Attraverso il Cinquecento - 11

Total number of words is 4466
Total number of unique words is 1852
31.1 of words are in the 2000 most common words
45.6 of words are in the 5000 most common words
53.5 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
Ma se i pedanti non avessero avuto altri difetti che la superbia e
l’insolenza, si sarebbero potuti, sino ad un certo punto scusare; il
guajo si è che ne avevano altri, e parecchi e grossi. Il pedagogo è da
scegliere tra mille, diceva il Vida; _quaerendus rector de millibus_,
lasciando intendere che tra mille se ne poteva trovare uno buono.
Saba da Castiglione, ne’ suoi _Ricordi ovvero Ammaestramenti_[274],
vorrebbe «le città fossero ben proviste, e fornite di maestri di
scuola, li quali fossero catolici, spirituali, maturi, gravi, onesti,
ben accostumati», appunto come troppo spesso non erano. Nè manca
chi, facendo il novero di tutte le lor _virtù_, li chiama bugiardi,
ghiottoni, poltroni, ipocriti, seminatori di discordie, ladri, ponendo
fine alla assai più lunga litania colla menzione punto velata di
un vizio che, in antico, la Grecia aveva dato a Roma, e che certo,
nel Cinquecento, non era dei soli pedanti[275]. Nell’_Inferno degli
scolari_ dice il Doni che i pedanti sono «viziosi, golosi, negligenti,
ignoranti, goffi, rozzi, nojosi, fastidiosi, ribaldi, scelerati e
peggio»[276]. Peggio chè?
I pedanti erano di due maniere, secondo che esercitavano l’ufficio
loro nelle famiglie che li tenevano a stipendio, o in iscuole,
sovvenute o non sovvenute dal pubblico erario; ma qual che si fosse
il modo dell’esercizio, non variavano le usanze loro e non variava
l’indole dell’insegnamento. Che cosa fosse questo insegnamento si può
arguire dalla qualità degl’insegnanti. Se passava oltre i gradi di una
istituzione primaria, il che non sempre accadeva, il latino prendeva
subito, ben s’intende, luogo principalissimo; ma in qualunque grado si
fosse, era e rimaneva, non occorre dirlo, essenzialmente _pedantesco_.
Non chiedete al pedagogo il più elementare avvedimento di quella
scienza che da lui prende il nome, la pedagogia. L’arte di rendere
gradito, e, appunto perchè gradito, fruttuoso lo studio, è un’arte
ch’egli ignora, e che disprezzerebbe, se la conoscesse. Ha tanto sudato
egli a imparar ciò che sa! bisogna bene che altri sudi a sua volta.
Ciò che in qualsiasi disciplina è più esterno e men vivo, la formola
che strozza il pensiero, la regola che gli allaccia le ali, la lettera
che uccide, ecco l’oggetto d’ogni diligenza pel pedante, ecco le cose
intorno a cui egli non si stanca e non rifinisce di dare ammaestramenti
e precetti. Per lui la mente del discepolo è come un bossolo vuoto
dentro, e l’arte dell’istruire consiste tutta nell’imbossolarvi certa
quantità di cognizioni in modo che non vi patiscano alterazione, e le
si possano, ad ogni bisogno, tirar fuori tali e quali vi furono messe.
Come il gesuita, il pedante lavora a uccidere l’intelletto, salvo che
nol fa, come il gesuita, per deliberato proposito: il suo insegnamento
non tende ad altro, dice il Montaigne, _qu’à remplir la memoire,
lasciando l’entendement et la conscience vuide_. E se ciò è vero, chi
oserà dire che l’insegnamento pedantesco sia sparito dal mondo?
I libri che in Italia formavano la necessaria scorta di ogni
pedante erano: le grammatiche di Prisciano e di Donato, le _Regole
Sipontine_, la _Cornucopia_, il _Liber de metris_, di Niccolò Perotto,
il _Catholicon_ di Giovanni Balbi, il _Calepino_, le _Regole_ del
Cantalicio, lo _Spicilegio_ del Mancinello, il _Dottrinale_, ed altri
così fatti, di vario argomento, che non mette conto di ricordare. Il
Folengo, narrando la fanciullezza turbolenta del suo eroe Baldo, dice:
Fecit de norma mille scartozzos Donati,
Inque Perotinum librum salcicia coxit[277].
