Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 23

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Palermo, il Vescovo di Reggio, Taddeo da Sessa e Ruggiero Porcaprello
suoi Ambasciadori: i quali favellando col Pontefice il ritrovarono
oltremodo crucciato; onde rimandarono in Lombardia l'Arcivescovo di
Palermo a significare a Federico quel che bramava Gregorio, il quale,
non ostante tante rivolture in Italia, che obbligavano Federico a
non partirsi da quella, non tralasciava però di promuovere in questi
tempi l'espedizione di Terra Santa, con invitare al passaggio molti
Principi; e Federico al contrario intento alle cose d'Italia, non
volea intricarsi in tale impresa; anzi compiuto il tempo della tregua
col Soldano, la rinnovò per altri dieci anni, ed ordinò a Rinaldo di
Baviera suo Vicario in quel Regno, che in guisa alcuna non movesse
l'armi contro i Saraceni. Nè per questo si rimase Gregorio, poichè
mandò molti Frati in diverse province della Cristianità ad esortare
i Popoli a prender la Croce per passare in Soria, laonde s'assembrò
grosso numero di Fedeli così d'Alemagna, come d'Italia e di Francia; ma
quest'espedizione fu molto infelice, poichè, ancorchè Federico l'avesse
dato libero il passaggio per lo suo Reame, non essendovi armata di
mare, nè navi sufficienti per così gran numero di persone, la maggior
parte dell'esercito s'avviò per terra, ove di disagi quasi tutti
perirono.
Nel medesimo tempo sopravvenne una nuova cagione di disturbo tra
il Pontefice e Federico: Enzio suo figliuol bastardo, secondo che
racconta Riccardo da S. Germano, si casò in Sardegna, per cagione
del qual maritaggio occupò poi il Giudicato di Torre e Galluri: se
n'offese Gregorio, il quale pretendea anch'egli que' luoghi esser per
antiche ragioni della Chiesa; onde allegando per messi particolari
più volte il diritto, che vi pretendea, richiese Federico, che quelle
ragioni fossero restituite alla Chiesa; ma l'Imperadore replicava,
che quell'isola appartenea all'Imperio e che l'avolo suo Barbarossa,
riconoscendone il dominio n'avea investito con titolo di Principe
_Guelfo_ suo zio materno, e poi con titolo di Re Barisone Judice
d'Arborea, ed indi in processo di tempo i Pisani, e' Genovesi; sicchè
non solo non glie le volle rendere, ma ne creò allora Re Enzio suo
figliuolo, il quale tolta la Corona di quel Regno, operò, che alcuni
potenti Baroni dell'isola occupassero molti territori e castella,
che i Vescovi di quel Regno s'aveano appropriate. Per queste nuove
cose, mal sofferendo il Pontefice, che Cesare divenisse più potente,
entrato il nuovo anno 1239 inviò sue lettere a Federico, esortandolo a
lasciar stare in pace le ragioni della Chiesa; ma avendogli risposto
l'Imperadore che infino da che fu coronato, avea proposto di riporre
in piedi le ragioni dell'Imperio e che perciò avea fatto occupare que'
luoghi a se spettanti, e che ciò non dovea aver egli a male, essendo
lecito a ciascuno ricuperar il suo. Gregorio sdegnato gravemente
gli comandò di restituirgliele sotto pena di scomunica, la qual
parimente dispregiata da Federico, fu cagione che nel giovedì santo
di quest'anno lo scomunicasse pubblicamente in Roma alla presenza di
tutti i Cardinali, e di numeroso Popolo a cotal atto ivi concorso.
