Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 24
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l'Arcivescovo di Bari e Maestro Ruggiero Porcastrello.
Nello stesso tempo Errico, che lungamente fu prigione in Puglia
nel Castel di S. Felice, e poi condotto in Calabria nella Rocca di
Nicastro, e di là a Martorano, morì quivi in prigione di natural morte,
secondo che scrive Riccardo da S. Germano. Ma Giovanni Boccaccio Autore
vicino a quei tempi, e chiaro per la dottrina e per l'altre virtù,
che in lui fiorirono, ne' casi degli uomini illustri, dice, che mentre
Errico era ancor sostenuto in Martorano, fu dal Padre, mosso oggimai
a compassion di lui, ordinato, che gli fosse innanzi condotto per
riporlo in libertà: onde Errico, che di ciò nulla sapea, temendo non il
padre avesse mandato a prenderlo per saziare in più fiera guisa la sua
crudeltà contro di lui, mentre da' suoi Custodi era a cavallo menato
all'Imperadore, al valicar d'un ponte del fiume, che tra via ritrovò,
di suo volere con tutto il cavallo in esso si gittò, e prestamente
affogato morì: della cui morte, comunque ella s'avvenisse, certa cosa
è che Federico grandemente si dolse, piangendo morto colui, che mentre
visse avea così acerbamente travagliato. Tal dimostrazione appunto ne
fece egli con sue lettere appo tutti i Prelati del suo Regno, dolendosi
della morte di lui, e dicendo loro, che celebrassero pompose esequie
per un mese con Messe ed altri sacrificj a Dio, in emenda de' falli del
morto figliuolo, rapportate da Riccardo, che cominciano: _Fridericus,
etc. Abbati Cassinensi, etc. Misericordia, etc._
Lasciò Errico, di Margherita figliuola di Leopoldo Duca d'Austria,
detto il _Glorioso_, sua moglie, secondo che scrive Giovanni
Cuspiniano, due figliuoli gemelli, cioè Errico e Federico: a' quali,
ed alla madre Margherita non volendo Iddio, che alcuno di cotal
disavventurata Casa sopravvivesse, i medesimi infortunj di Errico
avvennero, perciocchè i figliuoli in età di dodici anni furono col
veleno fatti morir da Manfredi, e Margherita sopravvivuta al padre,
al marito, ed a' suoi fratelli, che tutti senza prole finirono, e
rimasta erede del Ducato d'Austria, come unico germe di quel lignaggio,
si rimaritò con Ottochiero figliuolo del Re di Boemia, col quale
non generò figliuoli; anzi venuta seco in processo di tempo in grave
discordia, fu da lui repudiata; ed Ottochiero sotto pretesto d'averne
avuta dispensa dal Pontefice, il quale avea egli con molti doni ed
offerte invano a ciò sollecitato, s'ammogliò di nuovo con Cunigonda
nipote di Bela Re d'Ungheria, e confinata Margherita in Austria nella
Terra di Krembs, poco stante ne la fece anche col veleno morire, per
la qual cosa succedute gravissime guerre, venne alla fine il Ducato
d'Austria in potere della Casa de' Conti d'Aspurg, da' quali preso il
cognome _d'Austria_, fino a' nostri tempi col dominio di altri Regni e
province, è felicemente posseduto.
CAPITOLO III.
_Sinibaldo Fieschi è eletto Pontefice sotto nome d'INNOCENZIO IV,
il quale non meno, che il suo predecessore GREGORIO, prosiegue con
FEDERICO la Guerra; ed intima il Concilio a Lione di Francia._
Federico intanto, a cui premea l'elezione del nuovo Pontefice, andò
amichevolmente verso Roma, sollecitando i Cardinali all'elezione, come
si vede per una sua epistola nel libro di Pietro delle Vigne; e nello
stesso tempo morì di natural morte nel Reame il Gran Giustiziero Errico
di Morra.
Succeduto poi l'anno di Cristo 1243, e non risolvendosi i Cardinali
a crear Papa a suo piacimento, entrò irato ne' tenimenti di Roma, e
quelli abbattè e distrusse, siccome scrive Riccardo; anzi perchè i
Romani rovesciaron ne' Cardinali l'indugio dell'elezione, non solo
occupò le lor Chiese, ma distrusse le lor ville e poderi, con rimaner
distrutto per man de' Saraceni Albano, ch'era d'un Cardinale. Fece
torre dalla Badia di Grotta Ferrata due statue di bronzo, e portarle a
Lucera di Puglia, e rappacificatosi poi coi Romani, rimise in libertà
e rimandò onoratamente in Roma il Cardinal di Preneste, che avea fatto
sin allora strettamente sostenere in Rocca Janola, avendo parimente
alcun tempo prima rimesso in libertà il Cardinal Ottone, ed a Roma
inviatolo, perchè intervenisse alla creazion del Papa; i quali due
Cardinali per serbar la fede promessa, erano dopo la creazione di
_Celestino_ ritornati di lor volere in prigione. Il perchè assembrati
di nuovo tutti i Cardinali in Alagna a' 24 giugno nella festa di S.
Giovanni Battista crearono Papa Sinibaldo Fieschi genovese, de' Conti
di Lavagna, Cardinal di S. Lorenzo, il quale fu consegrato il giorno
de' SS. Apostoli Pietro e Paolo, e nomato _Innocenzio IV_.
Era questi stato carissimo, e particolar amico di Federico, il perchè
significatane prestamente la novella, come di cosa, che si giudicava
dovergli essere carissima, comandò, che si rendessero grazie a Dio
per tutto il Regno, ed inviò l'Arcivescovo di Palermo, Pietro delle
Vigne, e Taddeo da Sessa suoi Ambasciadori a rallegrarsi con sue
amorevolissime lettere della di lui assunzione al Ponteficato[377]:
per la qual cosa i Popoli d'Italia giudicarono, che sarebbero senza
fallo pacificamente vivuti, togliendosi insieme le discordie, che gli
avean così acerbamente afflitti; ma Federico, che conoscea l'animo
d'Innocenzio, rispose agli amici, che seco di ciò si rallegravano, che
egli avea fortissima cagione di dolersi, perciocchè avea perduto un suo
carissimo amico Cardinale, ed era stato creato un Papa, che gli sarebbe
stato fierissimo nemico, come appunto addivenne; perciocchè appena che
Innocenzio si vide sul trono, fece significare a Federico, che egli
col Ponteficato avea parimente presa la cura di difendere le ragioni
della Chiesa, ed inviò Pietro Arcivescovo di Roano, Guglielmo Vescovo
di Modena, e Guglielmo Abate di S. Facondo ad intimargli, che dovesse
purgarsi di tutte l'accuse, che gli erano state apposte, e che se in
alcuna cosa avesse egli offesa la Chiesa, n'avesse avuto tosto a far
l'emenda ad arbitrio d'alcuni, che egli avrebbe per ciò eletti[378].
Federico udite le insolenti proposizioni fattegli dal Papa, le ributtò
immantenente, e fece guardare i porti e le strade, acciocchè Innocenzio
non scrivesse lettere sopra cotali affari a' Signori ed a' Popoli di
là dell'Alpi; ed accortosi, che Innocenzio per mezzo d'alcuni Frati
Cordiglieri inviati da lui per messi in detti luoghi, proccurava tirar
a se l'inclinazione di que' Signori e Popoli, fece tendere insidie a'
detti Frati, e trovatigli, gli fece impiccar tutti per la gola.
Il Pontefice intanto nel mese d'ottobre di Alagna, ove era stato
eletto, ed ancor dimorava, se ne passò in Roma, e fu con grandissima
pompa ed onor ricevuto; nè guari da poi andò da lui il Conte di Tolosa,
che era d'alcun tempo prima venuto in Puglia a ritrovar Federico, per
proccurare, se potesse, di concordargli insieme.
Qui termina la sua Cronaca Riccardo da S. Germano, senza la cui guida
per alcuni anni non avremo sì fatta chiarezza, come per addietro,
dell'opere di Federico, e degli altri avvenimenti di que' tempi.
