Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 01

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ISTORIA CIVILE
DEL
REGNO DI NAPOLI

DI
PIETRO GIANNONE

VOLUME QUARTO

MILANO
PER NICOLÒ BETTONI
M.DCCC.XXI


STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO DUODECIMO

Il Regno di Guglielmo I non tanto per le forze d'esterior nemico,
quanto per l'interne rivoluzioni dei suoi Baroni, fu tutto perturbato
e sconvolto, e si rese memorabile più per le congiure e sedizioni
contro la sua persona, e de' maggiori personaggi della sua Corte, che
per guerre e battaglie. Cagione di tanti mali fu l'aver voluto questo
Principe dispregiare le azioni dell'ottimo padre, e permettere che lo
stato della Corte, con tanta industria da colui riformato in meglio,
andasse in ruina, avendo egli que' personaggi, che Ruggiero avea tenuti
per suoi famigliari, parte condennati in esilio, e parte imprigionati.
Ma assai più che conveniva, avendo innalzato Majone di Bari a' primi
onori del Regno, e fattolo suo Grand'Ammiraglio, pose anche in sua mano
tutto il governo del Regno: e gli fu sì caro, che dove agli altri era
cupo ed austero, a costui solo era aperto e trattabile: di che offesi
i principali Baroni s'alienarono da lui in maniera, che gli posero
sossopra il Regno, come di qui a poco diremo.
Egli, morto il padre, ancorchè poco men, che quattro anni avesse
regnato in sua compagnia, fece tosto convocare tutti i Prelati e Baroni
del Regno, e si fece di nuovo solennemente incoronare in Palermo nel
giorno di Pasqua di quest'istesso anno 1154. E non guari dopo tanta
celebrità, succederono le pompe e le feste per la nascita di Guglielmo
suo secondo figliuolo, natogli in questo medesimo anno dalla Regina
Margherita sua moglie, figliuola che fu di Garzia II Re di Navarra;
poichè Ruggiero suo primogenito era nato già in vita dell'avolo[1].
Così nella Casa regale non v'erano altri Principi del sangue, che
Ruggiero e Guglielmo II ancor lattanti. Costanza loro zia, postuma di
Ruggiero, ancor era bambina. Tancredi e Guglielmo figliuoli di Ruggiero
Duca di Puglia ancor giovanetti, erano per ragion di Stato tenuti
carcerati e custoditi nel regal palazzo in Palermo: restò adunque solo
Guglielmo in età di 34 anni, senz'appoggio di parenti al governo, non
meno de' Regni di Puglia e di Sicilia, che dell'altre province e città
della Grecia e dell'Affrica.
S'aprì pertanto largo campo al Grand'Ammiraglio Majone di porsi in mano
il cuore del Re, e di governare con assoluto arbitrio i suoi Reami,
essendo egli dotato di tutte quelle prerogative, che possono innalzar
un privato al Principato. Egli era di pronto e vivace ingegno, ed abile
a qualunque più dura e difficile impresa: assai facondo nel dire,
dotato di liberalità regia, simulatore e dissimulatore espertissimo
ed avidissimo di dominare; per la qual cosa rivolgea continuamente
in se stesso varj pensieri divisando, come giunger potesse al sommo
delle dignità e degli onori; ma celava il tutto con una gran serenità
e allegrezza di volto: trattava col Re gl'interi giorni degli affari
del Regno, ed escluso ogni altro, a lui solo si comunicavano i
secreti più riposti di Stato, e le sue parole, e suoi consigli erano
solo fedeli ed accettati. Nè mancava egli, per l'autorità che avea,
d'acquistarsi da per tutto amici e partegiani, donando a suo talento i
governi delle province, le guardie delle Fortezze, ed i carichi della
milizia, essendogli Guglielmo tanto alla mano, che mai cos'alcuna,
ancorchè grande e malagevole, purchè da lui gli fosse chiesta, non gli
negò: corruppe ancora (per torsi via ogni ostacolo, che aver potesse)
l'onestà della Regina, di cui si finse innamorato, e trasse parimente
dalla sua parte tutti gli Eunuchi saraceni custodi del palazzo reale.
