Attraverso il Cinquecento - 21

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verso il mezzo del secolo XV. L’Aretino fa dir di lui all’Istrione:
«Farei fare madrigali in sua laude (_intendi dell’innamorata_) e dal
Tromboncino componervi suso i canti».
[52] _Attavanta_, ediz. di Firenze, 1857, p. 59.
[53] _Orazioni_, Venezia, 1589, oraz. VIII.
[54] Lettera a Bartolomeo della Valle, _Opere_, Venezia, 1729, t. III,
p. 207, col. 2.
[55] _Sommario in difesa della casa del Petrarca, Opere_, ed. cit., t.
V, p. 558. Si tratta anche qui della casa di Padova.
[56] Terza impressione, Venezia, 1553, l. I, f. 19 r.
[57] Lib. II, f. 42 v.
[58] _De institutione foeminae Christianae, Opera_, Basilea, 1555, t.
II, p. 659.
[59] È curiosa, e merita d’essere riferita, la lista dei libri di cui
il Vives sconsiglia o proibisce la lettura. Ecco le sue stesse parole
tradotte di latino in italiano (pp. 657-8): «Libri pestiferi sono
in Ispagna i romanzi di _Amadigi_, di _Splandiano_, di _Florisando_,
di _Tirante il Bianco_, di _Tristano_; alle quali scempiaggini non è
misura nè fine, e tutti i giorni ne vengono fuori di nuove: aggiungasi
_Celestina_ mezzana, madre delle nequizie, ricettacolo degli amori. In
Francia ci abbiamo _Lancilotto del Lago_, _Paris e Vienna_, _Ponto e
Sidonia_, _Pietro di Provenza e la bella Maghelona_, _Melusina_, donna
inesorabile: nel Belgio, _Florio e Biancofiore_, _Leonella e Canamoro_,
_Curias e Floretta_, _Piramo e Tisbe_. Alcuni son tradotti di latino in
volgare, come le infacete _Facezie_ del Poggio, _Eurialo e Lucrezia_,
il _Cento novelle_ (_Centum fabulae_) del Boccaccio (!); i quali libri
tutti furono scritti da uomini oziosi, scioperati, dediti ai vizii e
all’immondizia, nè arrecherebbero diletto di sorta se non blandissero
i nostri mali istinti». Questi libri erano del resto sparsi per
tutta Europa e notissimi anche in Italia. La famosa tragicommedia di
_Celestina_ vi fu tradotta e molte volte stampata. Pare che il povero
Vives credesse il _Decamerone_ tradotto dal latino.
[60] _Novelle_, parte I, nov. 36, dedica.
[61] _La secchia rapita_, canto V, st. 26.
[62] _Ibid._, canto VIII, st. 32-3.
[63] Parte II, _Della stampa_, ed. Fanfani, Firenze, 1863, vol. I, p.
226.
[64] Per quanto spetta a quest’ultimo scrittore, vedi O. BACCI, _Le
«Considerazioni sopra le Rime del Petrarca di Alessandro Tassoni»_,
Firenze, 1887.
[65] Ediz. di Venezia, 1550, f. 19 v., 20 r.
[66] _Lettere facete_ raccolte dall’ATANAGI, Venezia, 1601, l. I, p.
232.
[67] _Le lettere_, ediz. cit., l. I, lett. 19, p. 46.
[68] Capitolo già citato e attribuito al Doni, al Sansovino,
all’Anguillara.
[69] Lettera a monsignor Leone Orsino, _Le pístole vulgari_, Venezia,
1532, f. 21 v.
[70] Altra lettera a monsignor Leone Orsino, _ibid._, f. 154 v.
[71] Lettera a re Francesco I, _ibid._, f. 48 r.
[72] Risposta della Lucerna, _ibid_., f. 193 v.
[73] Lettera a Gian Giacomo Lionardi, _ibid_., f. 61 v.
[74] Ediz. di Venezia, 1543, f. XII r.
[75] _Dialoghi_, ediz. di Venezia, 1541, dial. VIII. Questo Sannio vuol
essere lo stesso Franco, secondo si rileva da una lettera dell’Aretino
a Lodovico Dolce.
[76] _Opere_, ediz. cit., vol. I, pp. 223-4.
[77] _Le pístole vulgari_, f. 195 r.
[78] In altro di quei sonetti è introdotto Priapo che scaccia i
petrarchisti vituperosamente.
[79] Lettera citata a Gian Giacomo Lionardi, f. 61 v.
