Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 03

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Contessa di Catanzaro, figliuola bastarda come si disse, del Re
Ruggiero, e rimasa vedova di Ugone di Molino Conte di Molise, la quale
per esser di vago e gentile aspetto, era da Bonello focosamente amata,
ed egli vicendevolmente riamato da lei; onde impedendo Majone il lor
concorde volere, ne era tanto maggiormente da entrambi odiato.
Ricevuti intanto il Bonello gli ordini opportuni per la sua partita,
e accommiatatosi dal Re, valicato il Faro se n'andò in Calabria, ed
abboccatosi colà in un giorno statuito co' Baroni della provincia,
si sforzò con molte ragioni (simulando altro di quel che avea nel
pensiero) di persuader loro, che l'Ammiraglio era innocente di tutto
quel male, che se gli opponeva. Ma surto fra que' Baroni Ruggiero
di Martorano della famiglia Sanseverino, uomo savissimo, e di grande
stima, gli rispose in nome di tutti con tanta forza ed energia, che
non solo lo trasse al suo partito; ma di vantaggio inanimandolo, che
niun altro meglio di lui poteva porre tutti in libertà con toglier la
vita al Tiranno, colla certezza che gli diedero, che tutti si sarebbero
adoperati, morto Majone, acciocchè avesse per moglie la Contessa
di Catanzaro: s'unì per tanto strettissimamente con loro, e promise
fermamente di dar morte fra breve spazio all'Ammiraglio.
Ma accidente più grave accelerò la ruina di Majone; poichè avendo
egli disposte tutte le cose per mandar ad effetto la morte del Re,
avvicinandosi già il giorno di sì funesta tragedia, prima d'eseguirla
volle concertare con l'Arcivescovo Ugone del modo che avean da tenere,
perchè il Popolo non tumultuasse quando il caso si fosse divulgato,
ed insieme del modo che avean da tenere per reggere per l'avvenire il
Regno[37]; sopra di che insorse fra di loro grave discordia, poichè
l'Ammiraglio pretendea, che la tutela dei piccioli figliuoli del Re,
e la custodia de' tesori, e di tutto il palagio reale a lui commetter
si dovesse: all'incontro l'Arcivescovo la pretendea per se, perchè
dicea, che in tal maniera il Popolo non avrebbe tumultuato, siccome
avrebbero fatto certamente, se avessero veduto l'Ammiraglio prender la
cura della casa regale, di cui di leggieri avrebber sospettato, che
i figliuoli dovessero capitar male, già che da tutti si teneva per
cosa sicura, ch'egli aspirava al Regno: la qual cosa non si poteva
dubitare de' Prelati, nè di altre persone di Chiesa, che a ciò non
potevan aspirare; il perchè era di dovere, che in lor potere si desse
la custodia de' figliuoli, e de' tesori del morto Re; ma contraddicendo
apertamente l'Ammiraglio, come a cosa, ch'era affatto contraria al suo
intendimento, con dire ch'egli ciò non meritava da lui, il quale per
sua opera era pervenuto a tanta grandezza, finalmente dopo altre assai
acerbe parole, si dipartirono scovertamente nemici. Cagione che non
passò guari, che l'Ammiraglio il pose in disgrazia del Re, che credea
tutto quel che Majone dicea, al quale avendo persuaso che si facesse
pagar dall'Arcivescovo 700 oncie d'oro, di cui gli era debitore, il Re,
essendo oltre modo avaro, agevolmente acconsentì; onde l'Arcivescovo
riconoscendo il tutto da' mali ufficj di Majone, cominciò seriamente
ad odiarlo, e di stretti amici, che prima erano, divenuti veri nemici,
cercavano entrambi di far l'un l'altro mal capitare. L'Ammiraglio
propose di avvelenar l'Arcivescovo, e l'Arcivescovo sospettando di ciò
se ne guardava con gran diligenza, e nel medesimo tempo confortava la
plebe, i soldati e gli uomini illustri a far movimento contro Majone
e dargli la morte. Intanto Matteo Bonello ritornato in Palermo, ed
assicurato l'Ammiraglio, che erasi già di lui insospettito, dandogli
ad intendere che avea composti felicemente i moti della Calabria, se
ne andò secretamente a ritrovar l'Arcivescovo Ugone, il qual dimorava
infermo in letto, e gli diè conto di ciò, che si era fatto insino
allora, e l'Arcivescovo il consigliò, che di presente avesse posto ad
esecuzione il fatto, perciò che sì importante negozio malagevolmente si
potea più differire senza grave pericolo di scoprirsi; onde il Bonello,
già al tutto risoluto, cercava con molta diligenza tempo opportuno per
compirlo; e la fortuna volendo accelerar la morte dell'Ammiraglio, non
guari passò, che gliene porse opportuna occasione.
