Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 18

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e vicina al mare, dove per la fertilità così del terreno, come del
traffico marittimo, era abbondanza di tutte le cose bisognevoli per
l'uman vivere, e dove con facilità da tutte le parti così terrestri,
come marittime, si potevan conducere i giovani a studiare.
Ci testifica Riccardo da S. Germano, Scrittor contemporaneo, che
Federico nel mese di luglio di quest'anno 1224 ordinò quest'Accademia,
mandando per tutte le parti del Regno, così di Puglia, come di Sicilia
sue lettere a questo fine: _Mense Julio_ ci dice, _pro ordinando studio
Neapolitano Imperator ubique per Regnum mittit litteras generales_.
Alcune di queste lettere si leggono ne' sei libri dell'_epistole_
scritte da _Pietro delle Vigne_, nelle quali si prescrive la forma
di quest'Accademia, alla quale di molti privilegi e prerogative fu
liberalissimo. Primieramente furono da lui costituiti chiarissimi
ingegni con grossi stipendj per Maestri di quest'Università in ciascuna
facoltà; egli chiamò da parti anche remote Professori insigni che
insegnar dovessero in quest'Accademia le discipline, proibendo loro,
che in altra privata scuola, nè fuori, nè dentro il Regno insegnar
potessero, se non in questa Accademia[279]. V'invitò con grossi
stipendj i Maestri _Pietro d'Ibernia, e Roberto di Varano_ assai noti
e celebri Dottori in quella età (poichè Maestro in que tempi valeva
l'istesso, che al presente Dottore) uomini, come Federico istesso gli
qualifica, _civilis scientiae professores, magnae scientiae, notae
virtutis, et fidelis experientiae_[280]. V'invitò ancora tutti gli
altri Professori di ciascuna facoltà, perchè niente vi mancasse, com'ei
dice nell'undecima epistola: _In primis, quod in Civitate praedicta
Doctores, et Magistri erunt in qualibet facultate_.
Vi ebbero, oltre i _Professori di legge_, onorato luogo i Teologi; vi
furono invitati perciò, o i Monaci del monastero di Monte Cassino,
celebri in questi tempi per dottrina, o i Frati dell'Ordine di S.
Domenico, ovvero i Frati Minori di S. Francesco; due religioni di
fresco allora surte, che s'aveano acquistata molta stima per la
santità non meno, che per la dottrina de' loro Religiosi. E quando
nell'anno 1240 per le fazioni, che proccuravano mantener questi
Frati contro Federico nelle discordie insorte tra lui e Gregorio
IX, tanto che fu obbligato questo Principe a discacciargli tutti dal
Regno, come perturbatori della pubblica quiete, mancando perciò in
quest'Accademia i Professori di teologia, l'Università degli studj
di Napoli scrisse una lettera ad Erasmo Monaco Cassinense Professore
di teologia, invitandolo a venire in Napoli per riparare colla sua
dottrina questo difetto, che per la mancanza di que' Frati pativa
il napoletano studio. Questa lettera oggi giorno si conserva nella
Biblioteca Cassinense, e vien rapportata dall'Abate della Noce[281], e
porta in fronte quest'iscrizione: _Honestissimo, et peritissimo viro
Magistro Herasmo Monacho Casinensi Theologicae scientiae Professori;
Universitas Doctorum, et Scolarium Neapolitani Studii salutem, et
optatae felicitatis augumentum_.
Ebbe ancora quest'Università Professori di _legge Canonica_; ed
il Summonte rapporta, nel regio Archivio di Napoli nel registro
dell'Imperador Federico II al _fol_. 21 leggersi una scrittura,
che parla dell'istituzione di questo generale Studio, che comincia:
_Scriptum est Clero, Baronibus, Militibus, Bajulis, Judicibus, et
universo Populo Neapolitano_: nella quale tra l'altre cose s'ordina,
che non fossero ricevuti in questo Studio gli uomini nati nelle città,
che poco prima se gli erano ribellate nella Lombardia; e tra gli altri
Dottori, che v'invitò, fu _Bartolomeo Pignatello_ di Brindisi famoso
Canonista, chiamato a leggere ivi il jus canonico.
