Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 19
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suoi diritti, non volle, che alcun di loro fosse ammesso nelle Chiese
ottenute[314]; e gitone poscia in Sicilia fece il simigliante a Fra
Niccolò da Colle Pietro, creato Abate di S. Lorenzo di Aversa, non
ostante che recasse lettere particolari di Onorio; e Federico mandò
perciò Legati al Papa a querelarsene[315].
Intanto la novella Imperadrice _Jole_ sposa di Federico imbarcatasi
sulle galee, con felice viaggio pervenne a Brindisi, ove di Sicilia
tornato l'Imperadore l'attendeva, e con nobilissima pompa furono ivi
a' 9 novembre le nozze celebrate: ed in memoria di questa celebrità
fece coniare quivi nuove monete, chiamate _Imperiali_, annullando
l'antiche[316].
Nacque in quest'anno a Federico, Enzio suo figliuol bastardo, il quale
egli da poi nell'anno 1239 coronò Re di Sardegna; e divertendosi
l'Imperadore alle caccie di Puglia, in quest'istesso anno 1225 per
occasione d'un cignale ucciso da lui di smisurata grandezza, fece
apprestar una cena in quel luogo stesso, dove fu poi edificata una
Terra, chiamata perciò sino a' nostri tempi _Apricena_.
Nel nuovo anno 1226 mandò Onorio a sollecitar Federico, che dopo
gli sponsali celebrati in Brindisi era passato in Troja di Puglia,
perchè s'apprestasse alla spedizione di Terra Santa; onde l'Imperadore
comandò a' suoi Baroni, che si trovassero all'ordine a Pescara,
per accompagnarlo in Lombardia per la Dieta di Cremona, intimata
nell'anno precedente. Passato indi in Terra di Lavoro, e lasciata sua
moglie in Terracina castello vicino a Salerno, ora disfatto; ritornò
in Puglia, e commesso il Governo del Reame ad Errico di Morra Gran
Giustiziero, passò a Pescara, e di là con tutto il suo esercito nel
Ducato di Spoleto, ove ordinò a' Spoletini, che il seguissero armati
in Lombardia[317]; la qual cosa negando coloro di fare senz'ordine
del Pontefice, comandò di nuovo sotto gravi pene, che ubbidissero;
ma costoro avendo mandate le lettere di Federico al Papa, questi, che
per altre cagioni stava crucciato con Federico, così per lo fatto de'
Prelati, a' quali non volle dar possesso delle loro Chiese, come per
essersi Federico collegato con Ezzelino, e per aver pubblicata una
sua Costituzione, per la quale voleva che i Frati e i Preti, che gravi
omicidj, o altri enormi delitti avessero commesso fosser castigati da'
suoi Magistrati secolari, e per non osservar loro dovuta franchigia,
ch'e' pretendeva per gli Ecclesiastici nelle gabelle e dazj: acceso
da ira gravissima scrisse asprissime lettere a Federico, dolendosi
acerbamente con lui di queste cose. Federico riputando troppo arroganti
queste lettere, gli rispose con pari ardimento; onde Onorio montato in
maggior stizza gli scrisse di nuovo con maggior asprezza ed arroganza
e con gravi minacce.
(Si legge presso _Lunig_[318] questa lunga lettera esprobratoria
d'Onorio III scritta a Federico).
Federico, che non voleva ora brighe col Papa, per placare il suo animo
gli rescrisse umilmente _in omni subjectione_, come dice Riccardo: onde
rappacificatisi insieme, il Papa gli mandò per Legato Cinzio Savello
Cardinal di Porto per trattar di comporre le lor contese, affinchè non
s'impedisse perciò l'espedizione di Terra Santa, e si quietassero le
cose di Lombardia. Indi Federico partito di Spoleto ne andò a Ravenna,
ove celebrò la Festa di Pasqua di Resurrezione, e scrisse ad Errico
suo figliuolo in Alemagna, che ragunata potente armata fosse venuto a
ritrovarlo in Lombardia, e lasciato il cammin di Faenza, ch'era città
sua nemica, ne andò col suo esercito nel castel di S. Giovanni, ne'
tenimenti di Bologna, ed indi ad Imola, ed entrando ne' confini di
Lombardia, solo que' di Modena, di Reggio, di Parma, di Cremona, di
Asti e di Pavia, gli mandarono Ambasciadori, e s'offerirono pronti
al suo servigio. L'altre città, non solo non gli usarono cortesia
alcuna, ma d'avantaggio contro di lui si collegarono: queste furono,
secondo scrive Riccardo, Milano, Verona, Piacenza, Vercelli, Lodi,
Alessandria, Trivigi, Padua, Vicenza, Torino, Novara, Mantua, Brescia,
Bologna e Faenza, con Goffredo Conte di Romagna, e Bonifacio Marchese
di Monferrato, ed altri luoghi della Marca Trivigiana, le quali con
formato esercito ne andarono incontro ad Errico per vietargli il passo
a piè dell'Alpi, acciocchè non fosse entrato in Italia. Passò poscia
l'Imperadore a Cremona, e vi fu da que' cittadini con grande onor
ricevuto, e vi celebrò l'Assemblea già statuita, ma con poca gente,
non vi essendo gito niun Barone, nè Ambasciador delle città collegate
contro di lui.
Ritornato poscia a Parma fu da molti Conti e Cavalieri di quelle
regioni, e da' Lucchesi e Pisani, e particolarmente da' Marchesi
Malespini visitato e riverito, molti de' quali armò Cavalieri di sua
mano, onoranza di molta stima in que' tempi, ed indi nel Borgo di
S. Donnino si congiunse col Legato del Pontefice, da lui richiesto
perchè gli agevolasse la sua incoronazione della Corona di ferro, come
intendea di fare.
Conservavasi questa Corona di ferro in Monza in poter de' Milanesi;
co' quali non fu bastevole qualunque mezzo, che vi si adoperasse, a
disporgli per introdurlo per far cotal atto nella lor città, memori
delle antiche ingiurie ricevute dall'avolo Barbarossa: il perchè
reggendo Federico di non potere nè coloro, nè alcuna dell'altre città
contro di lui unite, rivocare al suo partito con preghiere e cortesie,
venuto in grandissimo sdegno, diede a tutte il bando imperiale,
dichiarandole rebelle, e le fece interdire dal Legato, e togliendo lo
Studio da Bologna, quello in Napoli, ed in Padova trasferì, ordinando
a tutti gli Scolari, che da Bologna partissero, ed in quelle due città
andassero a studiare; ma rapporta il Sigonio, che il suo comandamento
non fosse stato da niuno ubbidito.
L'Imperadore, non potendo per allora far altro progresso in Lombardia,
partitosi di là andò a Rieti a ritrovare il Pontefice, e querelatosi
con lui della contumacia de' Lombardi, se ne passò nel nostro Reame
di Puglia; da dove inviò nuovo soccorso di soldati in Terra Santa; ed
avendo rinunziato l'Ufficio di Giustiziere di Terra di Lavoro Pietro
Signor d'Evoli, e Niccolò di Cicala, furono creati in lor vece Ruggiero
di Gallura, e Marino Capece napoletano. Allora fu, che essendo già
pacificato col Pontefice, diede il possesso delle lor Chiese a tutti
que' Prelati, che il Papa avea creati, cioè agli Arcivescovi di Capua,
di Consa e di Salerno, al Vescovo d'Aversa, ed all'Abate di S. Lorenzo
di quella città[319].
