Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 09

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possono leggersi presso Struvio[99]).
Ecco come muore questo glorioso Principe: muore per maggior danno de'
Cristiani di Palestina, e della nostra religione in quelle parti; e
vedi intanto quanto siano incomprensibili i divini giudizj. Egli con
felicissimo corso di vittoria, siccome avea già incominciato, avrebbe
agevolmente ricuperati dalle mani del Saladino tutti que' santi
luoghi, che novellamente avea presi, ed avrebbe fatto correr la Croce
di Cristo in più remote regioni ove non era adorata; all'incontro
quando favoreggiava lo scisma contro Alessandro III e perseguitava
gli altri romani Pontefici, visse per incomodo della Chiesa di Dio,
ed ora, ch'era rivolto a così pietoso passaggio, e così giovevole al
Cristianesimo, per morte pur troppo acerba ed immatura venne a' Fedeli
involato.
Fu Federico (toltane quella boria, nella quale l'avean posto i nostri
Giureconsulti, d'essere Signore del Mondo, non altrimente che vantavano
essere gli antichi Imperadori romani, ciò che fece parer gravoso e
duro il suo Imperio alle città di Lombardia, ed a' Pontefici romani)
un grande e valorosissimo Principe, e sopra tutto amator delle lettere
e degli uomini letterati di que' tempi. Quindi fu, che col suo favore
s'accrebbe in Italia lo studio della giurisprudenza, e sursero quei
tanti Giureconsulti, che cominciarono, tratti dalla novità ed eleganza
delle Pandette e degli altri libri di Giustiniano, ad esporle nelle
loro Accademie; e scrive Ulrico Uber[100] che Federico Barbarossa fosse
stato il primo, che all'Accademie, oltre la _nozione_, avesse conceduto
anche la _giurisdizione_, ed imperio ne' suoi[101]. E furono da lui
i Giureconsulti favoreggiati in guisa, che ad esempio degli antichi
Imperadori romani, erano fatti partecipi delle maggiori deliberazioni
ed assunti al suo Consiglio, e sovente preposti al Governo e Consolati
di molte città d'Italia.


CAPITOLO III.
_Della compilazione de' libri feudali; e loro Commentatori._

In questi tempi si fece da' Giureconsulti di Milano quella compilazione
de' libri feudali, che con progresso di tempo acquistò in Europa, ed
in tutte l'Accademie e Tribunali del Mondo cristiano tanta autorità
e vigore, che fu riputata, come una delle parti della ragion civile;
essendo stati aggiunti i libri de' Feudi alle leggi romane, i
quali dopo le Novelle di Giustiniano, costituiscono oggi la _decima
Collazione_: non che veramente i libri feudali fossero del corpo della
ragion civile, e perciò se ne fosse formata la decima collazione, come
reputarono Giasone e Bartolo, ed altri nostri Dottori, ripresi perciò
da Molineo[102]; ma perchè la loro autorità fu tanta, che meritarono
essere uguagliati a' libri delle leggi civili de' Romani.
Ma poichè da' nostri Scrittori questa parte non fu trattata con
tutta quella diligenza e dignità che si conveniva, tanto che infinite
controversie sono perciò in fra di loro poscia nate; perchè non bene
han saputo distinguere i tempi, ne' quali questi libri acquistarono
vigor di legge in queste nostre province; perciò, essendo ciò
particolar nostro istituto, sarà bene, che qui se ne ragioni con
tutta quella maggior esattezza, che possono promettere le nostre
deboli forze, con l'avvertenza, che per non tornar di nuovo a favellar
dell'uso e della varia fortuna di questi libri, qui si porrà insieme
tutto ciò, che anche ne' tempi posteriori avvenne de' medesimi.
