Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 14

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lettera Anselmo Arcivescovo di Napoli, che dimorava come abbiam
detto nell'esercito; e volendo i famigliari del palagio reale, la cui
dignità era in fatti l'esser Governadori del Regno e della persona
del Re, rimunerare il valor di Giacomo Maresciallo, gli concedettero
in nome di Federico il Contado d'Andria, il qual poi fu lungamente da
lui posseduto: così costoro come Governadori del Reame credeano esser
della loro autorità il poter investire, siccome dall'altra parte non
trascurò far Innocenzio, del quale come Balio si leggono ancora alcune
investiture, come del Contado di Sora in persona di suo fratello e di
alcun'altre, delle quali non ci mancherà occasione di favellare in più
opportuno luogo.
Ma i soldati papali cominciavano tra per lo calore della state, e per
gli disagi della guerra ad infermare e morire in gran numero, onde
convenne al Conte Giacomo di colà partirsi e ritornare in Puglia.
Dopo la qual cosa essendo morto l'Arcivescovo di Palermo, Gualtieri
della Pagliara Cancellier di Sicilia e Vescovo di Troja si adoperò di
maniera, che si fece da' Canonici di quella città crear Arcivescovo
(non facendosi a questi tempi difficoltà d'unire due Cattedre in una
medesima persona) ed ammettere dal Cardinal Legato con tale elezione,
prendendone l'insegne ed il possesso prima di riceverne il pallio e
la confermazion del Pontefice; dal quale fu per tal atto acerbamente
ripreso il Legato[207], onde sdegnato perciò maggiormente Gualtieri
scrisse, e parlò più liberamente contro di lui nell'affare di Gualtieri
Conte di Brenna, secondo che appresso diremo.
Avea in questo mentre, essendo già entrato il nuovo anno di Cristo
1200, Diopoldo commesse infinite malvagità nel Reame; perciocchè
quantunque collegatosi con l'Abate Roffredo gli avesse promesso in
Venafro con giuramento sopra i Santi Vangeli di non molestar niuno
degli abitatori delle terre della Badia: nondimeno una notte assalì
improviso que' di S. Germano, e presa la Terra senz'alcun contrasto, la
pose a sacco ed a ruina, e l'Abate Roffredo e Gregorio suo fratello,
che colà dimoravano fuggirono in Atino, donde passati poscia nel
Contado de' Marsi chiesero soccorso a Pietro Conte di Celano, che
loro il negò; ma Sinibaldo e Rinaldo ch'eran del medesimo legnaggio
de' Conti de' Marsi, che ora si dice di Sangro, loro inviarono tutto
il vasellamento d'argento e danaro, che in pronto aveano; co' quali
assoldò l'Abate alcuni soldati, e se n'entrò chetamente con essi di
notte tempo in Monte Cassino. Del cui arrivo avuta contezza Diopoldo,
temendo non avesse condotto maggior numero di persone, prestamente
si partì via, lasciando affatto voto di Popolo S. Germano, nella
qual città rientrato l'Abate, la fornì di nuove mura e di torri. E
Diopoldo, non guari da poi che partì venne a battaglia presso Venafro
col Conte di Celano, e 'l ruppe e fugò, facendo prigioniero Berardo
suo figliuolo, che con gli altri prigionieri di S. Germano nella Rocca
d'Arce rinchiuse.