Bramava ardentemente il Pontefice, che si facesse il passaggio in Terra
Santa, il qual veniva frastornato, ed impedito per nemistà, ch'era
tra l'Imperadore, e le città collegate: e Federico avea perciò fatto
pubblicare un editto, col quale faceva noto, che per la discordia
d'Italia, s'impediva l'impresa di Terra Santa; ed avendo inviato suoi
Ambasciadori al Papa per tal affare, Onorio vi s'adoperò in guisa tale,
che alla fine per allora gli accordò; onde l'Imperadore per compiacere
al Pontefice, promise d'inviar prestamente altri quattrocento soldati
in soccorso de' Cristiani in Soria. Passò da poi Federico con _Jole_
sua moglie in Sicilia; ed il Pontefice vedendo, che il Re Giovanni di
Brenna, per la nemistà, che avea col genero, onde era stato costretto
a partire da' suoi Reami, vivea con molta strettezza, gli concedette
in Governo tutto quello spazio di paese, che è da Viterbo a Monte
Fiascone; ed in tanto l'Imperadore per mezzo d'Errico Morra suo Gran
Giustiziero, pubblicò nuovi Ordini e Statuti da lui fatti, per la
quiete e tranquillità de' suoi sudditi, rapportati da Riccardo di S.
Germano. Morì ancora in quest'anno _Francesco_, chiaro per miracoli
e santità di vita, il quale fondò la religione de' _Frati Minori_ in
Assisi sua patria, e fu in processo di tempo ascritto al numero de'
Santi.
Il Pontefice Onorio, secondo la Cronaca di Riccardo, nel mese di marzo
di questo nuovo anno 1227 trapassò in Roma, dopo aver governata la
Chiesa di Dio dieci anni, sette mesi e tredici giorni, e fu in Roma
sepolto nella chiesa di S. Maria Maggiore in umil sepolcro.
Le discordie, ch'ebbe questo Papa con Federico, ancorchè gravi e
spesse, nulladimanco non furono così atroci, che obbligassero questo
Pontefice di scomunicarlo, come falsamente scrissero alcuni. I primi,
che scagliarono contro Federico questi fulmini furono Gregorio IX ed
Innocenzio IV suoi successori, come più innanzi diviseremo.
CAPITOLO VI.
_Spedizione di FEDERICO per Terra Santa._
Morto il Pontefice Onorio, nel seguente giorno fu da' Cardinali eletto
in suo luogo Ugolino de' Conti, figliuol di Tristano d'Alagna fratello
d'Innocenzio III de' Conti di Segna, a cui posero nome _Gregorio_
IX. Questi tantosto che fu eletto, inviò lettere per tutto il Mondo
della sua promozione, e della morte del suo predecessore, ed inviò
Fra Guglielmo Frate Dominicano all'Imperadore, dandogli contezza per
sua lettera della sua elezione, esortandolo a riverire e difendere la
Chiesa di Dio, ed a badare al buon governo dei Popoli a lui soggetti,
e ad abbracciare la guerra di Terra Santa, chiedendogli parimente che
gli facesse da' Regnicoli portar vettovaglie ed altre cose bisognevoli
per fornire le sue galee, che intendea inviare in Palestina, ciocchè
Federico per mezzo d'Errico Morra Gran Giustiziero prestamente fece
eseguire[320]. Simone Scardio rapporta una lettera, scritta da Gregorio
in questo primo anno del suo Ponteficato all'Imperador Federico,
ripiena di molti encomj ed eccelse lodi, che questo Pontefice dava a
quel Principe, il quale avendo convocati tutti i Giustizieri delle
province de' suoi Regni di Sicilia diede lor contezza di ciò, che
Gregorio gli avea scritto, acciocchè s'apparecchiassero al passaggio
d'oltremare; per la qual cagione impose una general taglia a' suoi
vassalli, ed indi significò ad Errico suo figliuolo in Alemagna, che
dovesse ragunare una Dieta in Aquisgrana, per dar contezza a' Baroni
tedeschi del general passaggio, che egli intendea fare in Soria nella
metà del vegnente mese d'agosto: giorno in cui si celebra la salita
al cielo di Nostra Signora, acciocchè coloro, che gir seco volessero,
postisi all'ordine, fossero venuti in Puglia, ove sopra i navilj per
ciò apprestati s'aveano ad imbarcare, ed ei gli attendea. Inviò di là
al Pontefice l'Arcivescovo di Reggio, e Fra Ermando Saltza Gran Maestro
de' Cavalieri teutonici, a significargli, che egli era all'ordine per
imbarcarsi, ed a condurgli le vettovaglie, ed ogni altra provigione,
che per le galee gli avea chiesto.
Intanto convocatasi da Errico l'Assemblea in Aquisgrana, secondo
il comandamento del Padre, per invitare i Tedeschi al passaggio
d'oltremare, vi convennero Signori e Prelati in gran numero, fra' quali
furono Sifridio Arcivescovo di Magonza, Teodoro Arcivescovo di Treveri,
Errico Arcivescovo di Colonia, con gli Arcivescovi di Salsburg, di
Magdeburg e di Brema, e con tutti i Vescovi a loro soggetti. Vi furono
i Duchi d'Austria, di Baviera, di Carintia, di Brabante e di Lorena:
Errico Conte Palatino del Reno, Lodovico Lantgravio di Turingia, e
Ferdinando Conte di Fiandra, quello stesso, che preso dal Re Filippo
nella battaglia di Tornay, dopo esser dimorato ben dodici anni nella
prigione di Parigi, per opra del Pontefice, e d'altri Signori, che
il favorivano, n'era alla fine uscito. Tutti costoro per esortazione
di Errico Re d'Alemagna, e per la pietà cristiana, s'apprestarono
prontamente a così pietosa impresa; onde tra per questi che in buona
parte vi vennero, e per gli altri invitati da diversi Frati ed altri
Ecclesiastici inviati dal Pontefice per la Cristianità ad esortare i
Popoli, che prendessero la Croce nel tempo stabilito, infinito numero
di Fedeli concorse in Brindisi, e nelle circostanti regioni, in guisa
tale, che solo dall'isola d'Inghilterra, scrive l'Abate Uspergense, che
ne vennero ben sessantamila. Ma sopraggiunto intanto il calor grande
della state in quegli aridi siti di Puglia, cominciarono, non avvezzi
a ciò, e sofferendo ogni sorte di disagio, ad infermare e morire i
soldati oltramontani a migliaja, insieme co' quali di questa vita
passarono i Vescovi d'Angiò e d'Augusta, ed il Lantgravio di Turingia,
onde afflitti da così gravi mali, s'avviarono per ritornare indietro
a' lor paesi, ma invano, perciocchè la maggior parte per lo cammino
perirono[321].
Intanto Federico coll'Imperadrice _Jole_ da Sicilia era passato in
Otranto nel mese d'agosto, donde, avendo quivi lasciata l'Imperadrice,
passò in Brindisi, ove era l'esercito de' Crocesignati, e quantunque
fosse rimasto con picciol numero di soldati per la mortalità seguita,
e per lo ritorno di molti, fece imbarcar nell'armata apparecchiata
molta gente nel stabilito giorno dell'Assunzione per dover egli da poi
seguirla; e ritornato in Otranto, ove avea lasciata l'Imperadrice, per
prender da lei congedo, quivi infermossi[322]: ma non ostante la sua
infermità, riavutosi appena, tornò in Brindisi, ed ivi imbarcossi:
ed avendo navigato tre giorni, non potendo soffrire per la sua
convalescenza l'agitazione del mare, volse le prore addietro, e a
Brindisi ritornò. Il Fazzello narra, che Federico giugnesse in questa
sua navigazione sino allo Stretto dell'isole della Morea e di Candia,
e che da' venti contrarj, e dalla sua infermità fosse stato costretto
con coloro, che eran in Lacedemonia far ritorno a Brindisi insieme
con quarantamila persone di quelle, che si erano imbarcate, se diam
credenza a ciò, che ne scrive il Sigonio.
(Sigonio seguitò la fede di Matteo Paris, il quale ad An. 1227,
pag. 286 scrisse: Animo nimis consternati, in eisdem navibus, quibus
venerant, plusquam XL armatorum millia sunt reversi).
Gregorio IX dimorando in Anagni, avendo inteso il ritorno di Federico,
attribuendolo a poca volontà del medesimo, trasportato da fiero sdegno,
il penultimo giorno di settembre, in cui si celebrava la festa della
dedicazione di S. Michele Arcangelo, dichiarò esser Federico incorso
nella scomunica, che da Onorio in S. Germano gli era stata minacciata,
se non passava in Soria, fulminando contro di lui la censura[323], la
cui sentenza vien riferita dal Bzovio e da Carlo Sigonio, che comincia:
_Imperatorem Federicum qui nec transfretavit, etc_.