Da' precedenti libri di quest'Istoria ha ciascuno potuto comprendere,
che introdotti in Italia i Feudi, non vi fu per essi, prima di Corrado
il Salico, alcuna legge scritta, che regolasse le loro successioni, la
lor naturalezza, e tutto ciò che ad essi s'apparteneva. Essi secondo
gli usi e costumi introdotti nella città, così si regolavano; e poichè,
siccome nell'altre cose, i costumi delle città sono varj e diversi,
così ancora avvenne de' Feudi, che in una città d'Italia si regolavano
d'una maniera; ed in un'altra, di un altro modo. Così in Cremona, Pavia
e Milano il vassallo senza la volontà del Signore poteva alienare il
Feudo, ma in Mantua, in Verona, ed in alcuni altri luoghi non poteva
farlo senza il consenso del padrone[103].
In Piacenza colui, che investiva alcuno d'un Feudo con questa legge,
che passasse al successore, non poteva, essendo vivo il vassallo,
senza la sua volontà di quel medesimo Feudo investirne un altro; ma in
Milano, ed in Cremona si praticava altrimenti.
Ne' Regni di Sicilia e di Puglia, aveano pure i nostri Re particolari
Consuetudini intorno a' Feudi differenti da' costumi dell'altre città
di Lombardia. Erano queste Consuetudini notate in certi libri, che
chiamavansi con corrotto vocabolo _Defetarj_; ed erano conservati dal
Re nel suo regal palagio; e quando a' tempi di Guglielmo I tumultuò
Palermo, e fu dato a ruba il regal palazzo, fra l'altre perdite, che
deplorava il Re Guglielmo, fu quella che si era fatta di questi libri:
e perchè Matteo Notajo era di essi espertissimo, e quasi gli avea in
memoria, fra l'altre cagioni, per le quali fu egli tratto di prigione,
fu questa, ch'essendo pratico degli affari della Corte e della Camera
del Re, poteva con facilità rifar que' libri, ne' quali, come dice
Falcando, _Terrarum, Feudorumque distinctiones, ritus, et instituta
Curiae continebantur_: siccome in fatti si rifecero. Ed Inveges[104]
per l'autorità dello stesso Falcando rapporta, che i famigliari del Re
Guglielmo I che trattavano gli affari della sua Corte, li quali erano
allora Riccardo Eletto Vescovo di Siracusa, Silvestro Conte di Marsi,
ed Errico Aristippo Arcidiacono di Catania, non avendo cognizione
della distinzione delle Terre e de' Feudi, de' riti, ed istituti
della Corte, nè de' libri delle Consuetudini feudali, che appellavano
_Defetarios_, essendosi tutte queste scritture e libri smarriti dopo il
sacco del palazzo, persuasero al Re, che Matteo Notajo fosse scarcerato
e reintegrato nel primo Ufficio; poich'essendo egli antico Notajo, ed
avendo sempre assistito al fianco di Majone, avea gran perizia delle
_Consuetudini_ del Regno; e che poteva comporre _novos Defetarios_.
Ed in questa maniera insino a questi tempi di Federico I si era vivuto
nelle città di Lombardia, e nei Regni di Sicilia e di Puglia. A queste
costumanze furono aggiunte da Corrado il Salico, e da altri Imperadori
alcune loro Costituzioni appartenenti a' Feudi, come abbiamo di sopra
notato, le quali non ancora erano state raccolte in certo volume.
Venne dunque in pensiero a' tempi di Federico ad alcuni Giureconsulti
di Milano, con privato studio di ridurre insieme queste Consuetudini
e Costituzioni, e così unite, alla memoria de' posteri tramandarle;
e raccogliendo, ancorchè alla rinfusa e con molta confusione, gli
usi di varie città di Lombardia, ne formarono in prima due libri a'
quali, secondo che quelle costumanze venivano o approvate o ampliate o
moderate dalle Costituzioni imperiali, promulgate insino a' loro tempi
intorno ai Feudi, così essi vi aggiunsero le sentenze, o il contenuto
di quelle colle loro interpretazioni, non già le intere Costituzioni.