Venuto poscia l'anno di Cristo 1201 Gualtieri Conte di Brenna, che
era ito in Francia a raccor soldati, ritornò in Roma, conducendone
seco picciol numero, ma di provato valore; co' quali volendo entrar
nel Reame, fu da molti giudicato matto e arrogante, perchè con sì
picciola compagnia volesse porsi a così grande impresa. Ed il Conte
Diopoldo avuta contezza del suo venire, convocò numeroso esercito
di Tedeschi e di altri suoi partigiani per farsegli all'incontro,
e scacciarlo dal Regno. Il Pontefice temendo non mal capitasse
Gualtieri, con accrescersi ardimento a' Tedeschi, diede al medesimo
cinquecento oncie d'oro, perchè potesse ragunar più soldati[208], e
parimente scrisse molte sue lettere dirette a' Conti, Baroni e Popoli
del Reame, acciocchè il ricevessero nelle lor città e castella, e
'l favoreggiassero contro Diopoldo. Con tali aiuti il Conte menando
seco Albinia sua moglie entrò valorosamente in Terra di Lavoro, e
congiuntosi con l'Abate Roffredo, che con buon numero di gente venne
in suo aiuto, assediò Teano, e prestamente il prese; ed indi per lo
favor di Riccardo Arcivescovo di Capua, ch'era figliuol di Pietro
Conte di Celano, ebbe anche il castello della città di Capua; presso
del qual dimorando, gli venne all'incontro Diopoldo con numeroso
esercito, e venuti a battaglia, divisando Diopoldo di porlo subito
in rotta per esser assai più potente di lui, gli avvenne tutto il
contrario; perciocchè combattendo Gualtieri ed i suoi soldati con
insolita fortezza, urtarono sì fattamente ne' Tedeschi, che con farne
grandissima strage gli posero in rotta ed in fuga, e saccheggiarono
dopo la vittoria le lor ricche tende, insieme co' Capuani, che uscirono
anch'essi a partecipar della preda. Unitosi poscia con Gualtieri il
Conte di Celano, girono con l'Abate e con l'Arcivescovo Riccardo ad
assediar Venafro, che subito presero ed abbruciarono; e fatti altri
maggiori progressi, si vide Gualtieri in brevissimo tempo aver presa
la maggior parte de' luoghi del Contado di Molise, e l'Abate Roffredo
ricuperò anch'egli dalle mani di Diopoldo, Pontecorvo, Castelnuovo e
Frattura, luoghi della sua Badia.
Intimoriti perciò i Tedeschi, si racchiusero nella lor Fortezza; onde
entrato il nuovo anno 1202 girono il Conte Gualtieri, il Conte di
Celano e l'Abate Roffredo, che insieme col Cardinal Galloccia facea
l'uffizio di Legato in Puglia, a conquistar il Principato di Taranto e
'l Contado di Lecce; i quali Stati insieme con Brindisi ed altri luoghi
di quel Principato tosto loro si resero, e lo stesso fecero di là a
poco Lecce col suo castello, Melfi e Montepiloso: assediando Monopoli
e Taranto, che non s'eran voluti rendere.
Ma questi progressi del Conte di Brenna, che faceva in Puglia, non
eran ben appresi da' Siciliani, e particolarmente da Gualtieri della
Pagliara Arcivescovo di Palermo, il quale s'avea usurpata tutta
l'autorità del Governo in quell'isola, e facendosi partigiani gli
altri familiari del Re, dava a' medesimi a suo piacere i Contadi, le
Baronie, i Governi delle città e delle province, e gli altri Magistrati
e dignità per afforzar meglio il suo partito. Disponeva altresì come
meglio a lui parea de' tesori e delle rendite reali, non ostante
l'ordine del Pontefice, che non voleva, che si facesse cosa veruna
senza il voler di tutti, con riservare anche in alcuni più importanti
affari il suo consentimento; e per poter egli più agevolmente recare
ogni suo intendimento a effetto, fece venire in Sicilia suo fratello
Gentile della Pagliara Conte di Manopello, alla grandezza del quale
continuamente badava, avendo in pensiero, secondo che scrive la Cronaca
di Fois, di farlo, tolto dal Mondo il fanciullo Federico, crear Re
di Sicilia, e lo stesso, scrive, che rimproverò Marcovaldo, quando
divenuti fra di loro aspri nemici s'infamarono l'un l'altro di cotal
malvagità.