[80] Risposta della Lucerna, f. 193 v.
[81] _La piazza universale di tutte le professioni del mondo_, ediz.
cit., pp. 933-4.
[82] Lettera a Giovanni Pollastra, _Lettere_, vol. I, f. 141 v.
[83] _La dipintura di sè stesso_, a don Lorenzo Venturi.
[84] _Lettere_, t. V, f. 147 r.
[85] Ediz. cit., l. I, XXXVII.
[86] _Lettere famigliari_, Padova, 1739, vol. II, p. 268.
[87] _Lettere famigliari_, ediz. cit., f. 3 r.
[88] _Lettere_, t. V, f. 147 r.
[89] _Lettere_, t. I, f. 123 r.
[90] _Lettere di diversi eccellentissimi uomini_, raccolte da LODOVICO
DOLCE, Venezia, 1559, l. I, p. 45.
[91] Nella satira _A Giulio Doffi_. Ecco le sue parole:
Non credo che si trovi canta in banco,
Che non sappia compor qualche cosetta,
Che volesse il Petrarca al lato manco:
E ch’a ciascun non chieda la berretta,
E che non vada gonfio e dritto in schiena;
Ma il pan è poi quel che gli dà la stretta.
Più tardi ad Alessandro Allegri toccava ancora dire di certi poetastri:
Crede la brigataccia ch’un sonetto,
O dal Casa travolto, o dal Petrarca
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Faccia l’uom reverendo e ammirando.
[92] _L’Orlandino_, cap. VI, st. 1.
[93] Anche il Franco nella Risposta della Lucerna: «Veggo i lauri di
Parnaso, le querce di Dodona, le palme d’Iduna, i bussi di Citoro, le
canne di Menalo, Federe d’Ippocrene, i mirti d’Aganippe».
[94] _Lettere_, t. I, f. 123 r.
[95] _Lettere_, t. I, f. 248 r.
[96] _Lettere_, t. II, f. 77 v., 140, r. t. V, f. 131 r., 161 r.
[97] Questo capitolo fu pubblicato dietro il _Dialogo della infelicità
dei letterati_ di PIERIO VALERIANO, Milano, 1829.
[98] _Le satire alla berniesca_, Torino, 1549. _Dello stile berniesco._
[99] _Discorso intorno al comporre delle comedie e delle tragedie_,
edizione di Milano, 1864, p. 31. Luigi Tansillo, che lodò la galera,
l’aglio, la gelosia, solo per celia dice in uno dei capitoli dove la
galera appunto è celebrata:
Non è il mio de’ capricci e de le vene
Che corron sì per Roma oggi e tra preti,
Di che, più che del mar nausea mi viene.
Vorrei che i buon’ scrittori e i buon’ poeti
Dicesson ben del bene e mal del male,
Come appartiene agli uomini discreti.
Chi celebra il pestel, chi l’orinale,
Ed a suggetto spendono gl’inchiostri,
Che a l’onor poco, a l’utile men vale.
_Capitoli giocosi e satirici di_ LUIGI TANSILLO _editi ed inediti_,
Napoli, 1870, p. 58.
[100] _Lettere_, t. I, f. 21 v.
[101] _Le pístole vulgari_, f. 239 r.
[102] _Lettere famigliari_, f. 3 v.
[103] _Discorso intorno al comporre dei romanzi_, ediz. di Milano,
1864, p. 89.
[104] _Scelta di curiosità letterarie_, disp. CLXXXIV, Bologna, 1881,
pp. 31-2.
[105] _Le pístole vulgari_, f. 191 r.
[106] Satira _A M. Alessandro Campesano_.
[107] Vedi una lettera del Bembo a lui, _Opere_, t. III, p. 247, col. 2.
[108] Ediz. cit., vol. II, p. 37. Cfr. DOMENICHI, _Facetie, motti_,
ecc., p. 312.
[109] _L’argute e facete lettere, di novo ristampate_, Pavia, 1567, f.
34 v.
[110] Notisi che quell’ultimo terzetto deve leggersi così, e non come
si ha guasto nelle edizioni castrate. Vedi _Rime, poesie latine_, eco.,
di F. BERNI, ordinate e annotate da A. VIRGILI, Firenze, 1885, p. 138.
[111] Sette libri de Cataloghi, ecc., Venezia, 1552, l. VI, p. 479.
