Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 22

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dell'accettazione de' Popoli, ma perchè Federico quando le pubblicò
nell'anno 1231 era stato già assoluto da Gregorio, ed era in pace colla
Chiesa romana, come si è detto. Ma non bisogna ammettere nemmeno per
vera questa ragione, perchè Federico fu scomunicato la seconda volta
da Gregorio nell'anno 1239, e sebbene il volume delle sue Costituzioni
si trovava già sin dall'anno 1231 pubblicato; nulladimanco, come si è
di sopra narrato, egli dopo il suddetto anno 1239 ne pubblicò alcune
altre, come nell'anno 1243 e negl'anni seguenti, le quali furono
inserite in detto volume, nel tempo che si trovava già scomunicato da
Gregorio questa seconda volta. Quindi è che i più sensati riputan esser
improprio, ed affatto lontano, ed estraneo il vedere, se il Principe
quando stabilisce le sue leggi si trovi scomunicato, perchè avessero
vigore o no; e tralasciando il considerare, di qual sussistenza fossero
state le censure scagliate da Gregorio IX a Federico; le scomuniche non
han niente, che fare colla potestà, che tengono i Principi in istabilir
le leggi, ch'è una delle loro supreme regalie inseparabilmente
attaccata, ed annessa alla lor Corona, che non può torsi dalla
scomunica, la quale non ha altra forza ed effetto, quando che sia
legittimamente fulminata, che separare il Fedele dalla Comunione
della Chiesa, rendendolo incapace de' Sacramenti, de' suffragi, delle
orazioni, e di tutto ciò ch'ella può dare a' suoi Fedeli, non già di
disumanar gli uomini, e torgli dalla società civile, e molto meno i
Principi da' loro Reami, e di tutto ciò che riguarda la promulgazion
delle leggi e l'amministrazione, ed il loro governo, come si ponderò
altrove nel corso di quest'Istoria.
Ed i nostri Dottori, che trattano ancora della deposizione di
Federico fatta da Innocenzio IV nel Concilio di Lione, con dire,
che se queste Costituzioni si fossero da lui stabilite dopo questa
sua deposizione, che seguì nell'anno 1246 non avrebbero avuto forza
nè vigore alcuno, sono degni di scusa; poichè allora passava per
indubitato, che potessero i Pontefici romani deponere gl'Imperadori,
ed i Re dall'Imperio, e da' Regni loro, con assolvere i vassalli dal
giuramento, secondo le massime, che allora aveano ingombrate le menti
degli uomini; ma ora abbastanza da valenti Teologi e Giureconsulti si è
posto in chiaro, che nè il Papa, nè la Chiesa istessa ha questa potestà
di deporre i Principi da' loro Regni, e molto meno gli Imperadori
dall'Imperio, ed assolvere i vassalli dal giuramento prestato, non
essendo ciò della potestà della Chiesa, la quale è sola ristretta nelle
cose spirituali, e di privare i Fedeli di quello, ch'ella può dare, non
già degl'Imperj e de' Reami, i quali i Principi riconoscono non dalla
Chiesa, nè dal Papa, ma da Iddio, unico e solo lor Signore; ciò che
ben a lungo infra gli altri, fu dimostrato da quell'insigne Teologo di
Parigi Dupino[358], e più innanzi da noi se ne discorrerà, quando della
deposizione di Federico ci toccherà favellare.
Dopo questi Commentarj di Matteo d'Afflitto, così ampj e voluminosi
sopra le Costituzioni, gli altri nostri Professori, che a lui
succedettero, si contentarono d'impiegare i loro talenti intorno alle
medesime, con far solamente alcune piccole note ed alcune addizioni al
Commento d'Andrea d'Isernia, come fecero il Consigliero _Giacopo-Anello
de Bottis, Giovanni Angelo Pisanello, Fabio Giordano, Bartolommeo
Marziale, Marco Antonio Pulverino_, ed alcuni altri. Ed essendo da
poi agli Aragonesi succeduti gli Austriaci, li quali con nuove leggi
e prammatiche, variarono in gran parte le Costituzioni suddette; si
fece sì che i nostri Professori impiegassero altrove le loro fatiche,
come si dirà a suo luogo; nè si attese più allo studio delle medesime,
e restano così, come le lasciarono Matteo d'Afflitto, e quegli altri
pochi, che a lui successero; ed oggi in quelle cose, che non sono state
rivocate, o che per lungo disuso non si trovano antiquate, hanno presso
di noi tutto il vigore, e tutta la forza di legge, a differenza delle
longobarde, l'autorità delle quali è presso noi affatto estinta ed
andata in dimenticanza.