Questa scomunica, che contiene molte accuse contro Federico, vien
rapportata da Carlo Sigonio[370], e dagli Annali del Bzovio e comincia:
_Excommunicamus et anathematizamus ex parte Dei Omnipotentis, etc._
Dopo aver Gregorio con terribili formole dichiarato scomunicato
l'Imperadore, diede contezza di cotal scomunica a Balduino Imperador di
Costantinopoli, a Giacomo Re d'Aragona, a Ferdinando Re di Castiglia,
a Lodovico Re di Francia, ad Errico Re d'Inghilterra, al Re di Scozia
ed a tutti gli altri Re e Principi cristiani, inviando altresì ordine
a tutti i Prelati, e particolarmente a quelli d'Alemagna, che nelle
loro Chiese pubblicassero per iscomunicato l'Imperadore, assolvendo i
sudditi dal giuramento di fedeltà, e sottoponendo all'interdetto tutti
coloro, che l'ubbidivano. E narra Matteo Paris[371], che Gregorio dopo
aver assoluto i sudditi dell'Imperadore dalla sua ubbidienza, scrisse
a Roberto fratello di Lodovico Re di Francia, offerendogli l'Imperio;
ed il Re di Francia su quest'offerta, fece convocare a consiglio tutti
i Principi della Francia, per risolvere ciò che dovesse farsi, i quali
detestando questo sforzo del Pontefice in pubblica Assemblea così
esclamarono: _Quo spiritu vel ausu temerario Papa tantum Principem,
quo non est major inter Christianos, non convictum, et confessum
de objectis sibi criminibus exheredavit, et ab Imperiali apice
praecipitavit? Scimus quod Domino Jesu Christo fideliter militavit,
moriens, et bellicis se periculis confidenter opponens, tantum
religionis in Papa non invenimus. Imo qui eum debuit promovisse, et Deo
militantem protexisse, eum conatus est absentem confundere, et nequiter
supplantare. Nolumus nos metipsos in tanta pericula praecipitare,
ut ipsum Federicum tam potentem impugnemus, quem tot Regna contra
juvabunt, et causa justa praestabit adminiculum. Quid ad Romanos de
prodiga sanguinis nostri effusione, dummodo irae suae satisfecerimus,
si enim per nos, et alios devicerit omnes Principes mundi, conculcabit
sumens cornua jactantiae, et superbiam, quoniam ipsum Federicum
Imperatorem Magnum contrivit._
Era l'Imperadore nella città di Padova, celebrando ivi con gran
festa la Pasqua di Resurrezione, quando gli venne novella il lunedì
d'essa, come il giovedì santo era stato dal Pontefice pubblicamente
scomunicato; ed ancorchè espressamente se ne dolesse nell'interno,
pure simulò il contrario, e riputando la censura ingiusta, tantosto
convocò un'Assemblea de' più stimati cittadini padovani, ed altri
Signori italiani e tedeschi nel palagio del Comune, ed ivi, secondo
scrive Pietro Girardo, favellò Pietro delle Vigne suo Gran Cancelliero
lungamente in difesa di lui, lagnandosi di Gregorio, con cominciare
il suo discorso da questa sentenza: _Leniter ex merito quidquid
patiere ferendum est: quae venit indigne poena, dolenda venit_;
dicendo che Federico governando sì giustamente il suo Imperio, n'era
in sì fatta guisa oltraggiato dal Pontefice, e che non perchè l'avea
egli scomunicato così iniquamente dovesse riputarsi fuori del grembo
di Santa Chiesa, essendo egli prontissimo a sottoporsi alla Sede
Appostolica in tutte quelle cose, che ricerca la divina giustizia, non
già al capriccio d'un uomo, essendo egli vero e fedel Cristiano[372].
Per la qual cosa niente curando di quella scomunica, partito da Padova
con nobilissima compagnia di Baroni n'andò a Trivigi, ove onorevolmente
ricevuto scrisse sue lettere a' Cardinali ed a' Romani, rampognandogli,
come avean consentito, che Gregorio ingiustamente lo scomunicasse.
(Queste Lettere di Federico scritte nel 1239 si leggono presso _Lunig.
Cod. Ital. Diplom. Tom._ 2 _pag._ 887, 889 e 898, siccome in contrario
un Breve di Gregorio IX drizzato al Card. Ottone _pag_. 895).
