Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 21

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Promettendo i suddetti Principi d'Alemagna, essere mallevadori di
quanto ne' suddetti articoli s'era convenuto.
Dopo la qual cosa l'Arcivescovo di Salisburg favellò lungamente del
buon voler dell'Imperadore verso la Chiesa romana, con iscusarlo
dalle passate discordie, a cui rispose con pari eloquenza il Cardinal
di Santa Sabina. E nell'istesso giorno i Cardinali Legati in nome
del Papa fecero giurare all'Imperadore di restituire ciò, ch'egli
avea occupato, o fatto occupare da' suoi Capitani nella Marca, e
nel Ducato di Spoleto, ed in ogni altra parte del patrimonio della
Chiesa, e tutt'i territori e castelli de' monasteri, o Badie, e
particolarmente del monastero di S. Chirico d'Introducco, e tutt'i
beni de' Cavalieri del Tempio e dello Spedale, e di qualsivoglia
altro Barone, e d'altri Nobili del Reame, che fossero stati aderenti
e partigiani del Pontefice, e di rimettere parimente nelle loro sedi
l'Arcivescovo di Taranto, e tutti gli altri Vescovi e Prelati, che
avea scacciati dal Reame. E di vantaggio gli fecero giurare; _Ut de
caetero nullus Clericus in civili, vel in criminali causa conveniatur,
et quod nullas talleas, vel collectas imponat Ecclesiis, Monasteriis,
Clericis, et viris Ecclesiasticis, seu rebus corum; et quod electiones,
postulationes, et confirmationes Ecclesiarum, ac Monasteriorum libere
fiant in Regno secundum statuta Concilii Generalis_[335].
Dopo questo, d'ordine del Papa fu tolto l'interdetto da Frate Gualdo,
con dar libertà di celebrare i divini Ufficj alle Chiese di S. Germano,
ed all'altre Terre della Badia di Monte Cassino, e di tutti gli altri
luoghi, ove dal Cardinal Pelagio era stato posto, escludendo però di
potere esser uditi come scomunicati dal Duca di Spoleto, e da tutti
gli altri, che in sua compagnia avevano guerreggiato nella Marca. E
l'Imperadore, per eseguire il concordato fatto, restituì indi a poco
Trajetto e Suggio col Contado di Fondi a Ruggieri dell'Aquila, ed il
monastero di Monte Cassino, e Rocca Janola all'abate Adinolfo, con
patto sì bene, che detta Rocca dovesse esser custodita da Rinaldo
Belenguino di Sant'Elia insinattanto, che fosse l'Imperadore assoluto
dalle censure. E passato Federico alla Rocca d'Arce, fece restituire
all'Abate Adinulfo da' Signori d'Aquino, a cui commessi gli avea, Ponte
Corvo, Piedemonte, e Castel Nuovo, e di là passò a Cepparano con buon
numero di suoi soldati, e quivi nella cappella di S. Giustina il dì di
S. Agostino nel mese di agosto, fu Federico assoluto dalla scomunica
dal Cardinal di Capua Vescovo Sabinense, e nell'ultimo del detto mese
andò a trovar Gregorio, che in Alagna l'attendea, avendo nello stesso
tempo inviato per lo Reame sue lettere favorevoli per la libertà de'
monasteri e delle Chiese, delle persone Ecclesiastiche, e dei beni di
quelle, ordinando a' Conti, Baroni, Giustizieri, Camerarj e Baglivi
del Regno di Sicilia, che niuno _Monasteriis, Ecclesiis, personis
Ecclesiasticis, aut rebus eorum talleas, vel collectas praesumat
imponere, salvis illis servitiis, ad quae certae Ecclesiae, vel
personae tenentur nobis specialiter obligatae_, come dal suo diploma
trascritto da Riccardo nella sua Cronaca.
