Attraverso il Cinquecento - 25

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avesse raggiunto l’età maggiore, e provvedendo a che Achilletto potesse
avere un compenso, nel caso che la madre, testando, favorisse un altro
figliuolo più di lui. La Veronica poi indicava il Ramberti quale uno
de’ suoi esecutori testamentarii.
[525] Di questo secondo figliuolo, chiamato Enea, è ricordo nel secondo
testamento, ed è da notare che circa la paternità di Andrea Tron la
Veronica non mostra il dubbio che mostra per quella di Jacopo de’
Baballi.
[526] Non è peraltro da tacere che tra le male usanze delle cortigiane
c’era anche quella di simulare gravidanze e parti, e a qual fine
s’intende facilmente. La Nanna dell’Aretino poi così parla dell’uso
loro di prendere bambine negli ospedali: «e scelta la più bella
bambina, che ivi venga, se la allevano per figliuola; e la tolgono di
una età che appunto fiorisce ne lo sfiorire de la loro, e gli pongono
uno de’ più belli nomi che si trovino, il quale mutano tutto dì, nè
mai un forastiere può sapere qual sia il suo nome dritto: ora si fanno
chiamare Giulie, ora Laure, ora Lucrezie, or Cassandre, or Porzie,
or Virginie, or Pantaselee, or Prudenzie, e ora Cornelie; e per una
che abbia madre, come sono io de la Pippa, un migliajo sono tolte
da gli spedali». (_Ragionamenti_, parte I, giornata III, p. 151). La
cortigiana del Du Bellay, enumerando gl’inganni che usava agli amanti,
dice:
Aucunefois je me faisois enceinte.
[527] Capitolo VIII.
[528] Lettera XXI, pp. 38-40, al Tintoretto.
[529] Lettere XXVIII, pp. 54-7; XXIX, pp. 57-9.
[530] Lettere XXXIII, pp. 63-4; VII bis, pp. 13-4.
[531] Lettere X, p. 17; XXIII, pp. 47-8; XXVI, pp. 50-2; XXXIV, pag. 65.
[532] Lettera XLVI, p. 79.
[533] Lettera XXIV, pp. 48-9.
[534] Lettere VII, p. 11; XLIX, p. 84.
[535] Lettera XXV, pp. 49-50.
[536] Lettere XXXVII, pp. 67-9; XXXVIII, pp. 69-70.
[537] Nell’Archivio Gonzaga, per altro, non si conserva documento
alcuno concernente la Veronica. Così mi assicura Alessandro Luzio.
[538] Lettera XLII, p. 75.
[539] Vedi SERASSI, _La Vita di Domenico Veniero_, preposta alla
edizione delle _Rime_, Bergamo, 1751, p. XIII.
[540] Vedi il capitolo XVIII, e le lettere XL, p. 73; XIX, p. 84.
[541] _Lettere brevissime di_ MUTIO MANFREDI, _il Fermo Academico
Olimpico_, ecc., _scritte tutte in un anno_, ecc., Venezia, 1606,
p. 249. Il sonetto della Veronica si legge nella edizione che della
_Semiramide_ fa fatta in Bergamo per Comin Ventura nel 1593.
[542] _Rime di diversi eccellentissimi auttori nella morte
dell’Illustre Sign. Estor Martinengo Conte di Malpaga. Raccolte, et
mandate all’illustre, et valoroso Colonnello il S. Francesco Martinengo
suo fratello, Conte di Malpaga. Dalla Signora_ VERONICA FRANCO. Senza
nessuna nota tipografica.
[543] _De antiquitate et viris illustribus Veronae_, Padova, 1647, l.
I, c. 20.
[544] È il XXV, cioè l’ultimo, e conta non meno di 565 versi.
[545] Molti altri amici nobili e illustri ebbe certamente la Veronica.