In breve egli era il Moderatore del Regno, e seppe cotanto ingrandir la
sua Casa, che un suo fratello, ed un suo figliuolo, chiamati ambedue
Stefani, innalzò a' primi gradi della milizia, ed il figliuolo d'una
sorella, nominato Simone, lo fece Gran Siniscalco del Regno; ed una
sua figliuola la casò con Matteo Bonello uno de' principali Baroni
del Regno; e Lione e Curazza suoi parenti, persone per l'innanzi
vilissime, vennero a sì fatta grandezza, ch'essendo morti in vita del
figliuolo, da' Monaci di Monte Cassino furono registrati i giorni de'
loro transiti in un libro, nel quale notavano solamente la morte de'
Papi, Imperadori, Re, Duchi di assoluto dominio e simili personaggi,
con quelle parole: _Curazza mater Madii Magni Admirati Admiratorum
obiit VII. Kal. Aug. Et Leo pater Admirati Admiratorum obiit VI. Id.
Septembris_[2]. Ed il Cardinal Laborante, che in questi tempi era
riputato il più dotto, ed uno de' migliori Letterati, che fiorisse in
Roma, avendo composto un libro _de Justi, et Justitiae rationibus_,
che ancor oggi si ritrova diviso in quattro parti, lo dedicò a questo
nostro Majone, come ad un personaggio in questi tempi il più illustre
e rinomato in tutta Europa.
Vedutosi perciò in tanta sublimità vennegli pensiero, come finalmente
potesse giungere al disegno di usurpare il Regno; e scorgendo non
restargli ora altro che fare, se non torsi dinanzi tutti coloro, che
potevano impedire il suo disegno, a questo solo drizzò tutti i suoi
talenti ed i suoi pensieri.
Temea egli più degli altri in tal impresa Simone Conte di Policastro
figliuolo bastardo, come si disse, del Re Ruggiero, Roberto di
Bassavilla Conte di Loritello consobrino di Guglielmo, ed Eberardo
Conte di Squillace, la cui virtù era assai nota a ciascuno, e sapea
certo non potersi nè con premio, nè con fraude corrompere la lor fede,
e conoscea, che salvi costoro, egli s'affaticava indarno. Incominciò
adunque a maneggiar la lor ruina, e conoscendo essergli mestiere
aver per compagno de' suoi consigli Ugone Arcivescovo di Palermo,
acciocchè col suo ajuto potesse recar più agevolmente a fine il suo
intendimento, essendo l'Arcivescovo uomo avveduto e di grande animo,
ed atto a qualsivoglia grande affare, ed anch'egli avido di comandare:
cominciò primieramente l'Ammiraglio, a scoprirgli pian piano il suo
pensiere, dandogli a vedere, che tolta la vita al Re, come uomo non
atto al governo e malvagio, sarebbe poscia agevolmente venuta in lor
potere la cura de' piccioli figliuoli, per la qual cosa sarebbero
essi stati Signori del tutto, insin che que' fanciulli fossero a
perfetta età pervenuti. Non volle scoprirgli l'animo, ch'egli avea di
usurparsi il Regno, acciocchè colui non si smarrisse per la grandezza
della malvagità, sperando, se potesse divenir Tutore de' figliuoli del
Re, non potergli niuna cosa più impedire il suo desiderio. Strinse
per tanto l'amistà con l'Arcivescovo con strettissimo giuramento
d'ajutarsi l'un l'altro egualmente in ogni fortuna, e fece sì che egli
divenne prestamente amico e famigliare del Re, acciocchè approvasse, e
difendesse appo lui qualunque cosa, ancorchè scellerata, ch'ei facesse.
