Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 06

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stato in prima Priore. Questo luogo, per cagion del famoso tempio quivi
edificato, concorrendovi ad abitare molta gente, divenne in breve una
famosa e ricca città, ed ora il suo Prelato per le numerose rendite,
ch'egli tiene, è un de' maggiori e più stimati della Sicilia.


CAPITOLO I.
_Nozze del Re GUGLIELMO II con GIOVANNA figliuola d'ERRICO II Re
d'Inghilterra. Sconfitta data dai Milanesi all'esercito dell'Imperador
FEDERICO; e pace indi conchiusa dal medesimo con Papa ALESSANDRO III._

Intanto l'Imperador Federico di Svevia era calato di nuovo in Italia
con grande e poderoso esercito, ed avea cominciata crudel guerra in
Lombardia; e mentre quella con varj avvenimenti seguiva, considerando
Federico di quanta potenza fosse il Re di Sicilia, tentò di distorlo
dall'amicizia e confederazione del Pontefice, e trarlo dalla sua parte;
onde per mezzo di Tristano suo Cancelliere gl'inviò in quest'anno
1176 ad offerire la figliuola per moglie, ed a persuadergli, che
avesse fatta parimente con lui perpetua lega e compagnia[62]. Ma il
Re considerando, che questo maritaggio e questa pace non sarebbero
piaciute ad Alessandro, ed avrebbero recato grave danno agli affari
della Chiesa, ributtando l'offerta dell'Imperadore non ne volle far
nulla. Sdegnato sommamente Federico del rifiuto, tosto scrisse in
Alemagna per nuovo soccorso di gente da guerra per domare i Lombardi,
che gli facevano valorosa resistenza, e sollecitò Tristano suo
Cancelliere, che calasse col suo esercito ad assalire il Reame di
Puglia. Giunsero nel principio della state Filippo Arcivescovo di
Colonia, con molti altri gran Baroni tedeschi, e grosso stuolo di
valorosi soldati, co' quali unitosi Cesare presso l'Alpi, calò nel
Milanese per danneggiar que' luoghi; ed affrontatosi con l'esercito
de' Collegati, che gli andò all'incontro, vi cominciò crudele ed
ostinata battaglia, nella quale furon rotti ed uccisi per la maggior
parte gli Alemanni, e Federico abbattuto da cavallo corse gran rischio
di lasciarvi anch'esso la vita, e si salvò a gran fatica, fuggendo
con pochi de' suoi dentro Pavia, ove giunto consolò l'Imperadrice sua
moglie, che per quattro giorni, non avendo di lui novella, l'avea
pianto come morto[63]. Tristano, ch'era già venuto con un altro
esercito ad assalire il Reame, ed avea campeggiata la Terra di Celle,
essendogli giti all'incontro Tancredi Conte di Lecce, che rivocato
dall'esilio, era stato già ricevuto in grazia del Re, e Ruggiero Conte
d'Andria con molti altri Baroni, e buona mano di soldati Regnicoli,
ributtato da loro se ne ritornò anch'egli addietro senza poter far
effetto alcuno.
Intanto Guglielmo, non avendo avuto alcun effetto il matrimonio
maneggiato colla figliuola dell'Imperador d'Oriente, ed avendo
rifiutato l'altro della figliuola di quello d'Occidente, trovandosi in
età di ventitrè anni e solo, pensò seriamente a non dover differire
di vantaggio il suo ammogliamento: onde per consiglio del Papa inviò
Elia Vescovo di Troja, Arnolfo Vescovo di Capaccio e Florio Camerota
Giustiziero, ad Errico II Re d'Inghilterra a chiedergli Giovanna sua
figliuola per moglie; li quali ricevuti lietamente dal Re, e ragunata
un'Assemblea de' suoi Baroni con il di loro consiglio gradì la
dimanda degli Ambasciadori, e conchiuse il parentado[64]. E tantosto
dall'Arcivescovo d'Eborace, e da altri Signori inglesi fece condurre
la figliuola insino alla città di S. Egidio, ove si trovarono presti a
riceverla Alfano Arcivescovo di Capua, Riccardo Vescovo di Siracusa e
Roberto Conte di Caserta con venticinque galee condotte dall'Ammiraglio
Gualtieri di Moac, e la condussero a Napoli, ove celebrarono la Pasqua
di Resurrezione. Ma infastidita la fanciulla dal mare, per la via di
Salerno e di Calabria n'andò per terra, e passato il Faro, in Palermo
si condusse, dove fu pomposamente accolta dal Re suo marito, e fatte le
nozze fu coronata Regina di Sicilia.
