Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 16

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di Giustiniano, e dalle Novelle degli altri Imperadori d'Oriente suoi
successori.
Ma nell'occidentale fu tutta variata, così perchè non fu bisogno, che
i Principi facessero leggi, ovvero avessero molto pensiero a questa
materia, atteso che per trecento anni, che passarono dall'800 sino
al mille e cento, rari Eretici si trovarono in queste parti; come
anche perchè, quando avveniva caso alcuno, i Vescovi vi mettevan
mano; poich'essendosi la loro conoscenza nelle cause molto stesa per
non curanza de' Principi, il delitto dell'eresia come Ecclesiastico
se l'appropriarono, e siccome procedevano contro gli altri delitti
ecclesiastici, come contra violatori di feste, trasgressori di digiuni,
ed altri tali, giudicandogli, e castigandogli essi medesimi in que'
luoghi dove da' Principi era loro concesso esercitar giurisdizione, e
dove non l'aveano invocavano il braccio secolare, che gli castigasse:
così ancora, e per le medesime vie, e forme ordinarie procedevano ne'
delitti d'eresia contra gli Eretici.
Dopo il mille e cento, per le continue dissensioni e contrasti, che per
cinquanta anni innanzi erano stati tra li Pontefici e gl'Imperadori,
e per quelli che durarono tutto il secolo seguente sino al mille e
ducento con frequenti guerre e scandali, e poco religiosa vita degli
Ecclesiastici, nacquero innumerabili Eretici, l'eresie de' quali più
comuni erano contro l'autorità ecclesiastica, chi attaccando i loro
corrotti costumi, chi la potenza, e la loro ricchezza, sostenendo
con gli _Arnaldisti_, che gli Ecclesiastici non poteano posseder
niente di proprio; e chi anche penetrando più addentro, condennava il
battesimo de' bambini, e ribattezzava gli adulti; faceva abbattere
le chiese e gli altari, e spezzava le croci; e chi non approvava la
celebrazion della messa, ed insegnava che le limosine, e le orazioni
nulla servono a' morti. Eran perciò a questi tempi cresciuti, gli
Eretici in gran numero, i quali o da' nomi de' loro Dottori, che
furono autori dell'eresie, ovvero da' luoghi ove più fiorirono, o dai
costumi che affettavano, presero varj e diversi nomi; ma nel secondo
tutti convenivano nel Manicheismo. E siccome sotto l'Imperio romano,
da Costantino Magno sino ai tempi di Valentiniano III ve ne furono
innumerabili, denominati per i loro Autori sotto i nomi d'_Ariani_, di
_Macedoniani_; _Pneumatomachi_, _Appollinariani_, _Novaziani_, ovvero
_Sabaziani_, _Eunomiani_, _Valentiniani_, _Paulianisti_, _Papianisti_,
_Montanisti_, _Marcianisti_, _Donatisti_, _Foziani_, e di tante altre
Sette, che possono vedersi nel Codice di Teodosio[254]: così ancora
a questi tempi si nominavano gli _Arnaldisti_ da Arnaldo da Brescia
lor famoso Capo, i _Leonisti_, gl'_Insabbataiti_, i _Valdesi_, gli
_Speronisti_, i _Pubblicani_, i _Circoncisi_, i _Gazari_, i _Patareni_,
che disposti ad ogni oltraggio e patimento, affettando incredibile
costanza, vollero esser chiamati _Patareni_, per opporsi a' Cattolici,
i quali siccome quando per la religione patiscono stragi e morti son
chiamati _Martiri_, così essi esponendosi per la loro credenza con
egual costanza a simili pericoli, vollero esser nomati _Patareni_[255].
Ma i più considerabili in questi tempi erano gli Eretici _Albigensi_
denominati così da _Albi_, luogo dove essi si ritirarono, i quali per
la protezione che aveano del Conte di Tolosa, aveano sparsa la lor
dottrina in molte province della Francia.