Scrisse ancora a tutti i Re e Principi di Cristianità, purgandosi delle
malvagità oppostegli dal Pontefice, gravando lui di gravissime colpe
con tutti i Cardinali; e veggonsi sin ad oggi l'epistole di Federico
ne' libri di Pietro delle Vigne, per le quali egli mostra, quanto a
torto fosse stato così oltraggiato dal Pontefice. E ritornato poscia a
Padova ingegnossi con ogni suo potere farsi partigiani ed amici i più
stimati Signori d'Italia, per valersene contro il Pontefice, ed alla
guerra d'Italia pose tutti i suoi pensieri.
Ma poichè il Pontefice, dopo questa scomunica per mezzo di Monaci
e Frati, tentava di sconvolgergli questo Reame, Federico ancorchè
intrigato nella guerra di Lombardia, vi diede però riparo, per mezzo di
vari ordinamenti, che vi drizzò, discacciando dal monastero di Monte
Cassino tutti que' Monaci, a riserba di solo otto Frati, che sopra
il Corpo di S. Benedetto i divini Uffici celebrassero, mandandovi
per custodia di quel monastero molti soldati a guardarlo: ed il munì
a guisa di forte Rocca, con toglierne l'antico tesoro ed i sacri
vasi d'argento e d'oro, che dopo molt'anni vi furono riposti per la
previdenza de' Frati, e per la magnificenza de' passati Re ed altri
Signori e Baroni del Regno. Tolse parimente a' Padri Pontecorvo e Rocca
Janala. Ordinò ancora che tutti i Regnicoli, che si trovavano nella
Corte romana partir dovessero da Roma, fuorchè quelli, che dimoravano
a' servigi del Cardinal Tommaso e di Giovanni da Capua suoi vassalli.
Discacciò dalle loro Chiese e dal Regno i Vescovi d'Aquino, di
Carinola, di Teano e di Venafro. E da tutte le Chiese cattedrali, e dal
monastero Cassinense, e da' suoi sudditi fece esigere un _adjutorio_
per l'Imperadore, dando la cura a Ruggiero di Landolfo ed a Giacomo
Gazzolo, a ciò eletti per lo Giustizierato di Terra di Lavoro, di
raccorre la metà delle loro rendite, con parte delle quali sostentò i
soldati, che dimoravano a guardia di Monte Cassino e di Pontecorvo.
E nell'istesso tempo furono da Federico ordinati gl'infrascritti
Capitoli da doversi pubblicare nel Regno, e da osservarsi
irremissibilmente, rapportati da Riccardo[373].
Primo, che tutt'i Frati di S. Domenico ed i Frati Minori di S.
Francesco, nativi delle terre rubelle di Lombardia, uscissero
prestamente da' suoi Stati, e da tutti gli altri Religiosi si togliesse
sicurezza di non trattar cos'alcuna in disservigio di lui. II Che
tutt'i Baroni e Cavalieri, che per l'addietro avessero seguito le
parti del Pontefice, e particolarmente quelli, che aveano le loro
Baronie a' confini d'Apruzzo e di Campagna, dovessero andare in ordine
con armi e cavalli in Lombardia per servirlo in Campo a loro spese,
e quegli che non eran agiati di moneta, col soldo, che egli avrebbe
lor fatto pagare. III Che dalle Chiese cattedrali s'esigesse per lui,
e s'imponesse per l'imperial Corte un _adjutorio_ secondo il modo e
potere delle loro ricchezze, e parimente da' Canonici e Preti sudditi
di quella diocesi e da' Cherici ancora, secondo le loro facultà: ed il
medesimo si dovesse esigere dagli Abati, Monaci negri e bianchi. IV
Che tutti quei che sono nella Corte romana, eccetto gli esclusi ed i
sospetti debbiano ritornare tosto nel Regno, e facendone il contrario,
i loro beni saranno confiscati e dopo la citazione, se non ubbidiranno,
non si permetterà loro più ritornare. V Che i beni ed i beneficj di
quelli Cherici, che non sono del Regno, debbiano tutti confiscarsi.
VI Ordinò, che niuno potesse nè gire dal Regno in Roma, nè venir da
Roma nel Regno senza licenza de' Giustizieri delle province d'Apruzzi
e di Terra di Lavoro. VII Che si stabilissero esploratori acciocchè
niuno, sia mascolo o sia femmina, entrando nel Regno, portasse lettere,
o altre scritture del Papa contro di lui, e che se fossero trovati,
fossero fatti morire o Chierico o Laico che egli si fosse.