[112] Libretto stampato nel 1545 e rarissimo. Vedi LUZIO-RENIER,
_Contributo alla storia del malfrancese ne’ costumi e nella letteratura
italiana del sec. XVI_, nel _Giornale storico della letteratura
italiana_, vol. V, p. 425.
[113] È un zibaldonaccio manoscritto di 317 fogli numerati, e più
altri non numerati, che si conserva nella Casanatense in Roma. Ne
diede notizia Guido Suster nella _Domenica Letteraria_ del 16 marzo
1884 (anno III, nº 11). L’autore ci avverte egli stesso che cominciò
a scrivere il suo libro ai 20 di gennajo del 1589 e lo condusse a
compimento gli 8 di giugno di quell’anno medesimo.
[114] L’autore è Giammaria Cecchi. Fu stampata nel 1582. Il sonetto è
del Berni.
[115] _Le lettere_, ediz. cit., l. III, lett. 2, p. 163.
[116] _I sonetti del Pistoia giusta l’apografo Trivulziano_, a cura di
RODOLFO RENIER, Torino, 1888, son. 3, p. 3.
[117] _Discorso intorno al comporre dei romanzi_, ediz. cit., p. 89.
[118] Vedi CIAN, _Un decennio della vita di M. Pietro Bembo_, Torino,
1885, pp. 46, 158.
[119] _Storia della letteratura italiana_, 3ª edizione, Napoli, 1879,
vol. II, p. 127.
[120] _Lezioni di letteratura italiana_, 9ª edizione, Napoli, 1883,
vol. II, p. 176.
[121] _Francesco Berni_, Firenze, 1881.
[122] _Saggio di uno studio su Pietro Aretino_, Roma, 1882.
Nell’_Avvertenza_ l’autore promette un più largo lavoro, che, sino ad
ora, non è comparso.
[123] _Lettere_, ediz. di Parigi, 1609, vol. I, ff. 76, 82 sg., 85, 99,
162, ecc.
[124] _Op. cit._, pp. 240-2, 259-60.
[125] _La vita di Pietro Aretino_, Padova, 1741, pp. 1 sgg.
[126] _Dell’istoria della volgar poesia_, Venezia, 1730, vol. IV, p. 44.
[127] _La famiglia di Pietro Aretino_, in _Giornale storico della
letteratura italiana_, vol. IV, pp. 361-88.
[128] _Lettere_, vol. IV, ff. 269-72.
[129] Atto I, sc. 4.
[130] BASCHET, _Documenti inediti su Pietro Aretino_, in _Archivio
storico italiano_, serie III, t. III, parte 2ª.
[131] Vedi CAMPORI, _Pietro Aretino ed Ercole II duca di Ferrara_, in
_Atti e memorie delle rr. deput. di storia patria per le prov. mod. e
parm._, vol. V, Modena, 1870, pp. 29-37.
[132] Vedi la Vita del Doni scritta dal BONGI, e preposta ai _Marmi_ di
esso DONI ripubblicati dal FANFANI, Firenze, 1863, vol. I, p. LVI.
[133] _Epistolarum seu sermonum libri VI_, Parigi, 1585, p. 305.
[134] ORESTE GAMURRINI, _Pietro Aretino e i suoi tempi_, estratto dal
giornale _Il Fanfani_, anno I, Firenze, 1882, pp. 12-3; SINIGAGLIA,
_Op. cit._, p. 338.
[135] _Le satire alla berniesca_, Torino, 1549. Capitolo _Della Corte_.
[136] _Rime_, Perugia, 1770, p. 295.
[137] _Rime di Francesco Coppetta ed altri poeti perugini, scelte da_
G. VINCIOLI, t. I, Perugia, 1720, p. 284.
[138] _La Piazza universale di tutte le professioni del mondo_,
Venezia, 1587, Discorso LXII, p. 530.
[139] _Dialoghi_, Venezia, 1562, p. 274.
[140] _Stanze_, 10.
[141] SANSOVINO, _Sette libri di satire_, Venezia, 1560, f. 188 v.
[142] Ha molta somiglianza con questa dell’Alamanni una satira di
Mathurin Regnier sullo stesso argomento. Non ho bisogno di avvertire
che biasimi delle corti e invettive contro le corti si trovano, sebbene
non in tanta copia come nell’italiana, anche in altre letterature.
[143] Satira _Al fratello Galasso_.
[144] Atto II, sc. 6.