Federico attendatosi col suo esercito fuori delle mura d'Alagna, il
primo giorno di settembre vi entrò, accolto, ed incontrato con ogni
onore da' Cardinali, e da tutti gli altri Prelati e famigliari del
Pontefice, dal quale fu invitato a mangiar seco, e per tre continui
giorni dimorarono insieme favellando de' loro importanti affari in
presenza solo del Maestro de' Teutonici. Accommiatato poscia caramente
da Gregorio ritornò a' suoi alloggiamenti, ove dimorando diede a Gio.
di Poli il Contado d'Albi in luogo del Contado di Fondi, che gli avea
tolto, per restituirlo a Ruggieri dell'Aquila; ed allora l'Abate di S.
Vincenzo, ed i Prelati, che si trovavano scomunicati per aver aderito
all'Imperadore, furono a preghiere del medesimo dal Papa assoluti.
Ed intanto i Vescovi di Tiano, d'Alife, di Venafro, e tutti gl'altri
Prelati, ch'erano usciti del Regno, alle proprie sedi ritornarono, e
li Prelati e Principi d'Alemagna ritornarono a' loro paesi. Aggiunge
il Bzovio ne' suoi annali, che alcuni Autori tedeschi scrivono, che
l'Imperadore per pacificarsi col Pontefice gli pagasse per gli danni,
che con la guerra avea patiti, cento e ventimila oncie d'oro. Girolamo
dalla Corte nell'istoria di Verona, dice non essere stati più che
dodicimila ducati; ma Riccardo, che particolarmente scrive questo
fatto, non favella in guisa alcuna di tal pagamento.
Conchiusa dunque in cotal maniera questa pace, l'Imperadore partito
d'Alagna ritornò a S. Germano, e di là per la strada di Capua passò
in Puglia, e nella città di Melfi fermossi, e disbrigato dagli affari
di questa guerra, quietato il Regno, pensò poi nel seguente anno 1231
a ristabilirlo con varj provedimenti, e ad ordinar nuove leggi per la
quiete e tranquillità del medesimo, e per ristorarlo da' passati danni.
(Nell'anno stesso 1230 fu questa pace confermata da' Principi di
Germania, i quali n'entrarono mallevadori; e l'istromento della
garantia è rapportato da Lunig[336]).


CAPITOLO VIII.
_Delle Costituzioni del Regno._

Niuna parte delle nostre patrie leggi è stata per l'ignoranza
dell'istoria da' nostri Professori tanto confusamente trattata, e con
minor diligenza, che quella che concerne la compilazione di queste
nostre Costituzioni. Non è chi non sappia, che l'Imperador Federico
l'avesse a Pietro delle Vigne commessa, e che per suo comandamento
questi la facesse; ma come, ed in qual tempo si pubblicasse, di quali
Costituzioni e di qual Principe; qual uso ed autorità presso di noi
avesse, e come da poi a noi fossero le leggi, che contiene, state
esposte e commentate da' nostri Scrittori, evvi un profondo silenzio.
Molti perciò confusero le Costituzioni, e ciò ch'è d'un Principe,
l'attribuiscono ad un altro, come si è osservato ne' precedenti
libri di quest'Istoria, ove molte leggi di Ruggiero furono, o a' due
Guglielmi, o a Federico attribuite; ed all'incontro molte Costituzioni
di quest'Imperadore, o a' Guglielmi, o al riferito Ruggiero. Molti
altri, non intendendo la lor forza, nè l'uso di que' tempi, stranamente
a noi l'esposero, e fuvvi ancora chi riputasse alcune di esse empie e
sacrileghe.
Federico adunque savissimo Principe, che non meno nell'armi, che nelle
leggi volle imitare i più savj Re della terra, in quest'anno 1231
avendo conchiusa la pace col Pontefice Gregorio, e resi tranquilli
i suoi Reami di Sicilia e di Puglia, rivolse i suoi pensieri alle
leggi, per dar a' Popoli a se soggetti più stabile e fermo riposo.
Non è però, che egli in questo solo anno promulgasse tutte quelle
Costituzioni, che si leggono in questo volume diviso in tre libri.