Questi furono i fondamenti, che gettò Majone per dovervi sopra
appoggiare le fabbriche eccelse della sua ambizione: intanto surser
nuove occasioni, delle quali seppe l'Ammiraglio opportunamente valersi
per ruinare i suoi emoli, e coloro che potevano fargli ostacolo nel
suo disegno. Era, come s'è detto, morto in Roma Papa Anastagio, e
creato in suo luogo Adriano IV inglese. Questi offeso, che Guglielmo
erasi fatto incoronare Re in Palermo senza richiedernelo, secondo ciò
che i Pontefici pretendevano nelle nuove incoronazioni de' Principi
loro Feudatarj, avendogli il Re, intesa la sua elezione, mandati suoi
Ambasciadori per confermar con lui la pace, che avea avuta col suo
predecessore, egli glieli rimandò in dietro senza conchiuder niente.
Onde passato poi Guglielmo da Palermo a Messina, e di là a Salerno,
avendogli Adriano, mentre dimorava in questa città, mandato il Cardinal
Errico con sue lettere, non solo il Re non volle riceverlo, ma gli
fece ordinare, che tantosto sgombrasse dal suo Regno, ed in Roma ne
ritornasse; irritato ancora perchè nelle lettere, che a lui recava, il
Papa non gli dava il titolo di Re, ma solo di _Signore di Sicilia_,
pretendendo che non potesse egli nomarsi Re, essendosi dopo la morte
di suo padre fatto incoronare senza sua concessione ed autorità[3].
Ma Guglielmo riputando a suo scorno, che dovesse richiedere da lui
ciò ch'era in suo arbitrio, fieramente sdegnato, dopo aver celebrata
la Pasqua in Salerno in quest'anno 1155, avendo creato suo Gran
Cancelliero Asclettino Arcidiacono di Catania, gli diede il governo
della Puglia, con ordine di ragunare un grosso esercito per campeggiare
Benevento, e dar il guasto al suo territorio, e di sorprender quella
città ad onta del Pontefice. All'incontro Adriano scomunicò il Re,
il quale, oltre d'aver comandato al Gran Cancelliere l'assedio di
Benevento, ordinò ancora, che niun Vescovo de' suoi Regni riconoscesse
il Papa, nè che alcuno ricercasse da lui più la consecrazione. Indi
partissi da Salerno, e con Majone in Palermo fece ritorno.
Intanto il Cancelliero, dopo aver dato il guasto al territorio di
Benevento sino alle mura della città, tentò di sorprenderla: ma difesa
con molto valore da' Beneventani, i quali uccisero il lor Arcivescovo
per averlo scoverto amico e partegiano di Guglielmo, obbligarono il
Cancelliero a cingerla di stretto assedio; il quale tuttavia durando,
alcuni Baroni mal contenti del governo presente, istigati ancora dal
Papa, si ribellarono da lui, ed entrarono dentro Benevento, ed altri
senza tor commiato si partirono dal campo; per la qual cosa dividendosi
l'esercito, si tolse l'assedio[4]. Il Conte Roberto di Bassavilla pieno
d'ira e di mal talento ritornossene a dietro in Puglia, poich'essendo
stato, mentr'era il Re in Salerno, per visitarlo, fu per opra di
Majone sì mal veduto ed accolto, che il Re nè meno volle parlargli.
Onde il Cancelliero con la gente che gli era rimasa, e con altra che
assoldò nuovamente, passossene in Campagna di Roma, dove prese e brugiò
Cepparano, Bacucco, Frusinone, Arce, ed altri luoghi vicini; e poscia
ritornando nel Regno fece abbattere le mura d'Aquino, Pontecorvo, ed
altre Castella de' Padri di Monte Cassino[5] partegiani del Papa, e
cacciatine altresì tutti i Frati, eccetto dodici, che vi lasciò alla
cura della Chiesa, fece ritorno in Capua, ove fermossi in compagnia del
Conte Simone, con intenzione di star colà in guardia del Regno, così
per impedire ogni movimento, che avesser potuto fare i Baroni, i quali
eran da pertutto fieramente turbati dalla potenza dell'Ammiraglio, non
ben discernendo se egli, o Guglielmo era Re di Sicilia; ma più ancora
per impedire un nuovo turbine di guerra, che soprastavagli, poich'era
precorsa voce, che l'Imperador Federico Barbarossa con grande oste di
Alemagna calava in Italia.