Allora fu, che Gualtieri Arcivescovo di Palermo, per mano di cui
passarono queste funzioni, presentandosegli sì opportuna congiuntura
richiese al Re, che i delitti d'adulterio fossero castigati da'
Vescovi nella diocesi ove eran commessi, e che i delitti dei Cherici
fossero conosciuti da' loro Prelati; ond'è, che a sua richiesta fosse
stata da Guglielmo fatta quella Costituzione, che ancor oggi leggiamo
nel volume delle nostre Costituzioni sotto il titolo _de Adulteriis
coërcendis_, la quale con errore de' nostri s'attribuisce a Guglielmo
I suo padre. Ma se deve prestarsi fede ad Inveges[65], questi rapporta
un privilegio di Guglielmo fatto alcuni anni prima colla data in aprile
dell'anno 1172 e drizzato _Comitibus, Justitiariis, Baronibus, et
universis Bajulis, qui sunt de Parochia, et Dioecesi Archiepiscopatus
Panormi_, ove il Re comanda, che il delitto dell'adulterio sia della
giurisdizione di Gualtieri Arcivescovo di Palermo. Ed in fatti nel
Regno della Regina Costanza vedesi, che la conoscenza di questo delitto
per privilegio de' nostri Re s'apparteneva agli Ecclesiastici, ciocchè
poi andò in disuso, e solamente loro rimase la conoscenza sopra i
delitti de' Cherici delle loro diocesi.
Era a questi tempi costume, che anche i Re soleano costituire i dotarj
alle loro mogli, onde Guglielmo costituì alla Regina Giovanna il suo;
e nelle addizioni fatte dall'Abate Giovanni alle Cronache di Sigeberto
abbiamo la scrittura, nella quale questo dotario[66] fu costituito[67],
concedendosi alla Regina a questo nome la città di Monte S. Angelo, la
città di Vesti con tutti i suoi tenimenti e tutte le loro pertinenze;
ed in suo servigio le concedè ancora de' tenimenti del Conte Gaufrido,
Lesina, Peschici, Vico, Caprino, Varano, Ischitella e tutto ciò che il
Conte suddetto teneva del Contado di Monte S. Angelo. Di vantaggio le
concedè Candelaro, Santo Chierico, Castel Pagano, Bisentino e Conavo.
In oltre il monastero di S. Giovanni in Lama, ed il monastero di S. M.
di Pulsano con tutti i tenimenti che i suddetti monasteri tenevano del
Contado suddetto di Monte Sant'Angelo.
L'Imperador Federico, dopo ricevuta sì grande sconfitta da' Milanesi,
seriamente pensando, che mal poteva sostenere la guerra contro i
Lombardi nell'istesso tempo, che avea per suoi nemici il Papa ed
il Re Guglielmo, si dispose, esortato anche da' suoi Baroni, che
si protestavano non volerlo più seguire, se non si riconciliava col
Pontefice, di chiedere schiettamente, e senza fraude alcuna la pace ad
Alessandro; e poichè i maneggi di questa pace, e l'andata del Papa in
Vinegia, variamente sono stati narrati da' moderni Scrittori, i quali
avendo di molte favole riempiute le loro istorie, diedero anche la
spinta a' dipintori di prendersi queste licenze; però seguitando le
orme de' più diligenti Scrittori, e sopra tutto degli accuratissimi
Capecelatro ed Agostino Inveges, i quali con più diligenza degli
altri rintracciarono questi successi dagli Autori contemporanei, e
spezialmente dall'Istoria di Romualdo Arcivescovo di Salerno, il quale
a tutto personalmente intervenne come Ambasciadore del Re Guglielmo,
non dovrò aver rincrescimento di partitamente narrargli, quali
realmente avvennero, giacchè non saranno riputati estranei e lontani
dal nostro istituto, anzi a quello molto proprj e confacenti.