Ai libri manuali si accompagnavano, secondo che l’insegnamento si
allargava più o meno, alcuni testi classici e anche qualche libro
volgare; ma ognuno può immaginarsi che cosa diventasse lo studio e
la interpretazione dei classici, se, come dice Bartolomeo Amigio, un
pedante che appena aveva letto lo _Spicilegio_ del Mancinello e le
_Regole_ del Cantalicio, si arrogava di commentar Platone[278].
Di questo insegnamento gretto, meccanico, essenzialmente infecondo
del pedante, nessuno diede immagine più adequata di quella che, con
celia non men profonda che arguta, porge il Rabelais, parlando della
educazione di Gargantua[279]. Quel dabben uomo di Grandgousier, avendo
riconosciuto nel figliuolo un mirabile ingegno naturale, volle che
un’ottima istituzione venisse in ajuto della natura, e traesse dal ben
disposto seme il frutto perfetto. Tubal Oloferne, il reputatissimo
maestro scelto a tale ufficio, si pose all’opera, e in ispazio di
cinque anni insegnò all’alunno l’abbicì; poi gli lesse il Donato, il
Faceto, il Teodoleto e l’_Alanus in parabolis_, spendendoci intorno
tredici anni, sei mesi e due settimane. Dopo di ciò gli espose il
_De modis significandi_ con tutti i commenti che se ne fecero, e
consumò in tale esercizio diciotto anni e undici mesi; ma questo tempo
trascorso, Gargantua sapeva il tutto a memoria, e poteva anche ridirlo
alla rovescia, e _prouvoit sur ses doigts à sa mère, que de modis
significandi non erat scientia_. Allora il buon maestro pose mano al
_Computo_; ma dopo sedici anni e due mesi di tale insegnamento, si
morì,
Et fut l’an mil quatre cents vingt,
De la verole qui lui vint.
Un secondo maestro, per nome Jobelin Bridé, lesse allora ed espose
all’alunno alcuni altri libri della stessa farina; dopodichè il padre
cominciò finalmente ad avvedersi che il figlio _en devenoit fou, niais,
tout resveux et rassoté. De quoi se complaignant à don Philippes des
Marais, viceroi de Papeligosse, entendit que mieulx lui vauldroit rien
n’apprendre, que tels livres soubs tels précepteurs apprendre. Car leur
sçavoir n’estoit que besterie, et leur sapience n’estoit que moufles,
abastardissant les bons et nobles esperits, et corrompant toute fleur
de jeunesse._ Allora Grandgousier affidò Gargantua a Ponocrate, un
maestro di animo generoso ed aperto, di larga e viva coltura, la
istituzion del quale, opposta e contraria, sotto ogni rispetto, a
quella degli altri due, può in gran parte anche oggi considerarsi come
modello di una istituzione proficua, intesa a svolgere armonicamente
tutte le buone energie della natura umana.
Ma ciò che il Rabelais dimentica di dirci si è che l’argomento
pedagogico per eccellenza, la _prima et ultima ratio_ del pedante era
lo staffile. Lo staffile è, da tempo antichissimo, come l’emblema del
pedagogo, la divisa, se si può dire, del suo insegnamento. Il buon
Orazio, intento negli anni maturi a cogliere _il dolce_ della vita,
ricordava ancora, con vago terrore, il _plagosus Orbilius_ a cui era
stata soggetta la sua fanciullezza; Marziale rammenta le _ferulae
tristes, sceptra paedagogorum_. Una pittura di Ercolano mostra quanto
antica sia la pratica di quello che gli scolari d’Italia chiamarono
con figurato eufemismo il _cavallo_. Lo staffile si adoperava tanto
dai pedanti domestici, quanto dai pedanti che tenevano scuola aperta;
ma se quelli dovevano, sotto gli occhi delle persone di casa, usarne
con qualche discrezione, questi potevano usarne ed abusarne come e
quanto loro piaceva. Qual meraviglia, se le descrizioni che ce ne son
pervenute, ci dipingono la scuola come un altro inferno? Non iscuola
la diresti, esclama in un impeto d’ira Erasmo da Rotterdam, ma luogo
di tortura, dove non si ode altro che crepito di sferze, strepito
di verghe, lamenti, singulti, e minacce atroci; e soggiunge cose
incredibili dei mali trattamenti che in sì fatti _luoghi di tortura_
si infliggevano ai fanciulli da uomini, come dice egli stesso, troppo
sovente agresti, scostumati, lunatici, insani di mente[280]. Intimidire
l’alunno, riemperne l’anima di una specie di sacro terrore, in guisa
da spegnervi ogni vivezza e bollore di spiriti tracotanti e riottosi,
ecco ciò che il pedante si proponeva di conseguire anzi tutto; senza
sospettar nemmeno che il primo effetto delle sue pratiche era di
rendere odioso ogni studio, e di fiaccare nell’alunno stesso quelle
morali energie senza l’esercizio delle quali non è studio che frutti.