§. I. _L'Imperador FEDERICO I, fa lega con EMANUELE COMNENO Imperadore
d'Oriente, e move guerra col Papa al Re GUGLIELMO._
Era Federico non altrimenti, che i suoi Predecessori inimico
implacabile de' Normanni, e non meno che furono Lotario, Errico e
Corrado contro Ruggiero, così egli avea drizzati i suoi pensieri
per discacciar Guglielmo dalla Puglia e dalla Sicilia, riputandolo
come usurpatore delle province dell'Imperio. Niun Imperadore ebbe sì
alti concetti dell'Imperio restituito da Carlo Magno in Occidente,
quanto costui: egli si reputava un altro Ottaviano Augusto; e che
tutte le province, ch'erano prima di quel vasto Imperio, fussero pure
nell'Asia, o nell'Affrica, o in qualunque altra più remota parte del
Mondo, appartenessero al suo Imperio, e che perciò avesse bastante
dritto di cacciarne gl'invasori; e si vide chiaro, quando avendo il
Saladino occupati molti luoghi della Siria, non si ritenne, prima di
movergli guerra, di minacciarlo se non restituiva que' luoghi, con
una terribile lettera, che volle scrivergli, rapportata negli Annali
d'Inghilterra di Ruggiero e di Matteo Paris, nella quale fra gli altri
vanti e rodomontate gli scrisse: ch'egli non poteva dissimular di
sapere, come ambedue l'Etiopie, la Mauritania, la Persia, la Siria,
la Parzia, ove Marco Crasso (che lo chiama suo Dittatore) morì, la
Giudea, la Samaria, l'Arabia, la Caldea e l'istesso Egitto, ove Antonio
effeminossi con Cleopatra, l'Armenia ed innumerabili altre province,
erano soggette al suo Imperio. Ma il Saladino gli rispose con non
minor arroganza ed orgoglio del suo, siccome si vede dalla risposta,
che vien anche rapportata da' medesimi Scrittori. Conobbesi ancora,
che niun'altro Imperadore prima di lui ebbe quella fantasia di creare
tanti Re onorari, come fece egli, il quale inviò la spada e la Corona
regale a Pietro Re di Danimarca, attribuendogli il nome di Re, al Duca
d'Austria, ed al Duca di Boemia, come abbiam narrato nel precedente
libro.
E fu cotanto a lui perniziosa questa boria di credersi Signore di
tutto il Mondo, anche delle città e luoghi particolari, che per aver,
secondo queste idee (fomentate ancora dal lusingator Martino nostro
Giureconsulto) voluto imporre leggi e condizioni molto rigorose
alla Nobiltà ed alle città d'Italia, se gli ribellò contro tutta la
Lombardia, onde nacque la ruina di Milano, come qui a poco vedremo.