Ma all'incontro in questi medesimi tempi a favor della Chiesa romana
sursero que' due gran lumi _Domenico_ e _Francesco_, i quali colla
lor santità resisi chiari per tutto, fondarono le religioni de'
_Predicatori_ e dei _Frati minori_, e furono piante così fruttifere,
che i loro rampolli moltiplicarono in guisa, che in breve si vide
piena Europa di tanti valorosi commilitoni, i quali non risparmiando
nè fatica, nè travaglio esponendosi ad ogni periglio, combatterono
valorosamente per li romani Pontefici. _Francesco_ imitando la severa e
rigida povertà proccurò ad imitazion di Cristo ridurre la sua religione
e gli uomini, che a quella s'ascriveano, alla antica disciplina
ed a' suoi principj, e come fondata su l'umiltà e povertà pensò di
riportarla indietro, e vestirla di quegli antichi abiti; ed in cotal
maniera più coll'esemplarità della vita, che colle prediche e sermoni,
toglier gli errori. Dall'altra parte _Domenico_ di nazione Spagnuola,
della città di Calagorra, del chiaro, e nobil lignaggio de' Gusmani,
in altra guisa si rivolse co' suoi Frati ad abbattere le nascenti
eresie. I Vescovi non erano sufficienti ad estirparle, così per lo
gran numero, come perchè tanto essi, quanto i loro Vicarj erano poco
atti, e meno diligenti di ciò che li Pontefici Romani desideravano,
e sarebbe stato necessario; perciò Innocenzio III scorgendo il zelo
di questi nascenti commilitoni diede loro incumbenza che andassero a
predicare agli Eretici la vera credenza per convertirli: esortassero
i Principi ed i Popoli cattolici a perseguitare gli ostinati, e per
informarsi in ciascun luogo del numero e qualità degli Eretici, del
zelo dei Cattolici, e della diligenza dei Vescovi, e portar relazioni
a Roma; dal che acquistarono nome d'_Inquisitori_. Domenico sopra
gli altri si adoperò con tanto zelo contro gli Eretici _Albigensi_,
che fu dichiarato dal Pontefice Innocenzio _Inquisitor_ generale
contro di loro; il quale scorgendo non giovare con quegli ostinati
le dispute e le concioni, stimò più opportuno mezzo per estirparli
di ricorrere agli ajuti del Conte di Monforte, e di molti altri
Signori spagnuoli, tedeschi e franzesi, i quali uniti insieme con
grosso numero di Prelati, prendendo contro di loro la croce, nella
provincia di Narbona, ed in altri luoghi gli vinsero e distrussero.
Ma multiplicando essi sempre come idre, Domenico venne in Roma, e nel
Concilio, che in quest'anno si teneva in Laterano, in più sessioni orò
contro gli Albigensi, e fece condennar per eretica la lor dottrina.
Si condennarono ancora in questo Concilio que' libri che l'Abate
_Giovacchino_ avea scritti contro il _Maestro delle sentenze_ Pietro
Lombardo, e s'approvò la dottrina del medesimo, che tenne intorno al
mistero della Trinità. E furono parimente dati in quest'Assemblea molti
provvedimenti intorno la riforma de' costumi degli Ecclesiastici, che
per orrendi e sacrileghi venivano da' competitori eretici predicati,
ed in cotal maniera terminossi il Concilio; onde datosi perciò maggior
lena ai novelli _Inquisitori_ proseguirono con molta alacrità ed
intrepidezza d'animo la loro incumbenza. Non aveano però a questi tempi
Tribunale alcuno; ma ben alle volte eccitavano i Magistrati secolari
a sbandire, o punire gli Eretici che trovavano: sovente eccitavano
il Popolo mettendo una croce di panno sopra la veste a chi voleva
dedicarsi a questo, ed unendogli insieme talora, gli conducevano
all'estirpazione degli Eretici.