Non vi mancarono ancora i Professori di _Medicina_; tanto che Napoli
cominciò allora a contendere di pari col Collegio de' Medici di
Salerno, ordinando Federico in una sua Costituzione[282], che niuno
ardisse leggere nel Regno medicina o chirurgia, se non in Salerno
o in Napoli; nè che potesse alcun ricever grado di Medico o di
Chirurgo, se prima non fosse stato esaminato da' Medici di queste
due Università; il quale dopo aver ricevuto da' medesimi le lettere
d'approvazione, non avesse l'esercizio di medicare, se prima non si
presentasse innanzi a' suoi Ufficiali e Professori di quell'arte,
da lui per tal effetto deputati: e da costoro quantunque dichiarato
abile ed idoneo, nemmeno potesse esercitar il mestiere senza espressa
licenza del Principe, ovvero, essendo quello assente dal Regno,
del suo Vicario[283]. Ond'è che Luca di Penna ed Agnello Arcamone
dissero, che prima nel nostro Regno il solo Re approvava i Medici,
e dava la licenza di curar gl'infermi[284]. Ciò che poi, secondo che
scrisse Andrea d'Isernia[285], fu variato per le nuove ordinazioni de'
Regnanti, per le quali fu stabilito, che coloro che volevano esser
graduati in medicina, dovessero presentarsi innanzi a colui, che il
Re avea ordinato sopra la cura degli studj; ed oggi in Napoli, questa
prerogativa di graduare in medicina ed in tutte l'altre professioni,
è presso al Gran Cancelliero del Regno, e suo Collegio, che in vece
del Re dottora, ed in Salerno per la medicina presso quel Collegio;
quindi è che presso di noi l'Università degli studj di Napoli non
abbia, come nell'altre Università d'Europa, la facoltà di dar grado
di Dottore, ma solo lettere d'approvazione, avendosi il Re riserbata
questa prerogativa, e conceduta al Gran Cancelliere, che l'esercita in
suo nome.
Oltre d'aver Federico fornita quest'Accademia di Professori in ciascuna
facoltà, e d'averle conceduta potestà di spedir lettere d'approvazione
a coloro, che volevano in quelle graduarsi, le concedè ancora, così per
quel che riguarda le persone de' Professori, come degli Scolari, molto
nobili prerogative.
Perchè quest'Accademia si rendesse più celebre e numerosa, ordinò che
solamente in quella potessero i Professori insegnar le scienze, e che
gli Scolari in niun'altra città così di questo Regno, come di quello
di Sicilia, nè fuori potessero andare ad apprender lettere, che in
Napoli[286]. Nel che si procedeva con tanto rigore, che per essersi
così severamente vietati gli studj in tutte le parti del Regno si
dubitò dal Giustiziero di Terra di Lavoro, se s'intendessero proibite
anche le scuole di grammatica, delle quali non doversi intendere il suo
editto, dichiarò Federico in una sua lettera, che pur leggiamo ne' sei
libri dell'epistole di Pietro delle Vigne[287].
Concedè parimente a quest'Università e suoi Dottori e Maestri,
giurisdizione di poter conoscere delle cause civili degli scolari,
come si legge in quell'epistola, che drizzò agli scolari medesimi,
invitandogli a questo Studio: _Item omnes scholares in civilibus,
sub eisdem doctoribus, et Magistris debeant conveniri_[288]. E per
renderla vie più numerosa, ordinò a tutti i Moderatori delle province,
che sotto severe pene costringessero gli scolari di quelle a venire
a studiare in Napoli, con proibir loro d'andare altrove, o dentro, o
fuori del Reame[289]. Mandò ancora altri pressanti ordini al Capitano
di Sicilia, d'invitare i giovani di quell'isola a voler venire a
studiare in Napoli, ove avrebbero godute molte prerogative, franchigie
ed immunità[290]. E nell'anno 1226 essendosegli ribellata Bologna,
ordinò che gli scolari, che ivi erano, venissero a studiare in Napoli,
o in Padoa; e nell'anno 1233 avendo per le turbolenze accadute nel
Regno a cagion delle discordie tra Federico ed il Papa, patito questi
studj danni gravissimi, Federico gli ristorò, e nella pristina forma
gli ridusse[291].