Per queste massime egli reputava Guglielmo invasore, ed ingiusto
usurpatore non meno della Puglia, che della Sicilia, proccurava
perciò tutti i mezzi, ed impiegava tutti i suoi sforzi per discacciar
questo inimico della sua sede; ma considerando che per se solo non
poteva conseguirlo; poichè se bene per la conquista del Regno di
Puglia potesse unire un conveniente esercito, e far l'impresa per
terra; nulladimanco, non avendo armate di mare, era impossibile
tentar l'impresa di Sicilia: perciò sin dall'anno precedente 1154,
dopo aver intimata una Dieta a Ratisbona, avea mandati Ambasciadori
all'Imperador Emanuele Comneno, affinchè conchiudesse con esso lui la
lega contro Guglielmo[6]. Questi non meno che Federico mal soffriva
l'ingrandimento de' Re normanni, i quali non contenti d'avergli tolta
la Sicilia, ponevan anche nella Grecia il lor piede; ed insino alle
porte di Costantinopoli s'erano stesi. Guglielmo si vide in mezzo a
due potenti inimici insieme uniti e collegati. Ed era cosa veramente
da ammirare, che Federico da un canto millantava al suo Imperio
d'Occidente appartenersi i Regni di Guglielmo; e dall'altra parte
Emanuele minacciava, ch'egli ed i suoi Romani non si sarebbero mai
astenuti di portar guerra in Italia, insino che quella e l'intera
isola di Sicilia non saranno restituite al suo Imperio, donde furon
divelte[7]. Proccurò ancora Federico collegarsi co' Pisani potenti
allora in mare, che parimente contro Guglielmo si mossero; il qual
implicato ancora nella guerra, che avea mossa al Papa, ed insospettito
della fedeltà dei suoi Baroni, si vide in tanta costernazione e
malinconia, che abborrendo chiunque veniva da lui, stava sempre solo
racchiuso nel suo palazzo, trattando solamente con Majone e con
l'Arcivescovo, da' quali intendeva gli affari del Reame, non come
conveniva, ma come meglio a' loro disegni si confaceva. E Majone
intanto vedendo non potersi aspettar miglior tempo, che quello che
correa per condurre a fine i suoi lunghi divisamenti, fece credere al
Re, che il Conte erasi ritirato in Puglia pien di mal talento, non per
altro, se non perchè aspirava al Regno in virtù di certo testamento
di Ruggiero, ove dicea che succedesse costui in caso che il figliuolo
Guglielmo non fosse stato atto a governare i suoi Regni; e perciò
scrisse ad Asclettino, che lo chiamasse a Capua, e giuntovi il facesse
prigione, inviandolo sotto buona custodia a Palermo. Ma insospettito
prima il Conte di tal chiamata, e poi avvedutosi dell'inganno, resistè
al Cancelliero, che in nome del Re gli comandava, che avesse consignati
tutti i suoi soldati al Conte Boemondo, dicendogli tutto cruccioso,
che quel comandamento era di matto o di traditore, e non volendone far
nulla, si partì di Puglia, e con tutta la sua gente n'andò in Apruzzi.
Proccurò ancora Majone nell'istesso tempo, non bastandogli questo, che
il Conte Simone parimente ruinasse; poichè fatta ad arte insorgere
tra lui, ed il Cancelliere gara, e nato tumulto fra i soldati,
tal avvenimento in Corte non com'era stato, ma come a lui piacque,
descrisse, aggiungendovi, che il Conte era cagione di que' disturbi,
e che ei trattava negozi di molta importanza col Conte Roberto, a cui
egli mandava perciò secreti messi: queste lettere bastarono a Majone
di far credere al Re che il Conte Simone insieme col Conte Roberto
con molti altri congiurassero contro la sua persona per torgli il
Regno; onde Guglielmo, ch'era sempre in sospetto de' suoi più stretti
parenti, chiamò il Conte in Palermo, e senza dargli tempo da potere
addurre cosa alcuna in difesa della sua innocenza, lo fece imprigionare
con indignazione di tutti contro l'Ammiraglio, per opera di cui ogni
malvagità si vedeva avvenire.
Accadde in questo medesimo tempo, che il Re, o per grave infermità
sopraggiuntagli, o per altra cagione, si racchiuse in modo nel regal
palazzo, che per alcuni giorni non si faceva nè vedere, nè parlare da
niuno, se non dall'Arcivescovo e da Majone: il perchè si sparse fama
per li suoi Regni, ch'egli fosse morto avvelenato dall'Ammiraglio.
Questa fama divolgata in Puglia cagionò sì gravi movimenti, che si
videro in un subito molte province sconvolte; poichè Papa Adriano
non si lasciando scappar tal congiuntura sollevò tosto i Baroni della
Puglia contro il Re, e quelli che Guglielmo avea discacciati[8]. Nel
che, per l'alienazione ed abborrimento che aveano col Re per cagion
di Majone, non vi volle molta industria per tirargli alla ribellione.
