Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 20

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Non tralasciavano ancora i _Frati Minori_ ed i Monaci di S. Benedetto
portar lettere del Papa ed ambasciate a molti Baroni, Prelati e
Comunità delle città e castella, acciocchè si ribellassero dal
lor Signore e passassero dalla banda del Pontefice, pubblicando
falsamente, che Federico era morto e che però in Puglia non sarebbe
più tornato[326]; la qual novella fermamente creduta da molte di quelle
città, da lui si ribellarono, come avrebbono ancor fatto tutte l'altre,
secondo che scrive l'Abate Uspergense con uccidere quanti Oltramontani
vi dimoravano, se non l'avesse trattenuto l'essersi scoverta la frode,
e che Federico era per ritornar presto nel Reame; per la qual cosa
furono dal Duca di Spoleti scacciati dal Regno e da' loro monasteri
tutti i _Frati Minori_ e tutti i Monaci Cassinensi, de' quali parte
andarono via, altri buttando l'abito si nascondevano, vivendo da
secolari.
Intanto aveano il Re Giovanni ed il Cardinal Colonna, dopo vari
conflitti, costretto il Duca di Spoleto ad uscir dalla Marca, e
ricovrare in Apruzzi, dove da coloro seguito, era stato dentro la città
di Sulmona strettamente assediato: della qual cosa fatto consapevole il
Cardinal Pelagio significò al Re Giovanni che prestamente fosse venuto
a congiungersi seco per far con maggior sforzo la guerra in Terra di
Lavoro; il perchè il Re Giovanni, sciolto l'assedio da Sulmona, per
la Valle di Sangro venne nel Contado di Molise, e prese per istrada
Alfidena col suo castello, prese parimente Paterno con altri luoghi,
ed abbrugiò Castel di Sangro; e nello stesso tempo il Conte di Campagna
con buona mano di fanti e cavalli, assoldati novellamente dal Pontefice
per supplimento della guerra del Regno, gitone improviso sopra Sora in
un subito la prese, rimanendo però la Rocca in poter degl'Imperiali:
ed indi partito, colla stessa agevolezza, prese Arpino, Fontana e la
Valle di Sora con tutto il paese de' Marsi; e dall'altra parte il Re
Giovanni col Cardinal Colonna giunto in Terra di Lavoro e valicato il
fiume Volturno, si congiunse con l'esercito del Cardinal Pelagio, che
l'attendea presso Telesa, e così uniti andarono a campeggiare sopra
Cojazza.
Nel medesimo tempo, che Gregorio travagliava il Regno, Federico in
Soria impiegava le sue forze per quella santa impresa; poichè giunto
non molto dopo la sua partenza nel mese di settembre in Accone[327],
indi passato in Cipro, dopo varie imprese, ne andò in Soria, e giunse
coll'esercito de' _Crocesignati_ in Joppe a' 15 novembre del passato
anno, e fortificò quella città, che era disfatta. Dimorò in cotal opera
tutta la quaresima, nella quale corse pericolo d'aver da abbandonar
l'impresa, ed andarsene per terra a Tolemaida, per mancamento di
vettovaglie, essendo dalla tempesta del mare impediti a condurvele i
suoi vascelli, che colà dimoravano; ma tranquillatosi poi ne ebbe in
gran copia. Pure, dopo aver fortificata Joppe, andò in Tolemaida, indi
passò al castel di Cordana, ove dimorando inviò Bagliano Signor di Tiro
ed il Conte di Lucerna per suoi Ambasciadori al Soldano d'Egitto, che
era attendato col suo esercito presso Napoli, avendo seco suo fratello,
a cui gli Ambasciadori, dati preziosi doni da parte dell'Imperadore,
esposero in cotal guisa la loro imbasciata; che Federico il volea per
fratello ed amico, se così di grado gli fosse, e che non era passato
in Soria per torgli niun luogo del suo Stato, ma solo per ricuperare
il Reame di Gerusalemme col Sepolcro di Cristo, il quale era stato già
posseduto da' Cristiani, ed ora per cagione di Jole sua moglie, che
n'era stata legittima Reina, spettava di ragione a Corrado lor comune
figliuolo. Alla quale proposta rispose il Soldano, che considerato il
tutto, avrebbe per suoi messi risposto all'Imperadore; ed onoratigli
con altri convenevoli doni gli accommiatò. In questo punto giunsero
al Patriarca di Gerusalemme le lettere, che Papa Gregorio gli mandava
per due _Frati Minori_, nelle quali gli ordinava, che dichiarasse
scomunicato Federico, e mancator di fede, per non esser passato in
Terra Santa nello stabilito tempo, nè col convenevole apparecchio,
proibendo a' Cavalieri dell'Ospedale e del Tempio, ed a' Teutonici, che
non l'ubbidissero in cosa alcuna.