Aggiunge lo Bzovio, che Gregorio, non solamente per lo sturbato
passaggio di Terra Santa, ma per molte cagioni ancora avea motivi di
sdegno contro Federico; poichè oltre all'aver rapiti i beni degli
Ecclesiastici da' suoi Regni, con far loro pagare tutte le taglie
e gabelle, che egli imponeva, aveva di vantaggio, per vendicar suo
privato sdegno, con la cagione del passaggio d'oltremare, fatto gir
per forza in Soria il Vescovo d'Aversa e Ruggieri Conte di Celano
suoi nemici, e posto il figliuolo del Conte in una stretta prigione,
con altri mali che di Federico racconta Gio. Villani; ma perchè
quest'Autore non rapporta, onde ciò ricavato se l'abbia, se non
l'autorità del detto Villani, non merita veruna fede; poichè il Villani
come straniero negli avvenimenti del Reame e massimamente in quelli di
Federico, come Guelfo e di fazione a lui nemica, o per poco avvedimento
o per mal talento infiniti errori commise, scrivendo cose che non
mai avvennero, per non favellarne niuno degli altri Autori che allora
vissero, come furono Riccardo ed altri che con molta diligenza le cose
de' lor tempi raccolsero.
Federico recandosi a gravissima ingiuria cotal sentenza, partendosi
di Puglia, ove ancor dimorava per dar più chiare pruove, che egli
era infermo, ne andò a' bagni di Pozzuoli, secondo scrive Riccardo,
per curarsi dalla sua infermità, e di là inviò a Roma, ove il Papa
da Anagni era passato, l'Arcivescovo di Reggio e quel di Bari con
Rinaldo Duca di Spoleto ed Errico di Malta per suoi Ambasciadori al
Pontefice a scusarsi perchè non era passato oltremare, significandogli
la cagione della dimora: ma fu tutto vano, perciocchè il Pontefice
non dando credenza alcuna a tutto ciò che egli in sua difesa addusse,
ragunando in Roma i Prelati oltramontani e quanti del Regno unir
potè, nell'ottavo giorno dopo la festa di S. Martino lo dichiarò di
nuovo pubblicamente scomunicato, interdicendo i suoi Regni, e mandò
lettere generali per tutto l'Occidente a tutti i Principi e Signori
della Cristianità pubblicandolo per tale. La qual cosa risaputasi
da Federico, scrisse anch'egli a Lodovico Re di Francia del torto
fattogli da Gregorio, come si legge nell'epistole di Pietro delle
Vigne ed in Carlo Sigonio, con le seguenti parole: _Gregorius
IX sub ea occasione quod nos in termino nobis dato, infirmitate
gravati, transire nequivimus ultramare, contra justitiam primitus
excomunicationi subjecit_. Dal che si vede, che essendo la primiera
volta stato scomunicato da Gregorio, è vanità e bugia tutto quel
ch'hanno scritto il Villani ed altri Autori, che Onorio l'avesse
un'altra volta scomunicato, contro quel che ne riferisce Riccardo.
Scrisse ancora a' Cardinali, dolendosi aspramente con loro, che non
fossero stati in nulla uditi i suoi Ambasciadori. Scrisse a tutti i
Principi e Signori d'Alemagna; e mandò un'altra sua epistola a tutti
i Re e Principi del Mondo, gravandosi di cotal scomunica, con scusarsi
de' falli imputatigli e narrando la cagione, perchè l'avea il Pontefice
scomunicato, e gl'impedimenti che l'avean trattenuto dal non passare
in Soria, dolendosi di tutti i Prelati e ministri della Chiesa,
riprendendo acerbamente i Romani, che a cotal sentenza non s'erano
opposti. Ordinò parimente a tutti i Giustizieri di Sicilia e di Puglia,
che facesser celebrar da' Preti e da' Frati le messe nelle lor province
e che non gli facessero partir dal Regno, nè gire da un luogo ad un
altro senza loro licenza, nelle quali scritture si serviva della penna
di Pietro delle Vigne suo Secretario: uomo, come si è detto, in quei
tempi di somma dottrina ed avvedimento, e a lui carissimo, secondo che
si scorge nel libro delle sue epistole che più volte abbiamo nomato.
Dopo la qual cosa convocò un general Parlamento a Capua di tutti i
Baroni del Regno, a cui impose, che ciascun di loro pagar gli dovesse
per ogni Feudo che possedea, otto oncie d'oro, e per ogni otto Feudi un
soldato, acciocchè ragunar potesse esercito per passare in Terra Santa
nel seguente mese di maggio, nel qual tempo intendeva andarvi, posposta
ogni altra dimora. Statuì ancora un'altra Assemblea da ragunarsi per
tal cagione a Ravenna nel prossimo mese di marzo, ove convocò tutte
le città e signori d'Italia e suoi partigiani; ed indi inviò in Roma
Roffredo Epifanio da Benevento, famoso Giureconsulto di que' tempi, con
le discolpe, che egli in suo favore adducea, le quali Roffredo, come si
disse, fece pubblicamente leggere in Campidoglio di volontà del Senato
e del Popolo romano.
Federico nel principio del seguente anno 1228 convocò in Puglia tutt'i
Prelati e Baroni, che seco avea per passare in Palestina, e venuto il
giorno di Pasqua, quella celebrò con grandissima pompa ed allegrezza
in Barletta; perciocchè aveva avuta contezza, che Tommaso d'Aquino
Conte dell'Acerra, che dimorava per suo Maresciallo in Soria, venuto
a battaglia con Corradino Soldano di Damasco l'avea vinto e ucciso, e
ritornando dopo questo il Conte nel Reame, inviò per soccorso in Terra
Santa Riccardo di Principato, parimente suo Maresciallo, con altri
cinquecento soldati che imbarcatisi in Brindisi passarono felicemente
in que' paesi.
In questo mentre i Francipani e gli altri partigiani di Federico
in Roma, essendo Gregorio, dopo aver celebrata la Pasqua in S.
Gio. Laterano, passato nella chiesa di S. Pietro, per rinovar le
censure contro Federico, gli mossero contro il Popolo, mentre faceva
quell'atto, con grave sedizione e tumulto, e dopo averlo oltraggiato
con molte ingiuriose parole, lo scacciarono dalla città e 'l
costrinsero a ricovrar fuggendo a Perugia, ove per alcun tempo dimorò.
Federico intanto raccolta per l'espedizione di Terra Santa molta
moneta dalle Chiese e dalle persone ecclesiastiche, non ostante che
il Pontefice avesse ordinato per sue lettere, che nulla pagassero,
s'avviò verso Barletta, ove intendea celebrare un general Parlamento, e
giunto ad Andria, l'Imperadrice, che era seco partorì ivi un fanciullo,
a cui fu posto nome _Corrado_, il quale fu dal padre, più di ciascun
degli altri suoi figliuoli teneramente amato, ed indi a non molto,
come sovente avvenir suole, se ne morì per li travagli del parto nella
medesima città[324].
La morte di questa Imperadrice vien da Gio. Villani e da altri moderni
Autori, che l'han seguito, descritta con molte favole e novelle, le
quali non meritano fede alcuna; perciocchè Riccardo il veritiere
Cronista di que' tempi, altro non racconta, salvo che la morte
dell'Imperadrice nel parto; e lo stesso scrisse il Corio nell'istorie
di Milano e Carlo Sigonio ed il Frate di Santa Giustina, e niun degli
altri Autori, che con la dovuta diligenza scrissero gli avvenimenti
di que' tempi, fan menzione, che ella morisse in prigione battuta
dall'Imperadore come dice il Villani, e pur quelli non tacendo l'altre
malvagità commesse da lui, avrebbero registrata ancor questa, se
fosse stata vera; oltre che pare impossibil cosa aver potuto Federico
amar tanto il figliuolo Corrado, come nel progresso di quest'Istoria
si vedrà, se avesse in prima così acerbamente odiata la madre, che
l'avesse ridotta a morire, come costoro raccontano.