Avea già Majone, per opra d'un famigliar dell'Arcivescovo da lui
corrotto con doni e con larghe promesse, fattogli dare il veleno, dal
quale era stato cagionato il suo male; ma perch'era stato leggiero
dubitava, che per mezzo d'opportuni rimedi ricovrasse sua salute;
ed impaziente ch'ei tardasse tanto a morire, ne fece preparare un
altro assai più potente e di presta operazione, del quale empiuto
un vasello, recandolo seco andossene a ritrovar l'Arcivescovo, ed
assisosi vicino al letto, in cui giaceva, cominciò amorevolmente a
domandargli della sua salute: indi soggiunse, che se e' creder volesse
al consiglio de' suoi amici, agevolmente guarirebbe del suo male con
torre una medicina ottima per la sua indisposizione, che egli in sua
presenza per l'amor, che gli portava, avea fatto comporre, e seco
recata avea; ma l'Arcivescovo accortosi dell'inganno, rispose esser
tanto infiebolito dal male, ed il suo stomaco così debilitato, che
non solo abborriva qualunque bevanda, ma il cibo ancora, che con gran
difficoltà prendea; e sollecitandolo sfacciatamente l'Ammiraglio,
non ostante tal risposta, a prender il medicamento, per non dargli
ad intendere, che s'era avveduto del tradimento, rispose che si
serbasse quella medicina per un altro giorno che l'avrebbe presa: indi
ragionando insieme parole di molta confidenza ed amore, cercava l'un
l'altro tradire e condurre a morte con sfacciata simulazione, e volle
la fortuna, che amendue ottenessero il lor volere; poichè Majone per
opera dell'Arcivescovo fu la medesima sera ucciso, come ora diremo,
e l'Arcivescovo non guari da poi morì per lo veleno datogli prima per
opra dell'Ammiraglio, benchè fosse in ciò Ugone più felice, perchè vide
morire il suo nemico prima di lui. Avea l'Arcivescovo, mentre teneva
in parole l'Ammiraglio, inviato per mezzo del Vescovo di Messina, che
gli sedeva a lato presso al letto, a dire a Matteo Bonello, che quella
sera era il tempo opportuno, nel quale poteva porre felicemente in
effetto il suo disegno; per la qual cosa il Bonello, già risoluto al
misfatto, raunò prestamente alquanti uomini armati, e quelli rincorati
a tale affare in vari luoghi dispose, acciocchè non avesse potuto da
parte alcuna scampar Majone, ed egli con buon numero di quelli si pose
su la porta di Santa Agata, di dove più ragionevolmente dovea passare
per ritornar nel palazzo reale: ed avendo significato all'Arcivescovo
esser tutto all'ordine, essendo già sopravvenuta in notte oscura,
attendeva il ritorno dell'Ammiraglio il quale alla fine togliendo
commiato dall'Arcivescovo, di colà si partì. Ma in questo, passando per
lo luogo, ove avea tese l'insidie il Bonello, alcuni del suo seguito
s'avvidero della sua intenzione, ed incontanente girono a ritrovar