FINE DEL LIBRO DECIMOSESTO.


STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO DECIMOSETTIMO

La pace poc'anzi conchiusa col Pontefice Gregorio, siccome si previde,
fu non guari da poi per nuove cagioni rotta e violata; e pochi anni
appresso di bel nuovo si venne ad una più fiera ed ostinata guerra,
che lungamente afflisse Italia, de' cui perniziosi effetti furono
anche tocche queste nostre province, ancorchè non l'avessero veduta
ardere nelle proprie regioni. Federico, se bene si fosse pacificato
con Gregorio, vivea però con continui sospetti, che non gli movesse
nuova guerra nel nostro Reame; ed a tal fine in quest'anno 1232 fece
egli fortificare, e munire tutti i castelli a' confini di Campagna;
e nell'entrar del nuovo anno 1233 fece con maggior numero di Saraceni
munire e fortificar Lucera in Puglia, ed all'incontro fece abbattere
le mura di Troja, città, che ne' passati tumulti s'era mostrata quanto
amica del Pontefice, altrettanto poco a lui fedele[359]. Fece ancora
fortificar i castelli di Trani, di Bari, di Napoli e di Brindisi;
e nel seguente anno fece ampliar in Napoli il castel Capuano; ed
in Capua mandò Niccolò Cicala a presedere alla nuova fabbrica del
castello di quella città, ch'egli di sua mano avea designato farsi
sopra il monte. Ed avendo ripressa la fellonia di Bertoldo fratello
del Duca di Spoleto, con intendimento del quale s'era contro di lui
afforzato in Introducco, discacciò ambedue dal Regno, e furon mandati
in Alemagna. Riebbe ancora la città di Gaeta; la qual prestò così a
lui, come a Corrado suo figliuolo, giuramento di fedeltà; ed avendovi
mandato Ettore di Montefuscolo Giustiziero di Terra di Lavoro, questi
per ordine di Federico vi istituì la dogana, e privò quella città
del Consolato, che insino allora vi s'era mantenuto, e togliendole
la potestà di crear i Consoli, vi mise egli gli Ufficiali, che la
governassero in suo nome, e di trenta torri la fortificò.
Ma non perchè avesse egli con tanta previdenza munito il Regno,
era fuor di timore che il Pontefice per altre vie non avesse potuto
frastornare i disegni ch'e' nudriva di sottoporre alla sua ubbidienza
Milano, e l'altre città Guelfe d'Italia a se ribellanti. Egli per lunga
esperienza erasi accorto che tutt'i disegni de' romani Pontefici erano
di tener divise queste città, e fomentar le fazioni Guelfe contro le
Ghibelline, acciocchè agl'Imperadori, sottoponendosi tutta l'Italia,
non loro venisse voglia sottoporsi ancora Roma, e lo Stato della
Chiesa, sottratto dall'Imperio di Occidente. Ed ancorchè Gregorio in
queste prime mosse di Federico contro le città rubelle di Lombardia,
proccurasse per mezzo de' suoi Legati porle in concordia, e più volte
si fosse affaticato mostrando zelo di pace, di quietarle; nulladimanco
tutti questi maneggi non ebbero niun buon effetto; poichè il Papa nelle
condizioni d'accordo tirava a vantaggiar sempre quelle, che potevan
giovare alle città nemiche della casa di Svevia, onde non si potè mai
conchiuder niente. Faceva di ciò gravissime querele Federico, che a
ragione si doleva di lui, il quale mal corrispondea a ciò, ch'egli
avea per lui operato, di rendergli benevoli i Romani, i quali più
volte avendo tumultuato in Roma contro di lui, ed avendolo costretto
ad uscire con poco suo onore da quella città, egli non solo avea
proccurata la pace tra i Romani, e que' di Viterbo, ma avea ancora
ridotti i Romani alla sua ubbidienza, e fattolo ricevere in Roma con
tanti segni di stima e d'ossequio con tutti i Cardinali.