Ed infatti, per invitare questo Principe la gioventù allo studio delle
lettere, concedè a' scolari moltissimi privilegi. Si dichiarò voler
tenere de' medesimi particolar cura e protezione, in maniera, che
stassero sicuri, che ne' loro viaggi, o dimore, che dovessero far in
Napoli, sarebbero ben trattati, e così nelle loro persone, come nelle
loro robe non riceverebbero molestia, nè danno veruno. Che le migliori
case, che fossero nella città sarebbero loro date in affitto a piacevol
mercede; nè nelle cause civili fossero riconosciuti da altri, che da
Maestri dell'Università. Che troverebbero persone, che ne' loro bisogni
loro darebbono danari in prestanza. Che sarebbe loro provvisto di
grano, vino, carni, pesci, ed ogni altro appartenente al loro vitto,
siccome ad ogni altro cittadino napoletano; ed oltre di quelle altre
prerogative, che si leggono in una sua epistola registrata da Pietro
delle Vigne nel libro terzo[292], moltissimi altri provvedimenti diede
Federico per questa Università, dei quali, secondo l'opportunità,
farem parola. Manfredi suo figliuolo seguitò le pedate di suo padre; ed
appresso il _Baluzio_[293] si leggono alcune sue epistole, dove mostra
la sua particolar cura e pensiero di provvedere quest'Università di
valenti Professori, perchè vi fiorissero le lettere.
L'avere Federico in questa città istituita Accademia sì illustre,
per la quale concorrevano a quella gli scolari del Regno dell'una e
l'altra Sicilia, fece che Napoli cominciasse ad estollere il capo sopra
tutte le altre città di queste nostre province: e questa fu la prima
fondamental pietra, onde poi si rendesse metropoli del Regno.
L'altra pure, che dobbiamo a quest'inclito Principe, e' la gettò quando
gli piacque fare spesse dimore in Napoli: poichè avendo egli innalzata
tanto la sua _Gran Corte_, Tribunale a questi tempi il più supremo, ed
al quale erano riportate le più gravi cause: questo fece, che per le
frequenti sue dimore, Napoli si rendesse più frequentata; e se bene
a' tempi di Federico non acquistasse quella superiorità sopra tutte
le cause d'altre Corti dell'altre città di queste province, in guisa,
che ogni lite potesse a lei riportarsi per via d'appellazione, tenendo
ciascuna provincia il suo Giustiziero, innanzi al cui Tribunale si
finivano le liti; nulladimanco Federico accrebbe questa Gran Corte
d'altre conoscenze sopra le cause criminali, di Maestà lesa, feudali, e
di tutto ciò, che si vede stabilito nelle sue Costituzioni[294], sopra
le quali non potevan impacciarsi l'altre Corti.
Favorì ancora Napoli di maggior numero di Giudici, che non erano
nell'altre città d'altre province. In queste il lor numero non poteva
sormontare quello di tre Giudici, ed un Notajo; ma in questo Reame,
in Napoli solo, e in Capua, siccome in Messina in quello di Sicilia,
furono stabiliti cinque Giudici, ed otto Notai[295].


CAPITOLO IV.