Entrato poscia il nuovo anno di Cristo 1244, Federico ritornò col suo
esercito nello Stato della Chiesa; ma nondimeno mosso dalle preghiere
degli amici, e dalle continue ammonizioni degli altri Principi
cristiani, si dispose a voler accordarsi col Pontefice; onde inviò di
nuovo il Conte di Tolosa, Pietro delle Vigne, e Taddeo di Sessa per
suoi Proccuratori ed Ambasciadori in Roma, per mezzo de' quali nel
giorno di Pasqua di Resurrezione in presenza di Baldovino Imperador
di Costantinopoli, che colà dimorava, promise, che si sarebbe rimesso
al prudente arbitrio d'Innocenzio, e che avrebbe lasciato in pace
le ragioni, ed i luoghi della Chiesa; onde datosi cominciamento al
trattato, il Pontefice, perchè da vicino l'affare potesse trattarsi,
passò con molti Cardinali a Civita Castellana, e di là a Sutri.
Federico prima d'ogni altro pretendeva, che fosse assoluto dalla
scomunica ingiustamente fulminatagli da Gregorio suo predecessore; ma
Innocenzio all'incontro non voleva in guisa alcuna assolverlo, se prima
non restituiva tutto ciò, che egli diceva aver tolto alla Chiesa; per
la qual cosa rottosi ogni trattato, Federico incominciò apertamente a
minacciarlo, ed a trattar parimente d'averlo in suo potere; del che
accortosi il Papa proccurò partir di colà prestamente per iscampar
le sue insidie. Significò dunque per mezzo d'un Frate Cordigliere a
Filippo Vicedomini Podestà di Genova, che con galee armate, e co' suoi
nipoti del Fieschi venisse a levarlo nella più vicina riviera del mare,
ed il Senato di ciò fatto consapevole dal Podestà, conchiuse, che con
22 galee si dovesse soccorrere Innocenzio. Apprestatosi il navilio,
vi s'imbarcò sopra Alberto, Jacopo, ed Ugone del Fiesco, figliuoli del
fratello d'Innocenzio, fingendo altra cagione al navigare, per non dar
sospetto alla fazion, che Federico avea in Genova: si partirono dal
porto di Genova a' 11 giugno, e con felice viaggio pervennero a Civita
Vecchia senz'altro intoppo, ove trovarono Innocenzio, il quale montato
sulla loro armata, giunse a Porto Venere, ed indi a Genova, ove fu con
sommo onore ricevuto, e gli altri Cardinali, ch'eran rimasti a Sutri,
poco stante sconosciuti per diversi cammini, col favor de' Milanesi,
salvi anch'essi a Genova pervennero. Ma Federico risaputa la certa
partita del Pontefice, munì e fortificò tutti i luoghi del Patrimonio,
ch'avea in suo potere, e poscia se n'andò a Pisa, donde inviati suoi
Ambasciadori a Parma (ove sapea aver molti parenti Innocenzio, per
avervi maritate alcune sue sorelle) acciocchè provvedessero, che non vi
succedesse qualche rivoltura e tumulto, ed i Parmegiani nella sua fede
confermassero, partì da poi da Toscana, e ritornò nel Reame.
Innocenzio intanto giunto a Genova, ed accertatosi maggiormente, che
Federico non intendea di lasciare cos'alcuna, se non era prima dalle
censure assoluto, al che in niun modo voleva egli venire: per movere
più fiera procella contro Federico, pensò allontanarsi da Italia,
ed accompagnato da' Cardinali, e da altri Prelati e Baroni romani
co' Marchesi di Monferrato e del Carretto n'andò ad Asti, e di là
felicemente pervenne a Lione di Francia. Ivi dal Re Lodovico IX con
ogni onor raccolto, incontanente intimò il Concilio, che Gregorio tanto
avea bramato di ragunare, senza aver potuto ottenerlo: citando tutti i
Prelati di Cristianità a venirvi nel giorno del natale di S. Giovanni
Battista; e per dare più speziosa apparenza al Concilio, appoggiava
la cagione di farlo per lo soccorso, che dovea darsi a' Cristiani,
che guerreggiavano in Terra Santa, ove per le discordie con Federico
erano ridotti a mal partito; si soggiungeva ancora, che in esso dovea
trattarsi del modo di ridurre in pace i travagliati affari della Chiesa
in Italia; ma il vero era di doversi trattare della deposizione di
Federico. Questi all'incontro avendo penetrati i disegni d'Innocenzio,
non mancò nel medesimo tempo di scrivere una sua lunga lettera a
tutti i Principi del Mondo, con iscovrire i disegni del Pontefice,
rappresentando loro, ch'erano questi pretesti, e che non poteva non
conoscersi chiaramente, non esser tempo per lui d'attendere al soccorso
di Soria, quando Innocenzio proccurava sconvolgergli con sedizioni li
suoi Stati d'Italia, e che tutto il male e la ruina di Gerusalemme
dovea incolparsi al Pontefice; poichè la discordia, che era in que'
Santi luoghi fra i Templarj e gli Spedalieri, era fomentata da lui, per
esser questi seguaci del Pontefice e suoi Ministri.
Con questi avvenimenti passato l'anno 1244 nel quale l'Italia era
stata miseramente travagliata, oltre alla guerra, da fame e peste
crudelissima, nel principio del seguente anno 1245 vedendo Federico,
che il Concilio convocato in Lione era contro di lui, propose di
tornar in Lombardia per opporsi nel miglior modo, che potea a' disegni
del Pontefice; e giunto a Verona convocò ivi un general Parlamento,
nel quale convennero molti Baroni italiani e tedeschi, e fra di essi
Corrado figliuolo di Balduino Imperadore di Costantinopoli, il Duca
d'Austria, ed il Duca di Moravia con Ezellino; e dato assetto a diversi
affari d'Italia, si dolse acerbamente d'Innocenzio, purgossi dalle
colpe che gli opponeva, e deliberò mandar suoi Legati al Concilio
Pietro delle Vigne, e Taddeo di Sessa, acciocchè s'opponessero agli
attentati del Pontefice, siccome in effetto andarono in Lione, dove
anche intendea condursi Federico; onde partito di Verona s'avviò per
passare oltra i monti, e gire al Concilio; ma giunto a Torino intese,
come a' 27 luglio il Papa avea dato contro di lui sentenza, privandolo
del Reame di Puglia e di Sicilia, e della Corona imperiale, come
rubello, nemico, e persecutor di Santa Chiesa.
§. I. _Istoria del Concilio di Lione, e della deposizione di FEDERICO._
Narrano Matteo Paris ed altri gravissimi Scrittori, che congregato il
Concilio nel Duomo di Lione, sedendo Innocenzio nel soglio, ed alla
sua destra Balduino Imperador di Costantinopoli, primieramente ornò
del Cappello rosso i Cardinali, volendo dimostrar con tal colore,
che doveano esser pronti sino allo spargere del sangue in servigio
della Chiesa contro Federico. Aggiunse loro per maggior ornamento
di tal dignità la valigia, e la mazza d'argento quando cavalcavano,
volendo, che alla regia dignità fosse la loro agguagliata. Ciò fece
ancora ad onta, e per l'impegno che teneva contro Federico, il quale
diceva, che i Prelati doveano imitar Cristo e gli Apostoli, ed andar
scalzi, e a piedi, e che bisognava ridurgli alla povertà primitiva
della Chiesa[379]. Favellò poi d'altri affari della Chiesa e del
soccorso, che intendea dare a Terra Santa, e della difesa da farsi
contro i Tartari, che l'Ungheria e l'Alemagna con gravissimi danni
avevano assalita; cominciò poi ad esagerare le malvagità di Federico,
le persecuzioni, che continuamente dava ai romani Pontefici, ed agli
altri Ministri della Chiesa di Dio, mandando in esilio i Vescovi,
con privargli d'ogni avere, imprigionando i Cherici, con fargli
anche spesse fiate crudelmente morire, e commettendo continuamente
queste, ed altre simiglianti cattività. Ma surto in mezzo con molta
intrepidezza _Taddeo di Sessa_, uno degli Ambasciadori di Federico,
rispose in faccia del Pontefice e di tutti coloro del Concilio, che di
tutte quest'accuse, delle quali si caricava il suo Signore, era quegli
innocente, e che la colpa delle passate guerre dovea addossarsi a'
Pontefici romani, e che egli fidando nella giustizia del suo Signore
avrebbe dileguate tutte quelle accuse; e che Federico, se Innocenzio
avesse voluto riconciliarlo con la Chiesa, avrebbe proccurato unire la
Chiesa greca con la latina, ricuperare Terra Santa, e restituiti i beni
tolti alla Chiesa romana, e che di queste promesse egli ne offeriva
per mallevadori i Re di Francia, e d'Inghilterra; ma il Pontefice
burlandosene come vane ed illusorie, ributtò l'offerte; co' quali
discorsi si diè compimento per quel giorno a questa prima sessione del
Concilio.