Vincere e domare la caparbia e ribelle natura, ecco il supremo canone
pedagogico; d’onde la incredibile usanza di picchiare anche quando non
ci fosse fallo, senza una ragione al mondo, di buon mattino, per ben
preparare al lavoro della giornata. E quando non erano busse, erano,
come dice il Garzoni, modi di chiedere terribili, grida strepitose, un
passeggiar per la scuola _a guisa di tanti pavoni_[281], uno starsi in
cattedra, dice Cyrano de Bergerac, a mo’ di un Cesare, facendo tremare
sotto lo scettro di legno il popolo della piccola monarchia[282]. Ebbe
ragione il Bronzino di dire, parlando dell’età dell’oro:
Non erano spaventi o battiture
Pe’ fanciulli, e la scuola e la bottega
Ancor non erano in _rerum naturae_ (_sic_)[283];
ma più ragione ebbero quegli scolari di Pavia, di cui narra Cesare Rao
in una delle sue _Argute e facete lettere_[284], i quali un bel giorno
levarono il loro pedante a cavallo e lo regalarono di più di _cento
scoriate_, ripagandolo delle infinite che gli aveva date loro. Essi
tennero la via seguita sin da principio dal giovine Baldo:
Nunquam terribilis quid sit scoriada provavit
Namque paedagogis hic testam saepe bolabat[285].
I fanciulli che avevano il pedante in casa, soggiacevano a disciplina
meno bestiale, ma non imparavano di più, e correvano altri pericoli.
La presenza del pedante in casa poteva dare, e dava spesso, luogo a
corruttele, a scandali, a guai d’ogni maniera, specialmente se, come
accadeva di solito, le famiglie a fine di spender meno, si pigliavano
per maestro un qualche paltoniere, non meno povero di dottrina che nudo
di ogni dignità. Perciò lo Spelta, di cui ho già citato il libro, si
mostra grande avversario di quelli che chiama _maestri casalenghi_, si
duole della _goffaggine_ de’ gentiluomini che vogliono il pedante in
casa, e si dichiara risolutamente fautore delle scuole pubbliche. Egli
non crede che l’insegnamento dato in casa possa riuscir mai di qualche
vantaggio al discepolo, «perchè quando anco il povero maestro vuole
riprendere o castigar il furbo di qualche errore, subito la signora
madre corre di sopra, o dove insegna, e fa cappellate d’importanza al
_cujum pecus_. Il quale temendo di perdere la pagnocca, lascia correre
cinque settimane per un mese. E mangiando la panigada in pace, diviene
grassetto, compra l’offelle, la gioncadina co l’alunno, ed insieme
stanno su le papardine. Ben voluti dalla padrona che se ne serve in più
servigi. Fa del fattore, o del mastro di casa; egli è insomma quello
che taglia il budello in tavola»[286].
Ma qualche volta faceva anche altro, ed entrava un po’ troppo nelle
buone grazie della padrona. Parlando di certe gentildonne, dice
il Rosso nella _Cortegiana_ dell’Aretino: «Ed i pedanti ancora
ne vanno beccando qualcuna... non gli bastando figli, fratelli e
fantesche»[287]. In uno dei _Ragionamenti_ dello stesso Aretino si
narra la stomachevole istoria di certa donna maritata, la quale «si
inghiottonì di un di questi pedagoghi affumicati, che si tengono ad
insegnare per le case, il più unto, il più disgraziato, il più sucido
che si vedesse mai»[288]. La buona femmina tanto fece che riuscì a
trarselo in casa. S’intende come il pedante, fatto amico della padrona,
dovesse poi diventar egli padrone, e mettersi sotto tutta la famiglia,
a cominciare dal melenso marito. In tal condizione egli poteva sembrar
degno d’invidia a tutto l’innumerevole stuolo dei ghiottoni e dei
parassiti. Gabriello Simeoni dice nella _Satira dell’avarizia del
mondo_:
Può far Domenedio tanto da bene,
Ch’a pedanti e notai sia il mondo in mano,
Il mondo cieco e pazzo da catene?