La compilazione si fece in quest'anno, ma le leggi si stabilirono, e
prima, e da poi, essendosi molte altre Costituzioni aggiunte dopo la
compilazione fatta in quest'anno 1231 ond'è, che quelle portino in
fronte l'inscrizione,_ Nova constitutio_. Egli in questo Codice volle,
che si inserissero le Costituzioni de' Re di Sicilia suoi predecessori,
e tra quelle ne scelse molte di Ruggiero I Re suo avolo: alcune di
Guglielmo I suo zio, e poche di Guglielmo II suo fratel cugino, delle
quali a bastanza fu ragionato ne' precedenti libri. Non volle tener
conto di ciò, che s'avessero fatto Tancredi e Guglielmo III come
quelli, che furon riputati da lui per Re illegittimi ed intrusi, come
si è altre volte notato. Oltre delle Costituzioni di questi Principi
suoi predecessori, volle che s'inserissero le sue promulgate già in
diversi tempi, in varie occasioni, ed in varie città de' suoi Reami
di Sicilia e di Puglia, stabilendo che cassate ed annullate le antiche
leggi e consuetudini, che a tali Costituzioni fossero contrarie, queste
sole s'osservassero, e queste così ne' giudicj, come fuori, avessero
tutt'il vigore ed autorità nel suo Regno di Sicilia, ch'egli chiama
_credità preziosa_[337]. Ed egli è da notare, che per Regno di Sicilia
comprende non meno quello, che propriamente è detto di Sicilia, ma
oltre di quell'isola, anche questo nostro, che ora Regno di Puglia, ora
di Sicilia di qua del Faro, ed ultimamente Regno di Napoli fu detto;
onde siccome di gran lunga andarono errati coloro, che riputarono le
presenti Costituzioni essersi solo ordinate per l'isola di Sicilia,
così anche non merita scusa il _Ramondetta_, che scrisse, queste leggi
non essere state stabilite per coloro di quell'isola, ma solo per
quello di Napoli. Errore così manifesto, che non vi è Costituzione, che
nol convinca per tale.
Molte Costituzioni prima di quest'anno 1231 avea Federico per lo
governo di questi Reami già stabilite[338]; e fin da' primi anni del
suo Regno, dopo il Baliato d'Innocenzio III cominciò in varj Parlamenti
tenuti in Puglia, o in altre città del Regno a stabilirne. Oltre di
quelle fatte in Roma dopo la sua incoronazione per mano d'Onorio, delle
quali si è discorso nel libro precedente, e che non han che far con
le nostre, nell'anno 1220 essendosi dopo la sua incoronazione, da Roma
portato nel nostro Regno e passato a Capua, quivi resse un Parlamento
generale per bene del Regno, e promulgò suoi ordinamenti contenuti in
venti capitoli, come narra Riccardo da S. Germano[339]: _Et se recto
tramite Capuam conferens, et regens ibi Curiam generalem pro bono
Statu Regni suas assisias_ (cioè regolamenti, che nelle Corti generali
per pubblico bene, e comodo de' vassalli solevansi stabilire[340])
_promulgavit, quae sub viginti capitulis continentur_.