Ragunatosi poi nella seguente settimana, nella seconda sessione
si cominciò di nuovo a trattar dello stesso affare, e dopo aver il
Pontefice orato di nuovo intorno alle malvagità di Federico, surse in
mezzo il _Vescovo di Carinola_, Frate che fu dell'Ordine Cisterciense,
il quale era uno de' Prelati, che l'Imperadore avea fatti cacciare
del Reame: questi, mostrando in voce afflitta e mesta gli strazj,
che avea sofferti da Federico, cominciò a fare un racconto della
costui mala vita da che era stato fanciullo, caricandolo di molte,
e gravissime ingiurie, dicendo, che Federico non credea nè a Dio, nè
a' Santi: che tenea in un medesimo tempo più mogli; che favoreggiava
continuamente i Saraceni: che tenea particolar familiarità col Soldano
di Babilonia: che sovente si contaminava con illeciti concubiti di
donne saracene; e che menando vita epicurea e tutta mondana, mostrava
non credere a niuna legge, solito a repetere quelle parole d'Averroe,
che tre persone avevano ingannato tutto il Mondo, il Salvator nostro
Gesù i Cristiani, Moisè gli Ebrei, e Maometto gli Arabi; e dopo
aver soggiunto il Vescovo altre simiglianti accuse, terminò il suo
discorso col dire, che Federico intendea di ridurre i Prelati a quella
bassezza e povertà della primitiva Chiesa, come per le sue opere, e
per molte sue lettere potea chiaramente conoscersi. Dopo costui surse
un _Arcivescovo Spagnuolo_, e confermando le cose, che avea dette il
Vescovo di Carinola, ve n'aggiunse dell'altre, accusandolo d'eretico,
di sacrilego, di spergiuro, confortando il Pontefice a procedere
contro di lui, e deporlo dall'Imperio, ed offerse d'assisterlo con
l'avere, e con la persona in tutto quel che fosse stato necessario con
tutt'i Prelati della sua Nazione, i quali in maggior numero, e con più
magnificenza degli altri eran venuti al Concilio.
Ma _Taddeo di Sessa_ impaziente per le parole ingiuriose del Vescovo
di Carinola rispose intrepidamente, che egli in tutto ne mentiva,
declamando che ei non per zelo della giustizia, ma per odio particolare
favellava in cotal guisa, opponendogli molti gravissimi falli,
per li quali lui, ed i suoi fratelli erano stati dall'Imperadore
convenevolmente puniti; che mentiva chiunque volesse imputar Federico
d'eresia; e che se egli fosse stato quivi presente colla sua propria
bocca avrebbe professata la vera fede non meno di tutti i più fini e
fedeli Cristiani; che della sua vera e cristiana religione poteva egli
mostrare un incontrastabile argomento, di non aver voluto tollerare ne'
suoi dominj gli usuraj, e d'avergli severamente puniti; _in hoc Curiam
Romanam reprehendens_ (come dice Matteo Paris) _quam constat hoc vitio
maxime laborantem_; ed avendo risposto a tutte le accuse fatte da que'
Prelati, pregò instantemente il Pontefice a soprastare a ragunar la
terza volta il Concilio, perchè Federico era giunto a Torino, e fra
poco tempo sarebbe colà venuto di presenza per purgarsi de' delitti,
che se gli opponevano; ma il Pontefice negò alla prima di volergli dare
questa dilazione, anzi soggiunse, che se Federico veniva, egli subito
si sarebbe partito; ma il seguente giorno a richiesta dei Proccuratori
de' Re di Francia e d'Inghilterra, fu costretto a dar la dimandata
dilazione; la quale non potè esser più lunga, che di due settimane.
Federico scorgendo essere inevitabile la sua condannazione, riputando
miglior partito di non essere presente, ed innanzi a Giudice a se
sospetto, recusò di venire; e non ostante che Taddeo di Sessa si
protestasse, che di ciò, che s'avea a trattar contro l'Imperadore
n'appellava al futuro Concilio, passate le due settimane, tosto ragunò
Innocenzio di nuovo i Prelati, e pubblicate da lui prima alcune
Costituzioni fatte per lo soccorso di Terra Santa, diede _non sine
omnium audientium, et circumstantium stupore, et horrore_, come scrive
Paris, la sentenza contro Federico, per la quale lo pronunciò privato
dell'Imperio, e di tutti gli onori e dignità, e di tutti gli altri suoi
Stati, assolvendo i sudditi del giuramento, ed ordinando loro sotto
pena di scomunica, che non gli dovessero più ubbidire, ordinando agli
Elettori dell'Imperio, che dovessero eleggere il successore, e che
niuno lo riconoscesse più per Imperadore o Re. Questa sentenza vien
rapportata dal Bzovio negli Annali ecclesiastici, e si legge ancora
tutta intera nella vita di Federico, che Simone Scardio prepose a'
libri dell'epistole di Pietro delle Vigne; ed abbiamo, nel raccontar
la deposizione di Federico, voluto seguitare più tosto ciò, che se
ne scrive nel quarto volume de' Concilj universali e negli annali di
Matteo Paris, che il Sigonio, ed alcuni altri Autori, giudicando con
tali scorte meglio potersi incontrar la verità.
Diede contezza il Pontefice immantinente per sue particolari lettere di
cotal sentenza a tutti i Principi cristiani, ed inviò Filippo Fontana
Vescovo di Ferrara a' Principi d'Alemagna, ed agli Elettori, perchè
creassero nuovo Imperadore, esortandogli ad esaltare a cotal dignità
Errico Langravio di Turingia.