Majone, ed incontrandolo per lo cammino, che verso là veniva, gli
narrarono tal fatto; onde egli smarrito del prossimo periglio comandò,
che si dicesse al Bonello, che venisse a lui, il quale conoscendo esser
già scoverto, e non esser più tempo da fingere, cavata fuori la spada,
valorosamente l'assalì dicendo: _Traditore, son qui per ucciderti,
e per metter fine colla tua morte alle tue malvagità, e tor via dal
Mondo l'adultero del Re;_ ed avendo sviato l'Ammiraglio il primo colpo
che gli trasse Bonello, cadde a terra moribondo trafitto dal secondo,
e di presente finì i suoi giorni[38], ponendosi vergognosamente in
fuga, senza dargli aiuto veruno, la folta turba de' suoi partigiani,
che lo seguiva. Ecco dove andarono a terminare gli ambiziosi desiderj
di Majone da Bari, Grand'Ammiraglio di Sicilia, il quale nato di
vilissima schiatta, fu dalla fortuna a grande altezza sollevato, e se
ne sia lecito alle grandi le piccole cose paragonare, fu egli assai
simigliante a Sejano. L'uno e l'altro umilmente nato, per mezzo del
favor de' padroni in grande stato lungamente visse: amendue colmi di
grandissime malvagità afflissero il real legnaggio, ed i nobili uomini
de' Reami de' loro Signori; amendue essendo adulteri della casa reale
procacciarono con il consentimento delle mogli de' padroni, il primo di
far morire, come in effetto avvenne, il figliuolo del suo Imperadore,
e l'altro (benchè nol potesse recare a fine) il proprio Re; amendue
tentarono d'usurparsi la Signoria che governavano, ed amendue alla fine
morirono di malvagia morte; diversi sì bene furono nel modo del morire;
imperocchè Sejano, essendosi Tiberio per la sua sagacità avveduto del
tradimento, fu fatto morire per man di boia, e Majone per la stupidità
di Guglielmo, che di nulla curava, morì ucciso da' congiurati, che le
sue scelleraggini soffrir più non potevano.
Intanto il Bonello, non sapendo quel che s'avrebbe fatto il Re, nè
tenendosi perciò sicuro in Palermo, si ricovrò a Cacabo suo castello,
e colà con tutti i suoi si fortificò; ed il Popolo palermitano intesa
la morte dell'Ammiraglio, scoprendo apertamente il gravissimo odio,
che gli portava, cominciò a straziare vilmente il suo cadavero,
rinovandogli altri le ferite, ed altri facendogli mille ignominiosi
scherni. Il Re Guglielmo, essendo già molte ore della notte passate,
si maravigliava dell'inusitato tumulto, che dal suo palagio nella
città s'udiva; ma essendogli da Odone Maestro della stalla reale, che
perciò a lui veniva, narrato il tutto, si sdegnò gravemente di tale
avvenimento, dicendo, che se l'Ammiraglio avea contro lui fallato,
toccava a lui, e non ad altri di dargli castigo; e la Regina più
gravemente del Re sdegnata per l'amore, che portava all'adultero, si
accese di gravissima ira contro il Bonello e gli altri congiurati.