Nel secondo testamento ella designa quale uno de’ suoi esecutori
testamentarii il magnifico messer Lorenzo Morosini, e raccomanda i
figliuoli al chiarissimo messer Giambattista Bernardo.
[546] Capitolo XXII. Anche nel capitolo III deplora la Veronica
d’essersi allontanata da Venezia:
E l’ora piango, e ’l dì ch’io fui rimossa
Da la mia patria.
[547] Capitolo XII.
[548] Parlando, nel capitolo XV, del colonnello, fratello di Estor
Martinengo, diceva:
E come donna in questa patria nata,
Vorrei, ch’ov’ha di lui bisogno andasse,
E ch’opra a lei prestasse utile e grata.
[549] Lettera V, pag. 6. Gerolamo Fenaruolo, volendo dissuadere Adriano
Willaert dal partirsi di Venezia, scriveva in un suo capitolo:
Questa Venezia è una città d’assai,
È un novo mondo, un novo Paradiso,
E sarà così fatta sempre mai.
Se voi guardate gli uomini nel viso,
Qui vedrete più vecchi che non sono
E stelle in cielo e gamberi a Treviso.
E questo nasce perchè l’aere è buono,
Perchè sempre si vive in allegrezza,
Perchè quel che si mangia ci sa buono.
L’infinita abbondanza e la ricchezza,
I comodi, i diletti, ed i piaceri
Fan veder vita eterna a la vecchiezza.
E senza tante pinole e cristeri
Tiran dal corpo al fondo del crivello
La soma d’ogni sorte di pensieri.
SANSOVINO, _Sette libri di satire_, f. 193 r.
[550] Di trattenimenti musioali è pur cenno nella lettera XLVI, pag. 79.
[551] Parlando di certa canzone della Ghirometta, dice Scipione
Ammirato in un luogo de’ suoi _Opuscoli_: «Era uscita allor per Venezia
questa canzone in campagna, e cantavasi da piccoli, e da grandi di
giorno, e di notte per le piazze, e per le vie sì fattamente, che
ciascuno avea del continuo gli orecchi intronati dal tuono di questa
canzone». Cito da un opuscoletto per nozze, intitolato _Novelle_ di
SCIPIONE AMMIRATO, Bologna, 1856, p. 10.
[552] V. le lettere del Calmo ad Angiola Sara e alla signora Frondosa,
ediz. cit. l. III, lett. 39, l. IV, lett. 42, pp. 245, 346-7.
[553] Lettera XIII, p. 21.
[554] Nell’opera di GIACOMO FRANCO, _Habiti d’huomini et donne
venetiane_ ecc., sono due stampe che qui vogliono essere ricordate. La
prima rappresenta molte gondole con persone che vanno a diporto. In una
è una tavola imbandita con uomini e donne che mangiano; in altra una
donna che suona il clavicembalo, con altre donne e nomini che suonano
varii strumenti. Sotto vi è scritto: _In questa maniera la state ne’
grandi caldi si va ai freschi per li canali della Città la sera fino a
mezza notte, con musiche di voci e diversi istromenti con grandissimo
diletto, con le signore Cortigiane, e spesso anco si cena in barca con
mirabil piacere._ La seconda stampa mostra come si andasse l’inverno a
uccellare in barca sulla laguna.
[555] Lettera XLIV, pp. 76-8.
[556] Vedi per tali notizie TASSINI, _Op. cit._, p. 40.
[557] Nel testamento del 1570 è cenno di beni mobili e stabili, di
_un filo di perle nº 51 ballotte_, di piatti d’argento e di altra
argenteria con lo stemma della Veronica.
[558] Capitolo XXIII.
[559] Capitolo XVI.
[560] Lettera VIII, pp. 14-6.
[561] Vedi CICOGNA, _Op. cit._, t. VI, pp. 884-5 e TASSINI, _Op.
cit._, pp. 89-97. Il vero testamento del Ramberti è del 19 aprile 1570;
CICOGNA, _ibid._, p. 957; TASSINI, _ibid._, pp. 89-97.