Federico intesa la novella di cotal fatto mentr'era a Torino, acceso
di gravissimo sdegno rivolto a' suoi Baroni così disse: _Il Pontefice
mi ha privato della Corona imperiale, veggiamo se così è_; e fattasela
recare innanzi, se la pose in testa, dicendo queste parole, _che
nè il Pontefice, nè il Concilio avean potestà di togliernela_; ed
ancorchè riputasse vana ed ingiusta cotal sentenza, nulladimanco
considerando di quanto detrimento potea essergli cagione, non
tralasciò far ogni sforzo per riconciliarsi col Pontefice; onde per
mezzo del Re di Francia fece offerire al Papa _satisfactionem facere
competentem_ (narra Paris): _obtulit etiam quod in Terram Sanctam
irrediturus obiret, quoad viveret Christo ibidem militaturus_; ma
il Papa ridendosi di queste cose rispose al Re, che Federico tante
volte queste, e cose maggiori avea promesse, e poi niuna attesa; al
che replicò il Re: _Septuagies septies pandendus est sinus, peto, et
petens consulo, tam pro me, quam pro multis aliis millium millibus
peregrinaturis prosperum exitum expectantibus, imo potius pro Statu
Universalis Ecclesiae, et Christianitatis accipite, et acceptate
tanti Principis talem humilitatem, Christi sequentes vestigia, qui se
usque ad crucis patibulum humiliasse legitur_; il che quando vide il
Re di Francia rifiutarsi ostinatamente dal Papa, adirato contro di
lui andò via sdegnato grandemente, ed ammirato, che quella umiltà,
che avea conosciuto in Federico Imperadore, non avea egli potuto
trovare nel _servo de' servi_. Ed ancorchè il Pontefice per mezzo
di sue lettere avesse fatto volar per lo Mondo questa sentenza;
nulladimanco, come scrive l'Abate Stadense, _quidam Principum cum
multis aliis reclamabant, dicentes, ad Papam non pertinere Imperatorem
instituere, vel destituere: sed electum a Principibus, coronare_. E
fu così vana, e di niun effetto cotal deposizione, che narra Tritemio,
che Federico in tutto il tempo che visse da poi, _per annos ferme sex
contra eum, nec Papa, nec aliquis Principum praevalere potuit; sed non
advertens sententiam Papae, quam frivolam, et injustam esse dicebat,
se Imperatorem gessit, magnamque Principum nobiliorum, et Civitatum
usque ad mortem aderentiam habuit_. Perlaqualcosa vedendo Federico
niente giovargli la sua umiltà, fu tutto rivolto a disingannare il
Mondo di quanto proccurava opporgli Innocenzio; onde fece scrivere più
sue lettere a tutti i Principi di Cristianità purgandosi dall'accuse,
che gli erano opposte, facendo nota la nullità di tal deposizione,
come quella, che procedeva da chi non avea potestà alcuna di farla,
onde si leggono perciò ne' libri di Pietro delle Vigne molte epistole,
fra le quali è da leggersi la prima del primo libro, che comincia:
_Collegerunt Pontifices et Farisaei consilium in unum, etc._ e l'altra:
_In exordio nascentis Mundi_, e molte altre di consimile tenore.
(Presso Lunig[380], si leggono le vicendevoli imprecazioni, querimonie,
ed accuse d'Innocenzio IV e di Federico, che nell'anno 1245 seguirono
fra di loro; ed infra gli altri delitti Innocenzio imputava a
Federico, che all'usanza de' Saraceni facesse castrare in Capua alcuni,
destinandoli per custodia delle sue donne nel serraglio).
E fu da valenti Teologi dimostrato[381], non essere della potestà del
Pontefice, nemmeno del Concilio il deporre i Principi; e tanto meno
può dirsi di questo Concilio di Lione, il quale oltre di non essere
stato generale, siccome per tale non l'ebbero Matteo Paris, Alberto
Stadense, Tritemio, Palmerio, Platina ed altri, per mancarvi tutte
le condizioni de' Concilj generali, e per esservi intervenuti pochi
Prelati, nemmeno di tutte le province d'Occidente, la sentenza non fu
profferita dal Concilio, ma dal solo Pontefice, non _Sacro approbante
Concilio_, ma solamente _Sacro praesente Concilio_, come si legge negli
atti di quel Concilio, e rapportano Dupino, ed altri insigni Scrittori
ecclesiastici.
Per la qual cosa quasi tutti i Principi e Popoli d'Europa, anche dopo
questa deposizione tentata da Innocenzio, lo riconobbero per Imperadore
e Re. Nè Federico permise, che in cos'alcuna fosse Innocenzio ubbidito
da' suoi sudditi ne' suoi dominj, e ne' Regni di Sicilia; anzi ordinò
per sue lettere al Gran Giustiziere di Sicilia, che desse aspro
castigo, privandogli di tutti i beni, e scacciasse dal Regno tutti
i Frati e Preti, che per ordine del Pontefice, e suo interdetto non
avesser voluto in quell'isola celebrare i divini Ufficj, e ministrare
i Sacramenti a' Popoli; e che niuno Religioso potesse trasferirsi da
luogo a luogo senza espressa licenza, e testimonianza donde ei venisse.
Scrisse parimente consimili lettere al Giustiziere di Terra di Lavoro,
e gl'impose strettamente, che dovesse esigere da' Cherici la terza
parte dell'entrate, che possedevano di Chiesa, e gli facesse pagare
tutte le altre imposte, che pagavano i Laici, comandandogli altresì,
che coloro, i quali avessero negato di ciò fare, gli avesse prestamente
imprigionati.
§. II. _Infelice fine di Pietro delle Vigne._
Dall'aver così bene adempiute le sue parti nel Concilio di Lione
_Taddeo da Sessa_, ed all'incontro dal vedersi, che _Pietro delle
Vigne_ pur ivi mandato Ambasciador di Federico, non avesse in quella
Assemblea fatto nè pur minimo atto a difesa del suo Signore, fu
cagione, che gli emoli di Pietro cominciassero a preparargli quella
ruina, che poco stante gli sopravvenne; perciocchè gli apposero
appresso l'Imperadore, che essendo in esso Concilio suo Legato con
Taddeo di Sessa, fosse stato corrotto o dalle parole, o da' premj
d'Innocenzio, e perciò avesse tralasciato di fare quel, che gli
convenia per suo servigio; non trovandosi così negli atti del Concilio,
come negli Annali ecclesiastici del Bzovio, ed in tutti gli altri
Autori, che scrissero di tal avvenimento, fatta menzione d'altri, che
di Taddeo di Sessa: indizio chiaro, che, Pietro in nulla si volesse
intrigare, ancorchè vi fosse anch'egli presente, per la qual cosa,
fatto credere cotal fallo all'Imperadore da' suoi emoli, in gran
parte intepidirono il grande amore, che prima gli portava, e venne in
sospetto non gli ordisse qualche tradimento; onde ammalatosi Cesare
poco da poi in Puglia, consigliato da Pietro, che per ricuperar sua
salute dovesse purgarsi il ventre, e poi entrare in un bagno per ciò
apprestato, fece da un Medico famigliare d'esso Pietro, e che altre
volte in cotal mestieri l'avea servito, comporre il medicamento,
e mentre s'apprestava di torlo, gli fu data contezza, che Pietro
corrotto dai doni del Pontefice, per insinuazione del medesimo tentava
avvelenarlo; onde appresentandosegli il Medico colla bevanda, rivolto
a lui, ed a Pietro, che colà era, disse loro: _Amici, io ho fede in
voi, e so che non mi darete il medicamento per veleno_; e Pietro
gli rispose: o Signore, spesse volte questo mio Medico vi ha dato
giovevol rimedio, perchè ora più del solito temete? e l'Imperadore
guardando con torvo aspetto il Medico disse, _dammi cotesta bevanda_;
il perchè atterrito colui, fingendo di sdrucciolare col piede, ne
versò la maggior parte, per la qual cosa venendo in maggior sospetto,
fattigli prendere ambedue, fece trar di prigione alcuni condennati a
morte, i quali bevuto d'ordine di Federico quel poco della medicina,
che rimasto vi era, prestamente gli uccise; e si scoperse, che di
violentissimo veleno insieme col bagno era composta, sicchè chiarito
Cesare del tradimento, fece appiccar per la gola il Medico: e Pietro
(non volendolo far morire) fu abbaccinato, e spogliato di tutt'i
beni, e d'ogni ufficio ed autorità ch'egli avea, e condotto a vivere
miserissima vita. Ma Pietro non potendo soffrire la caduta di tanta
grandezza, informatosi da colui, che il guidava, che era presso d'un
muro, o d'una colonna di marmo, come scrive il Sigonio[382], vi battè
così fortemente la testa, che rottosegli il cerebro, in un subito morì.
Altri dicono essersi precipitato da una finestra della sua casa nella
città di Capua, ove acciecato dimorava, mentre colà di sotto passava
l'Imperadore, ed esser di repente per tal caduta morto nell'anno 1249.