_De' Giureconsulti, che fiorirono fra noi a questi tempi._

Si rese ancora più celebre Napoli, per la sapienza e dottrina de'
nostri Giureconsulti, e de' Giudici, che Federico prepose alla Gran
Corte. _Pietro delle Vigne, Taddeo da Sessa, e Roffredo Beneventano_,
famosi Giureconsulti di questa età, la illustrarono sopra tutte
le altre. Abbiamo ancora tra l'epistole di Federico, una scritta
a Roffredo, per la quale l'invita ad andar tosto a Napoli a regger
la sua Corte, di cui egli l'avea eletto Giudice[296]. E Riccardo di
S. Germano[297] narra, aver Federico impiegato questo Giureconsulto
in affari assai più rilevanti, avendolo mandato a Roma, perchè lo
difendesse dalle censure che Gregorio IX aveagli scagliate contro. Così
da questo tempo Napoli, per l'eccellenza di quest'Accademia, e per
gl'illustri Professori, che in quella istruivano la gioventù, per lo
Tribunale di questa Gran Corte, e per li Giudici, che vi presiedevano
insigni Giureconsulti, cominciò a distinguersi sopra tutte le altre
città del Regno, onde meritò poi, che Carlo I d'Angiò collocasse quivi
la regia sua sede, tal che resa capo e metropoli di tutte le altre
fosse divenuta col lungo correr degli anni tale, quale oggi tutti
ammirano.
Quindi avvenne ancora, che le leggi longobarde cominciassero nel nostro
Reame a cedere alle romane, e pian piano cedendo andar poi ne' secoli
seguenti in disuso ed in oblivione; poichè avendo istituito Federico
quest'Accademia in Napoli, ed avendo già in tutte l'altre Università
d'Italia, come in Bologna, Padova, ed in altre posto gran piede le
Pandette, e gli altri libri di Giustiniano, tal che pubblicamente ivi
si leggevano, ed i Professori tratti dall'eleganza dell'orazione,
e dalla sapienza di quelle leggi, abborrendo come barbare le leggi
longobarde, si diedero allo studio di quelle, onde oltre a coloro,
che fiorirono a' tempi di Federico I si renderono a questi tempi
di Federico II celebri _Accursio_ fiorentino, e tanti altri: così
ancora avvenne presso di noi, dove in quest'Accademia i Professori di
legge, non meno che nell'altre città d'Italia, spiegavano que' libri
nelle loro Cattedre. E dalle Cattedre per conseguenza si passò poi a'
Tribunali, i Giudici de' quali instrutti in quella Scuola, ricevevano
molto volentieri quelle leggi, e così pian piano si cominciarono ad
allegar nel Foro, e ad acquistar presso di noi forza e vigor di legge.
Non è però, che le longobarde allora affatto mancassero, già che Andrea
Bonello da Barletta Avvocato fiscale di Federico II in questi tempi
compilò quel suo trattato delle differenze dell'une e l'altre leggi, di
che a bastanza si è discorso nel libro decimo di quest'Istoria.
Fiorirono presso noi in questa età, oltre Andrea Bonello, altri insigni
Giureconsulti, secondo che comportavano questi tempi; d'alcuni de'
quali ci sono rimasti ancora vestigi delle loro opere. Di_ Pietro
d'Ibernia, di Roberto da Varano_, e di _Bartolommeo Pignatello_
Professori di leggi e di canoni nell'Università di Napoli, non abbiamo
altro riscontro di quello, che Federico istesso ce ne dà, d'essere
stati _civilis scientiae professores, magnae scientiae, notae virtutis,
et fidelis experientiae_[298].
Il famoso _Pietro delle Vigne_ da Capua, chi non sa essere stato un
insigne Giureconsulto di questi tempi, e che per la sua eminente
dottrina, ingegno ed eloquenza, ancorchè nato in Capua da umili
parenti, fosse stato innalzato da Federico a' gradi più sublimi del
Regno, di suo Consigliero, e intimo Secretario, di Giudice della Gran
Corte, di Protonotario dell'Imperio e Luogotenente d'amendue i Reami di
Puglia e di Sicilia; e, quel ch'è più, reso degno della sua privanza?