Si videro perciò in un subito ardere la Calabria, la Puglia e Terra di
Lavoro in una crudelissima guerra, e piene di tumulti e di sedizioni.
Il Conte Roberto, avendo tosto ragunato un numeroso esercito ne'
contorni d'Apruzzo, sorprese molte città della Puglia poste in riva
del mare, insino a Taranto: e presa Bari, fece, col consentimento dei
suoi cittadini, spianar la Rocca fattavi non molti anni prima edificar
dal Re Ruggiero; ed avendo altresì insieme col Pontefice allettato
l'Imperador Emanuele ad accompagnare le sue forze contro Guglielmo,
ponendolo in sicura speranza di ricuperar la Puglia, e sottoporla
come prima al suo Imperio d'Oriente, ne ottenne molta gente guidata da
nobilissimi Capitani, e molta moneta, che gli inviò sino a Brindisi,
a' quali si rese quella Piazza assai considerabile pel suo porto, ove
Emanuele designava mandar più numerosa armata.
Nè minori sconvolgimenti cagionò la fama della morte del Re in Terra
di Lavoro; poichè il discacciato Principe di Capua Roberto, che sinora
avea menati i suoi giorni in Sorrento in vita privata, dissimulante
Ruggiero, onde per ciò lo dissero ancora Roberto di Sorrento[9], non
avendo bisogno che il Papa lo stimolasse, subito se ne venne in Capua,
ed occupò tantosto la sua antica Signoria, e poco da poi non solo
interamente si sottopose tutti i luoghi del suo antico Principato, ma,
passato anch'egli in Puglia, avea soggiogato quasi tutto il rimanente,
eccetto Melfi e Troja. E ne' Picentini ed in Terra di Lavoro andaron
le cose del Re così male, che non era rimasto in sua balia altro,
che Amalfi, Napoli e Salerno, ed alcuni altri pochi forti e muniti
castelli; perciocchè Riccardo dell'Aquila Conte di Fondi avea presa
Sessa e Tiano, e 'l Conte Andrea da Rupe Canina il Contado d'Alife.
S'accrebbe il timore di disordini maggiori; perchè in quest'istesso
tempo Federico Imperadore di Alemagna era giunto in Roma, ove era stato
da Papa Adriano ricevuto con molta pompa, ed in S. Pietro solennemente
coronato; ed il Papa, prima della sua coronazione, s'avea da lui fatto
promettere, oltre di calar in Puglia contro Guglielmo, che senz'il suo
invito per sua propria inimicizia che avea con lui lo avrebbe fatto,
di deporre ancora i Senatori in quella città creati, e di ridurla,
come prima, all'ubbidienza del Pontefice. Ma Federico per nuove
cagioni non potè eseguirlo; perchè sopraggiunta nel suo esercito una
gran pestilenza, bisognò tornarsene in Alemagna, e fu d'uopo partirsi
ancora, per sedare nel passaggio i disordini nati in alcune città di
Lombardia, senza che, dopo essere stato coronato, avesse voluto far
nulla di quanto al Papa avea promesso; se non solo di aver affrettato
il soccorso e spinta l'armata de' Pisani contro Guglielmo.
Il Papa, ancorchè deluso da Federico, non per questo volle perdersi
d'animo ora che il tempo era a lui cotanto favorevole; poichè avendo
ragunato, come potè meglio, un grosso esercito, postosi alla testa
di quello, entrò nel Regno, e tosto s'unirono a lui il Conte Andrea
di Rupe Canina, e i mal soddisfatti Baroni: se gli unisce ancora
Roberto, che poc'anzi avea occupato il Principato di Capua, il quale
giunto in Terra di Lavoro, passò poi a Benevento, ove fu a grande
onore ricevuto da' Beneventani: dall'altra parte l'Imperador Emanuele
volendosi vendicar dell'ingiurie ricevute da Ruggiero, nel figliuolo
Guglielmo, avea mandati in Puglia Paleologo, Cominato, Sebasto ed altri
illustri e valorosi Capitani con grosso stuolo di armati, e con molta
moneta in soccorso del Conte Roberto; ed avea altresì mandato a dire
al Pontefice, che l'avrebbe aiutato a disfare interamente Guglielmo,
purchè avesse poi lasciate in suo potere tre città poste in riva del
mare di quella provincia, con li cui soccorsi il Conte Roberto faceva
aspra guerra in Puglia, e n'avea già buona parte occupata[10].