Il Soldano ancorchè avesse contezza, che l'Imperadore avea mancamento
di vittovaglia, e che per essere in grave discordia col Pontefice, era
stato novellamente dichiarato scomunicato, e che era poco ubbidito da'
_Peregrini_ (così chiamavano que' soldati, che stavan continuamente
militando in Soria) pure temendo grandemente l'armi ed il valor de'
Cristiani, gli inviò suoi Ambasciadori con parole cortesi, e con multi
elefanti, camelli e cavalli arabi, ed altri nobilissimi presenti, senza
però veruna conclusione d'accordo, con dirgli, che gli avesse di nuovo
mandati alcuni suoi Baroni, che non avrebbe mancato di conchiudere
con loro quel, che giusto e convenevol sarebbe; onde l'Imperadore
gli spedì i primi uomini di sua Corte, i quali arrivati che furono
in Napoli, il ritrovaron di colà partito, con ordine, che l'avesser
seguito a Gaza, ma essi non volendo far ciò, se ne tornarono a dietro
all'Imperadore. Or come Cesare conobbe essere stato con astuzia
barbara deluso dal Soldano, che gli dava parole per menar la bisogna
in lungo, convocati in Tolemaida i primi della città, ed i Peregrini
e soldati, disse che voleva assalire il Zaffo per esser più presso a
Gerusalemme, ove potevan anch'essi venire. A tal proposta di Federico
risposero i Maestri dello Spedale e del Tempio in nome di tutti gli
altri, che non ostante, che dal Pontefice romano, al quale dovevano
ubbidire, fosse stato lor proibito il trattar seco, e secondarlo,
pure per l'utile di Terra Santa e del Popolo cristiano, eran pronti
a far con lui quell'impresa; ma volevano, che le grida e gli ordini,
che nel Campo si aveano a fare, si facessero _in nome di Dio, e della
Cristiana Republica_, senza che in essi di Federico sotto alcun titolo
sì facesse menzione; della qual cosa sdegnato Federico, non volle
in guisa alcuna consentirvi, e senza lor compagnia procedette avanti
sino al fiume Monder, che corre tra Cesarea ed Artus; significato ciò
a' Cavalieri dello Spedale ed a' Templarj, ed agli altri Peregrini,
considerando quel che conveniva al pubblico bene, e temendo non
fosse l'Imperadore offeso dal Soldano, che avea ragunato innumerabile
esercito, cominciarono alquanto da lontano a seguirlo, attendandosi
sempre a vista di lui per potere, se il bisogno il richiedesse,
prestamente soccorrerlo; ma l'Imperadore accortosi più chiaramente del
pericolo, che correa per tal divisione, da dura necessità fu costretto
a cedere al lor volere, e si contentò che senz'esser lui nominato, le
grida far si dovessero, _in nome di Dio, e della Repubblica Cristiana_;
onde con lor si congiunse ad un rovinato Castello, mentre cominciavano
a riedificarlo.
Era, quando queste cose successero, nel mezzo del verno, ed ecco che
sopraggiunse a Federico un veloce navilio, con un messo, rapportandogli
la novella che il Reame di Puglia era da' Capitani del Pontefice tutto
sconvolto, e che molte province erano state da coloro occupate, e che
l'altre correan gran pericolo di perdersi.