Disposto pertanto Federico d'unirsi con Alessandro, inviò ad Alagna,
ove dimorava, suoi Ambasciadori a chiedergli la pace: questi furono il
Vescovo di Maddeburg, l'Arcivescovo di Magonza, l'Eletto di Vormazia, e
'l Protonotario dell'Imperio, uomini tutti quattro di grandissima stima
e più volte adoperati da lui in simili affari. Questi avendo esposto
le loro commessioni al Papa, dopo vari trattati, che durarono quindici
giorni continui, finalmente diedero qualche sesto alle differenze
tra il Papa, ed il loro Signore; ma premendo assai più per la pace
d'Italia, che si accomodassero gli affari de' Milanesi e delle altre
città di Lombardia, il quali non era convenevole, che si trattassero in
loro assenza; e considerandosi ancora, che non potevasi dar perfetto
compimento ad una sicura pace senza la persona dell'Imperadore e
de' Deputati di quelle città, che v'aveano da intervenire; fu perciò
conchiuso, che il Papa passasse tantosto in Lombardia, per abboccarsi
con Federico, e che perciò si dasse libero il passaggio e salvocondotto
da ciascuna delle parti di potere chiunque volesse liberamente andare
ove dovea ragunarsi tal Assemblea e dimorarvi e partirsi a suo piacere.
A tal effetto inviò il Papa il Cardinal Ubaldo Vescovo d'Ostia,
Rinaldo Abate di Monte Cassino Cardinal di S. Marcellino, e Pietro del
lignaggio de' Conti di Marsi a ricevere il giuramento di serbar tal
sicurezza da Cesare e dagli altri Collegati, e ad eleggere il luogo,
ove s'avea a far l'abboccamento; e fu stabilito di consentimento di
ambe le parti, che fosse la città di Bologna. Inviò anche il Papa suoi
messi al Re Guglielmo a significargli, che avesse mandati alcuni de'
suoi Baroni per assistere a tal bisogno in nome di lui; perciocchè
non intendeva conchiudere pace alcuna con l'Imperadore, ove non fosse
compreso anch'egli, che così costantemente avea sempre favoreggiati gli
affari della Chiesa[68]; la quale ambasciata udita dal Re, v'inviò di
presente Romualdo Arcivescovo di Salerno, autore di questa relazione,
e Ruggiero Conte d'Andria Gran Contestabile; acciocchè intervenissero
in suo nome a tutto quello, che fosse stato mestiere. E dopo questo
partì il Pontefice d'Alagna, e per la via di Campagna venne a Benevento
e di là passò a Siponto ed a Vesti, ove s'imbarcò su le galee fattegli
apprestare dal Re Guglielmo con molti Cardinali, che girono in sua
compagnia, e con i suddetti Ambasciadori navigò felicemente a Vinegia,
ove a grand'onore ricevuto, albergò nel monastero di S. Niccolò del
Lito, e nel seguente giorno fu dal Doge e dal Patriarca e da numeroso
stuolo di Vescovi con gran concorso di Popolo condotto nella chiesa di
S. Marco, e di là se ne passò al palagio del Patriarca, ch'era stato
apprestato con gran pompa per suo alloggiamento.