Fu Gentile tosto creato famigliar regio, il quale cominciò a trattar di
concordia con Marcovaldo, ancorchè scomunicato, e nemico del Pontefice,
come in effetto si fece, costituendolo sopra tutti i famigliari, e
dividendosi i Governi del Reame, acciocchè l'uno regnasse in Sicilia e
l'altro in Puglia. Strinsero l'amicizia col parentado, dando Marcovaldo
al figliuolo del Conte Gentile una sua nipote; ed ordinò Gualtieri a
tutti i Popoli soggetti in nome del Re fanciullo, che ciò ch'esso avea
stabilito dovessero compiutamente ubbidire; ed egli lasciata sotto la
cura di suo fratello in Palermo la persona di Federico, e 'l palagio
reale, se ne passò in Calabria ed in Puglia, ove con incredibile
rapacità tolse tutti i sacri vasi ed i preziosi arredi delle chiese, e
taglieggiò i particolari uomini, ed i Comuni delle città e castella,
logorando poi inutilmente la rapita moneta, come colui che di pari
avido in raccorla, era prodigo in donarla e buttar via. Declamava
ancora contro il Pontefice, che diceva, di Balio esser divenuto crudel
nemico del Re e del Regno, per aver dato aiuto al Conte Gualtieri,
che ostilmente travagliava la Puglia per torla al Re fanciullo, e che
in vece di fargli ostacolo gli avea somministrata gente e denaro. E
proccurando con tutti i suoi sforzi far lega e compagnia con diversi
Baroni del Reame, s'accingeva di mover guerra a Gualtieri ed al
Pontefice, per discacciar l'uno dalla Puglia, e l'altro perchè non
avesse parte alcuna nel Governo di questi Reami.
Il Pontefice Innocenzio, a cui erano state significate le opere di
costui, non tralasciò tosto provedervi di rimedio, poichè fattolo
ammonire più volte, che si astenesse da tali imprese, nè volendolo
ubbidire, finalmente lo scomunicò, privandolo dell'Arcivescovado
di Palermo, del Vescovado di Troja e dell'Ufficio di Cancellier di
Sicilia, e creò altri Prelati in suo luogo nelle Chiese, che tolte gli
avea, ordinando a tutti i Siciliani e Regnicoli, che non ubbidissero
sotto pena di scomunica in niuna guisa i suoi ordini. Percossero
questi fulmini in maniera l'Arcivescovo, che perdendo in un subito
ogni autorità presso i suoi sudditi, i quali, e perchè comunalmente
l'odiavano, e per le censure lanciate non volendo più ubbidirlo, ne
divenne in breve la favola di tutti. Il perchè vedendo ciò gli altri
famigliari, ch'eran suoi partigiani, cominciarono a temere grandemente
di lor medesimi: onde scrissero umilmente in nome del Re al Pontefice,
pregandolo per Gualtieri, ed escusandosi essi; a cui Innocenzio rispose
con quella lettera, che tolta, dalla Cronaca di sopra allegata, si
legge nel registro delle sue epistole[209], la quale merita, che altri
la leggano per favellar particolarmente dell'entrata nel Regno del
Conte Gualtieri, la quale è stata assai confusamente scritta da coloro,
che han trattato delle nostre memorie.
Intimidito per tanto Gualtieri, cercò di concordarsi col Pontefice,
e venendo in Puglia a' piedi del Cardinal Legato giurò d'ubbidirgli
in tutto quello, che gli avesse comandato; ma come il Legato gli
ordinò, che non si fosse opposto al Conte di Brenna nell'acquisto del
Principato di Taranto, e del Contado di Lecce, arditamente gli rispose,
che se Pietro Appostolo inviato da Cristo fosse venuto a comandargli
tal cosa, non gli avrebbe nè anche ubbidito ancorchè fosse stato certo
d'avere ad esserne condannato alle pene infernali; e bestemmiando e
maledicendo il Pontefice in presenza del Legato, tutto sdegnato da lui
si partì, e se ne andò a congiungersi col Conte Diopoldo[210].