CAPITOLO I.
_ERRICO Re di Alemagna si ribella contro l'Imperadore FEDERICO suo
padre: vinto, s'umilia; e FEDERICO move guerra a' Lombardi in Italia,
al che s'oppone Papa GREGORIO, da chi finalmente ne fu di nuovo
scomunicato._

Per queste procedure di Gregorio, pur troppo inclinate a favorir
le città nemiche di Federico, diede egli sospetto, che essendosi in
quest'anno 1234 rubellato Errico contro l'Imperador suo padre, fosse
ciò proceduto per opera del Pontefice, e Berardino Corio seguitato
da' moderni Scrittori lo narra come cosa indubitata, dicendo ch'Errico
primogenito di Federico e di Costanza d'Aragona, che ancor fanciullo
era stato per opera del padre creato Re de' Romani, e poi casato con
Agnesa d'Austria figliuola del Duca Leopoldo; per opera di Gregorio si
collegasse co' Milanesi, e con l'altre città della Lega di Lombardia
contro suo padre, e che gli avesser promesso i Milanesi, giunto ch'e'
fosse in Italia, di farlo coronare colla Corona di ferro.
Il Sigonio in altra guisa narra il fatto, e dice che la ribellione
d'Errico non cominciasse in Italia, ma in Alemagna (nel che va
d'accordo con Riccardo da S. Germano[360]) ove con alcuni Baroni
congiurò contro l'Imperadore, e trasse dalla sua parte, tra per amore
e per forza, molte città di quelle regioni, onde i Milanesi, e l'altre
città collegate della Lombardia, volendo valersi di sì buona occasione,
mandarono ad offerirgli la Corona di ferro, che avean negata al padre,
e grosso ajuto di soldati e d'armi, se fosse venuto in persona a
guerreggiar in Italia.
Il Campo nell'Istoria di Cremona aggiunge, che vennero in Italia il
Maresciallo Anselmo Isticense, e Valcherio Tanvembro Arcidiacono
d'Erbipoli per ricevere in nome d'Errico, come Re de' Romani,
il giuramento di fedeltà; e che giunti in Milano a' 19 dicembre,
convocarono un'Assemblea, ove convennero i Milanesi, il Marchese
di Monferrato, e Bresciani, Bolognesi, Lodegiani, e Novaresi, e
congiurarono tutti contro Federico, e contro Cremona, Padova, e l'altre
città sue partigiane, lasciando da parte solamente di far dare il
giuramento ad Errico Re de' Romani, e conchiusero, che sarebbero stati
fedelissimi a lui. Ma nè il _Sigonio_, nè il _Campo_ adducono cagion
alcuna di tal discordia tra Errico e l'Imperadore; ed essendo tutti
questi Autori moderni, bisogna rinvenir la certezza di cotal fatto
in più antico Scrittore. Riccardo da S. Germano, accennando solamente
tal sedizione d'Errico, non rapporta nemmeno egli le cagioni, le quali
però si leggono nella Cronaca del Monastero di S. Giustina di Padova
fatta da un Frate di quel monastero, che visse a tempo di Federico, e
scrisse con molto avvedimento le sue gesta, e gli avvenimenti d'Italia
insino all'anno di Cristo 1270, la qual Cronaca si conserva nel detto
monastero, e si vede impressa nel volume dell'Istorie dette _Rerum
Germanicarum_. Narrasi in questa Cronaca, che la cagione, la qual mosse
Errico a far tal rivoltura contro il padre, fu follia, e disdegno per
invidia, che Federico amava Corrado suo secondo figliuolo partoritogli
di Jole, più che lui, e con effetto negli scritti di Riccardo, ed in
altri Autori di que' tempi si scorge, che Federico amasse teneramente
Corrado, e facesse più stima di lui, che di tutti gli altri suoi
figliuoli[361].