L'Imperador Federico intesa la venuta del Pontefice a Vinegia
inviò colà il Vescovo di Maddeburg, l'Eletto di Vormazia, e 'l suo
Protonotario a chiedergli, che gli fosse a grado di stabilire altro
luogo per l'appuntato abboccamento, avendo la città di Bologna
sospetta, per esser colà entro molti suoi nemici. Alla qual dimanda
rispose Alessandro, ch'essendosi quel luogo statuito non solo da
lui, ma da' comuni Ambasciadori e da tutti i Collegati lombardi, non
poteva senza il voler di ciascuno d'essi cambiarlo in altro; ma che
non perciò s'impedirebbe la comune concordia; onde prestamente fece
convocar i Deputati di tutte le parti a Ferrara e gitovi anch'egli
ragunò una Assemblea entro la chiesa maggiore di quella città dedicata
a S. Giorgio, ove convennero tutti, ed egli ragionò lungamente sopra
gli affari della pace. Ed essendo sopraggiunti sette Legati da parte
di Cesare, si deputarono dal Pontefice altri sette Cardinali; e per
la Lega de' Lombardi furon destinati il Vescovo di Turino, e quelli
di Bergamo e di Como, l'Eletto d'Asti, Gerardo Pesce milanese, Goezzo
Giudice da Verona ed Alberto Gammaro bresciano, i quali dopo vari
contrasti, intervenendovi parimente gli Ambasciadori del Re Guglielmo,
di comun consentimento statuirono che l'abboccamento si facesse a
Vinegia.
Il Pontefice prestamente spedì Ugone da Bologna e Ranieri Cardinali con
alcuni altri Lombardi al Doge ed al Popolo vinegiano (essendo a questi
tempi la potestà pubblica presso i Nobili ed il Popolo insieme, non
come oggi ne' soli Nobili ristretta[69]) a chieder loro, che avesser
data sicuranza che potesse egli, e tutti gli altri, ch'eran seco per
lo detto trattato di pace entrar nella loro città e dimorarvi, ed
uscirne a lor talento senza ricever noia alcuna, aggiungendo che non
consentissero, che Cesare contro il voler del Papa vi potesse venire;
ed avendo i Vinegiani senza molto riflettere a quest'ultima dimanda
conceduto ad Alessandro quel che chiedeva, si partì egli immantenente
da Ferrara ed a Vinegia ritornò. Si diede quivi per tanto principio a'
negoziati della pace, ma riuscendo per le molte difficoltà e differenze
insorte, malagevole a potersi conchiudere, perchè non andasse a vuoto
tutto ciò, che fin allora erasi adoperato, pensò Alessandro, che
almeno dovesse conchiudersi una triegua, che durasse sei anni con i
Lombardi, e quindici col Re di Sicilia; nel che essendo venuti gli
altri, s'attendeva solo il consenso di Cesare per istabilirla; e gito
il Cancelliere all'Imperadore con tal proposta, prima si sdegnò; ma
da poi acconsentì con condizione, che il Papa restituisse all'Imperio
lo Stato della Contessa Matilde; ma questa proposta non fu accettata
da Alessandro; onde dilungandosi l'affare, perchè l'Imperadore era a
Pomposa, luogo di piacere presso Ravenna, e vi voleva molto tempo ad
andare e ritornare i messi, che gli s'inviavano per gli affari, che
occorrevano in tal bisogno si contentò Alessandro per agevolare il
trattato a richiesta del Cancelliere e degli altri Deputati di Cesare
ch'esso venisse insino a Chiozza luogo quindici sole miglia lungi da
Vinegia e che di là non passasse avanti senza espressa sua licenza. Ma
venuto che vi fu Federico, ne girono alcuni de' popolani di Vinegia
a ritrovarlo, e dirgli che non indugiasse ad entrare nella città,
perchè colla sua presenza avrebbero sicuramente fatta la pace in suo
vantaggio, ed essi avrebbero adoperato ogni sforzo per farlo entrare.
Aveva mandato in questo mentre Alessandro a Chiozza suoi Legati a dire
a Cesare, che se egli era risoluto di far triegua per sei anni con i
Lombardi e per quindici col Re Guglielmo, il giurasse nelle lor mani,
perchè poscia con la sua benedizione sarebbe potuto entrar nella città.