Era Diopoldo in questo mentre passato in Puglia insieme col Conte
di Manieri suo fratello, e col Conte di Laviano, ed avea ragunato
grosso esercito per discacciar il Conte Gualtieri da' luoghi, che vi
avea occupati, animando tutti gli altri Baroni a quest'impresa contro
Gualtieri, che come nemico del Re, veniva, com'ei diceva, per torgli
il Regno. Ma venuto di nuovo con lui a battaglia nel sesto giorno
d'ottobre nel famoso luogo di Canne, ove Annibale cartaginese diede la
memorabil rotta a Flaminio e M. Varrone Consoli romani, con tutto che
il Conte per essere stato colto improviso avesse assai minor numero di
soldati, che Diopoldo, ciò non ostante, si portò co' suoi soldati sì
valorosamente, che gli pose in rotta, con ucciderne, e far prigionieri
la maggior parte, fra' quali furono Sigisfredo fratello del Conte
Diopoldo, ed il Conte Ottone di Laviano, salvandosi a gran fatica
Riccardo col Conte di Manieri nella città di Salpe, e Diopoldo nella
Rocca di S. Agata[211].
Intanto il Conte Gentile, che dicemmo esser rimaso in Palermo alla cura
di Federico, corrotto da molta moneta pose in poter di Marcovaldo non
sol la città di Palermo, ma tutta l'isola di Sicilia, fuor che Messina;
il quale avrebbe agevolmente fatto morire il Re, ed usurpatane la
regal Corona, se non avesse temuto del Conte di Brenna, il quale per
ragion di sua moglie, se moriva quel fanciullo, avrebbe preteso, che
a lui per ragione perveniva il Reame. Soprastette adunque a ciò fare,
attendendo tempo più opportuno per porre il suo cattivo intendimento ad
effetto; procacciando intanto per mezzo di molta moneta, non ostante
la repulsa, che un'altra volta ne avea avuta, di distorre Innocenzio
dal favoreggiar Federico, e di far ritornar in Francia senza tentar
altro il Conte Gualtieri. Ma ecco, che furono dissipati i suoi disegni
da colei, che tutte l'umane speranze confonde ed abbatte; perciocchè
non guari da poi, patendo egli di difficoltà d'orinare, cagionatagli da
una pietra, che se gli era generata nelle reni, gli sopraggiunsero così
acerbi dolori, che non potendogli soffrire si fece tagliar da basso per
cavarnela, secondo che comunalmente si usa, ma non riuscito il taglio
si morì subito scomunicato verso la fine di quest'anno 1202, terminando
con la vita la sua vasta ambizione ed avidità di regnare. L'Autor
delle gesta d'Innocenzio, lo fa pure morir di taglio; ma Riccardo di S.
Germano[212] lo fa morire di dissenteria.
In Puglia il Conte Diopoldo non si rimanendo di usare le solite
malvagità, venuto l'anno di Cristo 1203 fu per opra de' partigiani del
Conte Gualtieri posto in prigione dallo stesso Castellano della Rocca
di S. Agata, in cui s'era salvato; nulladimeno poco giovò a Gualtieri
tal prigionia, poichè il Castellano medesimo, poco stante, corrotto da
lui con premj e promesse il ripose di nuovo in libertà.
Intanto in Sicilia la morte di Marcovaldo cagionò nuove rivolture;
poichè Guglielmo Capparone, anche egli Capitano tedesco, saputa la di
lui morte, incontinente andò a Palermo, ed occupò il palagio reale
colla persona del Re, e cominciò a intitolarsi _Custode del Re, e
Governadore di Sicilia_: la qual cosa dispiacendo a' seguaci del morto
Marcovaldo, negarono di ubbidirgli, e formarono un altro partito, con
grave danno degli affari dell'isola.