Di natura è il pedante aspro e villano,
Implacabile, avaro e discortese,
Crudel, superbo, sospettoso e vano.
Prima s’acconcia in casa per le spese,
Poi qual Margutte ognun si caccia sotto,
E del tutto è padrone in men d’un mese[289].
Giovanfrancesco Ferrari, poeta bernesco dei men noti, ma non dei meno
pregevoli, tesseva un capitolo in lode della pedanteria, e giurava di
volersi far pedante, parendogli non ci fosse al mondo stato più comodo
di quello.
A me pare un bel che, stando a sedere
Vender le sue parole notte e giorno
E cavarne il vestire, il pane e il bere.
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
E poter obedito comandare
A tutti quei di casa, e a la padrona
Star dirimpetto a cena, a desinare.
Ed esser ascoltato, qual persona
Dotta e sacciuta, con attenzione,
Mentre che de i cujusse si ragiona.
E su le dita dir la sua ragione,
E con qualche argomento in baricoco
Far restar il messere un bel castrone[290].
Ma quando il pedante non riusciva a farsi padron di casa, oppure
quando teneva scuola aperta per conto suo, come travagliata, quanto
misera e vile era la sua condizione! I salarii (che stipendii non si
posson chiamare) erano derisorii il più delle volte: «la viltà del
prezzo è sì fatta, ch’è vergogna a sentirla», dice l’anima del pedante
Anisio in uno dei dialoghi del Franco; e Caronte le chiede invano il
quattrino che gli si deve[291]. La concorrenza era grande e rabbiosa e
produceva naturalmente il suo effetto: in uno dei sonetti attribuiti al
Burchiello, volendosi dare un’idea dello sterminato numero di gondole e
di camini che erano in Venezia, si vengono ricordando, come termini di
paragone, varie cose di cui si afferma essere grandissima copia, e ci
si dice, tra l’altro, che non è tanta poveraglia in Milano, e che non
istanno tanti pedanti per le spese. Nessuno più del pedante meritava di
entrare nella onorata Compagnia della Lesina, e l’onorata Compagnia non
lasciò di accoglierlo nel suo seno[292].
Ma quante altre miserie oltre a questa miseria! Ortensio, uno degli
interlocutori della sesta veglia di Bartolomeo Arnigio[293], ce ne
dà qualche concetto, riferendo le querele del proprio suo precettore.
_Sciagurato stento_ l’insegnare: i fanciulli, già guasti dai genitori,
hanno in odio ogni studio, si beffano dei maestri, si addormentano
durante la lezione. Che pena far entrar loro in capo quel po’ di
latino, e udir poi lo strazio che ne fanno! Che fatica far apprendere
ai tristanzuoli un po’ di buon costume! Per dispiacer che n’abbia,
il maestro è forzato a _dar sorgozzoni, tirar per le orecchie, dar
su le palme, e far levar a cavallo: tragico esercizio!_ E i padri
sempre scontenti, sempre a lagnarsi che il figliuolo non impara e a
darne colpa al maestro; il quale è da tutti schernito, è chiamato il
pedante, il pedagogo, il domine: _perfin le fanti gli voltan sossopra
i libri, lo trattan da gufo, d’allocco e da barbajanni_. Disse il buon
Lafontaine:
Je ne sais bête au monde pire
Que l’écolier, si ce n’est le pédant:
mettete queste due _bestie_ a vivere insieme nella medesima casa, e
dite se ci può essere al mondo miseria maggiore della loro.
Ma tutto ciò è ancor poco a paragone della comune avversione,
dell’universale disprezzo che involgevano, come in un atmosfera
irrespirabile, la _gens_ dei pedanti; avversione e disprezzo che
parvero eccessivi a taluno e degni di biasimo[294], ma che formavano
ormai pubblica opinione, e facevano dire al Doni in busca d’impiego,
ch’egli era pronto a torsi in corte ogni officio che gli si volesse
dare, _da pedante e cappellano infuori_[295]. Il nome stesso di pedante
era diventato uno sfregio e un vitupero.

II.
Le ragioni dell’odio contro ai pedanti erano, come s’è potuto vedere,
parecchie, e non piccole; ma tra esse una era maggiore delle altre, e
nasceva da ciò che più propriamente qualificava il pedante, da quella
angustia d’animo, da quella dottrina arida, da quella seccaggine
prosuntuosa, dal tutto insieme delle qualità fastidiose e ridicole
che appunto costituiscono ciò che si dice spirito pedantesco. Ora, se
si considerano le cose un po’ più da vicino, l’odio può parere, per
questo capo, un po’ ingiusto, perchè lo spirito pedantesco non è nel
Cinquecento così proprio dei pedanti, che anche fuori di loro non se
ne trovi in abbondanza, e perchè quello che in essi è deriva in gran
parte e dipende da quello che alita loro intorno. Vero è che essi lo
accumulano e lo condensano, come certi apparecchi dei fisici fanno
della elettricità.