Ma Federico a cui eran piaciute l'offerte de' popolani, ed aspettava,
che l'avesser recate ad effetto, simulando essergli nuovo il trattato,
e consumando il tempo in varie consulte, trasportava di giorno in
giorno la risposta; onde sospettando i Cardinali che l'Imperadore
macchinasse qualche inganno, erano entrati in gran confusione, nè
sapean che farsi: ed i popolani di Vinegia volendo porre in opera
la promessa fatta a Federico, si ragunarono insieme nella chiesa di
S. Marco, e tumultuando contro il Doge, gridavano ch'era cosa molto
biasimevole, che Cesare dimorasse travagliato dal calor della stagione,
da' pulci e dalle zanzare senza potere entrare in Vinegia, la qual
ingiuria riserbando egli nel suo animo, l'avria poscia sfogata a più
opportuno tempo contro di loro e contro i lor figliuoli; perlocchè
volevano, che invitatovi dalla Repubblica, e di voler di tutti loro
v'entrasse di presente: le quali cose avendo con molta baldanza
significate al Doge, fu da lui risposto, che s'era giurato al Pontefice
di non far entrare l'Imperadore senza sua licenza: ma nulla giovandogli
presso il Popolo tumultuante questa scusa, alla fine bisognò cedere, e
mandare alcuni de' medesimi a dire al Papa, ch'era loro intendimento
di far entrare Cesare in Vinegia, i quali ritrovandolo che dormiva,
senza voler soprastare menomo tempo, irreverentemente lo svegliarono ed
espostagli con arroganza l'ambasciata, a gran pena si contennero per
le parole del Pontefice d'indugiare fino al vegnente giorno a farlo
venire.
Sparsasi di repente per la città la novella di tal fatto, temendo i
Lombardi e gli altri, ch'erano ivi per lo trattato della pace, che se
Federico entrasse contro il voler del Papa, non gli facesse prigioni,
avendo già sospetta la corta fede de' Vinegiani, sgombrarono tantosto
via, e ne girono a Trivigi. Ma gli Ambasciadori del Re Guglielmo niente
spaventati di tal fatto, furono prestamente a ritrovare il Papa, ad
avvalorarlo e dargli animo, che di nulla temesse, poich'essi avean
quattro galee ben armate; su le quali l'avrebbero eziandio contro
il volere de' Vinegiani trasportato ove gli fosse stato a grado, e
avrebber saputo farsi attendere la fede data da' Vinegiani; dopo di
che ne girono a casa del Doge, e ritrovandolo con molti Vinegiani,
cominciarono a rinfacciargli i beneficj, che il loro Signore avea lor
fatti, che non meritavano questo tratto, e che se sapessero, che essi
permettevano di far entrare Federico nella lor città senza licenza
del Pontefice, essi non avriano attesa tal venuta, ma che subito se
ne sariano andati via in Sicilia, ed avriano detto al lor Principe
ciò che ne conveniva per vendicar questi torti. Ma non montando nulla
tai parole col Doge, ancor ch'egli con dolci risposte s'ingegnasse
di trargli al suo volere, con assicurargli, che non avesser niun
timore della venuta dell'Imperadore, sdegnosamente ritornarono al
loro albergo e dissero sul partire dal Doge, che avrebber procacciato,
che il lor Signore si vendicasse con convenevol castigo dell'ingiuria
che riceveva; e fecero apprestare i legni per partirsi nel seguente
mattino. La qual cosa sparsasi tra' Vinegiani, recò loro grandissima
paura, temendo, se costoro si fossero andati via così sdegnati,
non avesse con tal cagione il Re Guglielmo fatti prigionieri tutti
i Vinegiani, che dimoravano nel suo Reame. Il perchè grosso stuolo
di coloro, ch'eran congiunti di sangue a que' ch'erano in Puglia,
mossi a tumulto ne girono al Doge a dirgli che non era convenevole,
che per aggradire a Cesare, dal quale mai non avean ricevuto comodo
alcuno, si facesse nimistà, sdegnando in cotal guisa i suoi Legati,
col Re Guglielmo, da' cui Stati traean continuamente tante utilità,
arrischiando di più la vita ed i beni de' lor parenti che colà
dimoravano; e che lor palesasse chi erano stati coloro, ch'avean
consigliato a far entrar l'Imperadore in Vinegia prima di conchiudere
la pace col Pontefice, ch'erano apparecchiati con l'armi alle mani di
farne vendette.