Ecco in quale stato deplorabile si ridussero queste nostre province
in quest'anno 1155 ed in quanti sconvolgimenti; la novella de' quali
pervenuta a Palermo, non bastò a scuotere l'infingardaggine del Re,
il quale rincrescendogli d'uscir dagli agi del palazzo, avea data
occasione alla falsa voce della sua morte; perchè Majone coprendo con
la tranquillità del volto l'interno affanno, non fece accorgere nè il
Re, nè altri del suo timore, onde reputò allora non esservi di bisogno
d'altro se non che il Re scrivesse a coloro, che ancor duravano nella
sua fede, ch'era stata falsa, ed inventata da' suoi rubelli la fama
uscita fuori della sua morte, e che fossero con gente armata usciti
contro di loro.
Ma se non bastarono i tumulti di queste province, per opra di Majone,
a torre il Re da quel sì lungo e profondo letargo, furono bensì
sufficienti que' che vide nella Sicilia, e nell'istessa città di
Palermo poco da poi: poichè ribellatosi il Conte Giuffredi, e scoverta
da lui la congiura di Majone, ancorchè il Re non la credesse; e per la
tirannia dell'Ammiraglio sollevatisi i Siciliani, occuparono Butera; e
tumultuando gravemente il Popolo della città istessa di Palermo contro
Majone per l'ingiusta prigionia del Conte Simone: tutte queste cose, ed
altre unite insieme, finalmente trassero il Re dagli agi del palazzo,
destandolo in maniera, che con impeto a' maggiori pericoli esponendosi
racchetò il tumulto di Palermo con far sprigionare il Conte Simone,
ricuperò Butera, ed avendo restituita quell'isola nell'antica quiete,
si risolvette di venire egli in Puglia a debellare i suoi ribelli, e
porre quiete a questo Regno; passò perciò immantenente a Messina per
valicar il Faro; e portatosi colà in quel mentre il Cancelliere, gli
furono date gravi querele dal Conte Simone, per non aver difesa come si
conveniva Terra di Lavoro; e volendo egli audacemente difendersi, non
fu inteso, anzi fu di presente chiuso in prigione ove di là ad alcuni
anni miseramente finì sua vita. Ragunata Guglielmo come potè meglio una
armata, partitosi da Messina, venne in Regno, ed a Brindisi accampossi
in questo nuovo anno 1156[11], ed avendo mandato l'Eletto di Catania al
Pontefice per chiedergli pace, con offerirgli vantaggiose condizioni,
fu per opra d'alcuni Cardinali partegiani dell'Imperador Federico
rimandato indietro senza conchiuder nulla; laonde il Re veggendosi
escluso d'ogni speranza d'accordo, senza far più parole, campeggiò
virilmente Brindisi, ove erano i Greci, ed ove s'eran ragunati la
maggior parte de' Baroni rebelli; e la strinse sì fattamente, che
Roberto di Bassavilla ch'era in sua difesa, sgomentato fuggì via a
Benevento; e travagliando il Re quella città con continui assalti, così
dal lato di mare, come da quello di terra alla fine la prese a forza,
facendo prigionieri tutti i Capitani più stimati de' Greci con molti
altri di minor conto, e buona parte de' Baroni di Puglia con altri lor
seguaci, de' quali molti fece morire impiccati per la gola, ed altri
fece abbaccinare, conquistando parimente tutte le ricche spoglie de'
Greci e grossa somma di moneta, che ivi avean condotta per gli bisogni
della guerra[12].