Federico intanto, essendo entrato il nuovo anno 1235, avuta contezza
della ribellion del figliuolo, e come tentava di movergli guerra
in Italia, s'inviò verso Alemagna, e giunto a' confini di quella
fu incontrato da alcuni Signori tedeschi, e ragunato un competente
esercito, ebbe grave guerra col figliuolo, il quale era da molti
Baroni e città seguito; ma abbandonato poscia da quelli, e quasi che
solo rimasto, gitone agli alloggiamenti del padre, piangendo a' piedi
di lui si gittò, chiedendogli mercede. Federico lo ricevè, ma fatto
accorto per gli passati successi del suo feroce ingegno, il condusse
seco prigione in Vormazia[362], ove, o che con effetto tentasse ciò
fare, o oppostogli, che avesse voluto avvelenar Federico, fu in più
stretta prigione dal padre sostenuto, dandolo prima in custodia al
Duca di Baviera, e poscia, volendo affatto torlo da que' paesi, al
Marchese Lancia di Lombardia, che con Margherita sua moglie, e co'
suoi figliuoli d'ordine di lui il condusse in Puglia, e nella Rocca di
S. Felice il racchiuse[363], la cui disavventurata morte a suo luogo
racconteremo.
Dopo la qual cosa l'Imperadore prese per moglie Isabella figliuola del
Re d'Inghilterra, colla quale, condottala in Vormazia, a' 13 agosto
magnificamente si sposò: ciò che avvenne sett'anni appunto dopo la
morte di Jole. Ben è vero, che Giovanni Cuspiniano, Autor tedesco
di molta stima, nel suo libro _de Caesaribus, atque Imperatoribus
Romanorum_, dice che Federico ebbe sei mogli legittime, riponendo fra
Jole, e questa Isabella, Agnesa figliuola d'Ottone Duca di Moravia, la
quale da lui ripudiatasi maritò con Udalrico Duca di Carintia; _Rutina_
figliuola d'Ottone Conte di Wolhertzhausen in Baviera; ed _Isabella_
figliuola di Lodovico Duca di Baviera; e di niuna di queste tre, dice,
aver generato figliuoli.
Ma che si fosse di ciò, fece imporre Federico, dopo questo suo
matrimonio, una general colletta nel Reame, e fatto creare, e coronare
in Colonia Re de' Romani Corrado suo secondogenito in luogo del
deposto Errico, e lasciato in Alemagna l'Imperadrice, calò col Re
Corrado in Italia, ed andatone a Rieti dove era il Pontefice, volle
Federico, ch'il figliuolo alla sua presenza giurasse al Papa d'esser
sempre fedele ed ubbidiente a Santa Chiesa; e premendo col Pontefice,
che l'ajutasse contro i Lombardi suoi fieri nemici, contro i quali
era disposto a mover guerra; Gregorio, che non gli volea domati, lo
dissuadea, dandogli grandissime speranze, che l'avrebbe egli accordati,
e postigli sotto la sua ubbidienza; ed essendo già scorsi otto anni
della tregua, che Federico avea conchiusa col Soldano per dieci
anni, Gregorio, che voleva rinovar questa guerra, e con ciò distornar
Federico da quella contro i Lombardi, rinovò gli ordini, comandando,
che ciascuno dovesse prender la croce per così santa impresa di là a
due anni, con significarlo per sue lettere particolari de' 9 settembre
a tutt'i Principi e città del Cristianesimo. Ma Federico bramoso di
guerreggiare in tutti i modi in Lombardia, appena giunto nel Reame,
ritornò di nuovo in Alemagna all'esercito per tosto ricondursi in
Lombardia, come scrive il Sigonio. Riccardo di S. Germano senza
far menzione di cotal andata dell'Imperadore a Rieti, dice, che in
quest'anno 1236 Federico lasciato il figliuolo e la moglie in Alemagna,
con convenevole esercito, valicate l'Alpi, venisse a Verona, il che
parimente fu vero; ma Riccardo scrivendo con particolar diligenza gli
avvenimenti di Federico nel Reame, va solo accennando gli stranieri;
onde per questi, è mestieri seguire il Sigonio[364], il quale raccolse
cotai notizie da più altri antichi Scrittori, e particolarmente da
Pietro Girardo padovano, Autor di veduta nella vita di Ezelino.