Ma non perchè queste ostilità fra di loro si praticassero, tralasciò
Federico di mandare a Roma li Vescovi di S. Agata e di Calvi per
trattar co' Cardinali di trovar modo di composizione; ma tosto che
Gregorio seppe la lor venuta in Roma, furono da lui discacciati, e
ritornarono indietro nel Reame senza conchiuder cosa alcuna[374].


CAPITOLO II.
_Si rompe aperta guerra tra FEDERICO e Papa GREGORIO, il quale in mille
guise oltraggiato dall'Imperadore, se ne muore di dolor d'animo._

Inasprisconsi per tali cagioni gli animi d'ambedui, e mentre per
opera del Papa si rubella Ravenna dall'Imperadore, e si dà in mano
de' Veneziani, che la difendono, Federico richiama in Italia il Re
Enzio suo figliuolo, il quale venuto di Sardegna, con grosso numero
di soldati pugliesi, tedeschi, siciliani e saraceni invade la Marca
d'Ancona, rompendo la guerra al Pontefice. Gregorio gl'inviò contro per
suo Legato il Cardinale Giovanni Colonna, acciocchè difendesse que'
luoghi, e nel mese di novembre di quest'istesso anno 1239 confermò
le censure già fulminate contro Federico, e scomunicò il Re Enzio con
tutti i suoi seguaci, per essere entrati ostilmente nella Marca, _quam
Juris esse dicebat Ecclesiae_, come narra Riccardo.
Sollecitò anche il Pontefice i Veneziani, perchè movesser guerra a
Federico, i quali scovertisi già di costui nemici, assalirono con
la loro armata la Puglia, ed avuta Federico notizia d'essersi per
queste mosse ribellati alcuni suoi Baroni, risolse di passar nel Reame
per la qual cosa munite di soldati tutte le più importanti città di
Lombardia, e passati gli Appennini pervenne a Lucca ed a Pisa, ove
dimorato alcuni giorni s'adoperò a fare, che i Pisani movessero aspra
guerra a' Genovesi partigiani del Pontefice, e che molti Popoli di
Toscana con lui si collegassero. Nello stesso tempo Frate _Elia_, uno
de' discepoli di S. Francesco d'Assisi, sdegnato col Pontefice, per
essersi dimostrato più favorevole ad alcuni Frati del suo Ordine,
co' quali avea nimistà, ed aspramente il travagliavano, che a lui,
anch'egli aderì a Federico, divenendo suo gran partigiano e difensore:
onde si veggono alcune lettere scritte dall'Imperadore a suo favore,
e particolarmente una d'esse al Re di Cipri, nella quale lodandolo di
somma bontà, dimostra averlo in molta stima.
Racconta Bernardino Corio, che prima di partir Federico da Lombardia,
per trattato de' Milanesi, congiurarono di torgli la vita nell'istesso
suo esercito, Pietro delle Vigne, Guglielmo di S. Severino, Teobaldo
Francesco Siniscalco del suo palagio, Andrea di Cicala, Pandolfo della
Fasanella e Jacopo di Morra, con altri molti de' suoi maggiori e più
stimati Baroni, e che avvedutosi l'Imperadore della lor fellonia,
facesse cavar gli occhi a Pietro, e gli altri in varie guise aspramente
morire: nel qual racconto prende il Corio un manifesto errore, per
seguir forse alcun Autore, che ciò con poco avvedimento scrisse prima
di lui, non leggendosi tal fatto, nè in Riccardo da S. Germano, nè in
altri Scrittori di que' tempi; anzi Andrea di Cicala, eletto dopo la
morte d'Errico di Morra Gran Giustiziero, per lungo tempo appresso
fedelmente il servì, e la ribellione de' S. Severini, di Teobaldo
Francesco, e di coloro della Fasanella, e d'altri Baroni, con la rovina
di Pietro delle Vigne, succedette in progresso di tempo nel Reame, e
con altra cagione di quella che il Corio racconta, secondo che appresso
diremo.