Gualtieri della Pagliara, giudicando esser questo il tempo opportuno di
rimettersi in istato, scrisse al Pontefice con chiedergli l'assoluzione
della scomunica, perch'egli l'avrebbe ubbidito in tutto quel che gli
avesse comandato, e che in queste rivolture avrebbe impiegato tutti
i suoi talenti per servigio della S. Sede: Innocenzio non differì di
accordargliela, onde passato in Sicilia, e ripreso l'Ufficio di Gran
Cancelliero, che niuno gliel vietò, scrisse sue lettere ad Innocenzio,
nelle quali mostrando di procacciar solo l'utile di Federico, chiedea
che inviasse colà per lo ben di quel fanciullo un Cardinal Legato,
che ponesse fine all'autorità di tanti Tiranni, e governasse egli
solo il tutto[213]. Alla qual cosa acconsentendo il Pontefice vi
inviò prestamente Gerardo Allucingolo da Lucca Cardinal di S. Adriano
uomo di gran stima, e nipote del Pontefice, in mano di cui avendo
giurato in Messina Guglielmo Capparone di riconoscer per Balio del
Reame Innocenzio, e lui per suo Legato, e che l'avrebbe ubbidito in
ciò che gli comandasse, fu assoluto dalla scomunica, nella quale come
partigiano di Marcovaldo era insieme con lui incorso.
Andò poi il Legato a Palermo, ove poco prima era andato anche
Guglielmo, e cominciando a trattare insieme i negozj del Regno, vennero
tosto in aperte discordie, perchè Guglielmo deludendo il Legato, non
faceva nulla di quanto questi gli dicea, onde il Legato stimando,
che non era convenevole star in Palermo sprezzato in cotal guisa,
significato il tutto al Pontefice, se ne ritornò a Messina.
Era in questo mentre il Cancellier Gualtieri andato in Puglia,
e mandate sue lettere e messi al Pontefice con mezzi di persone
potenti e grandi che vi adoperò, tentò ogni possibil modo di esser
restituito all'Arcivescovado di Palermo, o almeno al Vescovado di
Troja; ma Innocenzio fu sempre a ciò costante di non voler togliere
l'Arcivescovado di Palermo a Parisio Vescovo di Messapa, nè quel di
Troja ad un altro Prelato, a cui dati gli avea.
Dall'altra parte in Puglia Diopoldo teneva in terror quelle province,
onde il Papa inviò in ajuto al Conte Gualtieri Giacomo Conte d'Andria
suo Maresciallo, che lo creò ancora Maestro Giustiziero di Puglia, e
di Terra di Lavoro; e nell'anno seguente 1204 collegatisi insieme i
Conti Gualtieri di Brenna, il Conte Giacomo S. Severino di Tricarico,
ed il Conte Ruggiero di Chieti, dopo altre minori imprese, posero
l'assedio a Terracina di Salerno, del qual luogo a' nostri tempi non
appare vestigio alcuno, e prestamente la presero[214]; ma sopraggiunto
immantenente Diopoldo, con l'ajuto de' Salernitani suoi partigiani,
e coll'esercito che seco menò, vi assediò dentro il Conte Gualtieri,
e sì fattamente con varj assalti il travagliò, che restò ferito
Gualtieri con un colpo di saetta in un occhio, in guisa tale che ne
perdette la vista di esso: ma venuti in suo soccorso i sopraddetti
Conti di Tricarico, e di Chieti, fu Diopoldo vergognosamente scacciato
dall'assedio, e da tutto il territorio di Salerno, restando egli
assediato in Sarno dal Conte Gualtieri.
Ma mentre essendo già entrato il nuovo anno 1205 il Conte di Brenna
mal si guardava da' pericoli della guerra, esponendo men cautamente
la sua persona, ed il suo esercito, avvenne che avvertito Diopoldo di
tal trascuraggine e baldanza, uscì di buon mattino improvviso con suoi
soldati sopra l'esercito nemico, nè trovando in esso quella vigilanza,
che conveniva, l'assalì e ruppe in un subito[215], con ucciderne grosso
numero, e fatto prigione il Conte in più parti ferito da lance e da
saette, mentre ignudo con la spada in mano valorosamente si difendeva,
il condusse dentro di Sarno, ove non guari da poi per le ricevute
ferite, di questa vita trapassò; come narrano Riccardo da S. Germano,
e l'Autore della Cronica di Fois, amendue Autori di que' tempi[216].