Vi è chi scrive, che nel seguente anno 1221 anche in Melfi avendo
ragunata una general Assemblea, avesse promulgate altre sue
Costituzioni; ma non facendone menzione alcuna Riccardo, non ci
assicuriamo di dirlo; coloro, che lo scrissero, furono ingannati
dalla data, che porta questa compilazione, nella quale, nelle vulgate
edizioni, in cambio di notarsi l'anno 1231 si trova con error manifesto
impresso 1221. Ne furono sì bene in quest'anno non in Melfi, ma in
Messina promulgate dell'altre, le quali oggi pur veggiamo inserite
in questo volume, come ce ne rende testimonianza l'istesso Riccardo:
_Imperator per Apuliam, et Calabriam iter habens, feliciter in Siciliam
transfretat, et Messanae regens Curiam generalem, quasdam ibi statuit
assisias observandas contra lusores_ etc., le quali ora pur leggiamo in
questa compilazione nel libro terzo sotto i titoli; _de his qui ludunt
ad dados, etc. de Blasphemantibus Deum, etc._
Nell'anno 1222 narra l'istesso Riccardo, che Federico _sua Statuta per
Regnum dirigit in singulis Civitatibus et Villis_; e nell'anno 1224
molte leggi furono da lui pubblicate intorno allo stabilimento dello
studio generale eretto in Napoli, come altrove abbiam notato; e nella
Costituzione _nihil veterum_[341] si parla della spedizione fatta da
Federico in Lombardia per frenare la ribellione de' Lombardi, e del suo
presto ritorno in Puglia, ciocchè, siccome scrissero Riccardo[342],
ed Errico Sterone[343], amendue Scrittori di quel tempo, avvenne
nell'anno 1226, e così di mano in mano anche dopo il ritorno fatto
da Soria nell'anno 1229 altre ne promulgò in varie occorrenze[344];
e nel principio di quest'istesso anno 1231 nel mese di gennajo
narra Riccardo[345], che mandasse Federico a Stefano di Anglone
suo Giustiziero di Terra di Lavoro suoi ordinamenti riguardanti le
concessioni e privilegi fatti da lui, e da Rinaldo Duca di Spoleti dopo
il suo passaggio in Soria, comandando, che dovessero quelli presentarsi
alla sua imperial Corte fra certo tempo: altrimenti, che d'essi non
dovesse tenersi alcun conto, nè tenessero fermezza alcuna, ciò che pur
lo vediamo inserito in questo Codice sotto il titolo _de privilegiis_
al libro 2.
Nel medesimo tempo proibì a' Baroni, che nelle lor terre e castelli
potessero far nuovi edificj di muri e torri, come narra Riccardo,
ciò che anche leggiamo nel libro terzo sotto il titolo _de novis
Aedificiis_: diede parimente altri provedimenti intorno alle
sovvenzioni, che dovean prestare i Conti, Baroni e Prelati, che
tenevan Feudi, de' quali ci restano ancora i vestigi nei tre libri di
queste Costituzioni. E forti argomenti abbiam di credere, che quella
cotanto famosa e rinomata Costituzione _Inconsutilem_, piena di tanto
rigore ed asprezza contro i _Patareni_ e gli altri Eretici di questi
tempi, nel mese di febbrajo di quest'istesso anno 1231 avesse Federico
promulgata, per accorrere a' mali, che il numero de' medesimi, il qual
tuttavia andava crescendo, potevano apportare a questi Regni. Narra
Riccardo essere in Italia cresciuto tanto il numero de' _Patareni_,
che ne fu anche Roma, sede della religione, contaminata ed infetta,
bisognando per estirpargli usar molto rigore; in guisa che molti,
i quali ostinati non vollero lasciare i loro errori, furono fatti
ardere nelle fiamme, e gli altri più docili, furono mandati a carcere
nel monastero di Monte Cassino, ed a quello della Cava per dovervi
stare insino che abjurassero, e facessero penitenza de' loro falli. E
crebbe il lor numero in guisa che, oltrepassando Roma, cominciarono
anche a contaminare le città di questo nostro Reame, ed in Napoli
particolarmente multiplicavano assai più, tanto che Federico per
estirpargli mandò quivi l'Arcivescovo di Reggio, e Riccardo di
Principato suo Maresciallo, perchè severamente gli punissero, siccome
in fatti molti ne furono trovati e posti in carcere: e questa fu
l'occasione che mosse Federico a punir questi Eretici, ed i loro
recettatori e fautori con pene sì terribili e severe, come appunto
e' dice in quella sua Costituzione[346]: _Et tanto ipsos persequamur
instantius, quanto in evidentiorem iujuriam fidei Christianae, prope
Romanam Ecclesiam, quae caput aliarum Ecclesiarum omnium judicatur,
superstitionis suae scelera latius exercere noscuntur. Adeo quod ab
Italiae finibus, et praesertim a partibus Lombardiae, in quibus pro
certo perpendimus ipsorum nequitiam, amplius abundare, jam usque ad
Regnum nostrum Siciliae, suae perfidiae rivulos derivarunt. Quod
acerbissimum reputantes, statuimus, etc._ Narra ancora Riccardo,
che nel mese di giugno di quest'istesso anno si fossero nuove altre
Costituzioni da Federico stabilite in Melfi: _Constitutiones novae,
quae Augustales dicuntur, apud Melfiam, Augusto mandante, conduntur_.