[145] _Rime edite ed inedite_ per cura di A. CAPPELLI e S. FERRARI,
Livorno, 1884, p. 80. Veggasi inoltre sopra il tinello: BANDELLO,
_Novelle_, parte II, nov. 51; DOMENICHI, _Facetie_, ediz. di Venezia,
1599, pp. 222-3; FRANCESCO PRISCIANESE, _Del governo della corte d’un
signore in Roma_, Roma, 1543; ristampa fatta in Città di Castello,
1883, pp. 22, 26-7; CESARE EVITASCANDOLO, _Dialogo del maestro
di casa_, Roma, 1598, pp. 161 sgg. Le miserie del tinello diedero
argomento alla _Tinelaria_ dello spagnuolo TORRES NAHARRO, che fu
in Roma ai tempi di Leone X. A voler fare on elenco di tutti coloro
che nel secolo XVI scrissero in biasimo delle corti troppe pagine si
potrebbero riempiere.
[146] _Lettere_, vol. I, f. 17 v.
[147] _Lettere_, vol. I, f. 34 v.
[148] _Lettere_, vol. I, f. 199 r.
[149] _Lettere_, vol. I, f. 85 r. Vero è che molti anni dopo il Franco
scriveva in uno dei sonetti contro l’Aretino:
Muojon di fame, e per l’Italia vanno
Mille buon spirti miseri e dolenti,
Ignudi e scalzi, dibattendo i denti,
Per un ladro spedale che non hanno.
E chiamava quei buoni spiriti a raccolta, li invitava ad esser tutti di
un parere, e a levar alto la voce
Contro l’infami e pessime brigate
Che ne potrien volendo sostenere.
[150] _Lettere_, vol. I, f. 33 r.
[151] _Lettere_, vol. IV, f. 131 r.
[152] _Lettere_, vol. I, f. 264 r.
[153] _Lettere_, vol. III, f. 225 r.
[154] Capitolo _Della poesia_.
[155] _Opere_, ediz. di Venezia, 1740, vol. I, pp. 220-1.
[156] Vedi CAPPELLI, _Pietro Aretino e una sua lettera inedita a
Francesco I re di Francia, in Atti e mem. delle rr. Deput. di st.
patria per le prov. mod. e parm._, t. III, pp. 75-88.
[157] _Lettere di diversi eccellentissimi uomini_ raccolte dal DOLCE,
vol. I, Venezia, 1559, p. 227.
[158] Atto V, sc. 12.
[159] _La Scolastica_, atto III, sc. 4. Vedi anche ciò che l’Ariosto
dice agli spettatori nel Prologo dei _Suppositi_, e cfr. la sua satira
_A Pietro Bembo_.
[160] _Sul Genesi_, XIX, 4, 5.
[161] _Vita Leonis X_, l. IV.
[162] _Le rime burlesche edite e inedite di_ ANTONFRANCESCO GRAZZINI
_detto il_ LASCA, per cura di CARLO VERZONE, Firenze, 1882, pp. 336,
515. Vedi anche pp. 638, 639.
[163] _La Cortegiana_, atto I, sc. 22; _Il Marescalco_, atto II, sc. 4
e sc. 11. Vedi pure ciò che l’ARETINO dice della sorte che toccava ai
paggi, _Ragionamento delle corti_, Venezia, 1539, f. 7.
[164] _Les vies des dames galantes_, ediz. di Leida, 1722, vol. I, p.
216.
[165] _Op. cit._, disc. LXXIX, p. 622.
[166] _Vita_, l. II, c. 29.
[167] Vedi il capitolo _Sopra un garzone_.
[168] Vedi anche ciò che dice nel capitolo _Alli signori abati_. Cfr.
l’_Orlando innamorato_ rifatto da lui, l. III, c. 9.
[169] Vedi _Le rime di_ MICHELANGELO BUONARROTI, _cavate dagli
autografi e pubblicate da_ C. GUASTI, Firenze, 1863, pp. 5-21, 26, 162.
[170] Vedi SOLERTI, _Anche Torquato Tasso?_ nel _Giornale storico della
letteratura italiana_, vol. IX, pp. 431-40.
[171] Capitolo _Delle campane_.
[172] Veggasi pure nel rarissimo volume intitolato _Poesie da fuoco di
diversi autori_, Lucerna, 1651, una certa _Persuasiva efficace_, ecc.
[173] _Lo Ipocrito_, Prologo.
[174] GALLICCIOLI, _Delle memorie venete antiche, profane ed
ecclesiastiche_, Venezia, 1795, vol. I, p. 260; GAMBA, _Serie degli
scritti impressi in dialetto veneziano_, Venezia, 1832, p. 58.