L'infelice Albinia vedutasi, morto suo marito, sola e rimasa di lui
gravida, si maritò prestamente col soprannomato Giacomo Sanseverino
Conte di Tricarico, il quale soprastette a congiungersi con lei sin
che partorì un figliuolo maschio, che in memoria del padre fu nomato
parimente Gualtieri, e fu poscia Conte di Lecce; dalla cui progenie
derivò la Regina Maria d'Engenio, e Brenna moglie del Re Ladislao II
che appresso diremo.
La morte di Gualtieri Conte di Brenna sollevò in maniera il partito di
Diopoldo, e de' suoi Capitani tedeschi, e pose in tanta costernazione
il Conte Pietro di Celano, ed i suoi partigiani, che finalmente fu
duopo ad Innocenzio istesso di pacificarsi con Diopoldo, e co' suoi
partigiani tedeschi, e commetter ad essi la custodia del Regno; per la
qual cosa nel seguente anno 1206 ricevette in sua grazia Diopoldo co'
suoi, ed avendolo fatto giurare in mano d'un Fra Rinieri (secondo che
scrive l'Autor della Cronaca di Fois) e di Maestro Filippo Protonotario
Appostolico, che convennero per tal affare in Terra di Lavoro, di
ubbidir liberamente il Pontefice e i suoi Legati, come a Balio del
Regno, fu dalle censure assoluto; e nella stessa maniera giurando
Marcovaldo di Laviano e Corrado di Marlei Signori di Sorella con tutti
i lor partigiani e vassalli, furono parimente questi ricevuti in grazia
del Pontefice, siccome tutti i tedeschi, che dimoravano in Puglia ed
in Sicilia. Andò poi Diopoldo in Roma a piè del Pontefice, e fu da
lui onorevolmente accolto, e ragionato insieme degli affari del Regno,
ritornò con sua licenza a Salerno, ed indi sopra alcuni vascelli, per
ciò apprestati, navigò a Palermo[217].
Giunto Diopoldo a Palermo, narra Riccardo da S. Germano, fece sì, che
si pose in mano la persona del Re, e la guardia del suo palagio reale:
ma ciò non potendo tollerare Gualtieri della Pagliara G. Cancelliero,
in un convito, che di notte tempo fece apparecchiare a questo fine, lo
fece dalle sue genti imprigionare con un suo figliuolo: ma perchè nol
guardavano com'era mestiere, di là a poco, dalla notte favorito, fuggì
via, ed imbarcatosi in un vascello ritornò di nuovo in questo seguente
anno 1207 in Salerno, e di là passò in Terra di Lavoro, ove combattendo
co' Napoletani, fece di essi strage sanguinosissima[218].

§. I. _Cuma distrutta, e la sua Chiesa unita a quella di Napoli._
Ma qui non bisogna tralasciare ciò che un antico Scrittor napoletano,
e l'Autor dell'Ufficio di S. Giuliana, che scritto da antichissimi
tempi in pergameno si conserva nel monastero di Donnaromita,
narrano in quest'anno della destruzione di Cuma, e di alcuni
combattimenti ch'ebbero i Napoletani co' Tedeschi, ed Aversani con
successi particolari, taciuti all'intutto da gravissimi Scrittori, e
contemporanei a' fatti che si narrano.
Essi raccontano[219], che in questi tempi essendo la città di Cuma
quasi che disfatta, e perduto per la malvagità degli abitatori il
nome di città, divenne ricetto di ladroni e di corsari, che per mare,
e per terra infestavano i viandanti e le vicine regioni, oltre alle
continue scorrerie de' Tedeschi, i quali sovente nella Rocca di quella
città ricovrando, tutta Terra di Lavoro, e particolarmente i tenimenti
di Napoli, e di Aversa in varie guise aspramente travagliavano: il
perchè per ovviare a questi mali, convenuti a parlamento i Cavalieri e
popolani di Napoli, conchiusero concordemente, che si dovessero porre
diverse squadre di soldati in guardia de' passi, donde per lo più
solevano i ladroni tedeschi venire: la qual deliberazione risaputasi
da' circonvicini Conti e Baroni, furon da questi i Napoletani
grandemente incorati a sì lodevole opera con offerta d'aiutargli con
le loro persone e con ogni lor avere. Posto adunque sì buon pensiero
ad effetto e distribuite in più luoghi le guardie, stavano attendendo,
che i nemici venissero per assalirgli. Or mentre in tale stato eran
le cose, Goffredo di Montefuscolo Capitano di sommo valore, ed aspro
nemico de' Tedeschi, essendo già il mese di marzo ne andò una sera
con alcuni suoi famigliari a Cuma, ove fu dal Vescovo d'Aversa, che
allora nel castello albergava, cortesemente accolto. Pose la venuta di
Goffredo così di notte tempo in gran sospetto gli Aversani, temendo non
gli volesse il Vescovo tradire, ed avesse ricevuto colà entro Goffredo
per farlo fortificare a lor danni, com'era altre volte avvenuto. Pure
perchè di ciò non poteano aver alcuna certezza, inviarono a Cuma alcuni
lor cittadini ad informarsene, e con ogni diligenza, e secretezza a
porsi in guardia del castello, acciocchè Goffredo occupar nol potesse.