Federico dopo la morte di Jole celebrò il Parlamento in Barletta, ed
intento al passaggio di Terra Santa, prima di partire, volle provedere
a' suoi Regni nel caso, che venisse egli a mancare; onde in presenza
de' Prelati e Grandi del Regno, ed infinita moltitudine accorsavi,
fece ad alta voce leggere i seguenti capitoli formati da lui in
modo di testamento rapportati da Riccardo. Primo, voleva che tutti i
Regnicoli tanto Prelati, quanto Signori e loro sudditi vivessero in
quella pace e tranquillità, ch'eran soliti di vivere al tempo del buon
Re Guglielmo II, e perciò lasciava per suo Vicario e Balio del Regno
Rinaldo Duca di Spoleti. Secondo, se egli nella guerra che intendea
di fare in Soria, fosse mancato di vita, gli succedesse nell'Imperio
e nel Regno il suo maggior figliuolo Errico, al quale, se fosse morto
senza prole, succedesse Corrado suo minor figliuolo e se costui ancor
senza figliuoli fosse mancato, succedessero gli altri figliuoli da
esso Imperadore procreati di legittima moglie, facendo giurare a
Rinaldo Duca di Spoleti, ad Errico Morra, ed agli altri più stimati
di coloro, che erano ivi adunati che se non fosse venuto a morte, ed
altro testamento non avesse da poi fatto quel che allora avea statuito
compiutamente osservassero. Terzo, che niuno del Regno per dazio,
ovvero colletta fosse obbligato dare alcuna cosa, se non per l'utilità
del Regno, e per le necessità che potevano occorrere.
Letti questi capitoli e fattigli giurare in suo nome dal Duca di
Spoleti e da Errico Morra suo Gran Giustiziero, l'undecimo giorno del
mese di giugno si imbarcò in Brindisi sopra venti galee, secondo che il
Bzovio e l'Abate Uspergense scrivono, ed avendo in prima comandato, che
tutti i vassalli che con lui navigar dovevano, si fossero assembrati a
S. Andrea dell'Isola, ivi con lor si congiunse, e passò ad Otranto, ed
indi in Terra Santa, dove di là a poco felicemente giunse ed a nobili
imprese si accinse.
Gregorio IX ch'era in Perugia, udita la partenza dell'Imperadore, senza
che prima da lui fosse stato assoluto dalle censure, come pretendea, si
accese di tanto sdegno, che scrisse lettere al Patriarca di Gerusalemme
ed al Maestro dello Spedale del Santo Sepolcro in Soria, colle quali
premurosamente gl'incaricava, che si guardassero di Federico, nè loro
prestassero aiuto, poichè era partito scomunicato, e che potea perciò
apportar loro grave danno; di vantaggio stimolò in Italia i Milanesi
nemici di Federico a collegarsi con lui a' suoi danni, dividendo
l'Italia in fazioni, onde crebbero in maggior numero i Guelfi; e medita
intanto per l'apparecchio d'una nuova espedizione sopra il Regno
di Puglia, per toglierlo a Federico nell'istesso tempo, che questo
Principe era lontano ed inteso all'impresa di Terra Santa.
Dall'altra parte Rinaldo Duca di Spoleti lasciato da Federico per
Vicario del Regno, per impedire i disegni del Papa ed intricarlo con
una guerra ne' propri Stati, invase col suo esercito la Marca, ed il
suo fratello Bertoldo assalì da un altro lato i tenimenti di Norcia e
distrusse il castello di Brusca, che si era a lui ribellato, dando gli
abitatori in potere de' Saraceni, che seco di Puglia avea condotti, i
quali con vari tormenti gli fecer tutti crudelmente morire[325].
Questi avvenimenti significati a Papa Gregorio, e come il Duca
era entrato ostilmente nello Stato della Chiesa, e fatti quivi
gravissimi danni, lo ammonì, che via si partisse, lasciando in pace
i suoi sudditi; ma il Duca facendo poco conto di cotal ordine, irato
il Pontefice lo scomunicò con tutti i suoi seguaci: e vedendo che
nulla giovavano le censure, ragunò grosso esercito con gli aiuti de'
Milanesi, e di tutte l'altre città della Lega di Lombardia, e chiamata
la milizia di Cristo, l'inviò contro il Duca Rinaldo creandone Capitano
Giovanni di Brenna già Re di Gerusalemme ed inimico di Federico, ed il
Cardinal Legato Giovanni Colonna.
CAPITOLO VII.
_Spedizione di GREGORIO IX sopra il Regno di Puglia._
Papa Gregorio scorgendo, che questi sforzi non eran bastevoli ad
impedire i progressi del Duca, il quale avea già sottoposta la Marca
al dominio dell'Imperadore insino a Macerata, deliberò di muover
guerra nel Reame di Puglia e spinger le sue armi contra queste
province, acciocchè postele in isconvolgimento, dovesse per lor
difesa prestamente accorrere il Duca, e lasciar liberi i suoi Stati.
Congregati adunque nuovi soldati, ne creò Capitani Pandolfo d'Alagna
suo Legato, Ruggieri dell'Aquila Conte di Fondi e Tommaso Conte di
Celano ribelli e nemici di Federico.
Questi Capitani a' 18 gennaio del nuovo anno 1229 per la strada di
Cepparano, entrarono in Terra di Lavoro co' loro soldati, che eran
nomati _Chiavesegnati_; ed assalirono ed espugnarono in un subito il
castello di Ponte Solarato, che era allora la Porta del Regno ed il
primo luogo forte da quella parte a' confini dello Stato della Chiesa,
e l'aveva in guardia, per l'Imperadore, Adenolfo Balzano. La caduta
di questo castello cagionò sì fatto timore in Bartolommeo di Supino
Signore di S. Giovanni in Carrico, ed in Roberto dell'Aquila Signore
del castello di Pastena, che senza far altra difesa, di lor volere
anch'essi si resero; indi passato il fiume di Telesa s'avviarono li
soldati papali verso il Contado di Fondi.
Intanto Errico Morra Gran Giustiziero, avuta contezza della mossa di
cotal guerra, ragunati in un subito molti soldati, ne venne a San
Germano per contrastare colle genti del Pontefice, ed impedire di
far altro acquisto. Ma queste opposizioni poco valsero per impedire i
felici progressi dell'esercito del Pontefice, il quale scorrendo per
molti luoghi di questa provincia avea occupato molte Rocche e castelli
insino a Gaeta. Questa città, mentre si rendeano tanti luoghi al Legato
del Papa, fu sempre fedele all'Imperadore, resistendo agli sforzi
del Legato, apparecchiandosi valorosamente alla difesa, per la qual
cosa fu dal Cardinal Pelagio, Vescovo d'Albano e Legato del Pontefice
sottoposta all'interdetto. Si resero parimente al Legato Pontecorvo con
tutte l'altre Terre di Monte Cassino, la Rocca d'Evandro, Trajetto, e
Sugio e finalmente fu forza che si rendesse anche la città di Gaeta,
nella quale fu abbattuto e spianato il castello, che l'Imperadore
con molta spesa vi avea edificato, essendosene partiti, per non poter
far altro molti fedeli di Federico, che non vollero rimaner sudditi
del Pontefice; ed i Beneventani avuta contezza de' felici successi
dell'esercito Papale, rompendo anch'essi da quel lato la guerra, ne
andarono a far gravi danni e prede in Puglia di bovi ed altri animali,
e nel lor ritorno ruppero, e posero in fuga il Conte Raone di Valvano,
che lor s'era opposto; per la qual cosa il Gran Giustiziero con tutt'i
Baroni fedeli all'Imperadore andarono con lor soldati contra quelli di
Benevento e guastarono e distrussero molti lor poderi dalla banda di
Porta Somma, ove era posta la lor Rocca.
ottenute[314]; e gitone poscia in Sicilia fece il simigliante a Fra
Niccolò da Colle Pietro, creato Abate di S. Lorenzo di Aversa, non
ostante che recasse lettere particolari di Onorio; e Federico mandò
perciò Legati al Papa a querelarsene[315].