Questa rea novella fece precipitare le cose di Soria; poichè Federico
prestamente s'indusse a concordarsi col Soldano per tornare al soccorso
de' suoi Stati in Italia; onde a ragione scrisse Riccardo da S.
Germano: _Verisimile enim videtur, quod si tunc Imperator cum gratia,
et pace Romanae Ecclesiae transiisset, longe melius et efficacius
prosperatum fuisset negotium Terrae Sanctae, sed quanta in ipsa sua
peregrinatione adversa pertulerit ab Ecclesia, cum non solum ipsum
Dominus Papa excommunicaverit, verum etiam quod ipsum excommunicatum
scirent et tanquam excomunicatum vitarent eundem Patriarco
Jerosolimitano mandavit_. E l'Abate Uspergense[328] non potè parimente,
considerando questi fatti, non esclamare, e dire: _Quis talia facta
recte considerans non deploret, et detestetur, quae indicium videntur,
et quoddam portentum, et prodigium ruentis Ecclesiae?_
La pace conchiusa col Soldano, ancorchè fatta in tempo, che men si
conveniva per le cagioni già dette, fu nondimeno per quanto si potè,
per Federico vantaggiosa; essendosi accordati i seguenti capitoli.
Si conchiuse fra loro triegua per dieci anni, in virtù della quale il
Soldano restituiva a Federico la città di Gerusalemme con tutti i suoi
tenimenti; e si convenne, che il Sepolcro di Cristo dovesse essere in
custodia de' Saraceni: perchè quelli lungamente aveano usato ivi orare,
ma che ciò non ostante, il Sepolcro fosse esposto a' Cristiani, i quali
similmente potessero con tutta la lor libertà andar ivi per adorarlo;
gli restituì ancora la città di Bettelemme e di Nazzaret; e tutte le
ville, che sono per lo dritto cammino sino a Gerusalemme, e la città di
Sidone e Tiro, ed alcun'altre castella possedute già da' Cavalieri del
Tempio, con condizione, che potesse l'Imperadore fortificare, e munire
Gerusalemme con muri e torri a suo talento; fortificare il castel
di Joppe, e quel di Cesarea, Monteforte, e castel Nuovo. Che fossero
restituite a Federico tutte quelle cose, che erano state in potestà di
Balduino IV, e che gli furono tolte dal Saladino; e che si ponessero
senz'altra taglia in libertà tutti i prigionieri.
(Contro questa pace declamò tanto Gregorio IX che Federico trattasse
meglio i Maomettani, che i Cristiani; e da Lunig[329] si rapporta la
Bolla, che istromentò in quest'anno 1228 in Roma, dove vien imputato
Federico di molti delitti. All'incontro questo medesimo Collettore
rapporta alla _pag_. 879 le risposte, che i Vescovi e Principi di
Germania, e d'Italia fecero alle accuse di Gregorio, confutando una per
una le imputazioni ingiustamente fattegli. Questa pace si appartiene
solamente al Regno di Gerusalemme; poichè Federico nell'anno 1230 ne
conchiuse un'altra col Soldano, che riguarda la libera negoziazione tra
Cristiani e Maomettani in Corsica, Marsilia, Venezia, Genova e Pisa, e
la libera navigazione ne' porti d'Affrica, d'Egitto, ed altre regioni
adiacenti al mare Mediterraneo; l'istromento della quale vien anche
rapportato da _Lunig_[330]).