Ed in quest'anno rapportano cotal morte Matteo Paris Monaco di Monte
Albano in Inghilterra negli Annali di quel Regno, che visse nell'anno
di Cristo 1250, Carlo Sigonio, ed altri più antichi Autori. Non
mancarono ancora di quegli, che scrissero esser egli morto innocente,
Nello stesso tempo Errico, che lungamente fu prigione in Puglia
nel Castel di S. Felice, e poi condotto in Calabria nella Rocca di
Nicastro, e di là a Martorano, morì quivi in prigione di natural morte,
secondo che scrive Riccardo da S. Germano. Ma Giovanni Boccaccio Autore
vicino a quei tempi, e chiaro per la dottrina e per l'altre virtù,
che in lui fiorirono, ne' casi degli uomini illustri, dice, che mentre
Errico era ancor sostenuto in Martorano, fu dal Padre, mosso oggimai
a compassion di lui, ordinato, che gli fosse innanzi condotto per
riporlo in libertà: onde Errico, che di ciò nulla sapea, temendo non il
padre avesse mandato a prenderlo per saziare in più fiera guisa la sua
crudeltà contro di lui, mentre da' suoi Custodi era a cavallo menato
all'Imperadore, al valicar d'un ponte del fiume, che tra via ritrovò,
di suo volere con tutto il cavallo in esso si gittò, e prestamente
affogato morì: della cui morte, comunque ella s'avvenisse, certa cosa
è che Federico grandemente si dolse, piangendo morto colui, che mentre
visse avea così acerbamente travagliato. Tal dimostrazione appunto ne
fece egli con sue lettere appo tutti i Prelati del suo Regno, dolendosi
della morte di lui, e dicendo loro, che celebrassero pompose esequie
per un mese con Messe ed altri sacrificj a Dio, in emenda de' falli del
morto figliuolo, rapportate da Riccardo, che cominciano: _Fridericus,
etc. Abbati Cassinensi, etc. Misericordia, etc._
Lasciò Errico, di Margherita figliuola di Leopoldo Duca d'Austria,
detto il _Glorioso_, sua moglie, secondo che scrive Giovanni
Cuspiniano, due figliuoli gemelli, cioè Errico e Federico: a' quali,
ed alla madre Margherita non volendo Iddio, che alcuno di cotal
disavventurata Casa sopravvivesse, i medesimi infortunj di Errico
avvennero, perciocchè i figliuoli in età di dodici anni furono col
veleno fatti morir da Manfredi, e Margherita sopravvivuta al padre,
al marito, ed a' suoi fratelli, che tutti senza prole finirono, e
rimasta erede del Ducato d'Austria, come unico germe di quel lignaggio,
si rimaritò con Ottochiero figliuolo del Re di Boemia, col quale
non generò figliuoli; anzi venuta seco in processo di tempo in grave
discordia, fu da lui repudiata; ed Ottochiero sotto pretesto d'averne
avuta dispensa dal Pontefice, il quale avea egli con molti doni ed
offerte invano a ciò sollecitato, s'ammogliò di nuovo con Cunigonda
nipote di Bela Re d'Ungheria, e confinata Margherita in Austria nella
Terra di Krembs, poco stante ne la fece anche col veleno morire, per
la qual cosa succedute gravissime guerre, venne alla fine il Ducato
d'Austria in potere della Casa de' Conti d'Aspurg, da' quali preso il
cognome _d'Austria_, fino a' nostri tempi col dominio di altri Regni e
province, è felicemente posseduto.
CAPITOLO III.
_Sinibaldo Fieschi è eletto Pontefice sotto nome d'INNOCENZIO IV,
il quale non meno, che il suo predecessore GREGORIO, prosiegue con
FEDERICO la Guerra; ed intima il Concilio a Lione di Francia._
Federico intanto, a cui premea l'elezione del nuovo Pontefice, andò
amichevolmente verso Roma, sollecitando i Cardinali all'elezione, come
si vede per una sua epistola nel libro di Pietro delle Vigne; e nello
stesso tempo morì di natural morte nel Reame il Gran Giustiziero Errico
di Morra.
Succeduto poi l'anno di Cristo 1243, e non risolvendosi i Cardinali
a crear Papa a suo piacimento, entrò irato ne' tenimenti di Roma, e
quelli abbattè e distrusse, siccome scrive Riccardo; anzi perchè i
Romani rovesciaron ne' Cardinali l'indugio dell'elezione, non solo
occupò le lor Chiese, ma distrusse le lor ville e poderi, con rimaner
distrutto per man de' Saraceni Albano, ch'era d'un Cardinale. Fece
torre dalla Badia di Grotta Ferrata due statue di bronzo, e portarle a
Lucera di Puglia, e rappacificatosi poi coi Romani, rimise in libertà
e rimandò onoratamente in Roma il Cardinal di Preneste, che avea fatto
sin allora strettamente sostenere in Rocca Janola, avendo parimente
alcun tempo prima rimesso in libertà il Cardinal Ottone, ed a Roma
inviatolo, perchè intervenisse alla creazion del Papa; i quali due
Cardinali per serbar la fede promessa, erano dopo la creazione di
_Celestino_ ritornati di lor volere in prigione. Il perchè assembrati
di nuovo tutti i Cardinali in Alagna a' 24 giugno nella festa di S.
Giovanni Battista crearono Papa Sinibaldo Fieschi genovese, de' Conti
di Lavagna, Cardinal di S. Lorenzo, il quale fu consegrato il giorno
de' SS. Apostoli Pietro e Paolo, e nomato _Innocenzio IV_.
Era questi stato carissimo, e particolar amico di Federico, il perchè
significatane prestamente la novella, come di cosa, che si giudicava
dovergli essere carissima, comandò, che si rendessero grazie a Dio
per tutto il Regno, ed inviò l'Arcivescovo di Palermo, Pietro delle
Vigne, e Taddeo da Sessa suoi Ambasciadori a rallegrarsi con sue
amorevolissime lettere della di lui assunzione al Ponteficato[377]:
per la qual cosa i Popoli d'Italia giudicarono, che sarebbero senza
fallo pacificamente vivuti, togliendosi insieme le discordie, che gli
avean così acerbamente afflitti; ma Federico, che conoscea l'animo
d'Innocenzio, rispose agli amici, che seco di ciò si rallegravano, che
egli avea fortissima cagione di dolersi, perciocchè avea perduto un suo
carissimo amico Cardinale, ed era stato creato un Papa, che gli sarebbe
stato fierissimo nemico, come appunto addivenne; perciocchè appena che
Innocenzio si vide sul trono, fece significare a Federico, che egli
col Ponteficato avea parimente presa la cura di difendere le ragioni
della Chiesa, ed inviò Pietro Arcivescovo di Roano, Guglielmo Vescovo
di Modena, e Guglielmo Abate di S. Facondo ad intimargli, che dovesse
purgarsi di tutte l'accuse, che gli erano state apposte, e che se in
alcuna cosa avesse egli offesa la Chiesa, n'avesse avuto tosto a far
l'emenda ad arbitrio d'alcuni, che egli avrebbe per ciò eletti[378].
Federico udite le insolenti proposizioni fattegli dal Papa, le ributtò
immantenente, e fece guardare i porti e le strade, acciocchè Innocenzio
non scrivesse lettere sopra cotali affari a' Signori ed a' Popoli di
là dell'Alpi; ed accortosi, che Innocenzio per mezzo d'alcuni Frati
Cordiglieri inviati da lui per messi in detti luoghi, proccurava tirar
a se l'inclinazione di que' Signori e Popoli, fece tendere insidie a'
detti Frati, e trovatigli, gli fece impiccar tutti per la gola.
Il Pontefice intanto nel mese d'ottobre di Alagna, ove era stato
eletto, ed ancor dimorava, se ne passò in Roma, e fu con grandissima
pompa ed onor ricevuto; nè guari da poi andò da lui il Conte di Tolosa,
che era d'alcun tempo prima venuto in Puglia a ritrovar Federico, per
proccurare, se potesse, di concordargli insieme.
Qui termina la sua Cronaca Riccardo da S. Germano, senza la cui guida
per alcuni anni non avremo sì fatta chiarezza, come per addietro,
dell'opere di Federico, e degli altri avvenimenti di que' tempi.