[562] Lettera XLVIII, pp. 82-4.
[563] Lettera XXX, pp. 58-9. Il detrattore cui questa lettera è scritta
aveva commesso in casa della Veronica, a quanto costei afferma, un
_vilissimo mancamento_, non sappiam quale.
[564] Vedi TASSINI, _Op. cit._ pp. 23-5.
[565] SANDONNINI, _Alessandro Tassoni ed il Sant’Uffizio_, in _Giornale
storico della letteratura italiana_, vol. IX, pp. 345 sgg.
[566] Una delle più semplici consisteva in tracciar certi cuori nella
cenere calda, e in recitarvi su questi versi:
Prima che ’l fuoco spenghi
Fa che a mia porta venghi.
Tal ti punga il mio amore
Quale io fo questo cuore.
Vedi pp. 425-6. Cfr. _Ragionamenti_, parte II, giornata III, pp.
406-10. Delle malie che usavano le meretrici per trattenere gli amanti
è cenno in una poesia di VINCENZO BELANDO, intitolata _Scudo d’amanti
dove si scuopre gli assassinamenti, inganni, astutie, forfanterie e
truffarie che usano le puttane per ingannare i simplici giovani_, ecc.,
stampata insieme con le _Lettere facete e chiribizzose_, ecc. dello
stesso autore, Parigi, 1588. Uno stuolo di maliarde faceva comparire il
VENIERO nel trionfo di Elena Ballerina in Roma, _La Puttana errante_,
canto IV. Cfr. _La vieille courtisane_ del DU BELLAY e LUCIANO,
_Dialoghi delle cortigiane_, I, IV.
[567] Lettere XI, pp. 18-20; XXXI, pp. 60-2.
[568] Lettera XXXIX, p. 71.
[569] Lettera XXXVIII, p. 70.
[570] _Ibid._
[571] Lettera XXII, pp. 41-6.
[572] _Novelle letterarie_ per l’anno 1757, pag. 320; CICOGNA, _Op.
cit._, vol. VI, pag. 884; TASSINI, _Op. cit._, p. 65.
[573] Entrambi questi sonetti furono pubblicati dal CICOGNA, _Op.
cit._, t. V, pag. 424.
[574] TASSINI, _Op. cit._, p. 39.
[575] Lo pubblicò il CICOGNA, _Op. cit._, t. V, pp. 414-5.
[576] TASSINI, _Op. cit._, p. 43.
[577] CICOGNA, _Op. cit._, t. V, p. 412.
[578] Anche questo documento fu pubblicato dal CICOGNA, _Op. cit._, t.
V, pp. 416-7.
[579] Lettera XXXIX, p. 71. Della madre la Veronica non fa parola se
non nel suo secondo testamento, dove è detto: «It. lasso a suor Marina,
monaca nel mon. di S. Bernardin in Padova, duc. diese per una volta
tantum, i quali duc. diese ghe lasso per discargo dell’anima di mia
madre, perchè suo padre ghe li aveva lassati, quali gli siino dati
subito venduta la mia robba». Fu la madre forse quella che la spinse al
vizio, o che, semplicemente, la trasse al suo esempio? L’ho già detto:
potrebbe darsi. Nel suo Memoriale la Veronica dice che molte madri
meretrici, «ridutte in bisogno, vendono secretamente la verginità de
le proprie innocenti figliole, incaminandole per la medesima via del
peccato che esse hanno tenuto». Una di tali vendute fu probabilmente la
Veronica.
[580] Lettera XV, p. 23.
[581] Veggasi, per esempio, la lettera XVIII, p. 31.
[582] Vedi intorno a Tullia d’Aragona GUIDO BIAGI, _Un’etèra romana_,
in _Nuova Antologia_, serie 3ª, vol. IV (1836) pp. 654-711.
[583] Lettera XXXVIII, p. 70.