L’umanesimo nasce con in corpo il germe della pedanteria. La erudizione
ha come una tendenza naturale a diventar pedantesca, e questa tendenza
tanto più si rafforza, quanto più l’oggetto intorno a cui si vanno
esercitando gli studi, sembra nobile, alto, degno di particolare
ammirazione; quanto più esso respinge, come minori e men degni,
altri oggetti di studio, e lega gli spiriti, assoggettandoli ad una
servitù da cui non è più loro possibile emanciparsi. Ora, l’umanesimo
era per una buona metà, se non per tre quarti, erudizione, e, per
giunta, erudizione che aveva dietro di sè, e un pochino anche dentro
di sè, le tradizioni dello scolasticismo medievale. L’ammirazione
appassionata dei classici, lo studio esclusivo ed assiduo dell’opera
loro, dovevano conferire, o rafforzare abiti intellettuali non troppo
disformi da quelli della pedanteria, produrre una nuova superstizione
letteraria, come tutte le superstizioni, intollerante e sofistica. Un
alto disprezzo si spandeva sopra quanto non era antico e classico.
Mentre il verbo greco e latino diventava una cosa sacra, oggetto di
culto geloso, si rifiutava la propria lingua nativa e si schifavano
gli autori che l’avevano recata negli scritti. L’autorità sempre più
s’imponeva nel nome di quei grandi di cui si adoravan le carte; la
imitazione si affermava norma suprema dello scrivere, ed ogni più
lieve trascorso contro a quel nuovo diritto, o diciam meglio, a quella
nuova religione, era giudicato mancamento mostruoso ed inescusabile. Lo
spirito pedantesco informa ed agita tutto un popolo di studiosi, di cui
non è facile dire quanto abbiano giovato, quanto nociuto alla coltura e
alle lettere: grammatici puntigliosi, espositori fanatici, commentatori
arrabbiati, leggitori insaziabili, disputatori implacabili, eruditi
aridi e ponderosi. Dov’è maggior pedanteria che nelle controversie
di quegli umanisti, i quali sopra un vocabolo disputavano gli anni,
vituperandosi a vicenda? E chi più pedante di quei Ciceroniani, con
tanta garbo derisi da Erasmo, i quali non leggevano altro che gli
scritti di Cicerone, passavano la vita a fare indici e repertorii di
tutti i vocaboli, di tutte le frasi, di tutte le eleganze di Cicerone,
avevano in casa loro, per ogni stanza, una immagine di Cicerone,
sognavano la notte di Cicerone, e si credevano in buona fede diventare
altrettanti Ciceroni? Gli umanisti, che spesso furono insegnanti,
dovettero, seguitando le proprie tendenze, contribuire non poco a dare
all’insegnamento un certo indirizzo pedantesco; Vittorino da Feltre,
con la larghezza del metodo e degli intendimenti suoi, è fra essi una
eccezione, se non unica, certo assai rara.
I pedanti sono figli, non in tutto legittimi, se si vuole, ma pur
figli, dell’umanesimo, e l’umanesimo nel Cinquecento, se muta tempre in
parte, se si fa meno bisbetico e più liberale, conserva, ciò nondimeno,
nel fondo, le qualità e gli intendimenti che lo avevano contraddistinto
nel secolo precedente. Gli è nel Cinquecento che il ciceronianismo
si fa più invadente e più intollerante; gli è nel Cinquecento che
noi troviamo oltre a una dozzina di latinisti inferociti, intesi a
screditare in tutti i modi il volgare, e a dire che per gli italiani
era una vergogna scrivere italiano anzichè latino[296]. Come si vede,
i pedanti non erano poi in quel mondo come pesci fuor di acqua, o come
piante venuteci su a dispetto dell’aria e del suolo, e a prima giunta
non s’intende bene perchè il Cinquecento si sia, per mille bocche
e mille penne, tanto burlato dei fatti loro, se i fatti loro erano
un pochino i fatti suoi, e se i burlati potevano rispondere con un
_Medice, cura te ipsum_, o a dirittura con un _De te fabula narratur_.