Intanto la novella Imperadrice _Jole_ sposa di Federico imbarcatasi
sulle galee, con felice viaggio pervenne a Brindisi, ove di Sicilia
tornato l'Imperadore l'attendeva, e con nobilissima pompa furono ivi
a' 9 novembre le nozze celebrate: ed in memoria di questa celebrità
fece coniare quivi nuove monete, chiamate _Imperiali_, annullando
l'antiche[316].
Nacque in quest'anno a Federico, Enzio suo figliuol bastardo, il quale
egli da poi nell'anno 1239 coronò Re di Sardegna; e divertendosi
l'Imperadore alle caccie di Puglia, in quest'istesso anno 1225 per
occasione d'un cignale ucciso da lui di smisurata grandezza, fece
apprestar una cena in quel luogo stesso, dove fu poi edificata una
Terra, chiamata perciò sino a' nostri tempi _Apricena_.
Nel nuovo anno 1226 mandò Onorio a sollecitar Federico, che dopo
gli sponsali celebrati in Brindisi era passato in Troja di Puglia,
perchè s'apprestasse alla spedizione di Terra Santa; onde l'Imperadore
comandò a' suoi Baroni, che si trovassero all'ordine a Pescara,
per accompagnarlo in Lombardia per la Dieta di Cremona, intimata
nell'anno precedente. Passato indi in Terra di Lavoro, e lasciata sua
moglie in Terracina castello vicino a Salerno, ora disfatto; ritornò
in Puglia, e commesso il Governo del Reame ad Errico di Morra Gran
Giustiziero, passò a Pescara, e di là con tutto il suo esercito nel
Ducato di Spoleto, ove ordinò a' Spoletini, che il seguissero armati
in Lombardia[317]; la qual cosa negando coloro di fare senz'ordine
del Pontefice, comandò di nuovo sotto gravi pene, che ubbidissero;
ma costoro avendo mandate le lettere di Federico al Papa, questi, che
per altre cagioni stava crucciato con Federico, così per lo fatto de'
Prelati, a' quali non volle dar possesso delle loro Chiese, come per
essersi Federico collegato con Ezzelino, e per aver pubblicata una
sua Costituzione, per la quale voleva che i Frati e i Preti, che gravi
omicidj, o altri enormi delitti avessero commesso fosser castigati da'
suoi Magistrati secolari, e per non osservar loro dovuta franchigia,
ch'e' pretendeva per gli Ecclesiastici nelle gabelle e dazj: acceso
da ira gravissima scrisse asprissime lettere a Federico, dolendosi
acerbamente con lui di queste cose. Federico riputando troppo arroganti
queste lettere, gli rispose con pari ardimento; onde Onorio montato in
maggior stizza gli scrisse di nuovo con maggior asprezza ed arroganza
e con gravi minacce.
(Si legge presso _Lunig_[318] questa lunga lettera esprobratoria
d'Onorio III scritta a Federico).
Federico, che non voleva ora brighe col Papa, per placare il suo animo
gli rescrisse umilmente _in omni subjectione_, come dice Riccardo: onde
rappacificatisi insieme, il Papa gli mandò per Legato Cinzio Savello
Cardinal di Porto per trattar di comporre le lor contese, affinchè non
s'impedisse perciò l'espedizione di Terra Santa, e si quietassero le
cose di Lombardia. Indi Federico partito di Spoleto ne andò a Ravenna,
ove celebrò la Festa di Pasqua di Resurrezione, e scrisse ad Errico
suo figliuolo in Alemagna, che ragunata potente armata fosse venuto a
ritrovarlo in Lombardia, e lasciato il cammin di Faenza, ch'era città
sua nemica, ne andò col suo esercito nel castel di S. Giovanni, ne'
tenimenti di Bologna, ed indi ad Imola, ed entrando ne' confini di
Lombardia, solo que' di Modena, di Reggio, di Parma, di Cremona, di
Asti e di Pavia, gli mandarono Ambasciadori, e s'offerirono pronti
al suo servigio. L'altre città, non solo non gli usarono cortesia
alcuna, ma d'avantaggio contro di lui si collegarono: queste furono,
secondo scrive Riccardo, Milano, Verona, Piacenza, Vercelli, Lodi,
Alessandria, Trivigi, Padua, Vicenza, Torino, Novara, Mantua, Brescia,
Bologna e Faenza, con Goffredo Conte di Romagna, e Bonifacio Marchese
di Monferrato, ed altri luoghi della Marca Trivigiana, le quali con
formato esercito ne andarono incontro ad Errico per vietargli il passo
a piè dell'Alpi, acciocchè non fosse entrato in Italia. Passò poscia
l'Imperadore a Cremona, e vi fu da que' cittadini con grande onor
ricevuto, e vi celebrò l'Assemblea già statuita, ma con poca gente,
non vi essendo gito niun Barone, nè Ambasciador delle città collegate
contro di lui.
Ritornato poscia a Parma fu da molti Conti e Cavalieri di quelle
regioni, e da' Lucchesi e Pisani, e particolarmente da' Marchesi
Malespini visitato e riverito, molti de' quali armò Cavalieri di sua
mano, onoranza di molta stima in que' tempi, ed indi nel Borgo di
S. Donnino si congiunse col Legato del Pontefice, da lui richiesto
perchè gli agevolasse la sua incoronazione della Corona di ferro, come
intendea di fare.
Conservavasi questa Corona di ferro in Monza in poter de' Milanesi;
co' quali non fu bastevole qualunque mezzo, che vi si adoperasse, a
disporgli per introdurlo per far cotal atto nella lor città, memori
delle antiche ingiurie ricevute dall'avolo Barbarossa: il perchè
reggendo Federico di non potere nè coloro, nè alcuna dell'altre città
contro di lui unite, rivocare al suo partito con preghiere e cortesie,
venuto in grandissimo sdegno, diede a tutte il bando imperiale,
dichiarandole rebelle, e le fece interdire dal Legato, e togliendo lo
Studio da Bologna, quello in Napoli, ed in Padova trasferì, ordinando
a tutti gli Scolari, che da Bologna partissero, ed in quelle due città
andassero a studiare; ma rapporta il Sigonio, che il suo comandamento
non fosse stato da niuno ubbidito.
L'Imperadore, non potendo per allora far altro progresso in Lombardia,
partitosi di là andò a Rieti a ritrovare il Pontefice, e querelatosi
con lui della contumacia de' Lombardi, se ne passò nel nostro Reame
di Puglia; da dove inviò nuovo soccorso di soldati in Terra Santa; ed
avendo rinunziato l'Ufficio di Giustiziere di Terra di Lavoro Pietro
Signor d'Evoli, e Niccolò di Cicala, furono creati in lor vece Ruggiero
di Gallura, e Marino Capece napoletano. Allora fu, che essendo già
pacificato col Pontefice, diede il possesso delle lor Chiese a tutti
que' Prelati, che il Papa avea creati, cioè agli Arcivescovi di Capua,
di Consa e di Salerno, al Vescovo d'Aversa, ed all'Abate di S. Lorenzo
di quella città[319].