[584] L’edizione più antica di questi due curiosi poemetti credo sia la
seguente: _El vanto della cortigiana ferrarese qual narra la bellezza
sua. Con il lamento per esser redutta in la carretta per el mal
franzese et l’amonitorio che fa alle altre donne. Seguita l’epigramma
con el purgatorio delle cortigiane, per_ GIOV. BAPT. VERINI, Venezia,
1532. Molte altre edizioni se ne fecero, per le quali vedi la
_Bibliographie des ouvrages relatifs à l’amour_, etc., vol. V, p. 241,
vol. VI, p. 384, e ROSSI, _Le lettere del Calmo_, Appendice I, pp.
386-8. Il _Purgatorio_ è di maestro Andrea dipintore; che il _Vanto_
e il _Lamento_ sieno di Giambattista Verini, fiorentino, è probabile,
ma non è provato. Ad ogni modo la scena dei due poemetti è in Roma. Io
riproduco qui l’uno e l’altro secondo una stampa veneziana del 1538,
ritoccando solo la grafia e qualche verso che nel testo non torna,
acconciando alcuno errore. La medesima stampa contiene pure _Il lamento
e la morte de la cortigiana_, in undici terzine; ma è cosa che non
merita d’essere trascritta.
[585] Questi nomi li abbiemo già trovati, e provano che il poemetto
dovette essere composto verso il 1530.
[586] Forse _trinale_ da _trina?_ ma i vocabolarii non l’hanno.
[587] Vedi qui addietro pp. 234-5.
[588] Traggo questa poesia, che non ha altro titolo, dal raro volume
già citato, _Delle rime piacevoli di diversi autori. Nuovamente accolte
da_ M. MODESTO PINO, _et intitolato La Carovana_, parte prima, ff. 25
r. a 27 v.
[589] Vedi qui addietro p. 287.
[590] Vedi la lettera del Paolucci in _Lettere di_ LODOVICO ARIOSTO
raccolte da A. CAPPELLI, 3ª edizione, Milano, 1887, pp. CLXXI sgg.
Primo a pubblicarla fu il CAMPORI nelle sue _Notizie di Raffaello, Atti
e mem. delle rr. deput. di storia patria per le prov. mod. e parm._, t.
I, 1863.
[591] _Lettere_, ediz. di Parigi, 1606, vol. I, f. 26 r.
[592] _Facetie, motti et burle di diversi signori et persone private_,
edizione di Venezia, 1599, pp. 202-4. Lo stesso racconto si ha pure
nel _Democritus ridens_, Colonia, 1649, pp. 378-80. Il Serapica, o
Sarapica, è ricordato più volte anche dall’Aretino, e da altri.
[593] DOMENICHI, _Op. cit._, p. 201.
[594] _L’hospidale de’ pazzi incurabili_, Venezia, 1617, p. 49.
[595] _Vita Leonis X_, l. IV, ediz. di Firenze, 1551, p. 98. A dir
vero il Giovio nomina solamente il Poggio, il Moro, fra Mariano e
Brandino. Fra Martino è ricordato da SIGISMONDO TIZIO nella voluminosa
e manoscritta sua Cronaca di Siena (ap. FABRONI, _Leonis X Pontificis
Vita_, Pisa, 1797, pag. 295, n. 82), e lo stesso Tizio narra pure
con indignate parole come il cardinale Raffaele Petrucci mandasse il
bastardo Andrea al pontefice (V. l’intero passo, che merita d’esser
letto, riferito dal MAZZI, _La Congrega dei Rozzi di Siena nel secolo
XVI_, Firenze 1882, vol. I, p. 73). Ma ce n’erano anche degli altri.