Narra adunque il Sigonio, che Federico, oltremodo sdegnato per la
pertinace ribellione fatta contro di lui dalla maggior parte d'Italia,
scrisse sin da Alemagna al Pontefice, non poter più sostenere
l'ingiurie continuamente fattegli da' Lombardi; onde il pregava,
che o avesse proccurato comporre tai rumori con fargli pacificare
onorevolmente coll'Imperio, o che gli avesse prestato ajuto contro
di loro, e particolarmente contro i Milanesi autori di tutt'i mali,
e favoreggiatori degli Eretici, e dell'altre persone di mal affare,
essendo ben giusto, che egli lo corrispondesse di quello, che avea
più volte fatto a favor della Chiesa contro i Romani e i Viterbiesi,
e gli altri suoi ribelli, i quali per sua opera eransi ridotti alla
sua ubbidienza. Ma Gregorio, che avea fini all'intutto contrarj a
quei di Federico, ricevuta la lettera, rispose al medesimo, che non
dovea pensare di guerreggiare in Italia, ma più tosto disporsi alla
guerra di Terra Santa, e non frastornare con ciò il passaggio, che
allora ardentemente si preparava di fare da' Lombardi in Soria; e che
notificasse a lui le querele, che contro i Lombardi avea, perciocchè
gli avrebbe fatta compiuta giustizia; e lo stesso gli significò di là
a poco per Giacomo Pecorari di Pavia Cardinal di Preneste. Federico
sdegnato di questa risposta, e conoscendo più apertamente i disegni
del Papa, gl'inviò una forte lettera rapportata dal Sigonio[365],
che comincia, _Italia haereditas est mea, etc._, e non facendo conto
delle parole del Papa, scrisse ancora il medesimo ad un altro Principe
suo amico, aggiungendo voler nell'està vegnente passar in Italia, e
tenere nel giorno di San Giacomo general Corte in Parma, e rendere
il compenso a ciascuno delle passate ingiurie. Nè fur diverse l'opere
dalle parole; perciocchè nel proposto tempo con potentissimo esercito
di Tedeschi, Regnicoli, Siciliani, e Saraceni di Puglia, che avea
assembrato in Alemagna, venne in Augusta, ove fu incontrato da Ezelino,
che maggiormente l'accese a far guerra; e valicate le Alpi, il cui
passo tentarono invano impedirgli i Milanesi, giunse a Trento, e di
là a Verona[366]. Indi passò nel Mantovano, e quivi congiuntisi seco
i Cremonesi, Modanesi, ed altri Popoli a lui fedeli, venne a' confini
de' Bresciani, e dopo avergli posto a sacco ed a fuoco ne andò a
Cremona nel mese d'agosto, e di là a Parma, ove ragunò l'Assemblea di
tutti i Principi e città amiche, e veggendo che i suoi nemici voleano
fermamente persistere nella Lega, si conchiuse nel Parlamento, che far
loro si dovesse aspra guerra. Fu presa Vicenza, e data a sacco ed alle
fiamme, con morte e ruina di buona parte de' Vicentini suoi nemici:
devastati poscia i campi di Padova, assediò Trivigi, ma non potè allora
conquistarla, perciocchè fu da Pietro Tiepolo suo Podestà valorosamente
difesa, e Salinguerra Signor di Ferrara cognato di Ezelino, lasciata
la parte de' Lombardi, co' quali era in lega, passò all'ubbidienza di
Cesare.