Federico adunque avendo creato il figliuolo Enzio suo Vicario in
Italia, ed inviatolo con grosso numero di soldati ad occupar la Marca
d'Ancona, egli entrò col rimanente del suo esercito per un altro lato
nel Ducato di Spoleto, e negli altri luoghi del Patrimonio, essendo già
l'anno di Cristo 1240, e se gli diede in un subito Fuligno, Viterbo,
Orta, Civita Castellana, Corneto, Sutri, Montefiascone, e Toscanella
con molt'altre castella; il perchè sbigottito grandemente il Pontefice
ricorse alle orazioni, e cavate fuori le teste di S. Pietro e S. Paolo,
col legno della Croce di Cristo, con tutt'i Cherici, Prelati, e gran
parte del Popolo romano, gli condusse in processione da S. Giovanni
in Laterano insino a S. Pietro, ed ivi largamente favellato delle
miserie, che pativa la Chiesa di Dio per la malvagità, com'egli diceva,
di Federico, pubblicò contra di lui la Croce, come di crudelissimo
nemico di Dio e de' suoi Ministri, infiammando parimente con le sue
parole molti degli astanti a prenderla. Infatti ragunatisi di loro un
convenevole esercito con gli altri soldati del Pontefice, uscirono
contro all'Imperadore, e vennero più volte a battaglia; della qual
cosa Federico aspramente sdegnato, quanti dei _Crocesignati_ faceva
prigionieri, tanti faceva loro o fendere in quattro parti la testa,
o con ferro infocato segnare in fronte una croce; e dati a sacco, ed
abbruciati i territorj di Roma, se ne passò nel Reame, ove poco innanzi
avea inviata l'Imperadrice sua moglie in compagnia dell'Arcivescovo
di Palermo, ed andato egli in Puglia proccurò discacciar da que'
liti i Veneziani, i quali con venticinque galee scorrendo per quelle
riviere presero, e saccheggiarono Termoli, Campomarino, Vesti, Rodi,
ed altre castella. Anzi incontrata appresso Brindisi una nave, che
carica di soldati imperiali ritornava da Soria, dopo averla aspramente
combattuta, ma non presa, per averla ostinatamente difesa coloro, che
vi eran dentro, l'abbruciarono. A tai danni non potendo porger rimedio
Federico, fece in vendetta morire obbrobriosamente impiccato per la
gola in Trani in una torre presso la marina, Pietro Tiepolo figliuolo
del Duce a vista dei Veneziani, i quali danneggiarono quelle contrade
sino al mese d'ottobre, quando carichi di preda, senza ricever molestia
alcuna, addietro a Vinegia si tornarono.
Nell'istesso tempo per opra de' Cardinali, Papa Gregorio pensò di
convocare un general Concilio in Laterano nel giorno di Pasqua del
seguente anno, per trovar opportuno rimedio a' travagliati affari
della Chiesa, ed al soccorso di Soria, e spedì perciò Giacomo Pecoraro
di Pavia Cardinal di Preneste, ed Ottone Bianco de' Marchesi di
Monferrato suoi Legati in Ispagna, Francia, Inghilterra e Scozia a
convocare i Vescovi, ed i Prelati di que' Regni, che venissero al
Concilio a difendere le ragioni della Chiesa contro l'Imperadore
con dar loro contezza delle guerre e persecuzioni che ciascun giorno
sofferiva. Ciò inteso Federico, procacciò per ogni via di distorre
i Prelati oltramontani dal venirvi, scrivendo nel mese di settembre
al Re d'Inghilterra, che in guisa alcuna non avesse fatti partire
i Vescovi del suo Regno, e con gravi minacce tentò parimente di non
farvi intervenire gli Alemanni e gli Franzesi; ed acciocchè i fatti non
fossero stati dissimili dalle parole, inviò Enzio suo figliuolo con un
potente esercito nelle riviere di Genova, acciocchè proccurasse di non
far passare i Prelati, e facesse prigionieri tutti quelli, che alle
mani gli capitassero, e travagliasse con ogni suo potere i Genovesi
seguaci del Pontefice. Era allora Federico in grande e felice stato, e
potentissimo di gente e di denaro; tenendo al suo soldo cinque numerosi
eserciti.