Bramava ardentemente il Pontefice, che si facesse il passaggio in Terra
Santa, il qual veniva frastornato, ed impedito per nemistà, ch'era
tra l'Imperadore, e le città collegate: e Federico avea perciò fatto
pubblicare un editto, col quale faceva noto, che per la discordia
d'Italia, s'impediva l'impresa di Terra Santa; ed avendo inviato suoi
Ambasciadori al Papa per tal affare, Onorio vi s'adoperò in guisa tale,
che alla fine per allora gli accordò; onde l'Imperadore per compiacere
al Pontefice, promise d'inviar prestamente altri quattrocento soldati
in soccorso de' Cristiani in Soria. Passò da poi Federico con _Jole_
sua moglie in Sicilia; ed il Pontefice vedendo, che il Re Giovanni di
Brenna, per la nemistà, che avea col genero, onde era stato costretto
a partire da' suoi Reami, vivea con molta strettezza, gli concedette
in Governo tutto quello spazio di paese, che è da Viterbo a Monte
Fiascone; ed in tanto l'Imperadore per mezzo d'Errico Morra suo Gran
Giustiziero, pubblicò nuovi Ordini e Statuti da lui fatti, per la
quiete e tranquillità de' suoi sudditi, rapportati da Riccardo di S.
Germano. Morì ancora in quest'anno _Francesco_, chiaro per miracoli
e santità di vita, il quale fondò la religione de' _Frati Minori_ in
Assisi sua patria, e fu in processo di tempo ascritto al numero de'
Santi.
Il Pontefice Onorio, secondo la Cronaca di Riccardo, nel mese di marzo
di questo nuovo anno 1227 trapassò in Roma, dopo aver governata la
Chiesa di Dio dieci anni, sette mesi e tredici giorni, e fu in Roma
sepolto nella chiesa di S. Maria Maggiore in umil sepolcro.
Le discordie, ch'ebbe questo Papa con Federico, ancorchè gravi e
spesse, nulladimanco non furono così atroci, che obbligassero questo
Pontefice di scomunicarlo, come falsamente scrissero alcuni. I primi,
che scagliarono contro Federico questi fulmini furono Gregorio IX ed
Innocenzio IV suoi successori, come più innanzi diviseremo.
CAPITOLO VI.
_Spedizione di FEDERICO per Terra Santa._
Morto il Pontefice Onorio, nel seguente giorno fu da' Cardinali eletto
in suo luogo Ugolino de' Conti, figliuol di Tristano d'Alagna fratello
d'Innocenzio III de' Conti di Segna, a cui posero nome _Gregorio_
IX. Questi tantosto che fu eletto, inviò lettere per tutto il Mondo
della sua promozione, e della morte del suo predecessore, ed inviò
Fra Guglielmo Frate Dominicano all'Imperadore, dandogli contezza per
sua lettera della sua elezione, esortandolo a riverire e difendere la
Chiesa di Dio, ed a badare al buon governo dei Popoli a lui soggetti,
e ad abbracciare la guerra di Terra Santa, chiedendogli parimente che
gli facesse da' Regnicoli portar vettovaglie ed altre cose bisognevoli
per fornire le sue galee, che intendea inviare in Palestina, ciocchè
Federico per mezzo d'Errico Morra Gran Giustiziero prestamente fece
eseguire[320]. Simone Scardio rapporta una lettera, scritta da Gregorio
in questo primo anno del suo Ponteficato all'Imperador Federico,
ripiena di molti encomj ed eccelse lodi, che questo Pontefice dava a
quel Principe, il quale avendo convocati tutti i Giustizieri delle
province de' suoi Regni di Sicilia diede lor contezza di ciò, che
Gregorio gli avea scritto, acciocchè s'apparecchiassero al passaggio
d'oltremare; per la qual cagione impose una general taglia a' suoi
vassalli, ed indi significò ad Errico suo figliuolo in Alemagna, che
dovesse ragunare una Dieta in Aquisgrana, per dar contezza a' Baroni
tedeschi del general passaggio, che egli intendea fare in Soria nella
metà del vegnente mese d'agosto: giorno in cui si celebra la salita
al cielo di Nostra Signora, acciocchè coloro, che gir seco volessero,
postisi all'ordine, fossero venuti in Puglia, ove sopra i navilj per
ciò apprestati s'aveano ad imbarcare, ed ei gli attendea. Inviò di là
al Pontefice l'Arcivescovo di Reggio, e Fra Ermando Saltza Gran Maestro
de' Cavalieri teutonici, a significargli, che egli era all'ordine per
imbarcarsi, ed a condurgli le vettovaglie, ed ogni altra provigione,
che per le galee gli avea chiesto.
Intanto convocatasi da Errico l'Assemblea in Aquisgrana, secondo
il comandamento del Padre, per invitare i Tedeschi al passaggio
d'oltremare, vi convennero Signori e Prelati in gran numero, fra' quali
furono Sifridio Arcivescovo di Magonza, Teodoro Arcivescovo di Treveri,
Errico Arcivescovo di Colonia, con gli Arcivescovi di Salsburg, di
Magdeburg e di Brema, e con tutti i Vescovi a loro soggetti. Vi furono
i Duchi d'Austria, di Baviera, di Carintia, di Brabante e di Lorena:
Errico Conte Palatino del Reno, Lodovico Lantgravio di Turingia, e
Ferdinando Conte di Fiandra, quello stesso, che preso dal Re Filippo
nella battaglia di Tornay, dopo esser dimorato ben dodici anni nella
prigione di Parigi, per opra del Pontefice, e d'altri Signori, che
il favorivano, n'era alla fine uscito. Tutti costoro per esortazione
di Errico Re d'Alemagna, e per la pietà cristiana, s'apprestarono
prontamente a così pietosa impresa; onde tra per questi che in buona
parte vi vennero, e per gli altri invitati da diversi Frati ed altri
Ecclesiastici inviati dal Pontefice per la Cristianità ad esortare i
Popoli, che prendessero la Croce nel tempo stabilito, infinito numero
di Fedeli concorse in Brindisi, e nelle circostanti regioni, in guisa
tale, che solo dall'isola d'Inghilterra, scrive l'Abate Uspergense, che
ne vennero ben sessantamila. Ma sopraggiunto intanto il calor grande
della state in quegli aridi siti di Puglia, cominciarono, non avvezzi
a ciò, e sofferendo ogni sorte di disagio, ad infermare e morire i
soldati oltramontani a migliaja, insieme co' quali di questa vita
passarono i Vescovi d'Angiò e d'Augusta, ed il Lantgravio di Turingia,
onde afflitti da così gravi mali, s'avviarono per ritornare indietro
a' lor paesi, ma invano, perciocchè la maggior parte per lo cammino
perirono[321].
Intanto Federico coll'Imperadrice _Jole_ da Sicilia era passato in
Otranto nel mese d'agosto, donde, avendo quivi lasciata l'Imperadrice,
passò in Brindisi, ove era l'esercito de' Crocesignati, e quantunque
fosse rimasto con picciol numero di soldati per la mortalità seguita,
e per lo ritorno di molti, fece imbarcar nell'armata apparecchiata
molta gente nel stabilito giorno dell'Assunzione per dover egli da poi
seguirla; e ritornato in Otranto, ove avea lasciata l'Imperadrice, per
prender da lei congedo, quivi infermossi[322]: ma non ostante la sua
infermità, riavutosi appena, tornò in Brindisi, ed ivi imbarcossi:
ed avendo navigato tre giorni, non potendo soffrire per la sua
convalescenza l'agitazione del mare, volse le prore addietro, e a
Brindisi ritornò. Il Fazzello narra, che Federico giugnesse in questa
sua navigazione sino allo Stretto dell'isole della Morea e di Candia,
e che da' venti contrarj, e dalla sua infermità fosse stato costretto
con coloro, che eran in Lacedemonia far ritorno a Brindisi insieme
con quarantamila persone di quelle, che si erano imbarcate, se diam
credenza a ciò, che ne scrive il Sigonio.
(Sigonio seguitò la fede di Matteo Paris, il quale ad An. 1227,
pag. 286 scrisse: Animo nimis consternati, in eisdem navibus, quibus
venerant, plusquam XL armatorum millia sunt reversi).
Gregorio IX dimorando in Anagni, avendo inteso il ritorno di Federico,
attribuendolo a poca volontà del medesimo, trasportato da fiero sdegno,
il penultimo giorno di settembre, in cui si celebrava la festa della
dedicazione di S. Michele Arcangelo, dichiarò esser Federico incorso
nella scomunica, che da Onorio in S. Germano gli era stata minacciata,
se non passava in Soria, fulminando contro di lui la censura[323], la
cui sentenza vien riferita dal Bzovio e da Carlo Sigonio, che comincia:
_Imperatorem Federicum qui nec transfretavit, etc_.