Goffredo intanto veggendo la loro venuta cadde nella stessa sospizione,
nella quale erano in prima gli Aversani caduti, dubitando non il
Vescovo gli avesse chiamati per farlo prigione; il perchè prendendo
anch'esso a guardarsi di loro, si fortificò insieme co' suoi compagni
in un particolar casamento. Or mentre gli uni dagli altri, e temevano e
si guardavano, sospettando Goffredo non per lo picciol numero de' suoi
fosse alla fine sopraffatto dagli Aversani, inviò prestamente in Napoli
a chieder soccorso, ed a pregar i Napoletani, che non indugiassero
a liberarlo dal pericolo, ed a far del castello quel che fosse lor
paruto il meglio. A tal novella messosi a cavallo il Conte Pietro di
Lettere, parente di Goffredo, velocemente a Giuliano se ne andò, e
tolti seco molti soldati, che ivi eran posti in guardia de' Napoletani
contro i Tedeschi, senz'alcuno indugio a Cuma se ne passò; della cui
venuta lieto Goffredo gli uscì all'incontro e gli fece giurare, che se
il castello si prendesse, avrebbero consignati a lui e mobili e gli
uomini, che vi eran dentro; e così convenuti entrarono insieme nella
città. Poco stante sopravvennero per l'ambasciata di Goffredo buon
numero di Cavalieri e popolari napoletani, ond'egli veggendosi fuor
di pericolo, tenuto consiglio con essi Napoletani e col Conte Pietro,
fece conchiudere, che prima di partirsi di là avessero in ogni modo
il castello nelle mani, e che la città da' fondamenti disfacessero,
perchè così si sarebbero per sempre liberati da ogni timore d'essere
infestati da' ladroni e da' Tedeschi. Richiesero perciò agli Aversani,
ed al lor Vescovo, che fuori ne uscissero; ma gli Aversani ricusando
d'uscirne; e fattesi sopra ciò molte parole, veggendo i Napoletani
e Goffredo, che non era più da indugiare, accostatisi per mare e per
terra, cominciarono a combattere valorosamente le mura, e poco dopo
il castello, ed accesovi il fuoco, a gran fatica il Vescovo, e gli
Aversani, che vi eran dentro, fuggendo camparono; ed i Napoletani
fatta distrugger la città, ed abbatter la Rocca lietamente, e con gran
trionfo a Napoli se ne ritornarono; onde Cuma essendo stata interamente
distrutta, la sua Chiesa, ch'era prima suffraganea a quella di Napoli,
riunì alla medesima con tutte le sue ragioni e beni[220].
Allora fu, come narra il soprannominato Autor dello ufficio di S.