Vedendo il Doge ed il Senato sì ostinata risoluzione e temendo non
si movesse grave sedizione e si venisse dentro la città all'armi,
inviarono prestamente persone di molta stima a pregare il Papa che lor
perdonasse la noia, che gli avean data e che facesse ogni sforzo con
gli Ambasciadori di Guglielmo, di non fargli partire: ma mostrando di
star saldi nel loro proponimento non ostante le preghiere del Papa
e del Doge, fur cagione, che nel seguente mattino si pubblicasse
una grida in Rialto d'ordine della Repubblica, che niuno avesse più
ardito di favellar dell'entrata di Cesare nella città, se in prima non
l'avesse comandato il Pontefice.
Pervenuta a Federico in Chiozza questa novella, vedendosi fallita
ogni speranza, cominciò a parlar benignamente co' Cardinali, che
colà dimoravano, degli affari della pace; ed essendogli altresì
apertamente detto dal suo Cancelliere, e dagli altri Baroni tedeschi,
che bisognava finirla con Alessandro e riconoscerlo per legittimo
Pontefice, finalmente alle persuasioni de' medesimi s'indusse ad inviar
addietro a Vinegia co' Cardinali il Conte Errico da Diessa a prometter
con giuramento, che tosto ch'egli vi fosse entrato avrebbe giurata e
confermata la triegua con la Chiesa, col Re di Sicilia, e co' Lombardi
nella stessa guisa appunto, ch'era stata trattata per li Deputati
d'ambe le parti.
La qual cosa posta ad effetto dal Conte, ne girono d'ordine del
Pontefice i Vinegiani con sei galee a levar l'Imperadore, e 'l
condussero insino al monastero di S. Niccolò, e nel seguente giorno,
avendo Alessandro udita la sua venuta, se n'andò con tutti i Cardinali,
con gli Ambasciadori del Re, e co' Deputati de' Lombardi alla chiesa di
S. Marco, ed inviò tre Cardinali con alcuni altri a Federico, i quali
assolvettero lui e tutti i suoi Baroni dalle censure della Chiesa.
Dopo questo andarono il Doge e 'l Patriarca, accompagnati co' primi
Nobili di Vinegia, a S. Niccolò, e fatto salir l'Imperadore sopra i
loro legni con molta pompa il condussero insino a S. Marco; ove per
veder sì famoso spettacolo era ragunata immensa moltitudine di Popolo:
e Federico disceso dalla nave n'andò tantosto a' piedi d'Alessandro,
il quale coi Cardinali e con molti altri Prelati era pontificalmente
assiso nel portico della Chiesa e deposta l'alterigia della Maestà
imperiale, levatosi il mantello, si prostrò innanzi a lui con il corpo
disteso in terra, umilmente adorandolo: dal qual atto commosso il
Pontefice lagrimando, da terra il sollevò, e baciandolo il benedisse:
e poi cantando i Tedeschi il _Te Deum_ entrarono ambedue in S. Marco,
donde l'Imperadore, ricevuta la benedizione dal Papa, ne andò ad
albergare al palagio del Doge, ed il Papa con tutti i suoi ritornò al
solito ostello.
Così ne' principj d'agosto di quest'anno 1177 fu conchiusa e confermata
la triegua[70] data da Federico a' Lombardi per sei anni, ed a
Guglielmo per quindici, che fu giurata da Federico, ed anche dal
Conte di Diessa, e da dodici Baroni dell'Imperio in nome di Errico suo
figliuolo. La giurarono ancora dalla lor parte l'Arcivescovo Romualdo e
Ruggiero Conte di Andria, Ambasciadori del Re, promettendo, che fra due
mesi l'avrebbe Guglielmo confermata, e fatta altresì giurare da diece
altri suoi Baroni: siccome per tal effetto furono da Federico mandati
suoi Ambasciadori in Sicilia, i quali giunti il nono giorno di agosto
di quest'anno 1177 a Barletta, quindi si portarono in Palermo, ove
furono lietamente accolti dal Re, il quale per Ruggiero dell'Aquila in
nome di lui, e per undici altri suoi Baroni diede compimento al dovuto
giuramento: e fatto simigliante giuramento dai Deputati delle città
di Lombardia, scioltasi l'Assemblea, ritornò ciascuno lieto al suo
albergo.