Aggiunge lo Bzovio, che Gregorio, non solamente per lo sturbato
passaggio di Terra Santa, ma per molte cagioni ancora avea motivi di
sdegno contro Federico; poichè oltre all'aver rapiti i beni degli
Ecclesiastici da' suoi Regni, con far loro pagare tutte le taglie
e gabelle, che egli imponeva, aveva di vantaggio, per vendicar suo
privato sdegno, con la cagione del passaggio d'oltremare, fatto gir
per forza in Soria il Vescovo d'Aversa e Ruggieri Conte di Celano
suoi nemici, e posto il figliuolo del Conte in una stretta prigione,
con altri mali che di Federico racconta Gio. Villani; ma perchè
quest'Autore non rapporta, onde ciò ricavato se l'abbia, se non
l'autorità del detto Villani, non merita veruna fede; poichè il Villani
come straniero negli avvenimenti del Reame e massimamente in quelli di
Federico, come Guelfo e di fazione a lui nemica, o per poco avvedimento
o per mal talento infiniti errori commise, scrivendo cose che non
mai avvennero, per non favellarne niuno degli altri Autori che allora
vissero, come furono Riccardo ed altri che con molta diligenza le cose
de' lor tempi raccolsero.
Federico recandosi a gravissima ingiuria cotal sentenza, partendosi
di Puglia, ove ancor dimorava per dar più chiare pruove, che egli
era infermo, ne andò a' bagni di Pozzuoli, secondo scrive Riccardo,
per curarsi dalla sua infermità, e di là inviò a Roma, ove il Papa
da Anagni era passato, l'Arcivescovo di Reggio e quel di Bari con
Rinaldo Duca di Spoleto ed Errico di Malta per suoi Ambasciadori al
Pontefice a scusarsi perchè non era passato oltremare, significandogli
la cagione della dimora: ma fu tutto vano, perciocchè il Pontefice
non dando credenza alcuna a tutto ciò che egli in sua difesa addusse,
ragunando in Roma i Prelati oltramontani e quanti del Regno unir
potè, nell'ottavo giorno dopo la festa di S. Martino lo dichiarò di
nuovo pubblicamente scomunicato, interdicendo i suoi Regni, e mandò
lettere generali per tutto l'Occidente a tutti i Principi e Signori
della Cristianità pubblicandolo per tale. La qual cosa risaputasi
da Federico, scrisse anch'egli a Lodovico Re di Francia del torto
fattogli da Gregorio, come si legge nell'epistole di Pietro delle
Vigne ed in Carlo Sigonio, con le seguenti parole: _Gregorius
IX sub ea occasione quod nos in termino nobis dato, infirmitate
gravati, transire nequivimus ultramare, contra justitiam primitus
excomunicationi subjecit_. Dal che si vede, che essendo la primiera
volta stato scomunicato da Gregorio, è vanità e bugia tutto quel
ch'hanno scritto il Villani ed altri Autori, che Onorio l'avesse
un'altra volta scomunicato, contro quel che ne riferisce Riccardo.
Scrisse ancora a' Cardinali, dolendosi aspramente con loro, che non
fossero stati in nulla uditi i suoi Ambasciadori. Scrisse a tutti i
Principi e Signori d'Alemagna; e mandò un'altra sua epistola a tutti
i Re e Principi del Mondo, gravandosi di cotal scomunica, con scusarsi
de' falli imputatigli e narrando la cagione, perchè l'avea il Pontefice
scomunicato, e gl'impedimenti che l'avean trattenuto dal non passare
in Soria, dolendosi di tutti i Prelati e ministri della Chiesa,
riprendendo acerbamente i Romani, che a cotal sentenza non s'erano
opposti. Ordinò parimente a tutti i Giustizieri di Sicilia e di Puglia,
che facesser celebrar da' Preti e da' Frati le messe nelle lor province
e che non gli facessero partir dal Regno, nè gire da un luogo ad un
altro senza loro licenza, nelle quali scritture si serviva della penna
di Pietro delle Vigne suo Secretario: uomo, come si è detto, in quei
tempi di somma dottrina ed avvedimento, e a lui carissimo, secondo che
si scorge nel libro delle sue epistole che più volte abbiamo nomato.
Dopo la qual cosa convocò un general Parlamento a Capua di tutti i
Baroni del Regno, a cui impose, che ciascun di loro pagar gli dovesse
per ogni Feudo che possedea, otto oncie d'oro, e per ogni otto Feudi un
soldato, acciocchè ragunar potesse esercito per passare in Terra Santa
nel seguente mese di maggio, nel qual tempo intendeva andarvi, posposta
ogni altra dimora. Statuì ancora un'altra Assemblea da ragunarsi per
tal cagione a Ravenna nel prossimo mese di marzo, ove convocò tutte
le città e signori d'Italia e suoi partigiani; ed indi inviò in Roma
Roffredo Epifanio da Benevento, famoso Giureconsulto di que' tempi, con
le discolpe, che egli in suo favore adducea, le quali Roffredo, come si
disse, fece pubblicamente leggere in Campidoglio di volontà del Senato
e del Popolo romano.
Federico nel principio del seguente anno 1228 convocò in Puglia tutt'i
Prelati e Baroni, che seco avea per passare in Palestina, e venuto il
giorno di Pasqua, quella celebrò con grandissima pompa ed allegrezza
in Barletta; perciocchè aveva avuta contezza, che Tommaso d'Aquino
Conte dell'Acerra, che dimorava per suo Maresciallo in Soria, venuto
a battaglia con Corradino Soldano di Damasco l'avea vinto e ucciso, e
ritornando dopo questo il Conte nel Reame, inviò per soccorso in Terra
Santa Riccardo di Principato, parimente suo Maresciallo, con altri
cinquecento soldati che imbarcatisi in Brindisi passarono felicemente
in que' paesi.
In questo mentre i Francipani e gli altri partigiani di Federico
in Roma, essendo Gregorio, dopo aver celebrata la Pasqua in S.
Gio. Laterano, passato nella chiesa di S. Pietro, per rinovar le
censure contro Federico, gli mossero contro il Popolo, mentre faceva
quell'atto, con grave sedizione e tumulto, e dopo averlo oltraggiato
con molte ingiuriose parole, lo scacciarono dalla città e 'l
costrinsero a ricovrar fuggendo a Perugia, ove per alcun tempo dimorò.
Federico intanto raccolta per l'espedizione di Terra Santa molta
moneta dalle Chiese e dalle persone ecclesiastiche, non ostante che
il Pontefice avesse ordinato per sue lettere, che nulla pagassero,
s'avviò verso Barletta, ove intendea celebrare un general Parlamento, e
giunto ad Andria, l'Imperadrice, che era seco partorì ivi un fanciullo,
a cui fu posto nome _Corrado_, il quale fu dal padre, più di ciascun
degli altri suoi figliuoli teneramente amato, ed indi a non molto,
come sovente avvenir suole, se ne morì per li travagli del parto nella
medesima città[324].
La morte di questa Imperadrice vien da Gio. Villani e da altri moderni
Autori, che l'han seguito, descritta con molte favole e novelle, le
quali non meritano fede alcuna; perciocchè Riccardo il veritiere
Cronista di que' tempi, altro non racconta, salvo che la morte
dell'Imperadrice nel parto; e lo stesso scrisse il Corio nell'istorie
di Milano e Carlo Sigonio ed il Frate di Santa Giustina, e niun degli
altri Autori, che con la dovuta diligenza scrissero gli avvenimenti
di que' tempi, fan menzione, che ella morisse in prigione battuta
dall'Imperadore come dice il Villani, e pur quelli non tacendo l'altre
malvagità commesse da lui, avrebbero registrata ancor questa, se
fosse stata vera; oltre che pare impossibil cosa aver potuto Federico
amar tanto il figliuolo Corrado, come nel progresso di quest'Istoria
si vedrà, se avesse in prima così acerbamente odiata la madre, che
l'avesse ridotta a morire, come costoro raccontano.