(_Matteo Paris, pag._ 493 e 495 scrive, che fossero sei eserciti,
dicendo: _Habuit enim sex exercitus magnos, populosos, et
formidabiles_; ed annovera i luoghi, ov'eran posti, ed i Generali che
li comandavano. Vedasi Struvio Syntag. _Hist. Germ. dissert._ 20 § 15
_pag._ 658).
Perciocchè oltre a quello, che campeggiava in Faenza, e l'altro, che
avea inviato in Liguria, teneva il terzo nella Marca d'Ancona e nella
Valle di Spoleto, del quale, come si vede nelle Pistole di Pietro delle
Vigne, era general Capitano Marino d'Evoli. Era il quarto in Palestina
a difesa di que' luoghi, governato da Rodolfo suo Maresciallo, e del
quinto era Capitano suo figliuol Corrado, in Alemagna ragunato per
andare in soccorso di Bela Re d'Ungheria contro i Tartari, ch'eran poco
innanzi usciti dagli ultimi confini della Scizia, ed aveano a guisa
d'un diluvio scorsa e soggiogata la maggior parte dell'Asia: e così
vittoriosi e potenti si divisero in più eserciti, uno dei quali passato
in Europa avea vinto i Polacchi, i Russiani ed i Bulgari; onde il Re
Bela, chiedendo soccorso a Federico, fu cagione, che non sol facesse
dal figliuolo Corrado assembrar grosso esercito di Tedeschi per aiutar
quel Re, e scacciare i Tartari da' confini di Lamagna, ma ancora, che
ne scrivesse a' Senatori di Roma, dolendosi, che la discordia fra se e
Gregorio il distogliea dall'andar di persona a così importante impresa,
richiedendogli, che procacciassero di porlo con lui in concordia, come
a pieno si scorge nel primiero libro delle Pistole di Pietro delle
Vigne.
Intanto, entrato l'anno 1241, Federico per togliere ogni sospetto, che
il Papa potesse per mezzo de' Frati rendere insidie nel Reame, fece
scacciare di suo ordine da quello tutti i Frati Cordeglieri, e quei
di S. Domenico, rimanendone sol due di loro, naturali del medesimo
Reame, per monastero, e la città di Benevento fu prestamente assediata,
siccome scrive Riccardo, la quale avendo per nove mesi continui
sostenuto valorosamente l'assedio, alla fine da fame costretta si rese,
e furono per ordine dell'Imperadore abbattute le sue mura e le torri
insino al suolo, e tolte l'armi a' cittadini.
Nello stesso tempo Giovanni Colonna Cardinal di S. Prassede Legato di
Gregorio nella Marca, venuto con lui in discordia, divenne partigiano
di Federico, e gli sottopose buon numero delle sue castella presso
Roma. Erano, mentre ancor durava l'assedio di Faenza, ritornati di
là da' monti, e d'Inghilterra e di Scozia in Genova i Cardinali con
grosso numero di Vescovi, Arcivescovi, ed altri Prelati per venire al
Concilio, e trovarono in quella città Gregorio di Romagna, parimente
Legato del Pontefice, da lui inviato a' Genovesi per lo stesso affare
del Concilio. Or questi Prelati temendo di gire per terra a Roma per
le gravi minacce di Federico, conchiusero di far cotal passaggio su le
galee de' Genovesi condotte da Guglielmo Ubriachi loro Ammiraglio, non
ostante, che Federico gli avesse invitati a venire a lui; perciocchè
bramava, o fargli consapevoli delle sue ragioni riversando la colpa
della discordia al Pontefice, o distorgli da gire nel Concilio; onde
imbarcati su la detta armata de' Genovesi ebbero all'incontro il
Re Enzio con venti ben armate galee, tra quelle del Reame, e quelle
de' Pisani, che vennero in suo soccorso sotto il comando di Ugolino
Buzaccherini da Pisa espertissimo Capitano di mare[375]; ma venute