Ma il Re, temendo non succedesse maggior rivoltura per tale cagione
nel Popolo palermitano, e che non malmenassero i parenti del morto, e
mandassero a ruba le lor case, e quelle del medesimo Ammiraglio, fece
tutta la notte da grosso stuolo d'armati circuir la città e guardarla
con molta diligenza. Venuto poi il nuovo giorno il Re diede la cura
d'esercitar l'Ufficio d'Ammiraglio, sin ch'egli avesse altro disposto,
ad Errico Aristippo Arcidiacono di Catania suo famigliare[39], uomo
di piacevole e mansueto ingegno, ed assai dotto nelle latine e nelle
greche scritture, col cui consiglio cominciò a guidar gli affari del
Regno; ed avendogli il nuovo Ammiraglio ed il Conte Silvestro palesata
la congiura, che avea fatto contro di lui Majone, cercarono con varie
persuasioni raddolcire il suo animo fieramente sdegnato contro il
Bonello, benchè giammai poterono indurlo a perdonargli, fin che fra
i tesori del morto non fur trovati lo scettro, il diadema e le altre
insegne reali: le quali facendo manifesta fede della sua scelleraggine,
fur cagione, ch'ei racchetasse il suo sdegno, e facesse tantosto porre
in prigione i due Stefani, l'un fratello e l'altro figliuolo di Majone,
e Matteo Notaio suo strettissimo amico, facendo parimente condurre nel
reale Ostello tutti i tesori del morto, che ritrovar si poterono, e
facendo collare Andrea Eunuco, e molti altri famigliari dell'Ammiraglio
per rinvenire ove erano ascosi gli altri, e spaventare insiememente
con gravi minacce il figliuolo Stefano, se non palesava anch'egli quel
che ne sapea; per detto del quale fu ritrovata grossa somma di moneta
in balia del Vescovo di Tropea, che richiestone dal Re prestamente
glie la recò. Dopo la qual cosa inviò Guglielmo suoi messi a Cacabo a
dire al Bonello, che per le malvagità che dell'Ammiraglio novellamente
avea udite, gli era stata a grado la morte a lui data, e che perciò ne
venisse sicuramente a lui. Ricevuta Bonello tale imbasciata, confidato
ancora nell'amor de' Baroni e del Popolo, e nel presidio di molti suoi
soldati, che seco condusse, tantosto venne in Palermo, dove entrando
se gli fece all'incontro innumerabil turba così d'uomini, come di
donne, che con gran festa l'accolsero, ed insino al palazzo reale
l'accompagnarono, ove fu lietamente accolto dal Re, che il ricevette in
sua grazia. E da lui partendosi, fu da' maggiori personaggi della Corte
con la medesima frequenza di Popolo insino a sua casa onorevolmente
condotto, e non solo in Palermo, ma per tutta la Sicilia, e per gli
altri Stati ancora del Re Guglielmo, si rese così chiaro e famoso il
Bonello, che acquistonne l'amore e 'l buon volere di tutti.
Ma vedi l'incostanza delle cose mondane: questa istessa grande
sua felicità, prestamente si convertì in sua grave ruina; poichè
gli Eunuchi del palazzo reale, ch'erano stati compagni di Majone
nel congiurar contro il Re, insieme con la Regina, dispiacendogli
grandemente tanta grandezza di Bonello, e temendo non alla fine
contro a loro si convertisse, cominciarono in varie maniere a porlo
in odio al Re, con fargli sospetta la potenza di lui; dicendogli che
apertamente aspirava a farsi Signor di Sicilia, e che perciò l'amor
de' Popoli e de' Baroni s'acquistava; nè ad altro fine esser stato da
lui ucciso innocentemente l'Ammiraglio, che per torre di mezzo colui,
che sempre vigilava per la sicurezza e grandezza del Re, essendo
state manifeste falsità tutte le cose, che se gli erano apposte; e che
il diadema e l'altre regie insegne, che s'erano ritrovate fra' suoi
tesori, l'avea fatte fare il morto, per donarle a lui nel principio
del prossimo mese di gennaio per offerta[40]. Era il Re, fra gli agi
del real palazzo, ed il lungo ozio, venuto in tale infingardaggine
e stupidezza, che toltone la cura, alla quale era dalla sua avarizia
stimulato, di cumulare tesori, imponendo perciò gravezze intollerabili