Federico dopo la morte di Jole celebrò il Parlamento in Barletta, ed
intento al passaggio di Terra Santa, prima di partire, volle provedere
a' suoi Regni nel caso, che venisse egli a mancare; onde in presenza
de' Prelati e Grandi del Regno, ed infinita moltitudine accorsavi,
fece ad alta voce leggere i seguenti capitoli formati da lui in
modo di testamento rapportati da Riccardo. Primo, voleva che tutti i
Regnicoli tanto Prelati, quanto Signori e loro sudditi vivessero in
quella pace e tranquillità, ch'eran soliti di vivere al tempo del buon
Re Guglielmo II, e perciò lasciava per suo Vicario e Balio del Regno
Rinaldo Duca di Spoleti. Secondo, se egli nella guerra che intendea
di fare in Soria, fosse mancato di vita, gli succedesse nell'Imperio
e nel Regno il suo maggior figliuolo Errico, al quale, se fosse morto
senza prole, succedesse Corrado suo minor figliuolo e se costui ancor
senza figliuoli fosse mancato, succedessero gli altri figliuoli da
esso Imperadore procreati di legittima moglie, facendo giurare a
Rinaldo Duca di Spoleti, ad Errico Morra, ed agli altri più stimati
di coloro, che erano ivi adunati che se non fosse venuto a morte, ed
altro testamento non avesse da poi fatto quel che allora avea statuito
compiutamente osservassero. Terzo, che niuno del Regno per dazio,
ovvero colletta fosse obbligato dare alcuna cosa, se non per l'utilità
del Regno, e per le necessità che potevano occorrere.
Letti questi capitoli e fattigli giurare in suo nome dal Duca di
Spoleti e da Errico Morra suo Gran Giustiziero, l'undecimo giorno del
mese di giugno si imbarcò in Brindisi sopra venti galee, secondo che il
Bzovio e l'Abate Uspergense scrivono, ed avendo in prima comandato, che
tutti i vassalli che con lui navigar dovevano, si fossero assembrati a
S. Andrea dell'Isola, ivi con lor si congiunse, e passò ad Otranto, ed
indi in Terra Santa, dove di là a poco felicemente giunse ed a nobili
imprese si accinse.
Gregorio IX ch'era in Perugia, udita la partenza dell'Imperadore, senza
che prima da lui fosse stato assoluto dalle censure, come pretendea, si
accese di tanto sdegno, che scrisse lettere al Patriarca di Gerusalemme
ed al Maestro dello Spedale del Santo Sepolcro in Soria, colle quali
premurosamente gl'incaricava, che si guardassero di Federico, nè loro
prestassero aiuto, poichè era partito scomunicato, e che potea perciò
apportar loro grave danno; di vantaggio stimolò in Italia i Milanesi
nemici di Federico a collegarsi con lui a' suoi danni, dividendo
l'Italia in fazioni, onde crebbero in maggior numero i Guelfi; e medita
intanto per l'apparecchio d'una nuova espedizione sopra il Regno
di Puglia, per toglierlo a Federico nell'istesso tempo, che questo
Principe era lontano ed inteso all'impresa di Terra Santa.
Dall'altra parte Rinaldo Duca di Spoleti lasciato da Federico per
Vicario del Regno, per impedire i disegni del Papa ed intricarlo con
una guerra ne' propri Stati, invase col suo esercito la Marca, ed il
suo fratello Bertoldo assalì da un altro lato i tenimenti di Norcia e
distrusse il castello di Brusca, che si era a lui ribellato, dando gli
abitatori in potere de' Saraceni, che seco di Puglia avea condotti, i
quali con vari tormenti gli fecer tutti crudelmente morire[325].
Questi avvenimenti significati a Papa Gregorio, e come il Duca
era entrato ostilmente nello Stato della Chiesa, e fatti quivi
gravissimi danni, lo ammonì, che via si partisse, lasciando in pace
i suoi sudditi; ma il Duca facendo poco conto di cotal ordine, irato
il Pontefice lo scomunicò con tutti i suoi seguaci: e vedendo che
nulla giovavano le censure, ragunò grosso esercito con gli aiuti de'
Milanesi, e di tutte l'altre città della Lega di Lombardia, e chiamata
la milizia di Cristo, l'inviò contro il Duca Rinaldo creandone Capitano
Giovanni di Brenna già Re di Gerusalemme ed inimico di Federico, ed il
Cardinal Legato Giovanni Colonna.
CAPITOLO VII.
_Spedizione di GREGORIO IX sopra il Regno di Puglia._
Papa Gregorio scorgendo, che questi sforzi non eran bastevoli ad
impedire i progressi del Duca, il quale avea già sottoposta la Marca
al dominio dell'Imperadore insino a Macerata, deliberò di muover
guerra nel Reame di Puglia e spinger le sue armi contra queste
province, acciocchè postele in isconvolgimento, dovesse per lor
difesa prestamente accorrere il Duca, e lasciar liberi i suoi Stati.
Congregati adunque nuovi soldati, ne creò Capitani Pandolfo d'Alagna
suo Legato, Ruggieri dell'Aquila Conte di Fondi e Tommaso Conte di
Celano ribelli e nemici di Federico.
Questi Capitani a' 18 gennaio del nuovo anno 1229 per la strada di
Cepparano, entrarono in Terra di Lavoro co' loro soldati, che eran
nomati _Chiavesegnati_; ed assalirono ed espugnarono in un subito il
castello di Ponte Solarato, che era allora la Porta del Regno ed il
primo luogo forte da quella parte a' confini dello Stato della Chiesa,
e l'aveva in guardia, per l'Imperadore, Adenolfo Balzano. La caduta
di questo castello cagionò sì fatto timore in Bartolommeo di Supino
Signore di S. Giovanni in Carrico, ed in Roberto dell'Aquila Signore
del castello di Pastena, che senza far altra difesa, di lor volere
anch'essi si resero; indi passato il fiume di Telesa s'avviarono li
soldati papali verso il Contado di Fondi.
Intanto Errico Morra Gran Giustiziero, avuta contezza della mossa di
cotal guerra, ragunati in un subito molti soldati, ne venne a San
Germano per contrastare colle genti del Pontefice, ed impedire di
far altro acquisto. Ma queste opposizioni poco valsero per impedire i
felici progressi dell'esercito del Pontefice, il quale scorrendo per
molti luoghi di questa provincia avea occupato molte Rocche e castelli
insino a Gaeta. Questa città, mentre si rendeano tanti luoghi al Legato
del Papa, fu sempre fedele all'Imperadore, resistendo agli sforzi
del Legato, apparecchiandosi valorosamente alla difesa, per la qual
cosa fu dal Cardinal Pelagio, Vescovo d'Albano e Legato del Pontefice
sottoposta all'interdetto. Si resero parimente al Legato Pontecorvo con
tutte l'altre Terre di Monte Cassino, la Rocca d'Evandro, Trajetto, e
Sugio e finalmente fu forza che si rendesse anche la città di Gaeta,
nella quale fu abbattuto e spianato il castello, che l'Imperadore
con molta spesa vi avea edificato, essendosene partiti, per non poter
far altro molti fedeli di Federico, che non vollero rimaner sudditi
del Pontefice; ed i Beneventani avuta contezza de' felici successi
dell'esercito Papale, rompendo anch'essi da quel lato la guerra, ne
andarono a far gravi danni e prede in Puglia di bovi ed altri animali,
e nel lor ritorno ruppero, e posero in fuga il Conte Raone di Valvano,
che lor s'era opposto; per la qual cosa il Gran Giustiziero con tutt'i
Baroni fedeli all'Imperadore andarono con lor soldati contra quelli di
Benevento e guastarono e distrussero molti lor poderi dalla banda di
Porta Somma, ove era posta la lor Rocca.
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