Siccome nell'istesso tempo fu fatta inquisizione _de campangiis,
falsariis, aleatoribus, tabernariis, homicidis, vitam sumptuosam
ducentibus, prohibita arma portantibus, et de violentiis mulierum_;
e puniti i rei secondo quelle pene, che furono da lui stabilite in
varie sue Costituzioni, che oggi sotto questi titoli leggiamo in questo
Codice.
Da tutte queste Costituzioni sinora da lui stabilite ne' precedenti
anni in varie occasioni, e da quelle dei Re di Sicilia suoi
predecessori fu in quest'anno da Pietro delle Vigne compilato questo
nuovo volume delle nostre Costituzioni, che oggi diciamo _del Regno_;
e terminata tal compilazione, nel mese d'agosto del suddetto anno 1231
nel solenne Concistoro tenuto in Melfi furono, tutte unite insieme,
pubblicate a' Popoli, perchè cassate l'antiche, queste dovessero
osservare. Ecco come Federico ne favella: _Accipite gratanter, o
Populi, Constitutiones istas, tam in judiciis, quam extra judicia
potituri. Quas per Magistrum Petrum de Vineis Capuanum Magnae Curiae
nostrae Judicem, et fidelem nostrum mandavimus compilari_[347].
Che tal pubblicazione si fosse fatta in agosto di quest'anno 1231
ce lo testifica Riccardo nella sua Cronaca a tal mese, ed anno:
_Constitutiones Imperiales Melfiae pubblicantur_. Ed a quel che ne
scrive Riccardo, sono concordi l'edizioni antiche e corretta, che
portano questa data: _Actum in solenni Consistorio Melfiensi, anno
dominicae incarnationis M.CC.XXXI. mense Augusti, indictionis quartae_.
Ed in tal guisa ancora leggevasi nell'antica edizione, della quale si
valse il nostro Matteo d'Afflitto, quando a quelle fece il suo gran
Commento, non ponendosi allora in dubbio, che in quest'anno fossero
state pubblicate, come scrisse quest'Autore[348]: _Ex quo istae
Constitutiones editae fuerunt mandante dicto Imperatore per doctissimum
virum Petrum de Vinea in anno Domini_ 1231. Onde si scorge con
evidenza, che nell'edizioni nuove e vulgate, che oggi vanno attorno, vi
sia errore manifesto, portando altra data, cioè dell'anno 1221.
Egli è da notare ancora, che dopo questa pubblicazione, furono negli
anni seguenti da Federico in varj tempi fatte altre Costituzioni, le
quali da Taddeo di Sessa, da Roffredo Beneventano, ed ultimamente
da Andrea e Bartolommeo di Capua furon sotto i loro dovuti titoli
fatte inserire in questo Codice, ond'è, che si appellino _Novae
Constitutiones_. Così Federico nel mese di febbrajo del seguente anno
1232 fece pubblicar in S. Germano le sue Costituzioni _de Mercatoribus,
Artificibus, Medicis, Alcatoribus, Damnis, Militibus, Notariis_,
etc., come si legge nella Cronaca di Riccardo, ov'è d'avvertire, che
Ferdinando Ughello, il qual nel terzo volume della sua _Italia Sacra_
fece imprimere questa Cronaca, mal fece inserire, dopo queste parole:
_Post mundi machinam providentia Divina firmatam, etc. quest'altre:
Harum aliquot Richardus Author historiae ponit, sed nos remittimus
lectorem ad librum Constitutionum Regni Siciliae_; dalle quali parole
si conosce, che questa fu una postilla fatta da qualche studioso alla
Cronaca di Riccardo; onde non meritava, che si confondesse col testo
della Cronaca. Queste Costituzioni pubblicate a S. Germano le vediamo
ancora inserite nel volume delle nostre Costituzioni, come sotto il
titolo _de Mercatoribus_, sotto il titolo _de Fide Mercatorum_, sotto
il titolo _de Medicis_, sotto il titolo _de Alcatoribus_ ovvero de