Ma il Cinquecento ha in sè molte svariate cose e molti, diversi, e
spesso opposti indirizzi; e quando si consideri un po’ più da presso
ciò che gli si agita dentro, e i moti contrarii che lo traggono in qua
e in là, s’intende come esso abbia potuto promuovere e respingere, in
un tempo medesimo, le medesime cose, favorirle e avversarle, volerle e
deriderle. Gli è, del resto, ciò che più e meno avviene in ogni tempo
entro alle civiltà più complesse e più mobili.
A dispetto di non poche titubanze e di non poche contraddizioni, il
Cinquecento è secolo novatore, secolo di ribellioni e di riforme,
pieno di vivi fermenti e d’audace irrequiete. Lo affatica uno spirito
indocile, che sentendosi a disagio entro l’angustia della tradizione,
si sforza di slargare tutto intorno i termini del pensiero e della
vita. Si comincia allora a sfatare la consuetudine, a scuotere
l’autorità. Aristotele, che per tanti secoli aveva rette e disciplinate
le menti, si vede sorgere a fronte risoluti avversarii; il dogma, di
qualunque specie esso sia, è fatto oggetto di libero esame. Nascono le
scienze d’osservazione e di sperimento, chiamate, sin da principio,
a mutar faccia al mondo; nasce la critica; nasce nuova filosofia.
In materie di lettere, se c’è chi fa l’imitazione articolo di fede e
condizion di salute, c’è pure chi la nega e la schernisce, e chiede
e insegna la libertà dell’ingegno e dell’arte; se dieci vogliono
si scriva latino, cento vogliono si scriva, e scrivono, italiano, e
l’italiano pongono sopra il latino; e se nel parlare e nello scrivere
italiano, sono, come dice Baldassar Castiglione, _certi scrupolosi,
i quali, con una religion e misterii ineffabili di questa lor
lingua_[297], spaventano altrui, riuscendo essi stucchevoli, sono pure
moltissimi spregiudicati, i quali parlano e scrivono di vena, con
nativa proprietà, con ispontanea eleganza, e si ridono dei papassi
del si può e del non si può, e dei loro falsi evangeli. In materia
di coltura e di educazione, i migliori, possiam dire i più, sentono
assai largamente. Non si dimentichi che il Cinquecento vagheggia
un tipo ideale di uomo compiuto, capevole di tutti gli amori e di
tutti gli interessi cui può dar esca l’incivilito costume, la vita
varia ed intensa; e nel quale le potenze tutte armonizzate fra loro
si sostentino a vicenda e si promuovano. Un uomo sì fatto non nasce
nelle scuole dei pedanti, e la pedagogia che se lo proponga a modello
non può esser quella di aridi grammatici, di vani, tronfii, miseri
annaspatori di parole. E in fatto non è. Leon Battista Alberti, Maffeo
Vegio, Enea Silvio Piccolomini, Pandolfo Collenuccio nel secolo XV;
nel XVI Antonio Ferrari, Sperone Speroni, il Sadoleto, Bernardo e
Torquato Tasso, Orazio Lombardelli ed altri non pochi, professano
in fatto di educazione dottrine, porgono ammaestramenti, che già
Vittorino da Feltre aveva recati in pratica, e che la scienza dei
giorni nostri ammira, e non disconfessa. In mezzo a una società a
cui Baldassar Castiglione consacrava il suo _Cortegiano_ e Monsignor
della Casa il suo _Galateo_, il pedante sconcio della persona e degli
atti, ligneo d’animo, ispido d’inutile dottrina, estraneo alla vita,
chiuso a ogni senso di bellezza e di gentilezza, non poteva essere
considerato altrimenti che come una negazion vivente degli amori e
delle aspirazioni de’ tempi, non poteva non attirar su di sè l’odio e
la derisione.
E l’odio e la derisione dovevano (in parte l’abbiamo già veduto)
trovare nella letteratura opportunità di soggetti, varietà di
espressione, e segnare, passando da una ad un’altra forma di
componimento, i varii gradi della intensità loro.
La derisione, non dirò men tagliente, ma meno vilificativa, è quella
che investe il gergo pedantesco, e si esercita mediante una imitazione
più o meno ingegnosa, ma caricata sempre, di esso. Questa imitazione
talvolta si unisce ad altri elementi di satira in composizioni di
più largo soggetto; tal altra porge essa l’elemento unico, o almeno
principale, in composizioni apposite. Ne nasce quello che appunto fu
chiamato stile pedantesco; ne nasce la poesia fidenziana.