Nella _Cortegiana_ dell’ARETINO (atto I, sc. 12) un pescatore dice
al Rosso, vendendogli certe lamprede: «L’altre l’ha tolte or ora lo
spenditore di fra Mariano per dar cena al Moro, a Brandino, al Proto,
a Troja, ed a tutti i ghiotti di palazzo». Troja era nientemeno che il
vescovo di Troja; del Proto vedremo or ora. Quanto al Rosso introdotto
dall’Aretino nella sua commedia, egli è probabilmente tutt’uno con un
Rosso buffone, ricordato dallo stesso ARETINO nel capitolo _Al principe
di Salerno_, nella giornata II della parte I dei _Ragionamenti_ e
nel _Ragionamento delle corti_, e poi anche dal MAURO nel capitolo ad
Ottaviano Salvi e dal TANSILLO nel capitolo a Cola Maria Rocco e in
quello al duca di Sessa. Dice di lui ORTENSIO LANDO: «Il Rosso buffone,
mentre servì Ippolito cardinale de’ Medici acquistò e facultà e fama
grande, e ne viverà immortalmente» (_Sette libri de cathaloghi a varie
cose appartenenti_, Venezia, 1552, l. VI, p. 501). Non è fuor del
probabile che anche il Rosso abbia frequentata la corte di Leone X.
[596] Vedi, per i secoli che precedono il XVI, un articolo di ADOLFO
BARTOLI, _Buffoni di corte_, nel _Fanfulla della Domenica_ del 1882, nº
11.
[597] _Orlando Furioso_, c. XXXV, 20.
[598] _La piazza universale di tutte le professioni del mondo_,
Venezia, 1587, disc. CXIX, p. 816. Cfr. GIULIO LANDI, _Attioni morali_,
Venezia, 1564, p. 402, sgg.
[599] _Il Cortegiano_, ediz. di Firenze, 1854, l. II, XLVI.
[600] _Opuscula moralia et politica_, Parigi, 1645, _De re aulica_, l.
1, c. 6.
[601] Non so donde il FLÖGEL abbia tratta la notizia che Paolo II
nutrì matti e buffoni (_Geschichte der Hofnarren_, Liegnitz e Lipsia,
1789, p. 434). Il Platina tanto avverso, e per buone ragioni, a quel
pontefice, non fa parola di ciò nella Vita che ne compose.
[602] BURCHARD, _Diarium sive rerum urbanarum commentarii_, edizione di
Parigi, 1883-5, vol. III, pp. 126-7.
[603] Novelle, parte I, nov. 30; parte IV, nov. 27.
[604] Marcantonio Sidonio, Francesco del Lago di Garda e il Cimarosto
sono ricordati da ORTENSIO LANDO, _Op. e l. cit._ Il Cimarosto era
di Brescia e se ne andò, come tanti altri suoi pari, a Roma per
cercarvi fortuna. E in Roma ebbe occasione, se s’ha a credere allo
STRAPAROLA, di far ridere sgangheratamente con certa sua burla Leone
X (Vedi _Le piacevoli notti_, notte VII, fav. 3. Veramente, per un
errore stranissimo ed inesplicabile, lo Straparola parla di un _sommo
pontefice Leone di nazione alemanno_; ma non è dubbio ch’egli intende
di Leone X. Alemanno fu Leone IX [1048-54]. Nelle edizioni espurgate
delle _Piacevoli notti_ Cimarosto rimane, ma Roma si muta in Firenze
e il papa in un senatore). Del Bargiacca narra certa novella TOMMASO
COSTO, _Il Fuggilozio_, Venezia, 1601, giornata V, p. 361. MARC’ANTONIO
MAJORAGGIO accenna, nella sua _Oratio de laudibus auri_, all’uso che
avevano i cardinali di nutrire buffoni. Aveva torto perciò il MAURO di
dire, parlando appunto dei buffoni, nel già citato capitolo a Ottaviano
Salvi:
Non han però virtute in Cardinali,
I quai non ridon così volentieri
Come fan questi illustri temporali;
ma probabilmente diceva a quel modo per celia. Molti altri buffoni
famosi ebbe il Cinquecento. Ricorderò ancora lo Strascino da Siena, che
al mestier di poeta accoppiava quello di buffone, e fece ridere Leone X
con le commedie e coi lazzi suoi; il Bruschetto di Antibo, che dice il
LANDO (_Op. e l. cit._) si guadagnò con le buffonerie diecimila scudi,
e fu fatto maestro delle poste; il Moretto da Lucca, vincitore in molte
gare di buffoneria; un Berto, ricordato dal CASTIGLIONE (_Op. cit._,
l. II, L); un Lionello, ricordato dal GARZONI, (_Piazza_, disc. L, p.