Chi fossero stati questi Giureconsulti, e quale il lor nome, non è di
tutti conforme il sentimento. Prima di Cujacio comunemente da' nostri
Scrittori si credea principal Autore di questa Compilazione _Oberto
de Orto_ grand'Avvocato del Senato di Milano, e Console di quella
città[105], il quale coll'aiuto di Gerardo del Negro, altrimente detto
_Capagisto_, anch'egli Console di Milano e Giureconsulto non ignobile,
si fosse accinto a quest'impresa.
Ma l'incomparabile Cujacio ha ben provato, che Oberto non fu Autore
del primo libro, poichè in quello alcune sentenze si leggono, che
dispiacquero, e furono riprovate da Oberto stesso. E perchè quelle
sentenze s'attribuiscono a _Gerardo del Negro_, ha egli per questa
conghiettura reputato, che del primo libro ne fosse stato autore, non
già Oberto, ma Girardo. Alcuni, e fra gli altri il nostro Montano[106],
non ben persuasi della conghiettura di Cujacio, dicono sì bene non
esser di quello Autore Oberto, ma che resti ancora dubbio ed incerto se
veramente fosse stato Gerardo, o pure altro Autore anonimo, il quale
dalle sentenze di Gerardo l'avesse compilato. Che che ne sia, non si
è dubitato da niuno, che il secondo libro fosse di Oberto, il quale lo
compilò per privata istruzione di Anselmo suo figliuolo.
Ma poichè questo secondo libro, secondo l'antica divisione, abbracciava
non pur le sentenze d'Oberto, ma di altri Giureconsulti di questi
tempi, le quali erano contrarie a quelle d'Oberto, onde non era
credibile, che di tutto quel libro Oberto ne fosse il solo Autore;
perciò molto dobbiamo noi all'industria, e somma diligenza di Cujacio,
che togliendo questa confusione, l'abbia diviso in più libri. Ciò
fu anche avvertito dai nostri Giureconsulti antichi, ma s'astennero
di mutargli per timore, che nelle citazioni si sarebbe poi cagionata
maggior confusione; imperocchè trovandosi già questa compilazione in
due libri distinta, volendo il secondo in più altri dividerlo, non
avrebbero le citazioni corrisposto all'antica divisione.
Ma per sì lieve cagione non dovea lasciarsi così confuso, ond'è che
Cujacio saviamente reputò di distinguergli, e dividere il secondo
in quattro libri. Così secondo la divisione del medesimo, il primo
libro è di _Gerardo_. Il secondo insino al vigesimo quinto titolo
è di _Oberto_. I rimanenti titoli egli divide in due altri libri,
cominciando il terzo libro dal titolo 23 ivi: _Obertus de Orto,
Anselmo filio suo salutem_. Il quarto, che comincia dal titolo 25 ivi:
_Negotium tale est_, è chiaro dall'istesso titolo 25 che sia compilato
da vari ed incerti Autori, nel che e Cujacio e Montano consentono.
E nel quinto unì tutte le Costituzioni degl'Imperadori attenenti a'
Feudi, di che più innanzi ci tornerà occasione di favellare.

§. I. _Dell'uso ed autorità di questi libri nelle nostre province._
La compilazione di questi libri fatta da' Giureconsulti milanesi non
ebbe in queste nostre province niuna autorità di legge, siccome in
questi tempi nemmeno l'ebbe nell'altre parti d'Europa; ma dopo il
corso di molti anni, più tosto per uso e Consuetudine de' Popoli, che
per Costituzione d'alcun Principe, acquistò quell'autorità, che oggi
vediamo. Ma l'autorità, che acquistarono questi libri feudali, non fu
assoluta, ma solamente in quelle cose, che non ripugnavano alle proprie
leggi delle Nazioni, ed a' particolari loro costumi.