I Germani tentarono d'involarci questo Giureconsulto, facendolo non
già capuano, ma tedesco (non altrimenti che i Franzesi fecero da poi
del nostro _Lucca di Penna_), e Giovanni Tritemio[299] chiaramente lo
scrisse, ingannato forse dal suo cognome, che credette averlo preso
da _Vigna_ celebre monastero di Svevia, posto non molto lungi da
Ravenspurgo. Ma egli è chiaro più della luce del giorno, che fosse nato
in Capua, com'è manifesto dalle sue medesime lettere[300], e da una
scritta a lui dal Capitolo capuano, che veggiamo inserita ne' sei libri
delle sue epistole[301].
(Fra i Codici Filosofici MS. che si conservano nell'Augusta Biblioteca
Cesarea di Vienna n. 179 pag. 80 si legge una epistola d'Errico
d'Isernia Notajo d'Ottocaro Re di Boemia, il quale per aver seguito
le parti di Corradino, essendo stato scacciato dal Regno, scrive
al Vescovo Blomucense, pregandolo, che interceda per lui presso il
Re Carlo I d'Angiò, ed infra l'altre cose gli dice: _Si autem ad
aetatis modernae tempora nostrae mentis aciem convertemus, inveniemus
equidem, quod Magistrum Petrum de Vineis exilibus Parentibus editum,
et fama reconditum obscura, ad ipsius Petri postulationem Panormitanus
Archiepiscopus apud Imperatorem promovit Fredericum, eumque splendore
clari nominis titulavit_. E nell'Epistola scritta dell'istesso affare
ad un tal _Frate Bonaventura_, che si legge alla pag. 82 pur gli
raccorda, _quod Panormitanus Archiepiscopus Petrum de Vinea olim
egregium Dictatorem, et totius Linguae Latinae jubar, pro unica tantum
Epistola, quam eidem misit Archiepiscopo, Imperatori affectuosissime
commendaverit Federico, licet nunquam prius ipsius Petri habuisset
notitiam, et jaceret tunc temporis mole inopiae consternatus_.)
Fu egli peritissimo nelle leggi romane, e tutto inteso a restituirle
nel loro antico splendore; onde avvenne, che in queste nostre parti
cominciasse a piacere lo studio delle Pandette e del Codice, e ne'
Tribunali cominciassero ad allegarsi le leggi in que' volumi comprese.
Ecco ciò, che di lui ne disse l'istesso Federico[302]: _Nam legis
armatus peritia, digesta digerit, et Codicis scrupolositates elimat_.
Ond'è, che presso i nostri Autori de' tempi più bassi, fu riputato
uno de' più dotti e sublimi Giureconsulti di questi tempi, come lo
qualificano Matteo d'Afflitto[303], ed altri.
Quindi fu, che Federico commise a lui la compilazione delle nostre
_Costituzioni del Regno_, della quale più innanzi farem parola; e che
della di lui opera si servisse nelle cose più ardue e difficili, e che
per la sua fedeltà l'impiegasse negli affari più gravi e riposti dello
Stato, onde Dante nella sua Comedia introducendolo a parlare gli fe
dire:
_Io son colui che tenni ambo le chiavi_
_Del cuor di Federico, ec._
Compose, oltre i libri delle nostre _Costituzioni_, sei libri
d'_Epistole_, così in nome suo, come del suo Signore, scritte con
molta eleganza, per quanto comportava l'uso di quest'età; nelle quali
vi sono molte cose utili e commendabili, e quel ch'è più, danno molto
lume all'istoria di questi tempi; e Giovanni Cuspiniano chiarissimo
Istorico e Poeta ci testifica, che da questi suoi libri si cavano con
molta chiarezza quasi tutte le azioni di Federico, e gli avvenimenti
di questi tempi; ond'è che i più diligenti e accurati Istorici, come
Teodorico di Niem, Nauclero, ed altri non solo di quelle vaglionsi
nella descrizione delle gesta di Federico, ma spesso le citano per gli
altri punti della istoria d'altri successi. Stettero questi libri in
obblivione per molto tempo, insin che Simone Scardio dalle tenebre gli
cavò fuori alla luce del Mondo, e nell'anno 1566 gli fece imprimere in
Basilea, dei cui esemplari oggi si è resa ancor rara la notizia.