Stabilita in cotal guisa la concordia fra il Papa e Federico, ne
corse tantosto la novella a' seguaci dell'Antipapa, i quali anch'essi
cedendo, ne vennero ai piedi d'Alessandro, rinunciando lo scisma, e
furon da lui benignamente ricevuti in sua grazia: e Giovanni da Struma
Antipapa, detto da' suoi seguaci Calisto III nell'anno seguente 1178,
uscendo da Monte Albano, ove s'era ricoverato, essendo già il Papa
Alessandro partito da Vinegia, ed andato a Tuscolo, venne anche egli
a porsi a' suoi piedi, e l'adorò come vero Pontefice, dando fine allo
scisma, che per diciassette anni continui era durato, e ne fu Giovanni
dal Papa creato Arcivescovo e Governador di Benevento, ove poco da poi
morì di dolor d'animo.
Ed intanto il Papa e l'Imperadore erano già partiti da Vinegia,
essendosene Cesare, che fu il primiero, andato a Ravenna, ed il
Pontefice sopra quattro galee de' Vinegiani passato a Siponto, e di
là per lo cammino di Troia e di Benevento portossi ad Alagna: e poco
da poi chiamato da' Romani nella lor città, vi entrò il giorno della
festa del B. Gregorio, e vi fu con nobil pompa ricevuto. E l'Imperadore
dimorato non guari a Ravenna, se n'andò in Lombardia, e di la passò in
Alemagna.
Ed in cotal guisa terminarono questi successi, che variamente scritti
da' moderni Istorici, e particolarmente da alcuni Siciliani, a' quali
l'istesso Agostino Inveges da Palermo non potè prestar fede alcuna,
aveano di mille favole riempiuto i lor volumi. Noi intorno a ciò non
potevamo aver miglior testimonio, che Romualdo Arcivescovo di Salerno
della regal schiatta de' Normanni, e Prelato di grande stima, il quale
come Ambasciador del Re Guglielmo personalmente intervenne a tutto, e
che nella sua Cronaca lo tramandò alla notizia de' posteri, al quale
più che ad ogni altro Scrittore deve prestarsi indubitata fede.

§. I. _Dominio del Mare Adriatico._
Favola dunque è tutto ciò, che si narra d'esser Alessandro gito a
Vinegia sotto mentito abito di peregrino, e quel ch'è più degno di
riso, che quivi per molto tempo si fosse trattenuto, e nascosto con far
il mestiere di cuoco. Favola parimente dee riputarsi ciò, che scrissero
delle parole dette da Alessandro quando Federico fu ad inchinarsegli,
e le risposte da costui date al medesimo. La pugna navale, che si
figurò tra l'armata de' Vinegiani con quella finta di Federico, che
non avea allora armata di mare, e quel ch'è più, di avervi preposto per
capitano Ottone suo figliuolo, che secondo il Sigonio, non potea aver
più che cinque anni, e mille altri sognati avvenimenti, infelicemente
sostenuti da Cornelio Francipane in quella _allegazione_, che si vede
ora impressa nel sesto tomo dell'opere del P. Paolo Servita.
Ma non meno deve riputarsi vano quel che parimente scrissero, che
in quest'incontro Papa Alessandro avesse conceduto a' Vinegiani
amplissimi privilegi della superiorità e custodia del Mare Adriatico,
e che quindi sia nata quella celebrità, che ogni anno costumasi in
quella città nel dì dell'Ascensione di sposar il mare; quasi che ad
Alessandro appartenesse conceder il dominio de' mari, siccome gli altri
Pontefici lo pretesero della terra. Dalla moderazione d'Alessandro
tali esorbitanze non doveano credersi, e gran torto si è fatto alla
memoria di quel Pontefice, che conosceva i confini della sua potestà,
e se Federico gli fu avverso, e sovente ebbe a contender con lui, non
fu per altro, se non perchè a torto non voleva riconoscerlo per vero
Pontefice, della qual discordia approfittandosi le città di Lombardia,
quindi fu, che sursero le tante contese e travagli che 17 anni tennero
miseramente afflitta la Chiesa di Roma.