Certamente presso di noi quest'autorità non l'acquistarono nel Regno
di Guglielmo, nè degli altri suoi successori normanni. Seguì questa
compilazione intorno l'anno 1170 come ben pruova l'accuratissimo
Francesco d'Andrea[107], non già circa l'anno 1152 che fu il primo
dell'Imperio di Federico I, come scrisse Arturo Duck[108], quando tra
il nostro Re Guglielmo, e Federico ardeva crudele ed ostinata guerra,
e quando tra noi, ed i Lombardi era interdetto ogni commercio per le
guerre intestine, che sin da' tempi di Lotario ebbero sempre i nostri
Principi con gl'Imperadori di Alemagna. Nè prima dell'anno 1177 si
conchiuse tra Guglielmo e Federico quella tregua, della quale si è
parlato, che non fu pattovita, che per soli quindici anni; ed avendo
questi Regni proprie e particolari Consuetudini notate in que' libri
chiamati _Defetarii_, non vi era questa necessità di ricorrere a'
costumi dei Lombardi, quando vi erano i propri, per li quali i Feudi si
regolavano.
Egli è credibile, che questa compilazione cominciasse a farsi nota a'
nostri Giureconsulti dopo l'anno 1187 quando il nostro buon Guglielmo
per quiete de' suoi sudditi conchiuse le nozze di Costanza sua zia
con Errico Re di Germania; onde vennero a cessare le occasioni delle
discordie con gl'Imperadori di Occidente. Ma questo non bastò, perchè
più fiere ed ostinate guerre non seguissero, poichè morto poco da poi
Guglielmo, i Baroni del Regno abborrendo la dominazione d'Errico come
forastiero, elessero in loro Re Tancredi, il quale anche dal Pontefice
romano ottenne l'investitura del Regno, come diremo. Per la qual cosa
è da credere che questi libri cominciassero ad esser conosciuti da'
nostri da poi che Errico nell'anno 1194 discacciati i Normanni, si rese
padrone del Regno per le ragioni dotali di Costanza sua moglie.
Furono ben presso di noi conosciuti, ma non già acquistarono allora
autorità alcuna di legge. Nemmeno l'acquistarono quando Federico II
suo figliuolo promulgò le sue Costituzioni fatte compilare da Pietro
delle Vigne; nè quando, ad esempio dell'altre città d'Italia, avendo
ristabilita in Napoli l'Università degli studj, introdusse, che
nelle nostre Scuole si leggessero le Pandette, e gli altri libri di
Giustiniano; poichè non è vera la costante opinione de' nostri Autori,
che questi libri da Federico II acquistassero forza ed autorità, e
che questi fosse il primo Imperadore che gli approvasse, mandando il
libro in Bologna a' Professori di legge di quella città affinchè ivi
pubblicamente nelle Scuole si leggesse, e ch'egli fosse stato l'Autore,
per comandamento datone ad _Ugolino_, della decima Collazione, nel che
vaglionsi della testimonianza d'Odofredo[109].
A torto i nostri Scrittori ciò imputano ad Odofredo, il quale non mai
scrisse, che Federico mandasse il libro de' Feudi in Bologna; e qual
bisogno vi era mandar questo libro in Bologna, quando in questa città
da molti anni era conosciuto, e non pur letto da' Bolognesi, ma anche
molto prima vi avea scritte le sue glose Bulgaro, che per più anni
professò legge in Bologna sin ne' tempi di Federico I, da chi anche fu
fatto Prefetto di quella città? Quando parimente era notissimo in tutte
l'altre città di Lombardia, come in quelle nato, e molti Scrittori
d'Italia più antichi di Federico II aveano già cominciato a farvi
le glose, come oltre a Bulgaro, fece Pilco, ed altri rapportati da
Arturo[110], e notati anche dal nostro Andrea d'Isernia[111].
Odofredo nel luogo additato non scrisse altro, se non che Federico
II mandò a' Dottori bolognesi, non già il libro de' Feudi, ma le
Costituzioni sue, e di quelli Imperadori d'Occidente, che furono dopo
Giustiniano, affinchè siccome Irnerio dalle Novelle avea inserito
nel Codice ciò, che parvegli essersi per quelle di nuovo aggiunto
o corretto: così essi anche facessero di quelle Costituzioni, e
l'aggiungessero al Codice, non già al libro de' Feudi, sotto que'
titoli, che pareva loro convenire; siccome in fatti ragunati a S.