In cotal maniera fu conchiusa questa pace da Federico, contro il quale
non mancò chi lo dannasse, e biasimasse, perchè avesse lasciato il
sepolcro di Cristo in mano de' Saraceni, per cui era stata impresa
questa guerra: lo biasimarono ancora alcuni altri più moderni Autori
trattandolo da timidissimo e vile, opponendogli, che sofferse dal
Soldano, e da' suoi soldati mille obbrobriosi scherni. Ma la Cronaca
di Riccardo da S. Germano Scrittor contemporaneo a que' successi, ben
convince le costoro bugie e malignità contro quel Principe. Ed i nostri
Italiani, come ancora il Patriarca di Gerusalemme nelle sue lettere,
per esser stati la maggior parte Guelfi suoi nemici e partigiani, ed
aderenti del Pontefice, non meritano in ciò credenza alcuna. In fatti
per quel, che s'attiene al sepolcro di Cristo, Riccardo da S. Germano
attesta la necessità, che ebbe di lasciar la custodia di quello in
mano dei Saraceni, rapportando la cagione di questo articolo: _Quia_,
parlando de' Saraceni,_ diu consueverant orare ibidem, et ut liberum
introitum, et exitum habeant illuc accedentes orationis causa_: ma si
convenne ancora, che a' Cristiani fosse in libertà far il medesimo,
_et Christianis similiter orationis causa sit expositum_; donde si
convince quanto sfacciata sia la menzogna insieme, e l'adulazione
del Bossio[331], che nell'istoria della religione di Malta, dice, che
fu proibito a' Cristiani di potervi entrare. Ed il voler accagionare
Federico di timidezza e viltà, è contro tutta l'istoria; poichè fu egli
un Signor grande e valoroso, e di cuor feroce e magnanimo, come per
tant'imprese, che egli fece, chiaramente si scorge; nè par verisimile,
anzi è impossibil cosa l'aver voluto soffrire dagli effeminati Popoli
d'Egitto, e da' vilissimi Arabi quei dispregi ed oltraggi, che non
sofferì, nè da' Lombardi, nè dai Tedeschi, nè da tante valorose
Nazioni, delle quali ottenne più volte nobilissime vittorie per tutto
il tempo di sua vita.
Federico adunque, dopo la pace fatta, volendo partir di Soria, e
tornare al soccorso de' suoi Stati d'Italia e della Puglia, propose di
voler prima prender la possessione, e la Corona regale dell'acquistato
Regno di Gerusalemme; fece adunque, che Ermanno Saltza significasse
per sue lettere al Patriarca di Gerusalemme, che fosse andato per tal
affare insieme con lui in quella città; ma il Patriarca partigiano del
Pontefice, gli rispose, che ciò non potea farlo, se prima non vedesse
le capitolazioni dell'accordo seguito tra l'Imperadore ed il Soldano.
Il Maestro Ermanno tosto glie le inviò per un Frate di S. Domenico.
Veduto che ebbe l'accordo il Patriarca, negò d'intervenirvi, dicendo,
che non avea sicurezza alcuna di porsi nelle mani di quei barbari,
non facendosi nell'accordo menzione del Clero, nè essendo giurato
dal Soldano in Damasco, a cui quel Regno di ragione appartenea, e
che perciò non era nè sicuro, nè durabile: anzi col pretesto, che
il tempio ed il sepolcro di Cristo fosse rimasto in custodia dei
Saraceni, e per impedire, che Federico in quello si incoronasse, mandò
l'Arcivescovo di Cesarea per suo Legato, e fece dal medesimo di suo
ordine interdire tutta la città santa di Gerusalemme, e spezialmente
sottopose all'interdetto il sepolcro istesso di Cristo, vietando, che
non potessero ivi celebrarsi i divini Uffici.
(È singolare ciò, che Giovanni Vito Durano nella Cronaca al 1243
scrisse parlando della coronazione di Federico in Gerusalemme, dicendo,
che non ostante l'interdetto vi si cantò messa, e che il Soldano, che
stava a lato di Federico gli dimandò, che voleva dire quel pane in
mano del Sacerdote, e ch'egli adorava: udito che l'ebbe, mossesi ad un
sorriso, e con uno scipito motto schernì il Mistero. Seguitando la fede
di Durano rapporta ancora questo fatto il diligentissimo Aulisio[332]).