a' suoi vassalli, onde riportonne il titolo di Malo, era assai diverso
da quel di prima divenuto; e già cominciava a sentir dello scemo, onde
di poca levatura avea mestiere perchè fossero credute da lui tutte
quelle cose che s'imputavano a Bonello, onde cominciò ad odiarlo, ed a
credere, che non per altro avesse tolto di vita Majone, che per potere
anche poi uccidere più liberamente lui. E benchè e' fosse facile ad
incrudelire, pure soprastette in procedere contro Bonello, temendo
dell'amor, che gli portava il Popolo di Palermo, il qual vedeva ancor
tumultuante, e non bene racchetato. Incominciò sì bene a richiedere al
Bonello grossa somma di denaro, del quale era per addietro debitore
alla real Corona; ma come genero di Majone, non sapendolo il Re, non
s'era riscosso. Il perchè il Bonello vedendosi chiedere improviso
un debito vecchio, e già dimenticato, e di rado chiamare in Corte,
e non esser colà ricevuto con le primiere accoglienze, cominciò a
maravigliarsi, ed a gir ripensando onde sì fatta mutazione cagionar
si potesse, accrescendogli il sospetto e 'l timore il veder molto
favorito dal Re Adinolfo Cameriero già carissimo a Majone, e tanto
costui, quanto gli altri suoi nemici mostrargli con molta audacia
apertamente l'odio, che gli portavano. Ed essendo in que' giorni morto
l'Arcivescovo Ugone per lo veleno datogli per opra dell'Ammiraglio,
rimasto privo del suo consiglio e del suo aiuto, era più scovertamente
perseguitato dagli emuli suoi; le quali cose giudicava esser segno
assai chiaro, che l'animo del Re era cangiato verso di lui, e che
perciò i suoi nemici avean presa audacia d'insidiargli anche la
vita. Per la qual cosa si risolvè di significare il tutto a Matteo
Santa Lucia suo consobrino, ed a molti altri Baroni siciliani, i
quali chiamati per sue lettere eran venuti a Palermo, dando loro
a vedere, che in vece d'esser largamente premiato, per aver con la
morte data all'Ammiraglio salvata la vita al Re, veniva ora da costui,
per aggradire alla Regina sua moglie, ed agli Eunuchi del palazzo,
costretto a pagare i debiti vecchi, e in molte altre guise gravemente
perseguitato e condotto a periglio di dover perderne la vita; onde gli
pregava, che non l'avessero abbandonato in sì gravi travagli, perchè
se fossero stati uniti strettamente insieme, non gli sarebbe mancato
il modo da far generosamente difesa contro chiunque gli avesse voluto
offendere. Queste parole di Bonello cagionarono negli animi di que'
Baroni effetti molto più vantaggiosi di quel che s'avrebbe egli mai
potuto promettere, perchè trovandogli molto disposti a' suoi desiderj,
dopo vari discorsi alla fine conchiusero di tor via il Capo di tanti
mali e congiurarono contro il Re, con intendimento d'ucciderlo, o
di porlo in prigione, e crear Re il suo figliuolo, nomato Ruggieri,
fanciullo ora di nove anni, il quale per la memoria dell'avolo, e per
la virtù, che in quella tenera età dimostrava, stimavano dover riuscire
ottimo Principe[41]; ma perchè non giudicavano convenevole porsi
essi soli a così gran fatto, trassero parimente nella congiura Simone
figliuol bastardo del Re Ruggieri, che odiava fieramente il fratello
per avergli costui tolto il Principato di Taranto lasciatogli dal
padre, e datogli in vece il Contado di Policastro. Vi trassero ancora
Tancredi figliuolo di Ruggiero Duca di Puglia, uomo benchè alquanto
cagionevole della persona, dotato nondimeno di grande avvedimento,
e di sommo valore, il quale era d'ordine di Guglielmo tenuto a guisa
di prigioniero dentro il palazzo reale; e Ruggieri dell'Aquila Conte
d'Avellino parente anch'egli del Re per cagione dell'avola Adelasia; ed
era il loro intendimento di crear Re il fanciullo Ruggieri, acciocchè
si vedesse da' Popoli di Sicilia, che non volean torre il Regno alla
schiatta di Guglielmo, ma torlo a lui, che con tirannide il reggea.