In questo vennegli avviso, che in Alemagna s'era contro di lui
ribellato Federico detto il Bellicoso, Duca d'Austria, onde temendo
non potesse ciò recargli alcun grave danno, lasciato a' suoi Capitani
convenevole esercito in Italia, tornò prestamente in Alemagna, ove
secondo che scrive Giovanni Cuspiniano nella sua Austria, dopo breve
guerra, tolse al Duca Vienna, e tutti gli altri più importanti luoghi
del suo Stato, con l'ajuto d'Ottone Duca di Baviera, del Vescovo di
Bamberga, e di molti altri Prelati e Baroni tedeschi; ed il figliuol
Corrado navigando all'ingiù per lo Danubio con nobilissima compagnia
venne a ritrovar il padre, e seco tre mesi in Vienna dimorò; e
veggendo, che al Duca ribello non rimanevano, che alcuni pochi luoghi
del suo dominio, creò Vienna città imperiale, e le diede per insegna
l'aquila d'oro coronata in campo negro, la qual fin oggi ancor usa.
Celebrò poi una general Corte in Ratisbona; ed il Duca Federico dopo
varj avvenimenti, avendo ricovrato in processo di tempo il suo Stato,
venne con ducento ben armati Cavalieri a Verona, e gittatosi a piè
dell'Imperadore, fu da lui non solo caramente accolto, perdonandogli
i commessi falli, ma anche di nuove dignità e prerogative ornato, come
nel privilegio rapportato da Cuspiniano si vede.
Ezelino intanto co' Capitani di Federico prese Pavia e Trivigi con
altri luoghi di Lombardia e della Marca, usando orribilmente in tutti
que' luoghi crudelissime stragi contro i nemici di Cesare, scacciando
ancora dalle lor Chiese Giordano Prior di S. Benedetto, ed Arnaldo
Abate di Santa Giustina.
Questi progressi dell'armi di Federico dispiacquero grandemente
al Pontefice, il qual vedendo ogni giorno debilitarsi le forze de'
Collegati, ed all'incontro elevato l'Imperadore in maggiore alterigia
per la vittoria, che avea riportata del Duca d'Austria, pensò rattener
il corso di tante vittorie con frappor trattati d'accordo; ed in fatti
mandò a Federico il Protonotario Gregorio da Montelongo, perchè gli
significasse, che se avea cara la pace della Chiesa, e la sua grazia,
ricevesse sotto la sua fede i Lombardi, con le stesse condizioni,
con le quali l'avolo suo Federico nella pace fatta a Costanza, ed il
padre Errico ricevuti gli aveano, e che a sua richiesta dovesse lor
cortesemente rimettere alcuna delle ragioni che vi avea. Ma Federico
pien di cruccio, veggendo, che quando dal Pontefice dovea aspettar più
tosto ajuto contro i Milanesi nel suo ritorno in Italia, ora usasse
intercessione a lor beneficio, non ostante d'esser quelli nemici, non
pur suoi, ma della Chiesa istessa, come macchiati la maggior parte
di varie eresie, non volle sentire gli progetti fattigli dal suo
Messo; onde Gregorio composti, come potè meglio i rumori e tumulti
contro di lui eccitati in Roma per opera di Pietro Frangipane, per
potere con maggior forza attendere alla difesa di Lombardia, assai
più chiaramente si scoverse nemico di Federico: ed ancorchè un'altra
volta si ripigliassero questi trattati, e per parte dell'Imperadore si
trattassero per mezzo del Gran Maestro de' Teutonici, e Pietro delle
Vigne; e per quella del Pontefice, per mezzo del Cardinal Rinaldo de'
Conti nipote di Gregorio, e del Cardinal Tommaso di Capua destinati dal
Papa Legati per trattar questa pace fra l'Imperadore ed i Lombardi: fu
però ogni trattato vano, perciocchè gli animi d'amendue le parti erano
così pieni di baldanza e d'orgoglio, che non solo nulla si conchiuse,
ma anco di là a poco si cominciò fra di loro quella rinomata e crudel
guerra, nella quale succedette la famosa battaglia di Cortenuova con
total ruina de' Milanesi, e dell'altre città collegate, descritta da
molti Autori[367], e perciò da noi volentier tralasciata, della quale
Federico avendo riportata piena vittoria si gloriò, e più d'ogni altro,
d'avervi fatto prigione Pietro Tiepolo figliuolo di Giacomo Doge di
Venezia suo crudel nemico, ch'era Podestà e Governadore di Milano; ed
in Cremona, a guisa degli antichi Romani volle entrar in trionfo, e nel
_Carroccio_, che prese a' Milanesi, ove in que' tempi stava riposta la
gloria della vittoria[368], fece legar ad un legno il Podestà Tiepolo
con un laccio alla gola, che poco da poi fece impiccare.