[175] Molte notizie concernenti il vizio in Venezia si hanno nel volume
_Leggi e memorie venete sulla prostituzione sino alla caduta della
Repubblica_, a spese del conte di Orford, Venezia, 1870-2.
[176] MUTINELLI, _Storia arcana ed aneddottica d’Italia raccontata dai
veneti ambasciatori_, Venezia, 1855-8, vol. I, p. 50.
[177] MUTINELLI, _Op. cit._, p. 121. Vedi per altre notizie CORRADI,
_Nuovi documenti per la storia delle malattie veneree in Italia dalla
fine del Quattrocento alla metà del Cinquecento_, in _Annali universali
di medicina_, volume CCLXIX, 1884.
[178] _Novelle_, parte I, nov. 6 e nov. 30. Vedi pare la novella 13
delle _Porretane_ di SABADINO DEGLI ARIENTI.
[179] Il CANELLO, in quel suo ingegnoso capitolo sulla _Vita privata
del Cinquecento_, che è il secondo della _Storia della letteratura
italiana del secolo XVI_ (Milano, 1880), sostenne, tra l’altro (pp.
20-2), che il vizio decrebbe nel Cinquecento, anzi cessò pressochè
interamente. È questa una opinione in tutto erronea. Il vizio crebbe
anzi a dismisura, e una delle ragioni del suo crescere fu il propagarsi
della sifilide.
[180] _Lettere_, vol. I, f. 85 v.
[181] GIOVANNI BURCHARD descrive la seguente mascherata fatta in Roma
nel decembre del 1502 (_Diarium sive rerum urbanarum commentarii_,
ediz. di Parigi, 1883-5, t. III, p. 227): «Post prandium iverunt ad
plateam S. Petri triginta mascherati habentes nasos longos et grossos
in formam priaporum sive membrorum virilium in magna quantitate,
precedente valisia cardinalari habente scutum cum tribus taxillis,
quam sequebantur scutiferi et illos mallerii, post quos equitavit
unus in veste longa e capello antiquo cardinalari: etiam mallerii
equitabant asinos, et aliqui eorum tam parvos quod pedibus eorum terram
tangebant et simul cum asinis ambulabant, illis insidentes. Ascenderunt
ad plateolam inter portam palatii et audientiam ubi ostenderunt
se Pape qui erat in fenestra supra portam in logia Paulina; deinde
equitaverunt per totam Urbem». Di così bella mascherata, della quale
si sarà compiaciuto non poco il sollazzevole papa Alessandro, non fa
cenno l’ADEMOLLO nel libro suo _Alessandro VI, Giulio II e Leone X nel
carnevale di Roma_, Firenze, 1886.
[182] Bernardino Arelio parla di una _Puttana errante_ e la sua lettera
è del 17 d’ottobre del 1531. Il poema del Veniero venne fuori appunto
in quel torno di tempo; però è da creder senz’altro che ad esso alluda
l’Arelio.
[183] Qui mi bisogna intrattener di me, per un istante il lettore. Il
sig. CARLO DEJOB, nel suo recente libro _De l’influence du Concile
de Trente sur la littérature et le beaux-arts chez les peuples
catholiques_ (Parigi, 1884), attribuisce a me (cap. VI, pp. 275
sgg.) le stesse opinioni professate dal Canello circa la pretesa
rigenerazione morale d’Italia nel Cinquecento, e me le attribuisce in
grazia di uno scritto vecchio già d’una decina d’anni, e che io non
avrei mai immaginato dovesse procurarmi una così fatta sorpresa. (Vedi
ne’ miei _Studii drammatici_, Torino, 1878, lo studio intitolato _Tre
commedie italiane del Cinquecento_). Non so come il sig. Dejob abbia
lette quelle pagine; so che io non pensava allora della moralità del
Cinquecento diversamente da ora. Se poi egli non riesce a vedere la
satira morale nè nella _Mandragola_ del MACHIAVELLI, nè nel _Candelajo_
di GIORDANO BRUNO, la colpa veramente non è mia.
[184] Vedi un documento di vivo e delicato amor paterno nella lettera a
Sebastiano del Piombo, vol. I, f. 114 v.
[185] Vedi G. LAFENESTRE, _La vie et l’œuvre de Titien,_ Parigi,
(1886), pp. 124-6.
[186] _Lettere_, vol. IV, f. 184 v.
[187] _Lettere_, vol. I, f. 42 v.
[188] _Lettere_, vol. I, f. 56 v.