Infatti avendo corrotto Gavarretto, che avea in suo potere le chiavi
delle prigioni, e che sovente da Malgerio era lasciato in suo luogo
alla guardia del castello, rimasero seco d'accordo, che in uno statuito
giorno ponesse in libertà tutti i prigioni, che essi volevano che
fosser nella congiura, e provedutigli d'arme, avesse lor significato,
con un segno fra di loro ordinato, essere il fatto in ordine. Dopo la
qual cosa Matteo Bonello ne andò a Mistretto suo castello non guari da
Palermo lontano, per riporvi vittovaglie e munirlo di soldati insieme
con alcuni altri suoi luoghi, acciocchè avesser potuto ricovrarsi
in quello in ogni sinistro avvenimento, dicendo a suoi compagni, che
sino al suo ritorno non avesser fatto nulla ed avessero il segreto con
prudenza custodito, e se cosa alcuna importante fosse improvisamente
avvenuta, l'avessero con lor lettere chiamato, che sarebbe di presente
ritornato alla città con grosso stuolo d'armati. Or dimorando nelle
sue terre il Bonello avvenne che un de' congiurati palesò il negozio ad
un soldato suo amico, cercando di trarlo nella congiura, e 'l soldato
avendo con molta diligenza raccolto il tutto gli rese grazie, e prese
tempo a dargli risposta di quel, che avesse risoluto di fare insino al
seguente giorno; indi se ne andò a ritrovar un altro suo amico, che era
uno de' congiurati, al quale con indignazione comunicò tal fatto, con
risoluzione di doverlo rivelare al Re per impedire tanta scelleraggine,
che avrebbe portata grand'infamia a' Siciliani, dove in sì fatta guisa
facessero mal menare il lor Signore. Questi dissimulando il fatto, e
mostrando anch'egli sdegnarsi di tal cosa, tosto andò a ritrovar il
Conte Simone, e gli altri Capi del trattato, e gli riferì tutto quel
che per poca accortezza de' compagni era avvenuto, con dirgli che
deliberato avessero quella notte di quello che a fare aveano, perchè
la mattina senza fallo Guglielmo avrebbe avuto contezza di tutto. Il
perchè smarriti del vicin pericolo, conchiusero di porre prestamente ad
esecuzione il negozio, non essendovi tempo di fare venire il Bonello.
Avvisato dunque il custode delle carceri, che nel seguente giorno, già
che non si potea attendere il prefisso tempo, avesse posti in libertà
i prigioni, ebber da lui risposta essere all'ordine per eseguire il
tutto nella terza ora del dì, mentre il Re fuori delle sue stanze in
un luogo particolare, ove solea dare audienza, sarebbe stato trattando
con l'Ammiraglio Arcidiacono di Catania degli affari del Regno,
ed ivi senza tumulto ed impedimento alcuno si potea, o uccidere, o
far prigione, come meglio avesser voluto; laonde con la certezza di
tal fatto dettogli così fedelmente dal Gavarretto, rinfrancarono i
congiurati gli animi già in parte smarriti, sì per l'assenza di Bonello
e degli altri, che n'erano seco giti a Mistretto, come ancora perchè
bisognava far frettolosamente quel che con maturo consiglio e con
opportuno tempo avean conchiuso di fare.