Scrisse ancora questo Giureconsulto un libro Apologetico intitolato:
_De Potestate Imperatoris et Papae_, in difesa delle ragioni imperiali
contro i romani Pontefici; e narrasi che Innocenzio IV s'avesse presa
la briga di confutarlo[304]. Compose molte _Orazioni_ in difesa di
Federico contro le scomuniche, che si lanciavano contro di lui da'
romani Pontefici, e ne recitò in Padua una assai dotta ed elegante, su
la scomunica, che Gregorio IX avea fulminato all'Imperadore. Compose
anche alcune vaghe _Canzoni_ italiane, che ancor oggi si leggono con
quelle di Federico, ed Enzio suo figliuol bastardo Re di Sardegna.
Alcuni anche credettero, che fosse stato egli l'Autore del libro _De
tribus Impostoribus_; ma questa è un'impostura, anzi vi è ancor chi
dubita, se mai questo libro vi fosse stato, o sia al Mondo, tanto è
lontano, che Federico per opra di lui l'avesse fatto comporre.
Ma l'infelice fine, ch'ebbe questo insigne Giureconsulto, sarà un
chiaro documento dell'istabilità delle mondane cose, del quale ci
toccherà ragionare più innanzi nell'anno 1243 come in proprio suo
luogo.
Fiorì ancora in questi tempi _Taddeo da Sessa_, che cotanto si distinse
nel Concilio di Lione, pur egli chiaro Giureconsulto e Giudice della
Gran Corte ed adoperato da Federico, non meno che Pietro, negli affari
dello Stato; ma di costui niente abbiamo, che lasciasse alla memoria
de' posteri.
Non così fece _Roffredo Epifanio da Benevento_. Fu questi famosissimo
Dottore, ed uomo così insigne, che nella Corte di Federico, di
cui era Giudice, tra tutti i dotti avea il vanto. Compilò molti
trattati, che in questi tempi grandemente illustrarono la disciplina
legale; compose un trattato _De libellis, et ordine Judiciorum_;
il quale divise in questo modo: _I De Praetoriis actionibus. II De
Interdictis. III De Edictis. IV De Actionibus civilibus. V De Officio
Judicis. VI De Bonorum possessionibus. VII De Senatusconsultis.
VIII De Constitutionibus_. Nelle stampe moderne vi sono aggiunti,
_Libellorum opus in Jus Pontificium, ac quinquaginta quatuor Sabbatinae
quaestiones_. Oltre di queste opere, il Vescovo Liparulo[305] afferma
ne' Commentari alla somma di Odofredo che appresso il famoso legista
Bartolommeo Camerario si conservavano dodici grossi volumi di materie
civili e canoniche, composti da Roffredo, e per quanto si credea,
scritti di propria sua mano, i quali il Camerario teneva pensiero di
mandargli in luce.
Egli dalla sua giovanezza portossi per apprender leggi in Bologna,
dove per la celebrità di quell'Accademia concorrevano tutti i giovani
delle città d'Italia; ed ebbe per maestri i principali Dottori, che
fiorissero in questi tempi. Il primo, per quel che rapporta Odofredo,
il quale lo commenda cotanto, fu _Ruggieri_, uno de' primi Chiosatori
delle nostre Pandette. Appresso fu _Azone_, e poi _Kiliano_, _Ottone
Papiense_, e _Cipriano_, tutti famosi legisti, com'egli in più luoghi
afferma. Fatti maravigliosi progressi in questi studj, fu nell'anno
1215 (com'egli stesso testimonia nella prima delle sue quistioni
Sabatine) invitato in Arezzo per interpretar le leggi. Ed avendo
conosciuto, che le _Quistioni_ di Pileo, che si recitavano in Bologna
per ammaestrare i giovani alla difesa delle cause, poco profitto
facevano, lasciate queste in disparte, pensò di esporre a' suoi scolari
quelle quistioni, che alla giornata accadevano nel Foro, le quali per
averle recitate in ogni sabato, pose loro nome di _Quistioni sabatine_.