[189] _Lettere_, vol. II, f. 33 r.
[190] _Lettere scritte a Pietro Aretino_ emendate per cura di Teodorico
Landoni, Bologna, 1873-5, vol. I, parte I, p. 319.
[191] Vedi nella _Nuova Antologia_, serie II, t. LIII, uno scritto del
PANZACCHI dal titolo _Pietro Aretino innamorato_.
[192] _Lettere_, vol. I, f. 33 r.
[193] _Lettere_, vol. I, f. 81 r.
[194] _Lettere_, vol. I, f. 86 v.
[195] _Lettere_, vol. I, f. 145 r.
[196] _Lettere_, vol. I, f. 21 v.
[197] Ciò si rileva da una lettera inedita che è nell’archivio di
Mantova. SINIGAGLIA, Op. cit., p. 101.
[198] _Lettere_, vol. I, f. 204 r.
[199] _Lettere_, vol. III, f. 340 r.
[200] _Op. cit._, p. 127.
[201] _Op. cit._, vol. II, p. 127.
[202] _Études sur W. Shakspeare, Marie Stuart et l’Arétin_, Parigi,
1851, p. 387.
[203] Il Sinigaglia di questo ritratto non dice altro, se non che
appartenne già ad un signor Carovana di Firenze.
[204] _Lettere_, vol. I, f. 279 v., 280 r.
[205] _Lettere_, vol. II, f. 36 r.
[206] _Lettere_, vol. IV, f. 161 r.
[207] _Lettere_, vol. V, f. 299 r.
[208] _Lettere_, vol. V, f. 320 r.
[209] _Lettere_, vol. I, f. 136 r.
[210] _Lettere_, vol. I, f. 247 r.
[211] Vedi, per es., la lettera a Lodovico Dolce, vol. I, f. 122 r.
[212] _Lettere_, vol. V, f. 16 r.
[213] _Lettere_, vol. V, f. 1 r.
[214] _Lettere_, vol. II, f. 118 v.
[215] _Op. cit._, p. 132.
[216] _Lettere_, vol. II, f. 7 r.
[217] _Lettere_, vol. II, f. 43 v.
[218] _Lettere_, vol. I, f. 21 v.
[219] _Lettere_, vol. II, f. 122 r.
[220] _Lettere_, vol. I, f. 210 r.
[221] _Lettere_, vol. I, f. 226 v.
[222] Vedi in questo volume lo scritto che segue: _I pedanti_.
[223] _Lettere_, vol. III, f. 157 v.
[224] _Lettere_, vol. III, f. 72 r.
[225] _Lettere_, vol. I, f. 431 r.
[226] _Lettere_, vol. I, f. 431 r.
[227] _Lettere_, vol. III, f. 72 r.
[228] _Lettere_, vol. I, f. 99 r.
[229] _Lettere_, vol. II, f. 75 r.
[230] _Lettere_, vol. II, f. 52 r.
[231] _Lettere_, vol. I, f. 21 v.
[232] _Lettere_, vol. III, f. 288 r.
[233] _Lettere_, vol. I, f. 106 v.
[234] _Lettere_, vol. II, f. 121 v.
[235] _Lettere_, vol. I, f. 253 v.
[236] _Lettere_, vol. III, f. 48 v.
[237] _Lettere_, vol. II, f. 27 r.
[238] _Lettere_, vol. II, f. 82 v.
[239] _Lettere_, vol. I, f. 146 v.
[240] _Lettere_, vol. I, f. 193 v.
[241] _Lettere_, vol. I, f. 202 v.
[242] _Lettere_, vol. I, f. 169 v.
[243] _Lettere_, vol. I, f. 215 r.
[244] SANSOVINO, _Sette libri di satire_, f. 198 v.
[245] Venezia, 1550, f. 33 v.
[246] _Lettere_, vol. V, f. 284 v.
[247] _Lettere_, vol. VI, f. 5 r.
[248] _Lettere_, vol. V, f. 185 v.
[249] _Op. cit._, pp. 470-1.
[250] _Lettere_, vol. I, f. 226 v.
[251] Cap. I, st. 17 sgg.
[252] _Die Cultur der Renaissance in Italien_, 3ª ediz., Lipsia,
1877-8, vol. I, p. 191.
[253] _Menagiana_, vol. II, p. 109.
[254] _Lettere_, vol. V, f. 185 r.
[255] Ediz. di Firenze, 1570, p. 60.