Onde Federico in cambio in questa impresa di riceverne benedizioni,
ebbe maledizioni, come dice Riccardo: _Primitias recuperationis ipsius,
non benedictione, sed anathemate prosecutus_; ma l'Imperadore poco di
ciò curando entrò a 17 marzo a Gerusalemme, e nel vegnente mattino con
convenevol pompa accompagnato dal Maestro Ermanno, e da tutti i suoi
famigliari ne andò alla chiesa del sepolcro, e dopo aver lungamente
orato, e dato grazie al Signore, scorgendo, che per l'interdetto
niuno ardiva celebrar la messa, nè si poteva far altro ufficio a
ciò bisognevole, non avendovi voluto intervenire nè anche gli stessi
Prelati tedeschi, che egli avea richiesto di ciò, con rispondergli, che
non volean per tal atto essere scomunicati dal Papa: prese egli colle
proprie mani la Corona dell'altare ove ella era, e se ne incoronò;
ed il Gran Maestro dei Teutonici orò lungamente in lode di Federico,
esagerando, che col suo avvedimento e valore quella città, ed il
suo Reame a' Cristiani restituito avea[333]; e coronato che fu, diè
subito provedimenti per fortificar Gerusalemme, e rifar le sue mura,
che da Corradino Soldano di Damasco erano state abbattute e disfatte.
Dopo la qual cosa, camminando velocemente per la novella del Reame di
Puglia invaso dal Papa, passò al Zaffo, e di là a Tolemaida, ove creò
due Capitani della gente, che avea a rimanere in presidio de' luoghi
acquistati; e de' Tedeschi, che aveano a navigar seco in Puglia, creò
Capitano il Maestro de' Teutonici, ed avendo in questo ritorno sofferte
e superate molte ostilità fattegli dal Patriarca di Gerusalemme, e dai
Maestri Ospitalieri e Templari, finalmente con felice viaggio capitò
prima di tutti gli altri, che seco venivano, nel mar di Brindisi.
Giunto appena Federico in Brindisi, inviò suoi Ambasciadori al
Pontefice Gregorio, che furono gli Arcivescovi di Reggio e di Bari,
col Gran Maestro Ermanno, i quali andati prima a Cajazza, ove erano ad
assedio il Cardinal di S. Prassede, ed il Cardinal Albano, ed avute da
amendue lettere per lo Pontefice, a Roma da lui n'andarono; e datogli
conto di quel, che s'era fatto in Palestina, gli chiesero poi in nome
dell'Imperadore, che l'avesse assoluto dalla scomunica, e si fosse
pacificato seco.
Ma Gregorio adirato di quel, che contro l'Imperadore gli avea scritto
il Patriarca di Gerusalemme, dicendo, che l'accordo col Soldano era
fatto in pregiudizio de' Cristiani, non volle far nulla di quanto gli
chiesero gli Ambasciadori; per la qual cosa rimastosi in Roma il Gran
Maestro, ritornarono gli altri due Arcivescovi nel Reame.
Intanto si resero all'Imperadore per opera di Adinolfo, e di Filippo
d'Aquino le castella d'Atino e di Celio; ed essendo Federico col
suo esercito de' _Crocesegnati_ venuto in Terra di Lavoro contro il
Re Giovanni, ed i Cardinali Legati, che stavano coll'esercito de'
_Chiavesegnati_ all'assedio di Cajazza, pose sì fatto timore colla sua
venuta, che sciolto l'assedio, ed abbruciate le macchine, si ritrassero
frettolosamente a Teano, andandone in Roma il Cardinal Colonna a
chieder moneta al Pontefice per pagare i soldati, e l'Imperadore ne
venne a Capua, ove alloggiato il suo esercito, passò a Napoli e chiese,
ed ottenne da' Napoletani soccorso d'armi e di soldati[334].
Racconta ancora Riccardo, che il Cardinal Pelagio non avendo modo
per sostener l'esercito, si prese tutto il tesoro, ed ogni altro
suppellettile d'argento e d'oro, che era in Monte Cassino, per farne
moneta, ed intendendo fare il medesimo nella chiesa di S. Germano,
gli Ecclesiastici di quel luogo si composero in una certa somma di
danari, perchè il Cardinal Pelagio non si pigliasse il tesoro della lor
chiesa: ed intanto l'Imperadore ritornato da Napoli a Capua, n'andò poi
a Calvi, la qual città prese a forza, e molti soldati del Pontefice
che la difendevano, fece crudelmente morire impiccati per la gola, e
quantunque il Re Giovanni cercasse impedirgli il cammino, passò per
Riardo a S. Maria della Ferrata, ove per tre giorni dimorato, ebbe in
sua balia Vairano, Alife, Venafro e tutto lo Stato de' figliuoli di
Pandolfo, per li cui felici progressi sgomentato il Re Giovanni col
Cardinal Pelagio, per la strada di Venafro se n'andò a Mignano, ed indi
con veloce cammino se n'andò a S. Germano; ma sentendo che l'Imperadore
frettolosamente veniva a quella volta, tosto fu disciolto l'esercito
papale, e passò frettolosamente in Campagna di Roma, e tutti gli altri
Prelati partigiani del Pontefice eran passati col Re Giovanni a Roma.