Tornato poi nel Reame, fu nell'anno 1227 trascelto da Federico per
suo Avvocato, e mandato in Roma per le contese insorte con Gregorio
IX. La sua fama presso i posteri crebbe tanto, che sulla credenza,
che Papiniano fosse di Benevento, gli diedero perciò nome di secondo
Papiniano. Giace egli sepolto in Benevento, ove, per quel, che ne
scrive il moderno Scrittor di Sannio[306], s'addita il suo tumulo nella
chiesa di S. Domenico, che quivi egli fece edificare.
Fiorì ancora negli ultimi tempi di Federico _Andrea di Capua_ Avvocato
fiscale della sua Corte, che fu padre di Bartolommeo, grande e famoso
Dottor dei suol tempi, che con la sua virtù e valore pose il suo
legnaggio in quella fortuna e grandezza, nella quale ai presente il
veggiamo.


CAPITOLO V.
_ONORIO III sollecita l'Imperador FEDERICO per l'espedizione di Terra
Santa, ma è prevenuto dalla morte._

Intanto il nostro Federico dopo avere in cotal maniera illustrata
Napoli con sì famosa Accademia, non tralasciava in Sicilia di
combattere i Saraceni per isnidargli da quell'isola, per cagion
della qual guerra impose una taglia per tutto il Reame, con la quale
raccolse gran somma, essendosi cavato solo dalle terre della Badia di
S. Benedetto, per un certo Urbano da Teano, destinato suo Commessario
a raccorle, ben 300 oncie d'oro, somma notabile per que' pochi luoghi
in que' tempi; e perchè Onorio si chiamava gravemente offeso, che
nel taglieggiare, e nell'imporre delle gabelle non risparmiava gli
Ecclesiastici, nè le Chiese, Federico per racchetare in parte il suo
sdegno, ed averlo amico, inviò sue lettere nel Reame dirizzate al
Giustiziero di Terra di Lavoro, colle quali ordinò, che nel raccor le
collette, taglie, dazj, ed in ogni altro pagamento, facessero esenti
i Frati ed i Cherici, e tutte le altre persone, territorj, castelli, e
beni delle Chiese, secondo ch'erano a tempo del buon Re Guglielmo suo
consobrino[307].
Ma premendo tuttavia il bisogno della guerra contro i Saraceni di
Sicilia, fu costretto imporre un altro pagamento per lo Reame, ed
affinchè, quanto più potesse, meno s'offendesse Onorio, comandò,
che si raccogliesse dalle terre sottoposte a' Frati di S. Benedetto
l'istessa somma di 300 oncie d'oro, che s'erano in prima raccolte, ma
sotto nome di prestanza e non di pagamento. Qual sottil ritrovato,
fu ne' tempi che seguirono imitato da molti Principi, per non dover
spesso per ciò contendere co' romani Pontefici, che pretendono, che
non possa il Principe ne' bisogni più gravi dello Stato taglieggiar le
Chiese e gli Ecclesiastici, secondo le nuove massime, ch'erano state
da poco introdotte, le quali mal poterono sofferirsi da Federico, come
contrarie alla antica disciplina della Chiesa, ed alle supreme regalie
de' Principi.
Venne poscia, nel seguente anno di Cristo 1225, di Francia nel nostro
Reame il Re Giovanni di Brenna con Berengaria sua moglie di lui
gravida, e gitone a Capua vi fu d'ordine dell'Imperadore onorevolmente
raccolto, e poco stante colà dimorando nel mese di aprile partorì una
fanciulla, ed indi ne girono amendue in Melfi di Puglia ad attender
colà Federico, che in breve dovea passarvi da Sicilia.
Federico adunque, lasciato in quell'isola un numeroso esercito a
guerreggiar contro i Saraceni, passò in Regno; e nello stesso tempo
commise a Lodovico Duca di Baviera la cura degli affari d'Alemagna,
e del figliuol Errico, il quale aveva fatto creare Re dei Romani, e
prendere moglie Agnesa d'Austria, oltre all'avergli ceduto il Regno di
Sicilia, per osservar la promessa fatta al Pontefice.