Entrato poscia il nuovo anno di Cristo 1244, Federico ritornò col suo
esercito nello Stato della Chiesa; ma nondimeno mosso dalle preghiere
degli amici, e dalle continue ammonizioni degli altri Principi
cristiani, si dispose a voler accordarsi col Pontefice; onde inviò di
nuovo il Conte di Tolosa, Pietro delle Vigne, e Taddeo di Sessa per
suoi Proccuratori ed Ambasciadori in Roma, per mezzo de' quali nel
giorno di Pasqua di Resurrezione in presenza di Baldovino Imperador
di Costantinopoli, che colà dimorava, promise, che si sarebbe rimesso
al prudente arbitrio d'Innocenzio, e che avrebbe lasciato in pace
le ragioni, ed i luoghi della Chiesa; onde datosi cominciamento al
trattato, il Pontefice, perchè da vicino l'affare potesse trattarsi,
passò con molti Cardinali a Civita Castellana, e di là a Sutri.
Federico prima d'ogni altro pretendeva, che fosse assoluto dalla
scomunica ingiustamente fulminatagli da Gregorio suo predecessore; ma
Innocenzio all'incontro non voleva in guisa alcuna assolverlo, se prima
non restituiva tutto ciò, che egli diceva aver tolto alla Chiesa; per
la qual cosa rottosi ogni trattato, Federico incominciò apertamente a
minacciarlo, ed a trattar parimente d'averlo in suo potere; del che
accortosi il Papa proccurò partir di colà prestamente per iscampar
le sue insidie. Significò dunque per mezzo d'un Frate Cordigliere a
Filippo Vicedomini Podestà di Genova, che con galee armate, e co' suoi
nipoti del Fieschi venisse a levarlo nella più vicina riviera del mare,
ed il Senato di ciò fatto consapevole dal Podestà, conchiuse, che con
22 galee si dovesse soccorrere Innocenzio. Apprestatosi il navilio,
vi s'imbarcò sopra Alberto, Jacopo, ed Ugone del Fiesco, figliuoli del
fratello d'Innocenzio, fingendo altra cagione al navigare, per non dar
sospetto alla fazion, che Federico avea in Genova: si partirono dal
porto di Genova a' 11 giugno, e con felice viaggio pervennero a Civita
Vecchia senz'altro intoppo, ove trovarono Innocenzio, il quale montato
sulla loro armata, giunse a Porto Venere, ed indi a Genova, ove fu con
sommo onore ricevuto, e gli altri Cardinali, ch'eran rimasti a Sutri,
poco stante sconosciuti per diversi cammini, col favor de' Milanesi,
salvi anch'essi a Genova pervennero. Ma Federico risaputa la certa
partita del Pontefice, munì e fortificò tutti i luoghi del Patrimonio,
ch'avea in suo potere, e poscia se n'andò a Pisa, donde inviati suoi
Ambasciadori a Parma (ove sapea aver molti parenti Innocenzio, per
avervi maritate alcune sue sorelle) acciocchè provvedessero, che non vi
succedesse qualche rivoltura e tumulto, ed i Parmegiani nella sua fede
confermassero, partì da poi da Toscana, e ritornò nel Reame.
Innocenzio intanto giunto a Genova, ed accertatosi maggiormente, che
Federico non intendea di lasciare cos'alcuna, se non era prima dalle
censure assoluto, al che in niun modo voleva egli venire: per movere
più fiera procella contro Federico, pensò allontanarsi da Italia,
ed accompagnato da' Cardinali, e da altri Prelati e Baroni romani
co' Marchesi di Monferrato e del Carretto n'andò ad Asti, e di là
felicemente pervenne a Lione di Francia. Ivi dal Re Lodovico IX con
ogni onor raccolto, incontanente intimò il Concilio, che Gregorio tanto
avea bramato di ragunare, senza aver potuto ottenerlo: citando tutti i
Prelati di Cristianità a venirvi nel giorno del natale di S. Giovanni
Battista; e per dare più speziosa apparenza al Concilio, appoggiava
la cagione di farlo per lo soccorso, che dovea darsi a' Cristiani,
che guerreggiavano in Terra Santa, ove per le discordie con Federico
erano ridotti a mal partito; si soggiungeva ancora, che in esso dovea
trattarsi del modo di ridurre in pace i travagliati affari della Chiesa
in Italia; ma il vero era di doversi trattare della deposizione di
Federico. Questi all'incontro avendo penetrati i disegni d'Innocenzio,
non mancò nel medesimo tempo di scrivere una sua lunga lettera a
tutti i Principi del Mondo, con iscovrire i disegni del Pontefice,
rappresentando loro, ch'erano questi pretesti, e che non poteva non
conoscersi chiaramente, non esser tempo per lui d'attendere al soccorso
di Soria, quando Innocenzio proccurava sconvolgergli con sedizioni li
suoi Stati d'Italia, e che tutto il male e la ruina di Gerusalemme
dovea incolparsi al Pontefice; poichè la discordia, che era in que'
Santi luoghi fra i Templarj e gli Spedalieri, era fomentata da lui, per
esser questi seguaci del Pontefice e suoi Ministri.
Con questi avvenimenti passato l'anno 1244 nel quale l'Italia era
stata miseramente travagliata, oltre alla guerra, da fame e peste
crudelissima, nel principio del seguente anno 1245 vedendo Federico,
che il Concilio convocato in Lione era contro di lui, propose di
tornar in Lombardia per opporsi nel miglior modo, che potea a' disegni
del Pontefice; e giunto a Verona convocò ivi un general Parlamento,
nel quale convennero molti Baroni italiani e tedeschi, e fra di essi
Corrado figliuolo di Balduino Imperadore di Costantinopoli, il Duca
d'Austria, ed il Duca di Moravia con Ezellino; e dato assetto a diversi
affari d'Italia, si dolse acerbamente d'Innocenzio, purgossi dalle
colpe che gli opponeva, e deliberò mandar suoi Legati al Concilio
Pietro delle Vigne, e Taddeo di Sessa, acciocchè s'opponessero agli
attentati del Pontefice, siccome in effetto andarono in Lione, dove
anche intendea condursi Federico; onde partito di Verona s'avviò per
passare oltra i monti, e gire al Concilio; ma giunto a Torino intese,
come a' 27 luglio il Papa avea dato contro di lui sentenza, privandolo
del Reame di Puglia e di Sicilia, e della Corona imperiale, come
rubello, nemico, e persecutor di Santa Chiesa.
§. I. _Istoria del Concilio di Lione, e della deposizione di FEDERICO._
Narrano Matteo Paris ed altri gravissimi Scrittori, che congregato il
Concilio nel Duomo di Lione, sedendo Innocenzio nel soglio, ed alla
sua destra Balduino Imperador di Costantinopoli, primieramente ornò
del Cappello rosso i Cardinali, volendo dimostrar con tal colore,
che doveano esser pronti sino allo spargere del sangue in servigio
della Chiesa contro Federico. Aggiunse loro per maggior ornamento
di tal dignità la valigia, e la mazza d'argento quando cavalcavano,
volendo, che alla regia dignità fosse la loro agguagliata. Ciò fece
ancora ad onta, e per l'impegno che teneva contro Federico, il quale
diceva, che i Prelati doveano imitar Cristo e gli Apostoli, ed andar
scalzi, e a piedi, e che bisognava ridurgli alla povertà primitiva
della Chiesa[379]. Favellò poi d'altri affari della Chiesa e del
soccorso, che intendea dare a Terra Santa, e della difesa da farsi
contro i Tartari, che l'Ungheria e l'Alemagna con gravissimi danni
avevano assalita; cominciò poi ad esagerare le malvagità di Federico,
le persecuzioni, che continuamente dava ai romani Pontefici, ed agli
altri Ministri della Chiesa di Dio, mandando in esilio i Vescovi,
con privargli d'ogni avere, imprigionando i Cherici, con fargli
anche spesse fiate crudelmente morire, e commettendo continuamente
queste, ed altre simiglianti cattività. Ma surto in mezzo con molta
intrepidezza _Taddeo di Sessa_, uno degli Ambasciadori di Federico,
rispose in faccia del Pontefice e di tutti coloro del Concilio, che di
tutte quest'accuse, delle quali si caricava il suo Signore, era quegli
innocente, e che la colpa delle passate guerre dovea addossarsi a'
Pontefici romani, e che egli fidando nella giustizia del suo Signore
avrebbe dileguate tutte quelle accuse; e che Federico, se Innocenzio
avesse voluto riconciliarlo con la Chiesa, avrebbe proccurato unire la
Chiesa greca con la latina, ricuperare Terra Santa, e restituiti i beni
tolti alla Chiesa romana, e che di queste promesse egli ne offeriva
per mallevadori i Re di Francia, e d'Inghilterra; ma il Pontefice
burlandosene come vane ed illusorie, ributtò l'offerte; co' quali
discorsi si diè compimento per quel giorno a questa prima sessione del
Concilio.