Fu da poi molto ajutata l'impresa di questi Padri _Inquisitori_ dal
nostro Imperadore Federico II, il quale nel 1224 in Padova promulgò
quattro editti sopra questa materia, ricevendo gl'_Inquisitori_ sotto
la sua protezione, ed imponendo pena del fuoco agli Eretici ostinati,
ed a' penitenti di perpetua prigione, commettendo la conoscenza agli
Ecclesiastici, e la condennazione a' Giudici secolari. E questa fu la
prima legge, che generalmente desse pena di morte agli eretici, di
che altrove ci tornerà occasione di ragionare: ma ancorchè Federico
avesse preso sotto la sua protezione gl'_Inquisitori_, non ebbero essi
però Tribunale alcuno. L'ebbero poi nel Ponteficato d'Innocenzio IV,
il quale rimasto per la morte dell'Imperador Federico quasi arbitro
in Lombardia, ed in alcune altre parti d'Italia, applicò l'animo
all'estirpazione dell'eresie, le quali avevano fatto gran progresso
nelle turbazioni passate. E considerate l'opere, che per l'addietro
aveano fatte in questo servizio i Frati di S. Domenico e di S.
Francesco con la loro diligenza, e senza aver rispetto a persone ed a
pericoli: ebbe per unico rimedio il valersi di loro, adoperandogli,
non come prima, solo a predicare e congregare Crocesignati, e far
esecuzioni estraordinarie, ma con dar loro autorità stabile, ed ergendo
per essi un fermo Tribunale, il quale d'altra cosa non avesse cura.
Ecco i principj del Tribunale dell'_Inquisizione;_ ma come poi ed
in queste nostre province avesse esercitata la sua autorità, e come
finalmente presso di noi fossesi reso cotanto odioso ed abborrito,
sicchè non si soffra nemmeno sentirne il nome, sarà a più opportuno
luogo lungamente narrato.
Intanto Papa Innocenzio terminato il Concilio, essendo partito da Roma,
e gito in Perugia, infermando quivi d'una grave malattia, dopo aver per
18 anni retto il Ponteficato, e nella fanciullezza di Federico questo
nostro Reame, passò di questa vita nel dì 16 luglio di quest'anno 1216.
Fu la sua morte, per le cose, che qui a poco si narreranno, alla Chiesa
romana luttuosissima, e molto grave all'Imperadore Federico, il quale
co' suoi successori ebbe pur troppo avversa fortuna. Pontefice a cui
molto deve la Chiesa romana, perchè colla sua accortezza, e molto più
per la sua dottrina, la ridusse nel più alto e sublime stato, e che
avea saputo soggettarsi quasi tutti gli Stati, e Principi d'Europa, i
quali da lui come oracolo dipendevano. E cotanta era la riverenza del
suo nome, che ridusse Alfonso Re d'Arragona a rendergli tributario
il suo Regno, e di farsi uomo ligio della Chiesa romana, e volle da
lui essere in Roma incoronato, il che a sua imitazione fecero anche
altri Principi. Egli come dottissimo in giurisprudenza chiamò in
Roma i maggiori personaggi a comprometter a lui le lor differenze,
ed a contentarsi, che dal suo giudicio fossero terminate: quindi le
più gravi e rinomate controversie di Stati e di Prelature in Roma si
riportavano. Quindi abbiamo tante sue epistole _Decretali_, delle
quali sin da questi tempi ne fu fatta _Raccolta_, e data a leggere
a' studenti in Bologna[256]; onde potè da poi Gregorio IX fondare più
stabilmente la Monarchia Romana. Fu studiosissimo delle leggi romane,
e particolarmente delle Pandette; e fu perciò riputato uno de' più
grandi Giureconsulti di questi tempi, che fiorivano in molte città
di Italia, e particolarmente in Bologna, resa sopra tutte le altre
illustre per la famosa Accademia di leggi, e più per _Ugolino_ ed
_Azone_, che in questi tempi vi fiorivano. Affettava però soverchio
imitare i Giureconsulti antichi, e sovente, dalle leggi delle Pandette
volendo fondare le sue epistole _Decretali_, prese de' grandi abbagli,
molti de' quali ne furono da poi da Cujacio, da Ottomano e dagli altri
eruditi ripresi. Ebbe idea altissima del Ponteficato, e riputava non
altrimente di Gregorio VII, e di molti altri de' suoi predecessori, che
fosse in sua balia deporre altri, o innalzare al Trono imperiale, come
fece deponendo Ottone, ed innalzando Federico.