Questa vittoria, siccome recò a Federico grandissima riputazione, così
diede a tutta la Lombardia tale spavento, che da Milano e Bologna in
fuori, tutte le altre città di quella al suo dominio si sottoposero,
sgomentandosi ancora gli scolari dello Studio di Bologna, i quali
contro l'ordine dell'Imperadore, che d'indi partir dovessero ed andare
a Napoli, pur vi dimorarono, per trovarsi in cattivo stato ridotto lo
Studio di quella città a cagion delle continue guerre.
Mentre l'Imperadore era in Lodi, venne a lui di Napoli nobile
Ambasciaria a pregarlo in nome sì del Comune, come de' Maestri
e Scolari, che dovesse far con effetto riformare e riporre detto
Studio in quel lodevole stato, che conveniva; a' quali Ambasciadori
lietamente di ciò, che gli chiesero compiacque, e comandò di nuovo a'
suoi Ministri, che il tutto ordinassero, vietando sì bene il poter ivi
venire i Milanesi, Bresciani, Piacentini, Alessandrini, Bolognesi e
Trivigiani, rubelli suoi e dell'Imperio, e che dalla Toscana, dalla
Marca, dal Ducato di Spoleti e da Campagna di Roma quelli solo vi
potessero andare, che erano stati seguaci e partigiani d'Enzio Re di
Sardegna suo figliuolo da lui creato General Vicario in Italia, come
si scorge da alcune scritture del registro di Federico, ch'è l'unico
di detto Imperadore, che si conserva nel reale Archivio; poichè fra le
poche memorie, che de' Principi svevi si ritrovano nei reali Archivi di
questa città per essere stati da' vincitori franzesi a tempo di Carlo
I tolte vie e mandate a male, vi è solamente rimaso un intero Registro
di Federico dell'anno di Cristo 1239 in cui si favella delle lodi della
nostra città e delle franchigie degli scolari, e de' modi particolari,
come esso Studio s'avea da governare.
Comandò ancora la stessa riforma dello Studio per una sua particolar
lettera al Capitano del Regno di Sicilia, rapportata da Pietro delle
Vigne[369]; ed avendo parimente ordinato, che si dismettessero nel
Reame ed in Sicilia ogni altro Studio pubblico, scrive poi per altre
sue lettere al Giustiziero di Terra di Lavoro, che non dia per cotal
ordine molestia alcuna a' Maestri, che leggeran grammatica, i quali
come bisognevoli a' primi ammaestramenti de' fanciulli, non volea, che
in esso ordine fossero compresi.
Nel medesimo tempo per aver dimostrato Ezelino nella battaglia di
_Cortenova_ e nell'altre guerre avvenute in Italia sommo valore e fede,
seguitando le parti dell'Imperadore, Federico per essergli grato, il
volle per suo genero e gli diede per moglie una sua figliuola bastarda
nomata Selvaggia.
Federico ancorchè vittorioso, ed a cui quasi tutta l'Italia erasi resa
ubbidiente, meditava però soggiogarla all'intutto e conquistar Milano,
Piacenza, Bologna, Faenza, ed alcune altre città, che ancor duravano
nella ribellione; onde partito da Italia ritornò di nuovo in Alemagna
per ragunare colà di nuovo grosso esercito e ritornare nella seguente
Primavera in Italia.