alle strette le due armate il giorno terzo di maggio tra Porto Pisano,
e l'isola di Corsica non lungi dall'isoletta della Meloria (per non
aver voluto li Capitano de' Genovesi allargarsi in mare, con più lungo
viaggio sfuggendo l'incontrarsi co' nemici, giunger senz'altro intoppo
in Roma) per lo valor de' soldati Regnicoli e de' Pisani, e del lor
Capitano ne ottenne Enzio notabil vittoria. Furono in quell'occasione
fatti prigionieri i tre Legati, e tutti i Prelati, che eran colà
convenuti, e grosso numero d'Ambasciadori di diversi Principi e città,
che anch'essi andavano al Concilio, con mettere a fondo tre galee
nemiche, e prenderne ventidue, tredici delle quali fur particolarmente
prese da vascelli regnicoli, e l'altre da' Pisani, e con fare altresì
ben quattromila Genovesi prigioni, essendo stato fra i Prelati cattivi
l'Arcivescovo di Roano con altri molti Vescovi inglesi e francesi, ed
altri Prelati minori: alcuni de' quali furono crudelmente mazzerati
in mare presso la Meloria, ed altri posti in prigione in Napoli, in
Salerno, ed in altri luoghi della Costa di Amalfi, ove molti di essi
di fame e di stento miseramente perirono, e gli altri furono rimessi in
libertà ad istanza di Lodovico Re di Francia, del Re d'Inghilterra e di
Balduino Imperadore di Costantinopoli. Vedesi ancora un'epistola[376]
di Federico scritta ad alcuni suoi Baroni, ove particolarmente favella
della presa di Faenza, e di cotal vittoria ottenuta dalle sue galee,
la quale così comincia: _Adaucta nobis continuae felicitatis auspicia,
etc._
Dopo il quale avvenimento, Andrea di Cicala, che era Gran Giustiziere
e General Capitano del Reame, d'ordine del suo Signore convocò tutti
i Prelati regnicoli a Melfi di Puglia, e da loro volle consignati in
suo potere tutti gli arredi delle loro chiese, così i vasi d'argento
ed oro, come le gemme, e le vesti di seta, di porpora, e l'altre cose
destinate al culto divino, gran parte delle quali condotta in una
chiesa di S. Germano, fu data in custodia a dodici uomini de' più
agiati, e migliori di quella terra, essendosi particolarmente tolte
due tavole, una d'oro e l'altra d'argento purissimo dall'altar di S.
Benedetto in Monte Cassino, con altri preziosi abbigliamenti ornati
d'oro e di gemme, e vasellamento d'argento, e danari contanti in grosso
numero; ma di queste sì profanamente ragunate spoglie, alcune furono
ricomprate da' luoghi onde erano state tolte, e l'altre fur condotte a
Grottaferrata per farne moneta in servigio dell'Imperadore; il quale
soggiogata Faenza, e tutti gli altri luoghi di Romagna, e lasciato
il figliuolo Enzio suo Vicario in Lombardia passò nella Marca, ed
assalito Fano, Assisi, e Pesaro, non potè insignorirsene; onde posti
a ruina i lor territorj, ne andò a Spoleti, che con Narni, ed altri
luoghi dell'Umbria tantosto se gli diedero, mentre il Conte Simone di
Chieti suo Capitano con un'altra parte dell'esercito avea parimente
preso Chiusi, e Viterbo; poi verso Roma prese e distrusse Monte Albano,
Tivoli ed altre castella, sollecitatone dal Cardinal Colonna, che
come detto abbiamo, era divenuto ribello e nemico del Pontefice, il
quale afflitto da tanti mali, dopo aver creato Senatore di Roma Matteo
Rosso uomo d'avvedimento e valore, acciocchè s'opponesse a' moti del
Cardinal Giovanni e dell'Imperadore, poco stante infermando d'una
grave malattia, per affanno e per dolore trapassò di questa vita a' 21
agosto, secondo scrive Riccardo da S. Germano.