Governò nell'adolescenzia di questo Principe i Reami di Sicilia con
assoluto imperio e dominio, più di quello comportavano le ragioni
d'un Balio, come era stato lasciato nel testamento di Costanza; e per
questa ragione si rapportano di lui nel registro del Vaticano alcune
investiture fatte di Feudi nel nostro Reame, e quella del Contado
di Sora per suo nepote; ancorchè l'Autor delle gesta d'Innocenzio
scrivesse, che Federico l'investisse per mezzo di suoi Governadori che
reggevano la sua Corte, e Casa regale in Sicilia. Per questa cagione
ancora sovente Innocenzio nelle sue _Decretali_ parlando di Capua, di
Reggio, e di alcune altre città del nostro Regno, dice esser di lui
il governo delle medesime così nello spirituale come nel temporale; e
quindi s'intende ciò, che i nostri per l'ignoranza dell'istoria non
arrivarono a capir mai, come Innocenzio confermando l'elezione de'
Vescovi fatta dal Clero delle città del nostro Regno, e dandovi il suo
assenso, dice di farlo _Vice-regia;_ poichè quantunque, come altrove
s'è narrato, il medesimo Pontefice avesse con Costanza alterato molto
l'accordo fatto tra Adriano IV e Guglielmo I intorno all'elezione
de' Vescovi; nientedimanco, che dovesse nell'elezione de' Prelati
ricercarsi l'assenso del Re, non fu a questi tempi posto in disputa; e
l'istesso Innocenzio essendo Balio del Regno l'osservò inviolabilmente;
quindi è che scrivendo al Capitolo e Canonici di Capua, ch'eleggessero
per quella Cattedra persona idonea, lor dice ancora, che dopo eletta
mandassero da lui, perchè _Vice-regia_ potesse dargli l'assenso[257].
Il medesimo leggiamo, che fece quando si ebbe ad elegger il Vescovo di
Penne e quello di Reggio[258].
Non ebbe questo Pontefice, adulto che fu Federico, se non che leggieri
contese con lui, anzi proccurò sempre, per opporlo ad Ottone, i
maggiori suoi avanzi, ed all'incontro Federico fu di lui, e della
Chiesa romana così ossequioso e riverente, che Ottone suo emolo soleva
perciò chiamarlo il _Re de' Preti_. Ecco come durante il Ponteficato
d'Innocenzio era creduto e riputato Federico; ma questa fortuna non
ebbe dapoi co' Pontefici suoi successori, co' quali passò sì strane
e varie vicende, che partorirono avvenimenti tanto portentosi, che
bisognerà per la loro grandezza riportargli a' due seguenti libri di
questa Istoria.

FINE DEL LIBRO DECIMOQUINTO.


STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO DECIMOSESTO

Morto in Perugia il Pontefice Innocenzio, tosto in questa medesima
città unitosi il Collegio de' Cardinali, crearono per successore
Cincio Savello Cardinal di San Giovanni e Paolo ch'era stato prima
Cancellier di S. Chiesa, ed il quale nella fanciullezza di Federico per
quattro anni era stato in Palermo suo Ajo, che _Onorio III_ nomossi. Fu
osservazione de' più diligenti investigatori de' costumi e delle azioni
umane, appoggiata sopra antichi e moderni esempj, che i Pontefici
maggiori nemici, che hanno avuti i Principi, sono stati quelli, che in
tempo della lor privata fortuna furono di lor famigliari, e domestici:
Innocenzio IV essendo Cardinale fu grand'amico di Federico: ma questi
quando intese la sua elezione se ne accorò, e previde quanto accadde
a lui di male. Il Re Alfonso d'Aragona sperimentò lo stesso con
Calisto III ed a Carlo V Imperadore pur intervenne il medesimo. Non
altramente accadde al nostro Federico; poichè Onorio nuovo Pontefice
non guari dopo la sua elezione tornato a Roma, e con sommo onore, come
lor cittadino, da' romani accolto, la prima cosa, che pensasse, fu
di significare a Federico per sue lettere, senza molta consolazion di
parole, che lasciasse la possession de' Regni di Sicilia e di Puglia
a sua disposizione, perciocchè non voleva, ch'essendo Imperadore, e
Re di que' Regni si giudicasse, che andasser uniti con la Imperial
dignità, e non fosser Feudi della Chiesa, tanto maggiormente, che gli
Imperadori d'Occidente, e fra gli altri ultimamente Ottone IV, aveano
questa pretensione, che almeno il Regno di Puglia fosse dipendente
dall'Imperio d'Occidente.