[256] Vedi ciò che del vestire e dell’aspetto del pedante in genere
dicono: il CARO, nel Commento di ser Agresto, ecc.; Pietro Aretino,
_Ragionamenti_, parte I, giornata II, Cosmopoli, 1660, pp. 77-8; CESARE
CAPORALI, nella prima parte di quel suo capitolo che appunto s’intitola
_Il Pedante_, d’onde attinse MATHURIN RÉGNIER pel suo _Repas ridicule_;
TOMMASO GARZONI, nella _Piazza universale di tutte le professioni del
mondo_, ediz. di Venezia, 1587, p. 91.
[257] Parte X.
[258] _Loc. cit._
[259] Se ne può vedere qualche esempio nelle _Facezie_ del DOMENICHI,
ediz. di Venezia, 1599, pp. 63, 382; nella _Saggia pazzia_ di ANTONIO
MARIA SPELTA, Pavia, 1607, l. II, c. 4; nel _Diporto dei viandanti_
di CRISTOFORO ZABATA, Pavia, 1596, p. 120; nel _Fuggilozio_ di TOMMASO
COSTO, Venezia, 1601, p. 245.
[260] _I Marmi_, ediz. di Firenze, 1863, vol. I, p. 104.
[261] Cent. I, ragg. 77.
[262] _Le pistole vulgari, Risposta della Lucerna_, ediz. di Venezia,
1542, f. 192 v.
[263] _Ragguagli di Parnaso_, cent. I, ragg. 53.
[264] Nel dialogo intitolato _Antonius_.
[265] _Genialium dierum_, I, 21; III, 19. Il Pontano ed Alessandro
degli Alessandri parlano di grammatici latini; ma lo SPELTA si lagna
anche molto della pedanteria dei grammatici volgari, _Op. cit._, l. II,
c. 5.
[266] GARZONI, _loc. cit._
[267] FRANCO, _Dialogi piacevoli_, ediz. di Venezia, 1541, f. 70 r.
[268] Ediz. cit., dial. II.
[269] Tale epistola non si legge, se non erro, che nella prima edizione
delle _Pístole vulgari_, Venezia, 1539.
[270] _Op. cit._, p. 319.
[271] _Loc. cit._ Tali esempii sono riferiti anche dallo SPELTA, _Op.
cit._, pp. 29-30.
[272] _Essais_, c. XXIV.
[273] _Poesie di_ FRANCESCO RUSPOLI, Livorno, 1882, son. LXXV.
[274] Venezia, 1554, ricordo CXXIII.
[275] Vedi qui addietro pp. 125 sgg. Del resto diceva sin da’ suoi
tempi il Boccaccio che di quel vizio si credevano comunemente macchiati
i grammatici, _Commento della Divina Commedia_, ediz. di Firenze, 1863,
vol. II, p. 420.
[276] _Mondi celesti, terrestri et infernali_, Venezia, 1583, p. 250.
[277] Maccaronea II.
[278] _Le diece veglie_, Treviso, 1602, p. 264.
[279] _La vie de Gargantua et de Pantagruel_, l. I, cc. XIV, XV. I
varii libri ricordati dal Rabelais furono veramente tutti molto usati
nell’insegnamento.
[280] _De pueris statim ac liberaliter instituendis._
[281] _Loc. cit._
[282] Lettera al pedante Picard. _Oeuvres comiques, galantes et
littéraires_, Parigi, 1858, p. 154.
[283] _Li capitoli faceti editi ed inediti di mess._ AGNOLO ALLORI
_detto il_ BRONZINO, Venezia, 1822, capitolo _Del Bisogno_.
[284] Ediz. di Pavia, 1567, ff. 11 r. sgg.
[285] Maccaronea II.
[286] _Op. cit._, p. 28.
[287] Atto III, sc. 2.
[288] Parte I, giornata II.
[289] _Le satire alla berniesca_, Torino, 1549.
[290] _Le rime burlesche sopra varii et piacevoli soggetti_, Venezia,
1570, capitolo XLII.
[291] Dialogo IV, ediz. cit., f. 70 v.
[292] _Della famosissima compagnia della Lesina, Dialogo, Capitoli,
Ragionamenti_, ediz. di Venezia, 1664, p. 157.
[293] _Op. cit._
[294] Veggasi, per esempio, ciò che ne dice STEFANO GUAZZO nel suo
libro intitolato _La civil conversatione_, Venezia, 1575, p. 383.
[295] _Lettere_, ediz. di Venezia, 1545, lett. LI, al Giovio.