Morto il Pontefice Gregorio, Federico scrisse sue particolari lettere
al Re d'Inghilterra, e ad altri Re e Signori di Cristianità, dicendo
che sperava per la morte di Gregorio d'impor fine alle discordie, che
avea avute con la Chiesa, e gire in lor compagnia contro i Tartari,
che, come abbiam detto, in quei tempi travagliavano l'Ungheria,
l'Alemagna ed altri luoghi de' Cristiani. E ragunati dopo la morte
di Gregorio i Cardinali per creare il nuovo Papa, non essendo più che
dieci, spedirono Ambasciadori a Federico, perchè si fosse contentato
di mandare con quelle condizioni che gli fossero parute convenevoli
i due Cardinali, che teneva prigioni; il perchè fattigli condurre a
Tivoli da Teobaldo di Dragone, gl'inviò liberi in Roma con giuramento,
siccome scrive il Sigonio, d'aver a ritornare in prigione fatta la
novella elezione, fuorchè, se alcuno di loro fosse creato Pontefice.
Così, lasciato buon numero di soldati in Tivoli, per la via di Campagna
venne nel Regno, e fermatosi all'Isola, comandò che s'edificasse una
nuova città all'incontro di Cepparano, e ne diede la cura a Riccardo
di Monte Negro Giustiziero di Terra di Lavoro, comandando agli uomini
d'Arce di S. Giovanni in Carico, dell'isola di Ponte Scellerato, e
di Pastena, che dovessero colà andare ad albergare; e per operarj
del nuovo edificio volle, che vi andasse certo numero d'uomini de'
vassalli di Monte Cassino, e di quello di S. Vincenzo a Vulturno, del
Contado di Fondi, di Comino, e del Contado di Molise, scambiandosi
in giro settimana per settimana. Ma Riccardo, che ciò scrive, non fa
menzione nel detto luogo del nome imposto alla novella città, se non
che, per quanto egli poco appresso dice, e per quel, che si legge nella
Cronaca del Re Manfredi, fu nominata _Flagella_, quasi volesse con tal
nome inferire, che era fondata per travagliar Cepparano, e gli altri
circostanti luoghi della Chiesa; nondimeno di tal città non appare
oggi reliquia, nè vestigio alcuno, nè trovo essere stata altra volta
menzionata ne' tempi appresso, o perchè non finisse d'edificarsi, o
perchè fosse disfatta poco dopo il suo cominciamento.
Mentre Federico per S. Germano, Alifi e Benevento se n'andò in Puglia,
con aver comandato, che tutti i mobili raccolti dalle Chiese fossero
a lui condotti a Foggia, elessero i Cardinali, ch'eran ragunati al
Conclave in Roma, trenta giorni dopo la morte di Gregorio, per nuovo
Pontefice Goffredo Castiglione milanese Cardinal Vescovo Sabinense,
vecchio ed infermo, ma di somma bontà, a cui poser nome _Celestino
IV_, il quale appena diciassette giorni dopo la sua elezione passati, e
prima di consegrarsi, di questa vita trapassò; onde i Cardinali venuti
fra di loro in discordia, non crearono per lungo tempo altro Papa, con
grave danno della Chiesa, anzi molti di loro temendo della fierezza
di Federico, fuggitisi nascostamente di Roma, in Alagna, ed in altri
luoghi si ricoverarono.
Venuto poscia il mese di dicembre, l'Imperadrice Isabella dimorando
coll'Imperador suo marito in Foggia, soprappresa da improviso male, in
breve tempo morì, e fu sepolta in Andria.
Nel seguente anno 1242 Federico impose un'altra grossa taglia di
moneta nel Regno, e tolto l'Ufficio di Giustiziero di Terra di
Lavoro a Riccardo di Monte Negro, vi fu creato in suo luogo Gisulfo
da Narni. Fece poscia abbatter tutte le torri, ch'erano in Bari,
per aver sospetta la fede de' Baresi, e mandò suoi Ambasciadori a
Roma a comporre la pace fra' Cardinali, che colà erano, e trattar
dell'elezione del nuovo Pontefice, il Gran Maestro de' Teutonici,
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