Federico a tal dimanda rispose col maggior rispetto e riverenza; che
per ubbidirlo, se così gli fosse piaciuto, avrebbe emancipato il suo
figlio Errico, e cedutigli i Reami di Sicilia e di Puglia, ed in cotal
maniera sarebbero cessati tutti i sospetti; e mandò suoi Ambasciadori
in Roma per tale affare, e per dargli ubbidienza. Onorio raccolsegli
onorevolmente, e non potendo non accettar la giustificata, e ragionevol
offerta di Federico, gli rispose, che avrebbe destinato un Legato
in Sicilia, acciocchè avesse dato compimento a tal negozio, e che in
questo mentre, come doveva, fosse stato fedele, ed ubbidiente al romano
Pontefice.
Intanto Ottone dopo la vittoria, che riportò di lui il Re Filippo
di Francia, fuggendo col misero avanzo de' suoi in Sassonia, uscito
già di ogni speranza di ritornar nella perduta grandezza, s'ammalò
in Brunsuich, ove in quest'anno 1218 fu da mortifera febbre tolto a'
mortali. Federico vedendosi libero, e senz'alcuno ostacolo in Alemagna,
fece convocare in Magonza una Assemblea di tutti i Principi e Prelati
dell'Imperio, e racchetate del tutto quelle regioni, cominciò a
maneggiar con Onorio la sua coronazione in Roma. Ma il Pontefice non
così volentieri venne ad accordargliela, volendone esiger da lui pur
troppe gravi e pesanti ricompense, siccome in fatti assai caro costò a
Federico questa cerimonia; poichè siccome narra il Fazzello[259], non
volle concedergli, che venisse a Roma per riceverla, se prima non gli
promettesse il Contado di Fondi; e fattosi ciò promettere, si contentò,
che venisse a prenderla; onde Federico ricevuto tal avviso cominciò ad
apparecchiarsi, ed unire un conveniente esercito per passare in Italia;
e scrisse intanto a Giacomo Conte di S. Severino, che carcerasse
Diopoldo ch'era suo suocero, il qual venuto nel Reame cagionava
nuove rivolture e rumori, siccome colui eseguì, tenendolo custodito
in stretta prigione. Inviò ancora lettere in Sicilia all'Imperadrice
Costanza sua moglie, che venisse in Alemagna, la quale partendosi da
quell'isola passò per mare a Gaeta, e di là in Lombardia ed in Verona,
ed in altre Città amiche, con sommo onor ricevuta, e giunse in questo
nuovo anno 1219 in Germania, ov'era suo marito.
In questo mentre, avutisi nuovi avvisi della necessità che vi era in
Soria di soccorso, scrisse Onorio a Federico ed a tutti gli altri
Principi e Popoli crocesignati, che s'apparecchiassero tantosto al
passaggio di Terra Santa. Federico ricevute queste lettere confermò
il giuramento fatto d'andar in Soria, e scrisse al Pontefice, che
seguita la sua coronazione in Roma, avrebbe intrapreso quel viaggio.