Il gergo pedantesco non è cosa immaginata a solo scopo di canzonatura,
o di celia, come la poesia maccheronica. S’indovinan subito le ragioni
che dovevano persuadere al pedante l’uso di un linguaggio disforme dal
comune, di un linguaggio intinto e intriso di latino; tanto più intinto
ed intriso quanto più egli era pedante di buona lega; e basta gettar
l’occhio sull’_Hypnerotomachia_ di Francesco Colonna, non volendo
citar altri esempii, per saper subito di che tempra quel linguaggio
si fosse[298]. La poesia fidenziana prende il nome da quel Fidenzio
Glottocrisio Ludimagistro, sotto specie del quale il conte Camillo
Scrofa vicentino stampò, circa il mezzo del secolo XVI, alcuni sonetti,
e qualche altro breve componimento, intitolandoli _Cantici_. Lo Scrofa
non è, come fu creduto a torto, l’inventore di quella poesia[299]; ma
a lui spetta il vanto, qual esso sia, di averla condotta a un grado
di perfezione da cui rimasero non meno discosti i predecessori che gli
imitatori suoi.
La satira dei _Cantici_ non colpisce soltanto, bisogna dirlo, il
gergo pedantesco, giacchè in essi Fidenzio fa manifesta la passione
messagli nelle midolle dalla _eximia alta beltate_ del giovinetto
Camillo Strozzi, passione che lo strazia e lo consuma. L’innamorato
ludimagistro ruba la prima mossa al Petrarca:
Voi, ch’auribus arrectis auscultate
In lingua hetrusca il fremito e il romore;
poi si abbandona al furor poetico. Loda le bellezze e gli atti del suo
Camillo,
plenissimo inventario
D’ogni egregia et notabil pulchritudine.
si duole dei suoi rigori e della mente
D’una cote Caucasea assai più dura,
lamenta gli inutili donativi, dice l’incendio che lo divora maggior
di quello che già distrusse _l’antico et superbo Ilio_, vede per la
prossima morte che lo aspetta
orbato e viduo
Delle lettere humane l’aureo studio;
e si prepara l’epitafio. Chi vuol saperne di più legga i _Cantici_, chè
a noi ora non importa di dirne altro.
Lo Scrofa ebbe, come s’è notato, imitatori in gran numero, e se nelle
loro composizioni la satira prende più particolarmente di mira il
gergo dei pedanti, si volge anche, non di rado, ad altri oggetti.
In un sonetto del Giroldi si accenna alle contese che fervevano tra
i toscani, sostenitori del volgare, e i pedanti, sostenitori del
latino[300]; in un capitolo già citato di Metello Grafagnino, un
pedante ricordando i bei tempi dei Maroni e dei Mecenati, quando, dice
egli, i valentuomini pari suoi erano debitamente tenuti in pregio e
onorati, si lagna forte della mutata condizione delle cose e del secolo
Infido, inerte, vafro e versipelle,
in cui gli è toccato di vivere. Tra i componimenti maggiori di cui va
ricca la poesia fidenziana mi contenterò di ricordare l’_Itinerario in
lingua pedantesca_ di Giovanni Maria Tarsia, stampato in Vicenza nel
1574, e _L’Hippocreivaga musa invocataria_ di Antonio Maria Garofani,
stampata in Ferrara nel 1580, entrambi rarissimi. L’_Itinerario_ è un
lungo racconto in terza rima e cinque capitoli che certo pedante fa
di un suo viaggio, e delle _erumne perpesse tra’ Lucani_. Un putto,
per nome Costanzo, da lui trovato nel tugurio di un pescatore, fa
qui l’officio che nei _Cantici_ di Fidenzio appartiene a Camillo. Il
pedante innamorato della leggiadria e de’ bei modi di lui, esclama:
O età gerula
D’ogni buon giogo quando se’ educata
Con scutica, solertia, amore e ferula.
Dopo varii casi ridicoli e strani il buon maestro capita in Pisa
ed è da quegli scolari accolto con beffe e con dispregi[301].
L’_Hippocreivaga musa_ è un _cantico erudito e preceptorio_ in
centottantasette ottave, cui tengono dietro otto sonetti. Parla in esso
un pedante facendo un guazzabuglio pazzo di nomi mitologici, di favole
e di ogni maniera di classiche reminiscenze[302]. Poesia fidenziana, o
pedantesca, si continuò, del resto, a comporre anche nel secolo XVII;
ma a differenza della maccheronica, essa rimase genere essenzialmente
proprio dell’Italia[303].