_his, qui ludunt ad dados_, ed altre, che si leggono nel libro terzo. E
nel mese d'ottobre del medesimo anno nell'istesso luogo di S. Germano
ne pubblicò altre attenenti all'annona, a' pesi e misure, ed altre
che si leggono nella citata Cronaca, e delle quali ne restano ancora
a noi i vestigj ne' libri delle nostre Costituzioni: _Mense Octobri in
S. Germano hujusmodi sunt Imperiales Assisiae publicatae_. Ed essendo
l'Imperador Federico nel seguente anno 1233 passato in Sicilia, tenendo
nel fine di quest'anno in Siracusa un general Parlamento, stabilì
quella famosa Costituzione: _Ut nulli_, come dice Riccardo, _liceat de
filiis, et filiabus Regni matrimonia cum externis, et adventitiis, vel
qui non sint de Regno, absque ipsius speciali requisitione, mandato,
seu consensu Curiae suae contrahere, videlicet, ut nec aliquae de Regno
nubere alienigenis audeant, nec aliqui alienigenarum filias ducere in
uxores, poena apposita omnium rerum suarum amissione_. Costituzione che
noi leggiamo sotto il titolo _de uxore non ducenda sine permissione
Regis_, dopo quella, che comincia _Honorem nostri diadematis_, nella
quale si leggono quasi le medesime parole di Riccardo, e per essere
promulgata in questo anno dopo la pubblicazione fatta in Melfi,
perciò porta in fronte: _Nova constitutio_. Fu la medesima da Federico
stabilita non senza forte ragione, poichè avendo invitate le femmine
alla successione de' Feudi, perchè queste maritandosi non trasferissero
i Feudi alle famiglie a se ignote, e forse non a se fedeli, volle
perciò, che senza consenso della sua Corte non potessero casarsi;
della qual Costituzione abbastanza fu da noi scritto, quando ci
toccò favellare delle leggi di Ruggiero, riprovando l'error d'Andrea
d'Isernia, che la reputò restrittiva della libertà de' matrimonj. La
quale durata per lungo tempo, fu poi da Carlo II d'Angiò riformata in
questo Regno, ed in Sicilia abolita affatto dal Re Giacomo.
Ci diede ancora Federico altre leggi ne' seguenti anni per render più
tranquilla la quiete di questi suoi Regni; e dopo avere nell'anno 1234
stabilite le _Fiere_ in alcune città delle sue province, delle quali
si parlerà a suo luogo, per quanto noi possiamo raccorre da Riccardo,
insino all'anno 1243 ove termina la sua Cronaca, troviamo essersi da
lui varie altre Costituzioni pubblicate; e nel mese di settembre del
suddetto anno abbiamo, che _in Grossetto quadam edidit Sanctiones, come
dice Riccardo, contra judices, Advocatos, et Notarios, quas per totum
Regnum publicari praecepit, et tenaciter observari, quarum initium tale
est, nihil veterum authoritati detrahitur, etc._ che sono l'ultime sue
Costituzioni, che ancor vediamo inserite nel nostro volume nel libro
primo sotto il titolo _de Officio Magistri Justitiarii, et Judicum
Magnae Curiae_, che perciò porta l'iscrizione di _Nova Constitutio_;
e sotto il titolo _de Advocatis ordinandis_, co' due seguenti. Tutte
queste Costituzioni, come riguardanti a' Regni di Puglia e di Sicilia,
non bisogna confonderle, come altrove fu avvertito, colle _Augustali_
stabilite in Roma, ovvero con quelle pubblicate in Germania, come
in Egra nell'anno 1213, in Francfort nell'anno 1234, in Magonza
nell'anno 1235 ed altrove, delle quali Goldasto[349] ne fece raccolta,
e si leggono ne' suoi volumi, le quali non furono per questi Regni
stabilite, e perciò appresso di noi non ebbero forza, nè vigor alcuno
di legge.