Il perchè Onorio mandò a richiedere ad Errico Conte di Brunsuich, ed
al Duca di Sassonia (li quali col pretesto che Federico non fosse
stato legittimamente incoronato, ritenevano tuttavia la corona, la
lancia, e l'altre insegne imperiali) che subito sotto pena di censure
gliele restituissero. Federico, lasciato in Alemagna il suo figliuol
Errico sotto la cura di Corrado suo Coppiero, essendo ancor fanciullo
di undici anni, calò coll'Imperadrice Costanza sua moglie in Italia,
e richiesti invano i Milanesi, antichi nemici della Casa di Svevia,
e gran partigiani del morto Ottone, di poter esser coronato in Monza
della Corona di ferro, secondo il costume degli antichi Imperadori,
proseguì il viaggio, e giunto a Mantova fu incontrato dal Legato del
Pontefice, il quale prima di farlo passare innanzi, non parendogli
di perdere sì opportuna occasione, per mezzo di questo Legato volle
esiger da lui quanto potette; prima gli fece giurare di difender la
giurisdizione della Chiesa romana, d'ubbidire a quella, ed a' suoi
Ministri, e di cedere i Reami di Puglia e di Sicilia al figliuol
Errico.
(La promessa di questa cessione fatta da Federico, si legge presso
Lunig[260]).
Da poi proccurò che annullasse tutte le Costituzioni, e consuetudini
contro la libertà ecclesiastica introdotte: indi gli fece restituire
il Ducato di Spoleto, le Terre della Contessa Matilda, Ferrara,
Villamediana, Monte Fiascone, e le città di Toscana appartenenti al
Patrimonio. Fecegli far ordini rigorosissimi, che si prendessero gli
Spoletani, e i Narniesi ribelli della Chiesa; e volle, che con effetto
gli donasse il Contado di Fondi, che nell'anno 1218 s'avea fallo
promettere.
(La pretensione del Papa sopra il Contado di Fondi nasceva dal
testamento di Riccardo Conte di Fondi, il quale in gennaro dell'anno
1211 ne avea disposto per suo testamento in beneficio della Chiesa
romana; ed in aprile del seguente anno 1212 il Papa ne avea proccurato
anche assenso da Federico. Così il testamento di Riccardo, come
l'assenso di Federico si leggono presso Lunig[261]).
Da Mantova passato da poi in Modena, accompagnato dagli Ambasciadori
di quasi tutte le città, entrò coll'Imperadrice sua moglie in Roma,
ed a' 22 novembre di quest'anno 1220 nella Chiesa di S. Pietro fu da
Onorio con magnifica pompa insieme colla moglie incoronato Imperadore,
e nell'istessa messa papale in mano del Pontefice giurò di difender
la giurisdizione e Stato della Chiesa, e di passare con potente armata
in Soria alla conquista di Terra Santa; e nell'istesso punto per mano
d'Ugolino Cardinal e Vescovo d'Ostia, che fatto poi nell'anno 1227
Pontefice, fu detto Gregorio IX, fu segnato colla Croce. Intervennero
in questa incoronazione molti Prelati e Baroni del nostro Reame,
Stefano Abate di Monte Cassino, Ruggieri dell'Aquila Conte di Fondi,
Giacomo Conte di S. Severino, e Riccardo Conte di Celano, ed altri
Baroni noverati da Riccardo di S. Germano.
Allora fu, che Federico, per gratificare ad Onorio, promulgò in
Roma dopo la celebrità della sua incoronazione quelle sue augustali
Costituzioni, che leggiamo oggi nel libro secondo de' Feudi, secondo
la volgare ed antica divisione, sotto il titolo _de statutis, et
Consuetudinibus contra libertatem Ecclesiae, etc._ continenti più
capitoli, rivocandosi nel primo tutti gli Statuti e Consuetudini
introdotte contro la libertà ecclesiastica; stabilendosi nel secondo
gravi pene contro i Gazari e Patareni ed altri Eretici; e negli
altri dandosi alcuni provedimenti sopra l'ospitalità e testamenti de'
peregrini, e sopra la sicurtà degli agricoltori; i quali si veggono
confermati da Onorio. Nè dovrà dubitarsi, che in tal occasione, ed
in quest'anno si siano promulgate queste Costituzioni in Roma da
Federico; poichè oltre il testimonio di Riccardo da S. Germano[262],
l'istesso Federico, nel proemio delle medesime, dice averle promulgate
_in die qua de manu sacratissimi Patris nostri summi Pontificis_
(intendendo d'Onorio) _recipimus Imperii diadema_. Tre capitoli
delle quali furono da poi inseriti nel Codice di Giustiniano sotto il
titolo _de Haereticis_[263]; ed un altro sotto il titolo _de Sacr.