Petronio da quelle Costituzioni estrassero molte cose, che aggiunsero,
e adattarono alle leggi del Codice sotto i titoli convenienti; e quindi
è che nel Codice, oltre all'_Autentiche_ d'Irnerio, si leggano ancora
l'_Auth. cassa, et irrita, C. de Sacr. Eccl._ presa dalla Costituzione
dell'istesso Federico _de Statut. et Consuet._ L'_Auth. Sacramenta
puberum, C. si adver. vendit._ cavata dalla Costituzione di Federico
I _de pace tenenda_. L'_Auth. habita, C. ne filius pro patre_, presa
da un'altra Costituzione del medesimo Federico I _de privil. bonor.
art._ ed alcune altre[112]. E questa fu l'incumbenza data da Federico
ai Professori di Bologna e non altra. Ma soggiunge Odofredo, che da
poi Ugolino, uno di que' Professori, di suo capriccio al corpo delle
Novelle di Giustiniano, già diviso in nove collazioni, onde veniva
chiamato _la nona Collazione_, aggiunse il libro feudale, e raccolte
insieme tutte quelle Costituzioni degli Imperadori, che s'appartenevano
a' Feudi, l'inserì in quel libro, secondo l'ordine che oggi abbiamo,
e che i nostri antichi chiamarono per ciò, sin da' tempi d'Odofredo,
_decima Collazione_, il qual parimente testifica, che ai suoi tempi
pochi erano coloro, che aveano quelle Costituzioni così ordinate, come
le avea disposte Ugolino.
Così mal credono i nostri, che Federico II avesse data autorità e
forza di legge al libro de' Feudi, e che sino da' suoi tempi avesse
acquistato tal vigore nel nostro Regno e negli altri Reami: comunemente
tutti i più eruditi Scrittori han dimostrato, che non fosse stato
quello ricevuto per qualche Costituzione di Federico, o di qualche
altro Principe: ma che non altrimenti che avvenne de' libri di
Giustiniano, tutta la forza l'avesse molti anni da poi acquistata
per l'uso e consuetudine de' Popoli, e per connivenza de' Principi, i
quali permisero che nell'Accademie pubblicamente s'insegnasse, da' loro
Giureconsulti con Commentarj s'illustrasse e ne' loro Tribunali per le
controversie forensi s'allegasse; come ben provò Molineo[113], riputato
il Papiniano della Francia, il qual però a torto riprende Odofredo,
quasi ch'egli avesse data occasione agli altri d'errare, quando questo
Autore mai disse, che Federico avesse data forza di legge a quel libro,
nè che quella compilazione d'Ugolino si fosse fatta per suo ordine:
siccome ancora a torto riprende Bartolo[114], quasi ch'egli fosse stato
il primo, che quella raccolta di Ugolino avesse appellata _decima
Collazione_. Questo nome è pur troppo antico e più di cento anni
prima di Bartolo così era dal comun uso chiamata, come lo testifica il
medesimo Odofredo, e la chiamarono tutti gli altri Scrittori prima di
Bartolo.
Nè perchè fosse appellata _decima Collazione_, ed in progresso di tempo
per l'uso e consuetudine dei Popoli avesse cominciato ad acquistare
qualche vigore negli dominj de' Principi cristiani, era la sua autorità
tanta, che potesse abbattere e derogare i propri instituti e le
particolari leggi di quelle Nazioni; poichè fu ricevuta ed approvata
in quanto non s'opponeva alle proprie leggi e costumi. Così Cujacio
attesta del Regno di Francia, che ricevè quelle leggi feudali, delle
quali si vale l'Italia, ma in ciò che non ripugnava alle leggi e
costumi di quel Regno; non altrimenti che usavano i Romani della
legge Rodia, la quale nelle cose nautiche era da essi abbracciata,
_nisi qua in re juri publico Pop. Rom. adversaretur_, come testificò
l'Imperador Antonino. E nel nostro Regno più d'ogni altro, ancor che
fosse una delle più ampie e preclare parti d'Italia, non si cominciò
di questa Collazione ad aver uso, se non da poi, che Federico ebbe
promulgate le sue Costituzioni fatte compilare da Pietro delle Vigne,
dove furono molte Costituzioni da lui stabilite riguardanti a' Feudi,
alla lor successione, ed a tutto ciò che stimò a quelli convenire.