Giuliana, che Anselmo Arcivescovo di Napoli, e Lione Vescovo di Cuma,
deliberarono, che si trasferissero dalla maggior chiesa della città
disfatta i Corpi de' SS. Martiri Massimo, a cui era dedicata la chiesa,
e di S. Giuliana, e d'un fanciullo di tre mesi, che si diceva Massimo
aver fatto miracolosamente parlare alla presenza di Fabiano Prefetto;
acciocchè da altre genti straniere rubati non fossero: spinti ancora
da Brienna allora Badessa del monastero di Donnaromita, la quale con
tutte le sue Suore ardentissimamente bramava il Corpo di S. Giuliana;
il perchè andato a Cuma il detto Lione, Pietro Frezzarnolo Subdiacono
del Duomo di Napoli, e gli Abati di S. Pietro ad Ara, e di S. Maria
a Cappella, e buon numero di Cavalieri e popolani napoletani, aperte
le casse dove le reliquie erano riposte, indi le tolsero, e con gran
riverenza ed onore, via seco le portarono alla chiesa di S. Maria
a piè di Grotta. Trovarono ivi la Badessa, e molte altre Monache
del suddetto monastero di Donnaromita, e con esse buon numero di
nobili madrone e donzelle, che l'attendevano, e con grand'allegrezza
ricevettero. Dimorate poi là insino il seguente mattino, ritornò il
nominato Vescovo Lione con molti Cavalieri del Seggio di Nido, nel
cui quartiero è il suddetto monastero, ed altra innumerabil turba di
Cavalieri e popolari napoletani con rami d'ulivi in mano, e tolte le
reliquie cantando inni e salmi le portarono ad una chiesa che era sopra
l'isola di S. Salvatore, ov'è al presente il Castel dell'Uovo. Giunse
co' Canonici e con tutto il Clero l'Arcivescovo Anselmo, e nella città
processionalmente entrati collocarono in Donnaromita il corpo di S.
Giuliana, ed il suo quadro, che di Cuma recato aveano, e le reliquie
di S. Massimo e del fanciullo nel Duomo, ove ora ancor si adorano,
riposero.
Ecco ciò che scrivono questi Autori; all'incontro non mi par di tacere
per la fede dovuta all'istoria, ciò che ritrovo scritto da gravi e
veritieri Scrittori. Raccontano adunque Riccardo da S. Germano, e
l'Autore della Cronaca, che si conserva in Monte Cassino, che il Conte
Diopoldo in quest'istesso anno 1207 che si narrano questi successi,
da Salerno venuto in Terra di Lavoro a battaglia co' Napoletani,
diede loro una notabil rotta, con farne crudelissima strage[221];
aggiungendovi ancora Riccardo, che sostenne, e menò seco prigioniero
nelle sue castella esso Goffredo di Montefuscolo, senza far menzione
alcuna della distruzion di Cuma. Puossi nondimeno per concordar queste
relazioni dire e credere, che dopo la distruzion di Cuma, la quale
avvenne nel mese di marzo, irato Diopoldo, o per tal cagione, o perchè
fossero stati i suoi Tedeschi malmenati da' Napoletani, che s'eran
posti in guardia contro di loro, ne gisse sopra Napoli, e che uscitigli
all'incontro i Napoletani con Goffredo di Montefuscolo fosser stati
in battaglia rotti, ed uccisi con rimaner prigione Goffredo secondo
che quegli Autori scrivono; ma come ciò avvenuto fosse il rimetto al
giudicio di chi legge.


CAPITOLO II.
_Papa INNOCENZIO naviga in Sicilia: conchiude le nozze di FEDERICO
con COSTANZA figliuola d'ALFONSO II Re d'Aragona; e difende il Regno
dall'invasione d'OTTONE IV Imperadore._

Intanto in Palermo il Cancellier Gualtieri avea eccitati torbidi
gravissimi nel palagio reale, poichè trattando con ogni suo studio,
che Guglielmo Capparone gli dasse in balia il palagio e la persona
del Re, e non potendo ciò ottenere, pose tutto in rivolta; onde
essendo i maggiori Ministri del Regno fra lor divisi con grosso numero
di partigiani, porsero occasione ai Saracini dell'isola, che senza
niun timore di gastigo prendessero l'armi, e non solo si togliessero
dall'obbedienza del Re, ma anche danneggiassero malamente i Cristiani,
con prendere a forza il castel di Coriglione, e minacciare di far altri
danni più gravi.
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