Ragunatosi poi nella seguente settimana, nella seconda sessione
si cominciò di nuovo a trattar dello stesso affare, e dopo aver il
Pontefice orato di nuovo intorno alle malvagità di Federico, surse in
mezzo il _Vescovo di Carinola_, Frate che fu dell'Ordine Cisterciense,
il quale era uno de' Prelati, che l'Imperadore avea fatti cacciare
del Reame: questi, mostrando in voce afflitta e mesta gli strazj,
che avea sofferti da Federico, cominciò a fare un racconto della
costui mala vita da che era stato fanciullo, caricandolo di molte,
e gravissime ingiurie, dicendo, che Federico non credea nè a Dio, nè
a' Santi: che tenea in un medesimo tempo più mogli; che favoreggiava
continuamente i Saraceni: che tenea particolar familiarità col Soldano
di Babilonia: che sovente si contaminava con illeciti concubiti di
donne saracene; e che menando vita epicurea e tutta mondana, mostrava
non credere a niuna legge, solito a repetere quelle parole d'Averroe,
che tre persone avevano ingannato tutto il Mondo, il Salvator nostro
Gesù i Cristiani, Moisè gli Ebrei, e Maometto gli Arabi; e dopo
aver soggiunto il Vescovo altre simiglianti accuse, terminò il suo
discorso col dire, che Federico intendea di ridurre i Prelati a quella
bassezza e povertà della primitiva Chiesa, come per le sue opere, e
per molte sue lettere potea chiaramente conoscersi. Dopo costui surse
un _Arcivescovo Spagnuolo_, e confermando le cose, che avea dette il
Vescovo di Carinola, ve n'aggiunse dell'altre, accusandolo d'eretico,
di sacrilego, di spergiuro, confortando il Pontefice a procedere
contro di lui, e deporlo dall'Imperio, ed offerse d'assisterlo con
l'avere, e con la persona in tutto quel che fosse stato necessario con
tutt'i Prelati della sua Nazione, i quali in maggior numero, e con più
magnificenza degli altri eran venuti al Concilio.
Ma _Taddeo di Sessa_ impaziente per le parole ingiuriose del Vescovo
di Carinola rispose intrepidamente, che egli in tutto ne mentiva,
declamando che ei non per zelo della giustizia, ma per odio particolare
favellava in cotal guisa, opponendogli molti gravissimi falli,
per li quali lui, ed i suoi fratelli erano stati dall'Imperadore
convenevolmente puniti; che mentiva chiunque volesse imputar Federico
d'eresia; e che se egli fosse stato quivi presente colla sua propria
bocca avrebbe professata la vera fede non meno di tutti i più fini e
fedeli Cristiani; che della sua vera e cristiana religione poteva egli
mostrare un incontrastabile argomento, di non aver voluto tollerare ne'
suoi dominj gli usuraj, e d'avergli severamente puniti; _in hoc Curiam
Romanam reprehendens_ (come dice Matteo Paris) _quam constat hoc vitio
maxime laborantem_; ed avendo risposto a tutte le accuse fatte da que'
Prelati, pregò instantemente il Pontefice a soprastare a ragunar la
terza volta il Concilio, perchè Federico era giunto a Torino, e fra
poco tempo sarebbe colà venuto di presenza per purgarsi de' delitti,
che se gli opponevano; ma il Pontefice negò alla prima di volergli dare
questa dilazione, anzi soggiunse, che se Federico veniva, egli subito
si sarebbe partito; ma il seguente giorno a richiesta dei Proccuratori
de' Re di Francia e d'Inghilterra, fu costretto a dar la dimandata
dilazione; la quale non potè esser più lunga, che di due settimane.
Federico scorgendo essere inevitabile la sua condannazione, riputando
miglior partito di non essere presente, ed innanzi a Giudice a se
sospetto, recusò di venire; e non ostante che Taddeo di Sessa si
protestasse, che di ciò, che s'avea a trattar contro l'Imperadore
n'appellava al futuro Concilio, passate le due settimane, tosto ragunò
Innocenzio di nuovo i Prelati, e pubblicate da lui prima alcune
Costituzioni fatte per lo soccorso di Terra Santa, diede _non sine
omnium audientium, et circumstantium stupore, et horrore_, come scrive
Paris, la sentenza contro Federico, per la quale lo pronunciò privato
dell'Imperio, e di tutti gli onori e dignità, e di tutti gli altri suoi
Stati, assolvendo i sudditi del giuramento, ed ordinando loro sotto
pena di scomunica, che non gli dovessero più ubbidire, ordinando agli
Elettori dell'Imperio, che dovessero eleggere il successore, e che
niuno lo riconoscesse più per Imperadore o Re. Questa sentenza vien
rapportata dal Bzovio negli Annali ecclesiastici, e si legge ancora
tutta intera nella vita di Federico, che Simone Scardio prepose a'
libri dell'epistole di Pietro delle Vigne; ed abbiamo, nel raccontar
la deposizione di Federico, voluto seguitare più tosto ciò, che se
ne scrive nel quarto volume de' Concilj universali e negli annali di
Matteo Paris, che il Sigonio, ed alcuni altri Autori, giudicando con
tali scorte meglio potersi incontrar la verità.
Diede contezza il Pontefice immantinente per sue particolari lettere di
cotal sentenza a tutti i Principi cristiani, ed inviò Filippo Fontana
Vescovo di Ferrara a' Principi d'Alemagna, ed agli Elettori, perchè
creassero nuovo Imperadore, esortandogli ad esaltare a cotal dignità
Errico Langravio di Turingia.