479). Di alcuni buffoni assai noti in Venezia fa menzione ANDREA CALMO,
_Le lettere_ riprodotte da V. Rossi, Torino, 1888, l. II, lett. 34, p.
139.
[605] _Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite ed inedite
di_ ANGELO AMBROGINI POLIZIANO, raccolte e illustrate da ISIDORO DEL
LUNGO, Firenze, 1867, p. 283.
[606] _Opere_, Venezia, 1729, t. III, p. 385.
[607] Ediz. cit., l. II, LXXXVII.
[608] _Ghiribizzi di Mess. Bernabò Visconti signore di Milano, scritti
da_ GIROLAMO ROFIA _da S. Miniato_, Modena, 1868, pp. 18-20.
[609] È cosa nota, del resto, che Leone X ebbe speciale avversione agli
ordini mendicanti. Cfr. su questo tema del disprezzo onde sono colpiti
i frati nel Cinquecento, BURCKHARDT, _Die Cultur der Renaissance in
Italien_, 3ª ediz. Lipsia, 1877-8, vol. II, pp. 230 sgg.
[610] _Il Cortegiano_, l. II, LXXXIX. Questo Serafino è pure tra
gl’interlocutori del _Cortegiano_, l. I, IX. Anche il Garzoni ricorda
fra Mariano e fra Serafino quali _burlieri eccellenti, Piazza_, disc.
L, p. 490.
[611] ALESSANDRO LUZIO, _Federico Gonzaga ostaggio alla corte di Giulio
II_, estratto dall’_Archivio della R. Società Romana di storia patria_,
vol. IX, 1887, p. 36. Stazio Gadio, un altro dei famigliari del
principe scriveva ad Isabella, informandola del medesimo fatto: «Stette
tutto il dì in gran piacer di soni e canti e giochi, poi cenò, e frate
Mariano de compagnia, qual fece qualche piacevoleza per far ridere,
benchè mal possa scherzare, perchè è mal sano». _Ibid._
[612] _Id., ibid._, p. 46.
[613] _Id., ibid._, pp. 47-9.
[614] _Id., ibid._, pp. 69-71.
[615] Lettera seconda citata, p. 70.
[616] Il cardinale _Hergenroether_ ha intrapresa, come è noto, la
pubblicazione dei _Regesta_ di Leone X. Non posso dire se nella parte
di essi pubblicata sin ora, e che si stende per i due anni 1513 e 1514,
compaja il nome di fra Mariano, perchè mancando ancora un indice dei
nomi, la ricerca vi è troppo malagevole.
[617] Accresce tale probabilità il fatto che il nome di fra Mariano
non s’incontra nel Diario, o almeno nel manoscritto che se ne conserva
nella Chigiana, secondo m’assicura il ch. professore Giuseppe Cugnoni,
che gentilmente volle torsi la briga di percorrerlo. La stampa
procurata dal DELICATI e dall’ARMELLINI (_Il Diario di Leone X: dai
volumi manoscritti degli Archivii Vaticani_, Roma, 1884), contiene solo
frammenti.
[618] _Relazioni venete_, serie II, vol. III, p. 70-1. Veramente la
stampa ha: _fra Mariano Ebrandino_, e l’editore nota che forse in luogo
di _Ebrandino_ è da leggere _e Martino_; ma un Brandino è ricordato,
oltre che dal Giovio, anche dall’Aretino, come vedremo.