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Attraverso il Cinquecento - 12
  • Parts
  • Attraverso il Cinquecento - 01
    Total number of words is 4467
    Total number of unique words is 1650
    37.2 of words are in the 2000 most common words
    51.1 of words are in the 5000 most common words
    58.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 02
    Total number of words is 4547
    Total number of unique words is 1779
    34.8 of words are in the 2000 most common words
    48.1 of words are in the 5000 most common words
    53.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 03
    Total number of words is 4518
    Total number of unique words is 1828
    34.1 of words are in the 2000 most common words
    49.1 of words are in the 5000 most common words
    56.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 04
    Total number of words is 4507
    Total number of unique words is 1784
    34.9 of words are in the 2000 most common words
    48.1 of words are in the 5000 most common words
    54.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 05
    Total number of words is 4573
    Total number of unique words is 1778
    36.2 of words are in the 2000 most common words
    49.6 of words are in the 5000 most common words
    57.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 06
    Total number of words is 4618
    Total number of unique words is 1650
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    54.1 of words are in the 5000 most common words
    62.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 07
    Total number of words is 4554
    Total number of unique words is 1705
    35.7 of words are in the 2000 most common words
    50.1 of words are in the 5000 most common words
    57.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 08
    Total number of words is 4565
    Total number of unique words is 1726
    37.8 of words are in the 2000 most common words
    51.6 of words are in the 5000 most common words
    60.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 09
    Total number of words is 4588
    Total number of unique words is 1764
    34.9 of words are in the 2000 most common words
    49.0 of words are in the 5000 most common words
    56.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 10
    Total number of words is 4526
    Total number of unique words is 1835
    33.8 of words are in the 2000 most common words
    47.3 of words are in the 5000 most common words
    54.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 11
    Total number of words is 4466
    Total number of unique words is 1852
    31.1 of words are in the 2000 most common words
    45.6 of words are in the 5000 most common words
    53.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 12
    Total number of words is 4481
    Total number of unique words is 1836
    32.6 of words are in the 2000 most common words
    46.3 of words are in the 5000 most common words
    54.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 13
    Total number of words is 4569
    Total number of unique words is 1802
    35.6 of words are in the 2000 most common words
    49.6 of words are in the 5000 most common words
    57.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 14
    Total number of words is 4416
    Total number of unique words is 1864
    33.0 of words are in the 2000 most common words
    47.5 of words are in the 5000 most common words
    54.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 15
    Total number of words is 4518
    Total number of unique words is 1813
    36.2 of words are in the 2000 most common words
    51.1 of words are in the 5000 most common words
    59.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 16
    Total number of words is 4560
    Total number of unique words is 1761
    35.1 of words are in the 2000 most common words
    49.6 of words are in the 5000 most common words
    58.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 17
    Total number of words is 4486
    Total number of unique words is 1807
    35.8 of words are in the 2000 most common words
    51.7 of words are in the 5000 most common words
    58.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 18
    Total number of words is 4516
    Total number of unique words is 1834
    37.6 of words are in the 2000 most common words
    52.5 of words are in the 5000 most common words
    60.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 19
    Total number of words is 4596
    Total number of unique words is 1891
    31.5 of words are in the 2000 most common words
    43.3 of words are in the 5000 most common words
    49.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 20
    Total number of words is 4447
    Total number of unique words is 1641
    37.6 of words are in the 2000 most common words
    50.9 of words are in the 5000 most common words
    56.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 21
    Total number of words is 3786
    Total number of unique words is 1319
    33.4 of words are in the 2000 most common words
    46.2 of words are in the 5000 most common words
    52.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 22
    Total number of words is 4161
    Total number of unique words is 1837
    31.4 of words are in the 2000 most common words
    42.9 of words are in the 5000 most common words
    49.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 23
    Total number of words is 4254
    Total number of unique words is 1760
    35.2 of words are in the 2000 most common words
    47.8 of words are in the 5000 most common words
    55.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 24
    Total number of words is 4274
    Total number of unique words is 1689
    36.5 of words are in the 2000 most common words
    48.6 of words are in the 5000 most common words
    55.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Attraverso il Cinquecento - 25
    Total number of words is 3288
    Total number of unique words is 1331
    37.4 of words are in the 2000 most common words
    49.3 of words are in the 5000 most common words
    57.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.