§. I. _Dell'uso ed autorità di queste Costituzioni durante il Regno de'
Svevi; e de' loro Spositori._
Le Costituzioni di questo Principe nel tempo, che furono promulgate,
e mentre durò il Regno nella sua persona, ed in quelli della Casa
di Svevia, furono universalmente riputate savissime, giustissime e
ricolme d'ogni prudenza, nè eccedenti la potestà d'un Principe. Non
parve allora strano d'aver in questo volume fatte inserire quelle
Costituzioni di Ruggiero e di Guglielmo I, delle quali si parlò
ne' precedenti libri. Nè ch'egli ne avesse poi rifatte moltissime
attenenti ai matrimonj, a' beni delle Chiese, proibendo gli acquisti
degli stabili agli Ecclesiastici, come vietò per sua Costituzione, che
leggiamo al libro terzo sotto il titolo _de Rebus stabilibus Ecclesiis
non alienandis_, e cose simili. Ma da poi che per gli impegni de'
romani Pontefici, nemicissimi della Casa di Svevia, il Regno passò a
quella de' Duchi d'Angiò e Conti di Provenza, come diremo, ancorchè
Carlo I comandasse, che fossero osservate nel Regno, ed il medesimo
avesse ordinato Carlo II suo figliuolo[350]; nulladimanco i nostri
Professori, che fiorirono sotto i Re angioini, per accomodarsi a'
tempi, che allora correvano, tutti favorevoli a' romani Pontefici, da'
quali questi Principi riconoscevano il Regno, cominciarono a malmenare
alcune Costituzioni di questo savio Principe, riputandole, in quanto al
lor credere, e secondo quelle massime, che allor correvano, che fossero
contrarie a quelle della Corte romana; e però strane, inique, ingiuste,
offensive dell'ecclesiastica immunità, della libertà de' matrimonj e
cose simili; tanto che la Costituzione _de Rebus stabilibus Ecclesiis
non alienandis_, non trovò chi volesse commentarla, come sacrilega, per
la libertà ecclesiastica, che si credeva, che s'offendesse: e Matteo
d'Afflitto, che brevemente l'espone, si protesta sul bel principio, con
dire: _Haec Constitutio nihil valet, quia Imperator non potuit contra
libertatem Ecclesiae, et personarum Ecclesiasticarum prohibere, quod
non relinquantur res stabiles Ecclesiae inter vivos, vel in ultima
voluntate_; quasi che Federico fosse stato il primo a stabilirla; e
pure egli, come si dichiara in quella, non fece altro, che ristabilire
ciò, che i suoi Predecessori avean fatto, e ciò che a tutti gli altri
Principi fu permesso, e dovrà sempre permettersi ne' loro Reami e
Signorie.
Per questa cagione _Marino di Caramanico_, il più dotto Glossatore
di queste Costituzioni, ancorchè fiorisse sotto Carlo I d'Angiò,
perchè le chiose, che vi fece, le dettò poco da poi, che si fossero
pubblicate, nel Regno de' Svevi[351], perciò fu più moderato di
tutti gli altri. Fiorì egli nel principio del nuovo governo degli
Angioini, e fu sotto Carlo I nell'anno 1269 Giudice presso il
Capitano di Napoli[352]. Le sue chiose sono sobrie e dotte, tanto che
presso i posteri s'acquistò il nome d'approvato glossatore, come lo
qualifica Matteo d'Afflitto[353]. A costui le riferite Costituzioni
di questo Principe non parvero cotanto strane ed esorbitanti, come
agli altri, che successero. Egli non muove dubbio alcuno, se come
promulgate da Federico, che fu deposto dal Regno e dall'Imperio,
dovessero osservarsi, ed aver forza e vigor di legge; egli dice del
sì; ed ancorchè si muova da leggier cagione, cioè perchè Federico
le fece compilare e pubblicare, _antequam Imperio privaretur, et de
Regno_[354]; nientedimeno parla della potestà de' nostri Principi,
sebben non quanto si dovrebbe, almeno il meglio, che comportavano i
suoi tempi, ne' quali bisognava andar a seconda de' Pontefici romani,
da' quali si riconosceva il Regno. In tali o somiglianti termini si
contennero due altri antichi Glossatori, che a Marino successero, i
quali furono _Bartolommeo di Capua e Sebastiano Napodano_, e molto
più fece _Andrea da Barletta_, che fu il primo a glossarle, come si
raccoglie da Andrea d'Isernia[355], siccome quegli, che fiorì nell'età
di Federico istesso loro Autore, e _Francesco Telese_ Avvocato fiscale
nel 1282 che scrisse pure sopra le _Costituzioni del Regno_, e del
quale non si dimenticarono Gesnero, ed il Toppi nelle loro Biblioteche.