L'Imperadore intanto entrato col suo esercito nelle Terre della
Badia di Monte Cassino, prese, e diede a sacco a' soldati la villa
di Piedemonte, con dar la sua Rocca a' Signori d'Aquino. Tentò poi di
prender Monte Cassino, ma ne fu ributtato da' difensori; e mentre colà
dimorava, per opra di Taddeo di Sessa Giudice della sua Gran Corte, se
gli rese la città di Sessa. Se gli rese ancora Presenzano, la Rocca
d'Evandro, Isernia, Arpino, e Fontana, con tutte l'altre Terre di S.
Benedetto; alla fine se gli rese anche S. Germano colla sua Rocca. E
volendo dar poi sesto agli altri suoi affari d'Italia, e trattare di
concordarsi col Pontefice, fece chiamare tutti i Potestà e Comuni delle
città di Lombardia, significando loro la sua venuta nel Reame, e le
sue vittorie con una sua lettera scritta da San Germano, che si legge
presso Riccardo, nella quale fra l'altre cose si leggono queste parole:
_Nos de ultramarinis partibus prospere per Dei gratiam redeuntes,
de inimicis nostris, qui Regnum nostrum invaserant foeliciter
triumphavimus, dum audientes nos contra eos in manu valida, et potenti
venturos, non expectatis, aut expertis viribus nostris, in Campaniae
finibus, fugae sibi praesidium elegerunt. Sicque Domino cooperante,
et nos comitante justitia, qui de coelo prospexit, quod ipsi de Regno
nostro, nobis absentibus, per anni dimidium occupaverant, nos brevi
dierum spatio recuperavimus, et revocavimus ad demanium, et dominium
nostrum._
Dopo la qual cosa se gli rese la città di Teano, con patto, che
il suo Vescovo potesse a suo talento o partirsi, o colà rimanere.
Inviò altresì ducento soldati ne' Marsi, con Bertoldo fratello del
Duca di Spoleto, ed ottenne agevolmente tutta quella regione; e dopo
essersi trattenuto sette giorni in S. Germano passò ad Aquino, donde
scrisse sue lettere a tutti i Signori e Principi della Cristianità,
per difendersi dalla sinistra opinione, che di lui s'era conceputa e
divulgata intorno all'accordo fatto col Soldano, dando lor conto degli
affari di Terra Santa, con mostrare ch'eran passati altrimenti di
ciò, che figurati gli avea il Patriarca di Gerusalemme al Pontefice,
chiamandone in testimonio i Vescovi di Vintona, e di Lancastro, i
Maestri dello Spedale e de' Teutonici, e di molti altri Cavalieri
degl'istessi Ordini, ed ancora dei Frati Predicatori, che intervennero
in quell'accordo. Nell'istessa città andarono a ritrovarlo alcuni
Ambasciadori romani, per rallegrarsi seco del suo ritorno, da parte del
Senato e del Popolo, e per trattare d'altri loro affari, i quali dopo
tre giorni a Roma di nuovo se ne ritornarono. E fatto in miglior forma
fortificare S. Germano, si partì d'Aquino, ed andò ad assediar Sora, la
quale per essersi voluta difendere prese a forza ed abbruciò con morte
e ruina de' suoi cittadini.
