se Anversa
fosse città da potersi paragonare a Venezia, monsignor De la Morette,
che in quest’ultima città aveva soggiornato quale ambasciatore del re
di Francia, «volendo favorir la università di le merze di Venezia,
disse: Io non voglio credere che di una sorte di merze, ch’io ho
trattato a Venezia, ne sia qua quella copia e perfezione ch’io ho
trovato a Venezia; e cominciò a nominare Madona Cornelia Griffo, Julia
Lombarda, Bianca Saraton, le Balarine ed alcune altre»[484].
Le cortigiane di Venezia godevano di grande riputazione. Il Malespini,
in una delle sue novelle[485], ci mostra due gentiluomini, i quali
vanno a Venezia appositamente «per godere della bella e soave
conversazione delle leggiadre giovanette che vi sono in copia
grandissima». Tali leggiadre giovanette erano dai Veneziani, con nome
non meno di esse leggiadro, chiamate mamole. Michele Montaigne, quando
capitò a Venezia, fece come i due gentiluomini del Malespini e come
tutti i forestieri facevano; visitò le mamole, e fra l’altre Veronica
Franco, a cui noi pure vogliamo ora far visita, intrattenendoci con lei
e di lei.


PARTE SECONDA

I.
Quando ebbe la ventura di accogliere in casa sua il giovane re di
Francia, la Veronica, nata in Venezia nel 1546, era nel fiore della
gioventù e della bellezza[486]. Ella stessa, più e più volte ne’ suoi
scritti, nomina, e con molto affetto, la patria, chiamandola suo bello
e dolce nido, ricetto amico e fedele, paradiso in terra, miracolo unico
in natura. Ad uno degli ammiratori suoi, dal quale era stata troppo
lodata, diceva:
Questa dominatrice alta del mare
Regal Vergine, pura, inviolata.
Nel mondo senza essempio, e senza pare;
Questa da voi deveva esser lodata.
Vostra patria gentile in cui nasceste,
E dov’anch’io la Dio mercè son nata.
La famiglia ond’ella usciva era, non già plebea, come fu detto, ma
cittadinesca, di condizione mezzana cioè, tra la plebe e la nobiltà,
e aveva il suo stemma[487]. Quali, peraltro, fossero le condizioni
di essa, quali le vicende per cui era passata in quegli anni che
precedettero e che seguirono la nascita della Veronica, nè sappiamo,
nè possiamo congetturare. Questo bensì sappiamo che il padre di costei
si chiamava Francesco e Paola la madre, e che ella ebbe tre fratelli,
per nome Girolamo, Orazio e Serafino, e una zia, la quale era monaca e
viveva fuori di Venezia.
Quale fu l’infanzia della Veronica, quale l’adolescenza? Ella nol dice.
Si può credere tuttavia che la educazione di lei non fosse trascurata
dai genitori, e che per tempo anzi il suo ingegno fosse da buoni
maestri esercitato in quegli studii e in quell’arti che dovevano,
più tardi, porla in grado d’illeggiadrire con gli ornamenti delle
virtù il mestier sciagurato, e di accoppiare al nome di cortigiana il
nome di poetessa. E si può credere anche di più; cioè che i genitori
l’abbiano educata e cresciuta con l’intendimento appunto di fare
di lei una cortigiana compita. Nè proverebbe nulla in contrario il
fatto che, giovanissima ancora, la Veronica si maritò, sposando un
Paolo Panizza, medico, del quale non sappiamo altro, se non che nel
1582 era già morto. Abbiam veduto che matrimonii di cortigiane con
uomini di condizione anche onorevole non erano punto infrequenti, e
che molte di esse, dopo maritate, seguitavano a far la vita di prima,
consenzienti di solito i mariti, cui allettavano i facili guadagni e il
grasso vivere. Io non credo di fare una congettura troppo arrischiata
se dico che assai probabilmente, prima ancora di andare a marito, la