[619] _Comento del_ GRAPPA _sopra la canzone in lode della salsiccia,
Scelta di cur. lett._, disp. 184, Bologna, 1881, pp. 77-8. Parlando
di certi tordi avuti dal conte Manfredo di Collalto, e mangiati in
compagnia del Tiziano, l’Aretino dice che gli erano molto piaciuti,
«come piacquero a fra Mariano, al Moro dei Nobili, al Proto da Lucca,
ed al Vescovo di Troja gli ortolani, i beccafichi, i fagiani, i pavoni
e le lamprede, di che si empierono il ventre con il consenso delle
lor anime cuoche delle stelle pazze e ladre, che le infusero in quei
corpacci, erarii della superfluità della crapula, anzi paradisi delle
vivande solenni...». _Lettere_, vol. I, f. 26 r. Del resto non erano
questi i soli gran ghiottoni. In altra delle sue lettere dice lo stesso
Aretino: «Io li vidi al tempo di Leone X quei cari Cardinali del buon
Dio! oh come le loro anime cuciniere riempivano voluttuosamente i
proprii corpacci!».
[620] GIOVIO, _Op. cit._, p. 98.
[621] Ap. FABRONI, _Op. e l. cit._
[622] _Op. cit._, p. 305.
[623] _Op. cit._, l. III, pp. 188-9. Il Lando ricorda ancora quali
_moderni strenui mangiatori_, un Catellaccio Fiorentino, un D.
Antonio da Lecce, e un Cola Caforzio, _che si mangiava una pezza di
lardo_. Alla voracità di fra Mariano allude senza dubbio anche ERCOLE
BENTIVOGLIO nella satira _A. M. Flaminio_, là dove dice:
... io non son Mariano nè il Rizzuolo,
Che come son levati, immantinente
Sen vanno a far la zuppa nel siruolo.
In quel passo del Tizio anche fra Martino è ricordato quale mangione
famoso: ma di lui non si hanno, che io sappia, più particolari notizie.
[624] Capitolo _In lode della sete_.
[625] L. II, XLIV.
[626] L. I, VIII.
[627] _Lettere facete et piacevoli di diversi huomini grandi, et
chiari, et begli ingegni, raccolte da_ DIONIGI ATANAGI, Venezia, 1601,
l. I, p. 310.
[628] Ediz. di Cosmopoli, 1606, p. 220.
[629] P. 413.
[630] _Lettere facete_ già citate, l. I, p. 167.
[631] LUZIO, _Op. cit._, p. 70.
[632] _Id._, _ibid._, p. 46-7.
[633] _Le lettere di_ A. CALMO, ediz. cit., pp. 64-5.
[634] Pazeria?
[635] Così racconta fra Callisto Piacentino, canonico Lateranense, in
una sua omelia. Il ROSCOE giudica apocrifo tale racconto (_The life
and pontificate of Leo the tenth_, cap. XXIII); ma esso è confermato
da una lettera da Roma, scritta il 21 dicembre del 1521, venti giorni
dopo la morte del pontefice, e riportata dal Sanudo. Vedi GREGOROVIUS,
_Geschicte der Stadt Rom im Mittelalter_, Stoccarda, 1859-73, vol.
VIII, p. 262.
[636] Il sonetto del Berni cui questi versi appartengono non fu
composto contro Adriano VI, come già si credette, ma contro Clemente
VII.
[637] _Lettere scritte a Pietro Aretino_, emendate per cura di T.
LANDONI, Bologna, 1873-5, vol. I, p.te I, p. 14-15. Fra Sebastiano
diede notizia della cosa anche a Michelangelo Buonarroti. Del succedere
di fra Sebastiano a fra Mariano nell’officio di piombatore fa cenno
anche il VASARI nella Vita di quello, _Opere_, ediz. del Sansoni,
Firenze, 1877 sgg., vol. V, p. 576.
[638] _Ibid._, pp. 102-3.

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