Il Pontefice Gregorio amaramente soffriva questi disegni di Federico,
e temea non la sua potenza in Italia ponesse anche lo Stato della
Chiesa in sconvolgimento; onde pensò, non avendo a chi ricorrere
in Italia, d'implorare l'aiuto de' Principi stranieri: inviò perciò
suoi Ambasciadori a Giacomo Re d'Aragona, detto il _Conquistatore_,
Principe sopra ogn'altro di grandissima stima in questi tempi per
le magnifiche e valorose imprese da lui fatte in discacciando i Mori
da molti Regni di Spagna, acciocchè il richiedessero in nome di lui
e delle città collegate sopraddette, che venisse a guerreggiare con
Federico, che l'avrebbero creato Signore di Lombardia, con pagargli
tutte quelle rendite e fargli tutti quegli onori che si solevano
fare agl'Imperadori. Dimorava allora il Re Giacomo all'assedio di
Valenza tenuta da' Mori e sdegnato con Federico per la prigionia del
suo figliuolo Errico, il quale per cagion della madre Costanza gli
era fratello consobrino concorse nel voler del Pontefice e promise di
venire in suo soccorso con dumila cavalli e con altre condizioni, le
quali vengono rapportate da Girolamo Zurita; ma poscia, qual che se ne
fosse la cagione, il Re Giacomo non venne mai in Italia, ma sì bene
da poi ci venne il Re Pietro suo figliuolo, benchè contro la volontà
de' seguenti Pontefici e con le ragioni della Casa di Svevia che la
sua moglie Costanza gli avea recate, dal quale, secondo che appresso
diremo, fu la Sicilia valorosamente signoreggiata.
Federico intanto, assoldata gross'armata in Alemagna, commise al
figliuol Corrado che a Verona con essa il seguitasse; ed egli passato
innanzi soggiogò senz'alcun contrasto Vercelli, Torino e tutte
l'altre città e luoghi circostanti; e nel seguente mese di luglio,
passate l'Alpi, venne il Re Corrado con molti Prelati, e Signori
tedeschi e numeroso esercito a Verona, dove il padre l'attendea e di
là passò a Cremona, ed indi a Padova, ove tenne una general Corte. I
Milanesi spaventati per tant'apparati, per vedersi rimasti con poca
compagnia, pregarono il Pontefice, che per loro s'adoperasse appresso
l'Imperadore: inviarono Ambasciadori a chiedergli umilmente la pace,
con offerirgli diecimila soldati, per mandargli in soccorso di Terra
Santa, purchè egli avesse conservata la città in quella libertà,
nella quale allor vivea. Della cui proposta facendosi beffe Federico
allor rispose, che egli gli avrebbe ricevuti, purchè senza alcun patto
essi e la lor città se gli rendessero a suo arbitrio e volontà; ma i
Milanesi temendo della ferocia di Federico, risolvettero morir meglio
sotto l'armi in campo combattendo da valorosi soldati, che o bruciati,
o di fame in prigione, o impiccati per la gola; onde ostinati alla
difesa rinforzarono le mura ed i fossi della città, e la munirono di
soldati e di armi, collegandosi con chiunque poterono. Ma Federico,
compiuta ch'ebbe l'Assemblea, divise in due parti l'esercito, e con
una assediò Brescia e l'altra inviò sopra Alessandria, ed amendue con
continui assalti travagliando distrusse e rovinò il lor territorio; e
mancandogli denaro per sostenere sì crudel guerra per mezzo di suoi
Ministri imponeva taglie e dazj sopra i beni delle Chiese e degli
Ecclesiastici, di che isdegnato Gregorio, mentre l'Imperadore dimorava
in quest'assedio gli significò, che lasciasse stare in pace le ragioni
della Chiesa: onde Federico stimò per racchetarlo e per difendersi da
tali accuse, mandare in Alagna, ove allor dimorava, l'Arcivescovo di
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