Veronica aveva trovato, in quella Venezia giocosa e opulenta, a far
buon traffico della sua bellezza e della sua gioventù, mettendo così
insieme la dote che doveva agevolarle il matrimonio. Comunque sia,
certo è che nel testamento da lei fatto il 10 agosto del 1564, quando
toccava appena i diciott’anni, la Veronica, essendo prossima al parto,
dichiara di credersi incinta per opera d’un messer Jacopo de’ Baballi,
lega a costui un diamante, gli affida la tutela della creatura che
stava per nascere, e, insieme, l’amministrazione di quanto ad essa
lasciava, e raccomanda alla madre di farsi restituire dal marito
medico la dote[488]. E altrettanto certo si è che la Veronica non
ebbe a guastarsi, per ragion del mestiere che faceva, nè col padre,
nè con la madre, nè coi fratelli. Molti anni dopo questo testamento,
la vediamo maneggiarsi in un negozio che non sappiamo qual fosse, ma
in cui era interessato il padre di lei[489]; e quanto alla madre,
il _Catalogo di tutte le principal et più honorate Cortigiane di
Venetia_, già da me ricordato, ce la mostra pieza, cioè mallevadrice
della propria figliuola[490]. Anzi la Veronica non si guastò nemmeno
con la buona zia monaca; in certa sua lettera parla del proposito
d’andarla a visitare[491]. Un’ultima congettura non parrà forse al
tutto irragionevole, cioè che la buona mamma fosse stata a’ suoi
tempi cortigiana ancor essa e, prima che mallevadrice, maestra della
figliuola.
Ad ogni modo la figliuola poteva competere per bellezza, per grazia,
per ingegno e per coltura con quante erano cortigiane più reputate in
Venezia, e, fors’anche, vincerle tutte. Della bellezza di lei si fanno
lodi passionate e fiorite. Un ignoto adoratore, parlando in versi di
quella così gran bellezza a lei data dal cielo, glorifica le _chiome
bionde_, anzi _l’oro de’ bei crini, i celesti e graziosi lumi, i begli
occhi che fanno invidia al sole_, la
Di viva neve man candida e pura.
Chiama colei che va adorna di tanti pregi _Donna di vera ed unica
beltade, beltà d’ogni essempio altro divisa_, e levato dall’entusiasmo,
e invasato dall’ardore, anzi dal furore del desiderio, prorompe in
parole che non mi arrischio ripetere. Poniamo che l’_oro de’ bei crini_
la Veronica lo dovesse, come tant’altre, alle acque medicate e alle
lunghe ore passate a capo scoperto in sulle altane, sotto la sferza
del sole; poniamo che nelle parole dell’incognito adoratore ci sia
qualche esagerazione; non perciò è da dubitare di una bellezza più che
ragguardevole, comprovata del resto dai ritratti. Uno di questi, il
più sincero forse, figura veramente un’assai bella donna, con volto
ovale, grandi occhi espressivi, ciglia arcate, bel naso diritto, bocca
piccola e graziosa, collo e spalle d’irreprensibile modellamento, una
espressione di viso aperta, intelligente e gentile, che innamora e
che rallegra. Sul capo è una corona gemmata, di sotto alla quale esce
un ramoscello d’alloro; intorno al collo un gran vezzo di perle[492].
Un altro ritratto, dipinto nientemeno che dal Tintoretto, non si sa
dove sia andato a finire. La Veronica conosceva la propria bellezza
e del pregio della bellezza femminile in genere aveva assai congruo
e ragionevole concetto. A un nemico delle donne, che le aveva scritto
contro una canzone, ella dice in uno de’ suoi capitoli:
Certo d’un gran piacer voi sete privo,
A non gustar di noi la gran dolcezza;
Ed al mal uso in ciò la colpa ascrivo.
Data è dal Ciel la feminil bellezza,
Perch’ella sia felicitate in terra
Di qualunque uom conosce gentilezza[493].