Ma non ricevè, nè approvò ciò che in quella veniva compreso, se
non quanto non ripugnasse alle Costituzioni, o non fosse stato per
quelle provveduto, ma omesso; in maniera, che presso di noi fu prima
l'autorità delle _Costituzioni_, e da poi quella de' libri de' Feudi,
non altrimenti che prima fu l'autorità delle leggi longobarde, che
quella de' libri di Giustiniano; anzi osserviamo che dopo pubblicate
le _Costituzioni_ nell'anno 1231 vi fu tra' nostri Giureconsulti gran
litigio nella Gran Corte, se questi libri feudali, anche in quelle
cose, che non ripugnavano alle nostre Costituzioni, avessero presso
noi forza di legge, siccome lungamente disputò la glosa[115]: donde si
raccoglie, che anche a questi tempi era dubbio, se questi libri aveano
acquistata forza di legge, e se ciò era incerto, per quest'istesso,
non potevan riputarsi di tanta autorità, che avessero uguagliata quella
delle leggi. E se Roffredo[116] nostro Beneventano, che fiorì in questi
medesimi tempi di Federico II parlando di queste Consuetudini feudali,
disse, _servari in Regno Apuliae_, non fu per altro, se non perchè
egli portava quest'opinione opposta agli altri Periti del Regno, che
sostenevano il contrario; oltre che non si niega, che in questi tempi
si fossero osservate, non già per autorità di legge, ma di ragione
e per quanto non si opponevano e non erano contrarie alle nostre
Costituzioni.
Ma siccome ciò è vero, così anche è verissimo, che dopo Federico
ne' tempi degli altri Re suoi successori e degli Angioini più d'ogni
altro, non si fosse più di ciò disputato, essendo chiaro, che avessero
acquistata da poi nel nostro Regno tutta la lor forza ed autorità,
in ciò che non s'opponevano alle nostre Costituzioni, siccome
l'acquistarono in tutti gli altri dominj de' Principi d'Europa; ed
anche i Pontefici romani ne' loro Tribunali ecclesiastici, gli diedero
pari autorità e vigore; anzi in decorso di tempo fu lo studio di questa
parte di giurisprudenza presso di noi cotanto coltivato, e tenuto
in pregio, che i nostri superarono tutti i Giureconsulti dell'altre
Nazioni, così d'Italia, come d'oltre i monti; ed oggi giorno questo
è particolar vanto del nostro Regno, che in niun'altra parte si sia
saputo, e si sappia tanto della dottrina feudale, quanto da' nostri
Giureconsulti. Testimonio ben chiaro ne fu il contrasto, ch'ebbe il
nostro Andrea d'Isernia con Baldo, il quale chiamato a Napoli dalla
Regina Giovanna I a consiglio in concorso d'Isernia, mostrossi così
ignaro della materia feudale, che non senza discapito della sua fama,
bisognò che nella vecchiaja s'applicasse a questo studio, per ristorare
la sua perduta stima[117]. E si vide da poi colla sperienza, che le
quistioni più ardue e difficili, che mai avessero potuto insorgere
in questa materia, non si siano trattate più sottilmente, e con tanta
accuratezza e dottrina, quanto da' nostri Autori. Nè niun'altra Nazione
può vantarsi aver avuti tanti Scrittori, intorno a questo soggetto,
quanto il Regno di Napoli.