Passò poi il Re col vincitor esercito a Bari, ed i Baresi vedendo che
il Papa ed il Conte, che avean proccurata la ribellione, non mandavan
loro soccorso alcuno, pensarono di rendersi alla pietà del Re; e
per mitigar la sua ira gli andarono incontro disarmati a chiedergli
mercè; ma Guglielmo vedendo le ruine della Rocca, che colà il padre
Ruggiero avea edificata, la quale non guari prima i Baresi avean fatta
abbattere, rispose: _Io non perdonerò alle vostre case, non avendo
voi avuto rispetto alla mia_[13]; indi comandò, che fra due giorni
con tutti i lor beni si partissero; la qual cosa posta immantenente
in esecuzione, fece primieramente il Re diroccar le mura della città
sino dai fondamenti, indi disfar tutti gli edificj sì fattamente,
che ogni cosa fu ridotta in rovina, ed adeguata al suolo. Così rimase
affatto distrutta Bari, la qual città per la ricchezza e nobiltà de'
suoi cittadini, per lo numeroso suo Popolo, per la bellezza de' suoi
palazzi e per la fortezza delle mura, fra tutte le altre di Puglia,
era potentissima, e riputata un tempo la sede de' più gran personaggi
della Grecia. Quindi si convince l'error di coloro, che vogliono Bari,
in tempo della Regina Costanza e di Manfredi, essere stata riputata
sede regia, dove questi Principi furono incoronati; poichè Bari, dopo
quest'avvenimento, si ridusse in più ville, nè se non molto tempo da
poi riprese forma di città. E vedi intanto l'incostanza delle mondane
cose, e come tutte queste vicende servirono ad innalzar Napoli sopra
tutte le altre città di questo Reame; poichè, se allora vi rimase
Salerno, non dovranno passar molti anni, che vedremo ancora questa
città parimente ruinata e distrutta per l'ira ed indignazione d'Errico
marito di Costanza.
Prese da poi il Re Taranto con tutti gli altri luoghi di quella
provincia, che il Conte Roberto, ed i Greci aveano occupati; e di là si
condusse a Benevento, ov'era il Papa Adriano co' suoi Cardinali; e buon
numero d'altri Baroni, che v'erano fuggiti; e cingendola di stretto
assedio, afflisse di modo quella città, che il Papa, scordatosi affatto
de' Baroni del Regno, che avea posti in tanti travagli e pericoli,
veggendo il periglio, in ch'era incorso per non essersi in prima,
quando gli offeriva vantaggiose condizioni, pacificato con Guglielmo,
gl'inviò tre Cardinali per suoi Legati a chiedergli pace. Furono questi
Ubaldo Cardinal di Santa Prassede, Giulio Cardinal di S. Marcello, e
Rolando Cancellier di Santa Chiesa e Cardinal di S. Marco[14], i quali
non altrimente che fece Gregorio II quando scrisse tre lettere a Pipino
in nome di S. Pietro, così essi in nome del Principe degli Appostoli
gli chiesero, che cessasse dai danni, che faceva al romano Pontefice,
e che conservasse le ragioni della Chiesa di Dio.

§. II. _Articoli di pace stabiliti con Papa ADRIANO, ed investitura
data dal medesimo al Re GUGLIELMO: e pace indi seguita coll'Imperadore
EMANUELE._
Furono i Legati dal Re cortesemente ricevuti, ed intendendo da essi
di buon animo le proposte di pace, destinò egli dal suo canto cinque
altri suoi Plenipotenziarj per accordare gli articoli di quella. Questi
furono il Grand'Ammiraglio degli Ammiragli Majone, Ugone Arcivescovo di
Palermo, Romualdo Arcivescovo di Salerno, Guglielmo Vescovo Calano e
l'Abate Cavense Marino; i quali unitisi con i tre Cardinali fermarono
gli articoli di pace, che nella maniera, che di qui a poco diremo, si
leggono presso il Baronio: nella qual pace non furon compresi i Baroni,
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