Intanto Ermanno Saltza, ch'era restato in Roma per trattar la pace
col Pontefice, partito di là, insieme con Giovanni Cardinal di Santa
Sabina, e con Tommaso Cardinal di Capua Legati del Pontefice, andarono
tutti e tre a ritrovar l'Imperadore in Aquino, ove era da Sora
ritornato il quarto giorno di novembre, e dopo aver favellato con lui,
la stessa sera passarono a Monte Cassino, e persuasero al Cardinal
Pelagio, che di colà partisse co' soldati, che vi aveva introdotti
senza ricever noja alcuna. Fu ancora conceduto a' Vescovi il ritornar
senza molestia alcuna alle loro sedi. Restituì ancora Federico tutt'i
luoghi tolti all'Abate di Monte Cassino Adenolfo, commettendone però
la cura al Gran Maestro Ermanno, sinchè si fosse compiuto il trattato
della pace col Pontefice; ed Ermanno dovendo ritornare in Perugia,
ove di nuovo andò col Cardinal Pelagio per accordare alcuni capitoli
della pace, vi sostituì un tal Fra Lionardo Cavalier teutonico insino
al suo ritorno. E Federico passato indi a Capua, ove celebrò la festa
del Natal di Cristo, diede libertà a molti cittadini di Sora, che avea
fatti imprigionare dopo la presa di quella città.
Con tai successi compiuto l'anno di Cristo 1229 nel seguente anno 1230
nel mese di gennajo comandò l'Imperadore al suddetto Fra Lionardo
sustituito Governador della Badia, che da quelle Terre raccogliesse
eletti soldati, e gli ponesse in guardia di Monte Cassino, facendogli
dare il giuramento d'averlo a custodire, e difendere con tutt'i beni,
ed i Frati che vi eran dentro, nè consignarlo ad altri, che al Gran
Maestro Ermanno. E poco da poi l'Arcivescovo di Reggio, il Gran Maestro
de' Teutonici, ed il Cardinal Pelagio, dopo esser più volte andati
e tornati da Roma in Puglia per lo trattato della pace, celebrarono
finalmente un'Assemblea in S. Germano, ove parimente convennero il
Patriarca d'Aquileja, i due suddetti Legati, Giovanni Cardinal di
Santa Sabina e Tommaso Cardinal di Capua, e Eberardo Arcivescovo di
Salsburg, Sifrido Vescovo di Ratisbona, Leopoldo Duca d'Austria e di
Stiria, Bernardo Duca di Moravia, con Fra Lionardo Cavalier Teutonico,
nella quale, dopo varj discorsi, diedero cominciamento alla pace, che
poco da poi, come diremo, si conchiuse fra l'Imperadore ed il Papa. Ed
intanto si diedero all'Imperadore alcune città della Puglia, le quali
nei passati tumulti se gli erano ribellate, come Civitate, Larino,
S. Severo, Casal nuovo e Foggia. Nè si dee dar fede all'Autor della
scrittura intitolata _Itinerario dell'Imperador Federico_, perchè è
piena di favole e di sogni, convincendosi di sfacciata menzogna sin
dal suo incominciamento; poichè Federico dimorò in Terra Santa solo
sei mesi, e non tre anni; non assediò Gerusalemme, perchè il Soldano
glie la diede subito; non fu in Sicilia quando tornò d'oltremare, ma
solo a Brindisi, la qual città non fu mestieri soccorrere, perchè non
era altrimenti cinta d'assedio, nè per tal cagione assoldò Saraceni
nell'isola de' Gerbi, mentre potea averne di vantaggio in Sicilia ed in
Puglia.
Intanto mentre l'Imperadore celebra in Foggia la Pasqua del Signore,
Gregorio nel giovedì santo scomunica Rinaldo Duca di Spoleto, ed il suo
fratello Bertoldo, come assalitori della Marca, ed altri luoghi della
Chiesa.