Eccles._ dal quale se ne formò l'_Auth. Cassa, et irrita_. Ciò che
abbiam voluto avvertire, affinchè queste Costituzioni augustali non si
confondano coll'altre, che promulgò da poi Federico per li soli Regni
di Sicilia e di Puglia, com'è quella che comincia _Inconsutilem_, e
l'altre, che si leggono nelle nostre Costituzioni del Regno. Queste
sono le Costituzioni regie, non augustali, ovvero imperiali, e furono
promulgate da poi per questi Regni, quando i Patareni erano penetrati
in queste nostre parti, ed in Napoli particolarmente, dove Federico
nell'anno 1231 ne fece molti imprigionare e punire, come diremo più
innanzi.
Ma non perchè Federico avesse con tanto suo svantaggio e diminuzione
delle ragioni dell'Imperio e del Regno, proccurato soddisfar il
Pontefice, fu ciò bastante per averlo amico; poichè, come scrive
Orlando Malavolta nell'Istoria di Siena, dimorando ancora Federico
in Roma, s'avvide, che gli ordini, ch'egli avea dati per mettere
in assetto le cose di Lombardia, erano mal eseguiti dalle città
Guelfe aderenti alla Chiesa, e ciò avveniva per opera di Onorio, che
voleva che gli fosse resa così poca ubbidienza da' suoi partigiani,
studiandosi di tener così irreconciliabili e divise queste fazioni, per
tema, che non passando queste città nel partito di Federico, egli poi
non fosse sopraffatto dalla sua potenza.

§. I. _Delle fazioni Guelfe e Ghibelline._
Qui bisogna per maggior chiarezza della istoria ricordare da capo il
principio e la cagione di queste divisioni di Guelfi e Ghibellini,
delle quali dovrà molto spesso favellarsene, per essersi in esse
sovente intrigati i Re del nostro Reame.
(Delle varie opinioni intorno all'origine di queste fazioni, son da
vedersi que' Scrittori, che raccolse _Struvio_[264]; dove rapporta
la più vera, ch'è quella scritta da _Andrea_ Prete, nella Cronaca di
Baviera pag. 25, di cui ne adduce le parole).
Queste famose fazioni non nacquero, come si diedero a credere alcuni,
ne' tempi del nostro Federico, ovvero ch'egli ne fosse stato autore,
come a torto ne l'imputa il Fazzello; ma sursero molto tempo prima;
egli le trovò già introdotte in Italia, nella quale aveano messe
profonde radici. Cominciarono in Alemagna sino dall'anno 1139 ne'
tempi di Corrado III, Imperadore, e nel Regno di Ruggiero I, Re di
Sicilia[265]. I _Ghibellini_, che furon sempre Imperiali, presero il
nome da _Gibello_ città, ove nacque Errico figliuolo di Corrado. I
_Guelfi_, che furon sempre Papalini, presero il nome da _Guelfo_ Duca
di Baviera. Vennero da poi questi nomi da Alemagna in Italia, per un
accidente sopravvenuto in Firenze, che propagò in Italia le divisioni;
poich'essendo in quella città un gentiluomo, il cui nome fu Messer
Buondelmonte de' _Buondelmonti_, giovane vago, e molto avvenente,
costui avea promesso di torre per moglie una donzella degli _Amadei_,
nobili anch'essi; ma cavalcando un giorno per Firenze passò avanti il
palagio d'una gentil donna della famiglia Donati, la quale essendosi
invaghita delle maniere avvenenti del giovane, avea proposto di
dargli per moglie una sua figliuola, la quale, perchè unica era nata
al padre, avea redato una buona e ricca dote. Costei adunque fattasi
in su l'uscio della sua casa trovare, mentre di colà passava Messer
Buondelmonte ed amichevolmente salutatolo, incominciò donnescamente