Conobbe questa verità quel bravissimo istorico Francesco
Guicciardino[71], il qual parimente scrive di tal concessione
d'Alessandro non apparire nè in istorie, nè in iscritture memoria o
fede alcuna, eccetto il testimonio de' Vinegiani, il quale in causa lor
propria, e sì ponderosa deve esser pur troppo sospetto. Ma i Vinegiani
stessi più saggi, ed intesi delle memorie andate, ben anche han
riprovata questa falsa credenza de' loro compatrioti; ed il lor famoso
Teologo e Consiglier di Stato, Fr. Paolo Servita, nel _Dominio del
Mar Adriatico_, si è sforzato ben a lungo di pruovare, che i Vinegiani
siano padroni del Golfo non già per concessione d'Alessandro, o d'altri
Pontefici o Imperadori, ma, come nato insieme colla Repubblica, per
altro titolo, che da' nostri Giureconsulti verrebbe chiamato _pro
derelicto_: pretendendo egli, che gli ultimi Imperadori d'Oriente
distratti in varie imprese, non avendo potuto per mancanza d'armate
mantener la custodia del Golfo, l'abbandonarono, nulla curando che
altri l'occupasse, e quindi essere avvenuto, che i Vinegiani resisi
da poi potenti in mare, trovando il possesso vacuo; e non essendo
allora il Golfo sotto il dominio d'alcuno, se ne fossero impadroniti, e
contrastatolo da poi contra chiunque ha voluto tentare di disturbargli.
Ma se mai, siccome della terra, potesse acquistarsi dominio alcuno
del mare, e non ripugnasse la natura istessa, come ben a lungo provò
l'incomparabile Ugon Grozio in quel suo libro che a tal fine intitolò
_Mare liberum_; e volesse ammettersi ciò che in contrario scrisse
Giovanni Seldeno in quell'altro suo libro, che per opporlo a quello
di Grozio intitolò _Mare clausum_; pure con maggior ragione pretesero
i nostri maggiori, che il dominio del Mare Adriatico dovesse più
tosto appartenere a' nostri Re di Sicilia, che alla Repubblica di
Vinegia; non per quel titolo al quale invano ricorrono i Vinegiani;
poichè niun Principe ebbe quel Golfo per abbandonato, tenendo sempre
in animo di racquistarlo, quando le forze potevan somministrargli il
modo; ma per ragion di conquista, che i nostri Normanni fecero sopra
i Greci, i quali, declinando l'Imperio di Oriente, furono padroni di
tutti questi Golfi, che circondano queste nostre regioni; non potendo
(secondo che s'è potuto notare ne' precedenti libri di questa Istoria)
porsi in dubbio, che sino a' tempi di Carlo M. gl'Imperadori Greci
eran Signori dell'Adriatico, e che quivi spesso mandavano le loro
armate per mantenere in Puglia la lor dominazione, contro l'invasione
delle Nazioni straniere; anzi sovente i Vinegiani s'univano co' Greci
contro gli sforzi di Carlo M. e di Pipino suo figliuolo, che cercavano
disturbargli dal dominio dell'Adriatico; di che una volta sdegnato
fieramente Pipino, per essere i Vinegiani concorsi a favorire, e
soccorrere di denaro, e di gente li Greci: dopo avergli scacciati
dall'Adriatico, e distrutta la loro armata, si inoltrò negli ultimi
recessi del Golfo contro i Vinegiani, e prese una gran parte della
loro città, che si componeva allora di molte isolette; ed avrebbero
i Vinegiani patito l'ultimo sterminio, e sarebbero passati sotto la
dominazione di Pipino Re d'Italia, se Carlo M. suo padre non avesse
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