[296] Vedi FONTANINI, _Biblioteca dell’eloquenza italiana_ con note di
Apostolo Zeno, edizione di Venezia, 1753, vol. I, p. 35, e SABBADINI,
_Storia del ciceronianismo_, Torino, 1886, pp. 127 sgg.
[297] _Il Cortegiano_, l. I, c. 37, ediz. di Firenze, 1854.
[298] Dice Aonio Paleario in un dialogo intitolato _Il Grammatico
ovvero delle false esercitazioni delle scuole_: «Non è maggior
sciocchezza al mondo che voler essere volgar latino, o latino volgare.
Da questi errori sono nati gli stili falsi toscani del Polifilo, e gli
stili falsi latini, o moderni, di che è impestato il mondo». Seguita
dicendo che alle scuole dei grammatici si imparava a scrivere il latino
grammaticalmente, ma non latinamente; che usciti dopo molti anni di
scuola, i giovani non sapevano scrivere nè una epistola latina, nè una
epistola volgare, e che i grammatici imbastardivano così l’una come
l’altra lingua. Il dialogo fu stampato la prima volta in Milano, nel
1557, poi in Perugia nel 1717.
[299] Vedi GENTHE, _Geschichte der macaronischen Poesie_, Lipsia, 1836,
pp. 83-94.
[300] Il sonetto è curioso: eccolo.
Fra gli Hetrusci gloriosi, et il collegio
Di noi magistri, che la lingua vetere
Sostenemo, e inalciamo fin all’aethere,
È nobil lite, et un dissidio egregio.
In contumelia nostra, et in dispregio,
Allegan quei, che dal Donato flectere
Non sapemo il sermon, nè men connectere
Fabula alcuna senza l’Apulegio.
Considerar devrian pur questi Tusculi,
Che del Donato senza li principii
L’antica lingua si potria dispergere.
Così veggiamo di giustitia emergere
Dal Donato Praetore i firmi initii:
Dunque il Donato è sopra gli altri opusculi.
[301] L’_Itinerario_ del Tarsia è forse tutt’uno con un _Viaggio del
pedante_ che Niccolò Villani cita, senza nominarne l’autore, in un
luogo del suo _Ragionamento sopra la poesia giocosa_, Venezia, 1634. Si
ha pure un _Itinere di ser Poi Pedante a Livorno_, composto da AGOSTINO
COLTELLINI; ma essendo il Coltellini nato nel 1613, non è da credere
che al suo poema alluda il Villani. Bensì è da notare che lo stesso
Coltellini ricorda il _Mantovano Itiner di Fidenzio_; ma di questo non
ho notizia.
[302] Molta poesia pedantesca giace inedita e sconosciuta nelle
biblioteche, e moltissima n’ebbe a produrre il Cinquecento. Dice il
RUSCELLI nel suo trattato _Del modo di comporre_ (Venezia, 1563, pp.
74-5): «Molto vagamente pur in questi anni stessi hanno il mio Signor
Domenico Veniero, ed altri nobilissimi ingegni introdotto di scrivere
in versi sciolti, e di terze rime, alcuni soggetti piacevolissimi,
e principalmente volendo contrafar la pedanteria. I quali per certo
riescono con tanta vaghezza e con tanta grazia, che ogni altra sorte
che volesse farsi, sarebbe un levarle in tutto del vero esser loro; e
non so se questa, nè altra lingua, abbia sorte di componimento così
piacevole». Poesie pedantesche di Antonio Querenghi si conservano
manoscritte nella Marciana.
[303] Ciò non vuol già dire che anche fuori non siasi avuto qualche
saggio di lingua pedantesca: leggasi, per esempio, nel l. II, cap. 6,
della _Vie de Gargantua et de Pantagruel_ il discorso messo in bocca
allo studente limosino.
[304] Cena I, nov. 2.
[305] Cena II, nov. 7.
[306] Nov. 5.
[307] _Essais_, c. XXIV.
[308] Atto III, sc. 12.
[309] Atto III, sc. 10.
[310] Atto I, sc. 5.
[311] Atto II, sc. 4.
[312] Atto I, sc. 9.
[313] Atto I, sc. 1.
[314] Cfr. DOMENICHI, _Facetie_, ediz. cit., p. 362.
[315] ALESSANDRO ALLEGRI finse alcune _Lettere di ser Poi pedante_
al Petrarca, al Boccaccio ed al Bembo (Bologna, 1613; ristampate in
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