Federico intesa la novella di cotal fatto mentr'era a Torino, acceso
di gravissimo sdegno rivolto a' suoi Baroni così disse: _Il Pontefice
mi ha privato della Corona imperiale, veggiamo se così è_; e fattasela
recare innanzi, se la pose in testa, dicendo queste parole, _che
nè il Pontefice, nè il Concilio avean potestà di togliernela_; ed
ancorchè riputasse vana ed ingiusta cotal sentenza, nulladimanco
considerando di quanto detrimento potea essergli cagione, non
tralasciò far ogni sforzo per riconciliarsi col Pontefice; onde per
mezzo del Re di Francia fece offerire al Papa _satisfactionem facere
competentem_ (narra Paris): _obtulit etiam quod in Terram Sanctam
irrediturus obiret, quoad viveret Christo ibidem militaturus_; ma
il Papa ridendosi di queste cose rispose al Re, che Federico tante
volte queste, e cose maggiori avea promesse, e poi niuna attesa; al
che replicò il Re: _Septuagies septies pandendus est sinus, peto, et
petens consulo, tam pro me, quam pro multis aliis millium millibus
peregrinaturis prosperum exitum expectantibus, imo potius pro Statu
Universalis Ecclesiae, et Christianitatis accipite, et acceptate
tanti Principis talem humilitatem, Christi sequentes vestigia, qui se
usque ad crucis patibulum humiliasse legitur_; il che quando vide il
Re di Francia rifiutarsi ostinatamente dal Papa, adirato contro di
lui andò via sdegnato grandemente, ed ammirato, che quella umiltà,
che avea conosciuto in Federico Imperadore, non avea egli potuto
trovare nel _servo de' servi_. Ed ancorchè il Pontefice per mezzo
di sue lettere avesse fatto volar per lo Mondo questa sentenza;
nulladimanco, come scrive l'Abate Stadense, _quidam Principum cum
multis aliis reclamabant, dicentes, ad Papam non pertinere Imperatorem
instituere, vel destituere: sed electum a Principibus, coronare_. E
fu così vana, e di niun effetto cotal deposizione, che narra Tritemio,
che Federico in tutto il tempo che visse da poi, _per annos ferme sex
contra eum, nec Papa, nec aliquis Principum praevalere potuit; sed non
advertens sententiam Papae, quam frivolam, et injustam esse dicebat,
se Imperatorem gessit, magnamque Principum nobiliorum, et Civitatum
usque ad mortem aderentiam habuit_. Perlaqualcosa vedendo Federico
niente giovargli la sua umiltà, fu tutto rivolto a disingannare il
Mondo di quanto proccurava opporgli Innocenzio; onde fece scrivere più
sue lettere a tutti i Principi di Cristianità purgandosi dall'accuse,
che gli erano opposte, facendo nota la nullità di tal deposizione,
come quella, che procedeva da chi non avea potestà alcuna di farla,
onde si leggono perciò ne' libri di Pietro delle Vigne molte epistole,
fra le quali è da leggersi la prima del primo libro, che comincia:
_Collegerunt Pontifices et Farisaei consilium in unum, etc._ e l'altra:
_In exordio nascentis Mundi_, e molte altre di consimile tenore.
(Presso Lunig[380], si leggono le vicendevoli imprecazioni, querimonie,
ed accuse d'Innocenzio IV e di Federico, che nell'anno 1245 seguirono
fra di loro; ed infra gli altri delitti Innocenzio imputava a
Federico, che all'usanza de' Saraceni facesse castrare in Capua alcuni,
destinandoli per custodia delle sue donne nel serraglio).
E fu da valenti Teologi dimostrato[381], non essere della potestà del
Pontefice, nemmeno del Concilio il deporre i Principi; e tanto meno
può dirsi di questo Concilio di Lione, il quale oltre di non essere
stato generale, siccome per tale non l'ebbero Matteo Paris, Alberto
Stadense, Tritemio, Palmerio, Platina ed altri, per mancarvi tutte
le condizioni de' Concilj generali, e per esservi intervenuti pochi
Prelati, nemmeno di tutte le province d'Occidente, la sentenza non fu
profferita dal Concilio, ma dal solo Pontefice, non _Sacro approbante
Concilio_, ma solamente _Sacro praesente Concilio_, come si legge negli
atti di quel Concilio, e rapportano Dupino, ed altri insigni Scrittori
ecclesiastici.
Per la qual cosa quasi tutti i Principi e Popoli d'Europa, anche dopo
questa deposizione tentata da Innocenzio, lo riconobbero per Imperadore
e Re. Nè Federico permise, che in cos'alcuna fosse Innocenzio ubbidito
da' suoi sudditi ne' suoi dominj, e ne' Regni di Sicilia; anzi ordinò
per sue lettere al Gran Giustiziere di Sicilia, che desse aspro
castigo, privandogli di tutti i beni, e scacciasse dal Regno tutti
i Frati e Preti, che per ordine del Pontefice, e suo interdetto non
avesser voluto in quell'isola celebrare i divini Ufficj, e ministrare
i Sacramenti a' Popoli; e che niuno Religioso potesse trasferirsi da
luogo a luogo senza espressa licenza, e testimonianza donde ei venisse.
Scrisse parimente consimili lettere al Giustiziere di Terra di Lavoro,
e gl'impose strettamente, che dovesse esigere da' Cherici la terza
parte dell'entrate, che possedevano di Chiesa, e gli facesse pagare
tutte le altre imposte, che pagavano i Laici, comandandogli altresì,
che coloro, i quali avessero negato di ciò fare, gli avesse prestamente
imprigionati.
§. II. _Infelice fine di Pietro delle Vigne._
Dall'aver così bene adempiute le sue parti nel Concilio di Lione
_Taddeo da Sessa_, ed all'incontro dal vedersi, che _Pietro delle
Vigne_ pur ivi mandato Ambasciador di Federico, non avesse in quella
Assemblea fatto nè pur minimo atto a difesa del suo Signore, fu
cagione, che gli emoli di Pietro cominciassero a preparargli quella
ruina, che poco stante gli sopravvenne; perciocchè gli apposero
appresso l'Imperadore, che essendo in esso Concilio suo Legato con
Taddeo di Sessa, fosse stato corrotto o dalle parole, o da' premj
d'Innocenzio, e perciò avesse tralasciato di fare quel, che gli
convenia per suo servigio; non trovandosi così negli atti del Concilio,
come negli Annali ecclesiastici del Bzovio, ed in tutti gli altri
Autori, che scrissero di tal avvenimento, fatta menzione d'altri, che
di Taddeo di Sessa: indizio chiaro, che, Pietro in nulla si volesse
intrigare, ancorchè vi fosse anch'egli presente, per la qual cosa,
fatto credere cotal fallo all'Imperadore da' suoi emoli, in gran
parte intepidirono il grande amore, che prima gli portava, e venne in
sospetto non gli ordisse qualche tradimento; onde ammalatosi Cesare
poco da poi in Puglia, consigliato da Pietro, che per ricuperar sua
salute dovesse purgarsi il ventre, e poi entrare in un bagno per ciò
apprestato, fece da un Medico famigliare d'esso Pietro, e che altre
volte in cotal mestieri l'avea servito, comporre il medicamento,
e mentre s'apprestava di torlo, gli fu data contezza, che Pietro
corrotto dai doni del Pontefice, per insinuazione del medesimo tentava
avvelenarlo; onde appresentandosegli il Medico colla bevanda, rivolto
a lui, ed a Pietro, che colà era, disse loro: _Amici, io ho fede in
voi, e so che non mi darete il medicamento per veleno_; e Pietro
gli rispose: o Signore, spesse volte questo mio Medico vi ha dato
giovevol rimedio, perchè ora più del solito temete? e l'Imperadore
guardando con torvo aspetto il Medico disse, _dammi cotesta bevanda_;
il perchè atterrito colui, fingendo di sdrucciolare col piede, ne
versò la maggior parte, per la qual cosa venendo in maggior sospetto,
fattigli prendere ambedue, fece trar di prigione alcuni condennati a
morte, i quali bevuto d'ordine di Federico quel poco della medicina,
che rimasto vi era, prestamente gli uccise; e si scoperse, che di
violentissimo veleno insieme col bagno era composta, sicchè chiarito
Cesare del tradimento, fece appiccar per la gola il Medico: e Pietro
(non volendolo far morire) fu abbaccinato, e spogliato di tutt'i
beni, e d'ogni ufficio ed autorità ch'egli avea, e condotto a vivere
miserissima vita. Ma Pietro non potendo soffrire la caduta di tanta
grandezza, informatosi da colui, che il guidava, che era presso d'un
muro, o d'una colonna di marmo, come scrive il Sigonio[382], vi battè
così fortemente la testa, che rottosegli il cerebro, in un subito morì.
Altri dicono essersi precipitato da una finestra della sua casa nella
città di Capua, ove acciecato dimorava, mentre colà di sotto passava
l'Imperadore, ed esser di repente per tal caduta morto nell'anno 1249.
Ed in quest'anno rapportano cotal morte Matteo Paris Monaco di Monte
Albano in Inghilterra negli Annali di quel Regno, che visse nell'anno
di Cristo 1250, Carlo Sigonio, ed altri più antichi Autori. Non
mancarono ancora di quegli, che scrissero esser egli morto innocente,
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