Ma ne' tempi susseguenti mettendo più profonde radici le nuove
massime della Corte di Roma, e succeduto _Andrea d'Isernia_, che volle
prendersi la briga di commentarle; costui, come se fosse un capital
nemico di Federico, non tralascia di dannar la memoria di questo
Principe, quando gli vien fatto: biasima molte sue Costituzioni, ed
infra l'altre quella stabilita per li matrimonj de' Baroni da non
contraersi senza licenza del Re, e non si ritien di dire, che quella
portasse _destructionem animae istius Federici prohibentis per obliquum
matrimonia instituta a Deo in Paradiso._
Egli ingrandisce quanto può le pretensioni de' romani Pontefici,
riputando questo Regno come vero Feudo della Chiesa[356], e nudrito
colle massime degli Ecclesiastici empiè i suoi Commentarj d'errori
pregiudizialissimi alle supreme regalie de' nostri Re, veri ed
independenti Monarchi di questo Reame.
Più sobrj furono _Luca di Penna, Pietro di Monteforte, Diomede
Mariconda, Biagio di Marcone, Pietro Arcamone, Giacopo e Niccolò Ruffo,
Sergio Domini Ursonis, Argentino, Pamfilo Mollo, Niccolò Caposcrofa,
Pietro Piccolo di Monforte, Lallo di Toscana, Giovanni Grillo, Cesare
de Perinis_, il _Vescovo Giovanni Crispano_ e _Niccolò Superanzio_, ed
alcuni altri, i quali si contentarono far alcune brevi chiose e piccole
note alle Costituzioni suddette, insin che nel Regno degli Aragonesi
non venisse voglia a _Matteo d'Afflitto_, mentr'era di età già cadente,
ancorchè di vivacissimo spirito, nell'anno 1510 d'intraprendere di
adornarle di più ampj e voluminosi Commentarj, ch'è gran meraviglia,
come in tre soli anni, che vi pose, avesse potuto tirargli a fine.
Erano queste Costituzioni, ancorchè in gran parte rivocate, e molte
andate in disusanza per li nuovi _Capitoli_ fatti da' Re angioini,
ne' tempi degli Aragonesi nella lor fermezza e vigore; e Ferdinando
I d'Aragona con sua particolar Costituzione data in Foggia a' 25
dicembre dell'anno 1472 stabilì doversi quelle osservare nel Regno
suo[357]; perciò Matteo d'Afflitto reputò non dover impiegar invano le
sue fatiche, adornandole d'un più pieno Commentario. Si mosse ancora,
come e' ci testifica, che nel corso di 40 anni e più, da che furono
commentate da Andrea d'Isernia insino a' suoi tempi, erano occorse,
mentr'egli fu prima Giudice della Gran Corte della Vicaria, e poi
Consigliere, nuove altre quistioni non trattate da Andrea.
Ma per vizio del secolo non seppe allontanarsi dai triti e comuni
sentieri, ed empiè i suoi Commentarj di quistioni vane ed inutili,
le quali oggi non hanno il loro uso. Egli fra le altre cose pose in
disputa, se Federico, ancorchè avesse pubblicate queste Costituzioni
prima della sua deposizione, avesse potuto dar loro forza e vigor
di legge, in guisa che da' suoi sudditi dovessero osservarsi,
giacchè era stato già scomunicato da Gregorio IX, e come leggi d'uno
scomunicato non avrebbero dovuto aver vigore alcuno. Queste dispute
sono all'intutto vane, non solo per la ragione, ch'e' rapporta
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