Or venuto il nuovo dì il Gavarretto nell'ora destinata eseguì con molta
accortezza la bisogna a lui commessa, cavando di prigione Guglielmo
Conte di Principato con tutti gli altri uomini nobili che colà erano,
i quali avea prima proveduti d'armi, e gli condusse nel luogo ove
introdotti avea di fuora i lor compagni, li quali postisi appresso al
Conte Simone, ch'era lor guida, che per essere allevato colà dentro
sapea tutte le vie dell'Ostello, giunsero ove il Re Guglielmo stava
ragionando con Errico Aristippo. Ma il Re veggendo venire il Conte
Simone suo fratello e Tancredi suo nipote, si sdegnò, che senza sua
licenza gli venissero innanzi, maravigliandosi come le guardie gli
avesser lasciati entrare; pure come s'avvide ch'eran seguiti da grossa
schiera d'armati, immaginandosi quel che veniano per fare, spaventato
dal timor della morte si volle porre in fuga, ma sovraggiunto
prestamente da molti di essi, rimase preso, e mentre gli era da loro
con acerbe parole rimproverata la sua tirannide, vedendo venirsi
sopra con le spade sfoderate Guglielmo Conte di Lesina, e Roberto
Bovense uomini feroci e crudeli, pregò coloro che lo tenevano, che
non l'avessero fatto uccidere, ch'egli avrebbe incontanente lasciato
il Regno; tenendo per sicuro, che i congiurati gli volesser torre
la vita; la qual cosa gli sarebbe agevolmente avvenuta, se Riccardo
Mandra ponendosi in mezzo non gli avesse raffrenati, rimanendo per
sua opera in vita il Re, il quale fu posto strettamente in prigione;
ad avendo fatta anche in una camera guardare onestamente la Reina ed
i figliuoli, si posero a ricercare i luoghi più riposti del palagio,
ponendo il tutto a ruba, e predando le più pregiate gemme e le più
preziose suppellettili che v'erano, non risparmiando nè anche l'onore
delle vaghe damigelle della Regina[42]. Uccisero parimente tutti gli
Eunuchi, che loro alle mani capitarono, ed usciti poscia nella città
saccheggiarono molte ricche merci de' Saraceni, che teneano nelle lor
botteghe o nella real dogana. Dopo i quali avvenimenti il Conte Simone,
ed i suoi seguaci presero Ruggiero Duca di Puglia primogenito di
Guglielmo, e cavandolo fuori del palagio il ferono cavalcar per Palermo
sopra un bianco destriere, e mostrandolo al Popolo, il gridarono con
allegre voci Re, essendo lietamente ricevuto da tutti per la memoria
dell'avolo Ruggiero, e sovrastettero a coronarlo solennemente, sin che
giungesse il Bonello, che a momenti s'aspettava. Gualtieri Arcidiacono
di Ceffalù maestro del fanciullo, biasimando in questo mentre la
crudeltà e le altre malvagità di Guglielmo pubblicamente, e convocando
le brigate dicea loro, che giurassero d'ubbidire al Principe Simone,
che così esso il chiamava, il quale avrebbe retto e governato il Regno
insino che il fanciullo Re fosse giunto all'età idonea; per opera
del qual Gualtieri fecero molti tal giuramento, ed altri negarono
costantemente di farlo, benchè niuno avesse ardimento d'opporsi a'
congiurati; perciocchè de' Vescovi, ch'erano allora nella città, ed
avean molta autorità nel governo del Reame, alcuni lodavano tai cose
apertamente, ed altri l'approvavano col tacere, stando cheta la plebe
per intendere, che il tutto era avvenuto per opra del Bonello. Ma
tardando esso a venire, si partirono di Palermo Guglielmo Conte di
Principato, e Tancredi Conte di Lecce, e ne girono a Mistretto per
condurlo nella città con suoi soldati armati, temendo non alla fine,
come appunto avvenne, cominciasse il Popolo palermitano a favoreggiare
il Re, e lo riponesse in libertà.
Essendo intanto passati tre giorni in cotai pratiche, e che il
Re dimorava in prigione, non comparendo altrimenti il Bonello,
cominciarono Romualdo Arcivescovo di Salerno, Roberto Arcivescovo di
Messina, Riccardo Eletto di Siracusa e Giustino Vescovo di Mazzara
a persuadere a' Parlamenti, che facessero sprigionar il Re, dicendo
ch'era laida e sconvenevol cosa a soffrire, che il lor Signore fosse
così obbrobriosamente tenuto in prigione, e che i tesori acquistati con
molta fatica per la diligenza d'ottimo Re, e bisognevoli per la difesa
del Reame fossero in sì fatta guisa rubati e ridotti a nulla[43].