Dopo tutto questo ritornarono di Roma, ove erano andati dopo
l'Assemblea tenuta in S. Germano, tutti quei Prelati e Signori, che
abbiam nominati nel trattato della pace, e con essi i Cardinali Legati,
per assolvere l'Imperadore della scomunica, i quali commisero al
Maestro de' Teutonici, che significasse all'Imperadore, che venisse
a Capua, ove essi perciò l'averiano atteso con tutt'i Prelati, che
per timor di lui s'eran fuggiti dal Reame; ma avendo poscia avuta
contezza, che egli avea fatto abbattere le mura di Foggia, S. Severo e
Casal nuovo, e che partitosi di Puglia veniva a Capua con intenzione,
che tra gli articoli della pace s'accordasse ancora, che Gaeta e S.
Agata ritornassero sotto il suo dominio, e non già rimanessero in
balia della Chiesa, come pretendea il Pontefice: fecero ritornare
tutti i Prelati regnicoli a Cepparano, ed essi se ne girono coll'Abate
Adinolfo a Capua, nella qual città a' 30 maggio arrivò poscia Federico,
con cui abboccatisi i Cardinali, disconvenendo nell'articolo di
Gaeta e S. Agata passarono a Sessa, ed avendo trattato con quelli di
Gaeta, fecero venire da loro Pietro delle Vigne, e Filippo di Citro
Contestabile di Capua; ma non potendo effettuar la pace, per le nuove
cagioni e difficoltà, che ogni giorno sopravvenivano, fu mestiere,
che l'Arcivescovo di Reggio ed il Maestro de' Teutonici più volte
andassero, e ritornassero da Roma a Cesare; onde alla fine, per l'opera
d'un tal Fra Gualdo dell'Ordine dei Predicatori, essendo il Pontefice
venuto al monastero di Grotta-Ferrata, e l'Imperadore a S. Germano,
per esser più da presso, si conchiuse con comune letizia la pace, e se
ne fecero dimostrazioni d'allegrezza in S. Germano, e ne' circonvicini
luoghi, e per darvi compimento, vennero il nono giorno di luglio i
Cardinali Legati nella maggior chiesa di S. Germano, ove parimente
convennero il Patriarca d'Aquileja, l'Arcivescovo di Salisburg,
il Vescovo di Ratisbona e quel di Reggio, i Duchi di Carintia e di
Moravia, Principi dell'Alemagna; e del nostro Reame v'intervennero
gli Arcivescovi di Palermo, quel di Reggio di Calabria, e quel di
Bari, l'Abate di Monte Cassino, ed altri molti Prelati, ch'eran via
fuggiti in Roma, Rinaldo Duca di Spoleto, Tommaso d'Aquino Conte della
Corra, Errico di Morra Gran Giustiziero con altri Baroni e Ministri
imperiali in gran numero, in presenza de' quali promise l'Imperadore
di soddisfare alla Santa Romana Chiesa in tutte quelle cagioni per le
quali era stato scomunicato, facendolo così giurare da Tommaso Conte
della Cerra, e da tutti quei Prelati e Signori Alemani, i quali fecero
la scrittura colle Capitolazioni dell'accordo, che vien inserita da
Riccardo nella sua Cronaca, la qual contiene i seguenti Capitoli.
I. Che per quel che s'attiene alle città di Gaeta e S. Agata fra
un anno s'abbia da trovar modo da comuni arbitri eliggendi, di dar
compimento a questo articolo; e di trattar la forma, affinchè facciano
ritorno all'ubbidienza dell'Imperadore Gaeta e S. Agata e tutti
i Regnicoli, co' loro beni nel Regno; ed intanto l'Imperadore non
offenderà le città predette, nè gli uomini di quelle; nè permetterà
farle offendere dai suoi.
II. Che l'Imperadore rimetterà ogn'offesa a' Teutonici, Lombardi,
a coloro della Toscana, e generalmente a tutti gli uomini de' Regni
di Sicilia, ed ai Franzesi, i quali hanno aderito alla Chiesa romana
contro di lui, nè permetterà che siano per detta cagione offesi da'
suoi.
III. Il suddetto Imperadore rimetterà tutte le sentenze, costituzioni
e bandi contro di loro promulgati coll'occasione della suddetta guerra.
IV. Promette ancora, che le terre della Chiesa nel Ducato di Spoleto
e nella Marca, ed in altri luoghi del patrimonio della medesima, non
saranno invase, nè devastate per se, o per altri.
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