a proverbiarlo della donna, che preso avea, dicendogli che non era
meritevole di così degno giovane, com'egli era, con soggiungere: io vi
avea serbata questa mia figliuola di voi assai più degna, che quella,
che presa avete; le cui parole udendo Messer Buondelmonte, e veggendo
la fanciulla di nobilissima presenza e di maravigliosa bellezza, di lei
incontanente innamoratosi, rispose, che sarebbe stato troppo sciocco a
rifiutar così cortese offerta, e tosto la prese e sposò. Significato
tal fatto agli _Amadei_, gli accese di grandissima ira contro Messer
Buondelmonte, che così schernendogli era lor venuto meno della promessa
del pattuito parentado, e mentre insieme uniti trattavano di che guisa
si dovessero di lui vendicare, se con batterlo, o con ferirlo, un
Messer Moscadi _Lamberti_, uomo, che di poca levatura avea mestiere,
disse che egli avrebbe trovato un miglior modo che tutti gli altri;
e non guari da poi la mattina di Pasqua di Resurrezione incontrando a
cavallo Messer Buondelmonte al Ponte vecchio dell'Arno, assalitolo con
alcuni altri suoi congiunti di sangue, e con molte ferite atterratolo
da cavallo l'uccise appunto a piedi del pilastro, che sosteneva la
statua di Marte antico Idolo de' Fiorentini. Sì fiera novella sparsasi
per la città, fu cagione, che si levasse tutta ad arme e a rumore,
dividendosi i Nobili di essa in due fazioni, che si chiamarono poi
_Guelfi_, e _Ghibellini_; dell'una delle quali parti furono in Firenze
Capi i _Buondelmonti_, insieme con molti altri, e si nomarono _Guelfi_;
e dell'altra, che si nomò de' _Ghibellini_ furono capi gli _Uberti_
collegati con gli _Amadei_, e con altre molte famiglie; la qual
fiera pestilenza si sparse poscia in breve tempo per la maggior parte
dell'altre città d'Italia con grande lor disfacimento e rovina. Poichè
nelle discordie nate tra Pontefici e gl'Imperadori, quelli del partito,
che seguirono l'Imperadore furon detti perciò _Ghibellini_, gli altri
del contrario, che seguirono le parti del Papa si dissero _Guelfi_; ed
i Papi proccuravano mantener le fazioni, per così deprimere, o almen
bilanciare le forze imperiali. Questo istesso intendeva fare Onorio
con Federico, non ostante d'esser stato così ben da lui corrisposto. Ma
questo Principe ciò dissimulando, lasciato in Toscana Corrado Vescovo
di Spira e Cancelliero imperiale d'Italia, acciocchè mantenesse in fede
i vecchi amici, e ne gli acquistasse altri di nuovo, partitosi di Roma
venne in Terra di Lavoro, richiamato anche per reprimere alcune novità,
che alcuni Baroni macchinavano nel Regno, e giunto a S. Germano fu a
grand'onor raccolto dall'Abate Stefano; indi tolse al Conte di Fondi
Sessa, Teano e la Rocca di Mondragone, che ne' passati tumulti avea
occupati.

§. II. _Della Corte capuana._
Non guari da poi Federico, da S. Germano, passò a Capua, ove formatosi
convocò un general Parlamento, nel quale diede molti provedimenti per
la quiete e comun bene del nostro Reame. Allora fu, che per consiglio
di Andrea Bonello da Barletta celebre Giureconsulto ed Avvocato
fiscale della sua Corte si ristabilì in Capua un nuovo Tribunale,
chiamato la _Corte capuana_[266], nella quale ordinò, che i Baroni
ed i Comuni delle città e terre, ed ogni altra persona, dovessero
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