Queste parole dette, ed ascoltate primieramente fra pochi, si sparsero
poscia tantosto fra tutto il volgo; onde come fossero stati a ciò
chiamati da divino oracolo, o se seguitassero un fortissimo capitano,
armatisi tutti, assediarono il palagio, richiedendo con fiere voci a
coloro ch'eran colà entro, che avessero prestamente liberato il Re. I
congiurati attoniti e smarriti per sì subita mutazione, cominciarono
da prima valorosamente a difendersi, ma conoscendo tutto esser vano,
non essendo bastevole il lor numero a difendersi contro moltitudine
sì adirata, costretti da dura necessità ne girono al Re, e trattolo
di prigione patteggiarono con lui, che gli avesse lasciati gir via
liberi, ed indi il condussero ad un verone a vista di tutti. Ma
veduto i Palermitani in tale stato il loro Re, vennero in maggior
rabbia, volendo in tutti i modi gittar le porte a terra, ed entrar
a prender vendetta de' congiurati, i quali vi sarebbero senza fallo
mal capitati, se Guglielmo facendo lor cenno con mano, non gli avesse
racchetati, dicendogli aver bastevolmente fatto conoscere la lor
fedeltà, con averlo fatto porre in libertà, e che riponessero l'armi,
e ne lasciassero gir via liberi coloro, che l'avean preso, avendo così
loro promesso: alle cui parole ubbidendo, tutti andarono via, lasciando
libera l'uscita del castello, ed i congiurati uscendo di là, tantosto
si partirono da Palermo, e ritiraronsi a Cacabo.


CAPITOLO III.
_Il Re GUGLIELMO posto in libertà ripiglia il governo del Regno: morte
di Ruggiero suo primogenito; e nuovi tumulti in Palermo ed in Puglia,
che finalmente si quietano per la morte del Bonello e degli altri
congiurati._

Apportò questo avvenimento in breve tempo asprissime calamità alla
Sicilia; perciocchè non solo molti nobilissimi Baroni per tal cagione
mal capitarono, e ne andarono a male buona parte de' tesori reali,
ma ne morì parimente il Duca Ruggieri, che sin d'allora dava chiari
segni d'aver a riuscir ottimo Principe, il quale mentre nel tumulto
fatto dal Popolo con poco avvedimento sporgendo il capo in fuori d'una
finestra guardava coloro, che assediavano il palazzo, fu ferito d'una
saetta tirata, siccome fu allora costante fama, da Dario portiero del
Re; la ferita però non sarebbe stata bastevole a farlo morire, se il
padre Guglielmo veggendoselo gir lieto dinanzi dopo esser stato posto
in libertà, sdegnato, che l'avesser anteposto a lui, non badando, che
il figliuolo non vi aveva colpa alcuna, non l'avesse sconciamente nel
petto d'un fiero calcio percosso; onde raccontando Ruggiero quel che
gli era col Re avvenuto alla Regina sua madre, non guari da poi uscì di
vita.
Ravveduto Guglielmo della vergogna del misfatto, e degli altri mali
che patiti avea, dimenticatosi d'esser Principe, e deposta la veste
reale vilmente piangendo traea dolorosi guai, ed uscito quasi di
se stesso non faceva, che dolersi amaramente, e con le porte aperte
a chiunque entrar volesse, raccontava la sua sciagura; onde traeva
lagrime eziandio da' suoi nemici medesimi. Ma alla fine avvertito da'
famigliari e da' molti Prelati, ch'eran venuti a consolarlo, fece un
giorno convocar il Popolo nella Corte del suo palazzo ove egli disceso,
rese primieramente lor grazia della fedeltà dimostrata: indi gli esortò
a durar nella medesima fede, e riputando essergli tutto ciò accaduto da
giusto castigo, che gli dava meritamente Iddio, sarebbe da indi innanzi
altrimenti vivuto; nè potendo, impedito dal dolore e dalle lagrime,
dir più oltre; Riccardo Eletto di Siracusa, uomo di somma dottrina e di
maravigliosa eloquenza, manifestò a quelle turbe più apertamente quanto
il Re avea detto, e per testimonianza del suo buon volere concedette
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