Intanto Onorio travagliato in Roma per gli tumulti e rivolture, che
vi cagionava Parenzo Senatore, uscito da quella città, erasi a Tivoli
ritirato[308], ove Federico gl'inviò il Re Giovanni di Brenna, ed
il Patriarca di Gerusalemme a chiedergli maggiore spazio di tempo di
quel, che gli avea conceduto per passare in Palestina, per cagion che
gli affari del Reame, e la ribellione de' Saraceni di Sicilia glie
le impedivano, ed anche perchè dubitava, che i Milanesi e i Bolognesi
nella sua assenza non fossero per sollevargli la Lombardia. Ottennero
il Re, ed il Patriarca favorevol risposta dal Pontefice, la quale
significata a Federico, questi insieme co' Prelati del Regno, a' 22
luglio portatosi in S. Germano[309], ricevette colà Pelagio Calvano
Cardinal Albano, e Giacomo Gualla di Biccheri da Vercelli Cardinal
di S. Silvestro, e Martino inviatigli da Onorio, acciocchè giurasse
di nuovo in man loro di passare in Terra Santa: fecero que' Cardinali
nella stessa chiesa di S. Germano leggere a Federico i capitoli fatti
da Onorio per tal passaggio, i quali fra l'altre cose contenevano,
che senz'altra dimora, di là a due anni, che avean da compire nel
mese d'agosto dell'anno 1227, andasse a guerreggiare in Soria, con
portar seco e sostenere a sue spese per due anni mille soldati, cento
_Chelandri_[310], nome di naviglj che in que' tempi si usavano, e
cinquanta galee ben armate e provvedute di ciò, che avean mestiere, e
che dovesse dar passagio sopra i suol legni a due altri mila soldati
con le lor famiglie, che dovean parimente colà valicare, contando tre
cavalli per ogni soldato, con altre cose, secondo scrive Riccardo.
Uditisi questi capitoli da Federico, promise compiutamente sotto
pena di scomunica osservargli, in presenza di molti Prelati, ed altri
Signori tedeschi e Baroni regnicoli, che v'intervennero[311], e così
in suo nome gli fece giurare da Rinieri Duca di Spoleto, e dopo tal
atto fu assoluto da' Cardinali predetti dell'altro giuramento, che in
Veroli aveva fatto: e ritornato prestamente in Puglia inviò sue lettere
a' Signori di Lamagna, ed a quelli d'Italia, significando loro, che
nella vegnente Pasqua di Resurrezione venir dovessero in Cremona[312],
ove intendea di celebrare una general assemblea. Raccolse egli poi di
nuovo, pur sotto nome d'imprestanza, altra grossa somma di moneta per
tutto il Regno, facendo particolarmente riscuotere nelle terre di Monte
Cassino ben 1300 oncie d'oro da Pietro Signor d'Evoli, e da Niccolò di
Cicala Giustiziero di Terra di Lavoro.
Non guari da poi nacquero alcuni disgusti tra Federico ed Onorio,
perchè, secondo scrive Riccardo da S. Germano[313], vacando le Chiese
di Consa, di Salerno, d'Aversa e di Capua, e la Badia di S. Vincenzo
a Volturno, Onorio, _inscio et irrequisito Imperatore_, previde da
Roma cinque Prelati per occupar quelle Chiese: questi furono il Prior
di S. Maria della Nuova di Roma per Vescovo di Consa: il Vescovo di
Famagosta per Arcivescovo di Salerno: il Cantor d'Amalfi per Vescovo
d'Aversa: il Vescovo di Patti per Arcivescovo di Capua: ed un Frate di
S. Benedetto, nomato Giovanni di S. Liberatore per Abate di S. Vincenzo
a Volturno. Federico, sdegnato del torto fattogli d'essere stati quelli
eletti senza sua saputa e consentimento, con tanto pregiudizio de'
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