§. II. _Autori che illustrarono i libri feudali._
Cominciarono prima ad illustrar questi libri con semplici glose,
Bulgaro, Pileo, Ugolino, Corradino, Vincenzo, Goffredo, ed altri[118]:
ma poi _Giovanni Colombino_ superò tutti, in guisa che dice
Giasone[119], che dopo lui niun altro ebbe ardimento di scriver glose
sopra que' libri.
Altri si presero la briga di comporre _Somme_, e particolari trattati
de' Feudi, ed i primi furono Pileo, Giovanni Fasoli, Odofredo,
Rolandino, i due Giovanni, Blanasco e Blanco, Goffredo, Giovanni
Lettore, Martino Sillimano, Giacomo d'Arena, Giacomo de' Ravanis,
Ostiense, Pietro Quessuael e Giacomo Ardizone, seguitati poscia da
Zasio, da Rebuffo, da Annettone, da Rosental e da infiniti altri
moderni.
Ma tra quelli, che con pieni _Commentarj_ illustrarono questa parte,
s'innalzarono sopra tutti i nostri Giureconsulti. È vero che _Giacomo
di Belviso_ fu il primo, ma da poi il nostro _Andrea d'Isernia_ oscurò
il costui vanto, il quale negli ultimi anni del Regno di Carlo II che
morì nel 1309 scrisse sì copiosi Commentari sopra i Feudi, che oscurò
quanti mai prima di lui s'eran accinti a quest'impresa. Scrisse ancora,
dopo aver professato quaranta sette anni di legge civile, i Commentari
sopra i Feudi Baldo da Perugia, e poco da poi Giacomo Alvarotto da
Padova, Giacobino di S. Giorgio e Francesco Curzio juniore, ma sopra
gli altri surse il nostro Matteo degli Afflitti, il quale oscurò la
costoro fama. Scrisse egli i Commentari sopra i Feudi sotto Ferdinando
I, allora che con pubblico stipendio ed universale applauso insegnava
nella nostra Accademia gl'interi libri feudali co' Commentari
d'Isernia, ciò che niuno ardì di farlo nè prima, nè dopo lui; e
cominciò a scrivergli nell'anno 1475 com'egli medesimo testifica[120],
quando era di trentadue anni: ciò che è stato necessario avvertire
per non lasciarci ingannare da _Camerario_, da cui furono ingannati i
nostri Autori, che credette Afflitto avere scritto questi Commentari,
quando era già vecchissimo e che perciò non bene avesse penetrato
la mente d'Isernia. Taccia per tutti i versi da non comportarsi di
quell'insigne Giureconsulto; poichè oltre che gli scrisse nella età
sua più verde e florida niente anche vi sarebbe stato che riprendere,
se pure gli avesse scritti in età di 80 anni, nella quale morì. Egli
trapassò nell'anno 1523 e fu sepolto in Napoli nella Chiesa di Monte
Vergine, ove ancora s'addita il suo sepolcro, nel qual ancora si legge,
che ancorchè carco d'anni, fu però in età senile cotanto vigoroso
di mente che potè sostenere tanti studj insino all'ultima vecchiaja.
Ciocchè i suoi domestici, che ebbero la cura d'ergergli quel sepolcro,
vollero fare scolpire in quel marmo, per manifestare essere stato tutto
livore de' suoi nemici, i quali dando a sentire al Re cattolico, che
in quella età decrepita sentisse dello scemo, fecero sì che il Re lo
privasse della dignità di Consigliero di S. Chiara, della quale era
adorno, e morisse senza toga; ond'è, che nel suo testamento non si
vegga nominato Consigliero, ma semplice Dottore. E quanto sopra gli
altri s'innalzasse in commentando i Feudi, non è da tralasciarsi il
giudicio che ne diede il nostro incomparabile Francesco d'Andrea[121],
il quale non ebbe difficoltà di dire, che fra tutti coloro, che prima
e da poi scrissero i Commentari sopra i Feudi, pochi sono coloro, che
potranno con lui compararsi, ma niuno che a lui si possa preporre.