Un altro adoratore di lei, o forse quello stesso a cui si devono le
lodi riferite poc’anzi, parla, alludendo appunto alla Veronica, cui
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Attraverso il Cinquecento - 16
  • Parts
  • Attraverso il Cinquecento - 01
    Total number of words is 4467
    Total number of unique words is 1650
    37.2 of words are in the 2000 most common words
    51.1 of words are in the 5000 most common words
    58.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 02
    Total number of words is 4547
    Total number of unique words is 1779
    34.8 of words are in the 2000 most common words
    48.1 of words are in the 5000 most common words
    53.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 03
    Total number of words is 4518
    Total number of unique words is 1828
    34.1 of words are in the 2000 most common words
    49.1 of words are in the 5000 most common words
    56.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 04
    Total number of words is 4507
    Total number of unique words is 1784
    34.9 of words are in the 2000 most common words
    48.1 of words are in the 5000 most common words
    54.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 05
    Total number of words is 4573
    Total number of unique words is 1778
    36.2 of words are in the 2000 most common words
    49.6 of words are in the 5000 most common words
    57.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 06
    Total number of words is 4618
    Total number of unique words is 1650
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    54.1 of words are in the 5000 most common words
    62.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 07
    Total number of words is 4554
    Total number of unique words is 1705
    35.7 of words are in the 2000 most common words
    50.1 of words are in the 5000 most common words
    57.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 08
    Total number of words is 4565
    Total number of unique words is 1726
    37.8 of words are in the 2000 most common words
    51.6 of words are in the 5000 most common words
    60.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 09
    Total number of words is 4588
    Total number of unique words is 1764
    34.9 of words are in the 2000 most common words
    49.0 of words are in the 5000 most common words
    56.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 10
    Total number of words is 4526
    Total number of unique words is 1835
    33.8 of words are in the 2000 most common words
    47.3 of words are in the 5000 most common words
    54.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 11
    Total number of words is 4466
    Total number of unique words is 1852
    31.1 of words are in the 2000 most common words
    45.6 of words are in the 5000 most common words
    53.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 12
    Total number of words is 4481
    Total number of unique words is 1836
    32.6 of words are in the 2000 most common words
    46.3 of words are in the 5000 most common words
    54.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 13
    Total number of words is 4569
    Total number of unique words is 1802
    35.6 of words are in the 2000 most common words
    49.6 of words are in the 5000 most common words
    57.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 14
    Total number of words is 4416
    Total number of unique words is 1864
    33.0 of words are in the 2000 most common words
    47.5 of words are in the 5000 most common words
    54.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 15
    Total number of words is 4518
    Total number of unique words is 1813
    36.2 of words are in the 2000 most common words
    51.1 of words are in the 5000 most common words
    59.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 16
    Total number of words is 4560
    Total number of unique words is 1761
    35.1 of words are in the 2000 most common words
    49.6 of words are in the 5000 most common words
    58.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 17
    Total number of words is 4486
    Total number of unique words is 1807
    35.8 of words are in the 2000 most common words
    51.7 of words are in the 5000 most common words
    58.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 18
    Total number of words is 4516
    Total number of unique words is 1834
    37.6 of words are in the 2000 most common words
    52.5 of words are in the 5000 most common words
    60.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 19
    Total number of words is 4596
    Total number of unique words is 1891
    31.5 of words are in the 2000 most common words
    43.3 of words are in the 5000 most common words
    49.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 20
    Total number of words is 4447
    Total number of unique words is 1641
    37.6 of words are in the 2000 most common words
    50.9 of words are in the 5000 most common words
    56.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 21
    Total number of words is 3786
    Total number of unique words is 1319
    33.4 of words are in the 2000 most common words
    46.2 of words are in the 5000 most common words
    52.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 22
    Total number of words is 4161
    Total number of unique words is 1837
    31.4 of words are in the 2000 most common words
    42.9 of words are in the 5000 most common words
    49.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 23
    Total number of words is 4254
    Total number of unique words is 1760
    35.2 of words are in the 2000 most common words
    47.8 of words are in the 5000 most common words
    55.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 24
    Total number of words is 4274
    Total number of unique words is 1689
    36.5 of words are in the 2000 most common words
    48.6 of words are in the 5000 most common words
    55.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 25
    Total number of words is 3288
    Total number of unique words is 1331
    37.4 of words are in the 2000 most common words
    49.3 of words are in the 5000 most common words
    57.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.