Sursero, dopo questi lumi della giurisprudenza feudale, fra noi, altri
Scrittori un Camerario, un Sigismondo Loffredo, un Pietro Giordano
Ursino, un Bammacario, un Revertero, un Pisanello, un Montano e tanti
altri, de' quali nojosa cosa sarebbe tesserne qui lungo catalogo; tanto
che niun'altra Nazione può vantar tanti Scrittori in materia Feudale,
quanti il Regno di Napoli.
Ma non possiamo infra gli esteri fraudar della meritata lode
l'incomparabile Cujacio. Egli fu il primo, che rifiutando gli altri
come barbara questa parte della nostra giurisprudenza, l'accolse
e le apparecchiò una abitazione più elegante, e quando prima tutta
squallida ed incolta andava, egli coll'aiuto de' libri più rari, e
degli Scrittori di que' tempi, le diede altra più nobile ed elegante
apparenza; tanto che gli altri Eruditi, che prima come barbara la
discacciarono, s'invogliarono dal suo esempio ad impiegarvi ancora i
loro talenti, come fecero Duareno, Ottomano, Vultejo ed altri nobili
ingegni; ond'è che oggi la vediamo esposta ed illustrata non meno dagli
uni, che dagli altri Professori.
Cujacio accrebbe in prima i libri feudali co' frammenti e capitoli,
che furono prima restituiti da Ardizone e da Alvarotto, e gli divise
in cinque, in quella maniera che si è detto di sopra. Prima di lui
_Antonio Mincuccio di Prato vecchio_, Giureconsulto bolognese, per
comandamento di Sigismondo Imperadore intorno l'anno 1436 avea disposto
questi libri in altra forma; ed avendogli divisi in sei, gli offerì
all'Università di Bologna, perchè proccurasse da Sigismondo la conferma
di questa sua Raccolta; ma non costa, che l'Imperadore l'avesse loro
data; onde non essendo stata da tutti ricevuta, richiesero i Bolognesi
di nuovo la conferma dall'Imperador Federico III, il quale loro
la diede; onde avvenne, che questi libri nell'Accademia di Bologna
pubblicamente si leggessero, ma non acquistarono giammai autorità
pubblica; la qual Raccolta fu da poi data alla luce da _Giovanni
Schiltero_[122]. Un'altra tutta nuova ne fece Cujacio, il quale
non solo con somma diligenza diegli altro miglior ordine e ridusse
que' libri alla vera lezione; ma anche con pellegrina erudizione
gli commentò, spiegando il vero sentimento di quelli. E sopra tutto
accrebbe di molte Costituzioni imperiali il quinto libro, le quali da
Ugolino furono tralasciate, dandogli miglior ordine e disposizione.

§. III. _Costituzioni imperiali attenenti a' Feudi e legge di FEDERICO
I._
Il primo che promulgasse leggi riguardanti la successione feudale,
fu, come più volle si è detto, Corrado il _Salico_. Errico IV ne
stabilì dell'altre; sieguono in terzo luogo quelle di Lotario III ma
sopra gli altri Imperadori niuno ne stabilì tante, quante Federico
Barbarossa; e colle Costituzioni di questo Imperadore Cujacio termina
il libro; onde se bene nelle vulgate edizioni se ne leggono anche di
Federico II, dovrebbero quelle togliersi; poichè di Federico II come
Imperadore non abbiamo Costituzioni attenenti a' Feudi; ne abbiamo
sì bene moltissime nelle _Costituzioni_ del Regno, ma queste non han
che farvi, non essendo _Augustali_, ma furono da lui stabilite come
Re di Sicilia, e solo per questi suoi Regni ereditarj non per altri.
Quelle Costituzioni di Federico II che si leggono nella fine del libro
secondo de' Feudi, secondo l'antica compilazione, sotto il titolo _de
Statutis, et Consuetudinibus circa libertatem Ecclesiae editis, etc._
non han niente che fare co' Feudi; onde a torto furono quivi aggiunte,
e per questa cagione dice Cujacio[123] non averle egli unite coll'altre
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