Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 10

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feudali, come affatto impertinenti; siccome per l'istessa cagione le
due altre di Errico VII poste sotto il titolo di _Estravaganti_, come
non appartenenti a' Feudi, non meritano quel luogo.
Di questi Imperadori niuno quanto Federico I promulgò tante
Costituzioni feudali, del quale otto se ne leggono.
La prima è sotto il titolo _de Feudis non alienandis_, ove tre
o quattro cagioni si propongono, per le quali si perde il Feudo,
proibendosi con maggior rigore di quello avea stabilito Lotario, le
alienazioni dei Feudi. La seconda sotto il titolo, _de Jure Fisci_,
ovvero _de Regalibus_, ristabilisce in Italia le regalie, le quali
per disusanza andavano mancando, di che abbiam parlato nel libro
precedente. La terza, sotto il titolo _de pace tenenda_, appartiene
alla pubblica pace di Germania, onde da' Germani volgarmente s'appella
_Fried-brief_, cioè Breve di pace; e fu promulgata in Ratisbona
dopo sedate le intestine guerre tra' Principi di Germania, i quali
lungamente aveano infra di lor guerreggiato per lo Ducato di Sassonia e
di Baviera tolto da Corrado Imperadore ad Errico il Superbo, e poich'in
essa alcune cose attenenti a' Feudi ed a' Baroni, ed alla pubblica pace
si stabiliscono, perciò tra le Costituzioni feudali di questo Principe
fu annoverata. La quarta, sotto il titolo _de incendiariis, et pacis
violatoribus_, che Cujacio prese dall'Abate Uspergense, parimente
appartiene alla pubblica pace di Germania, ed alcune cose de' Feudi
dispone; oltre che anche se de' Feudi non parlasse, i nostri maggiori,
come ben osserva Cujacio, han tenuto costume di congiungere co' Feudi
tutte quelle Costituzioni, che trattavano della pace pubblica, per
motivo, che quella non mai potrà aversi, se non dalla fede e costanza
de' vassalli. La quinta sotto il titolo _de pace componenda et
retinenda inter subjectos_, appartiene alla pubblica pace d'Italia,
e fu stabilita in Roncaglia co' Milanesi nella prima guerra, che ebbe
Federico co' medesimi, della quale abbiam parlato nel precedente libro.
La sesta sotto il titolo _de pace Constantiae_, appartiene anch'ella
alla pace d'Italia. La precedente fu promulgata in Roncaglia, questa
nell'anno 1183 in Costanza: poichè Federico già stanco delle tante
guerre avute co' Lombardi, volle intimare a tutti una Dieta in Costanza
per poter quivi componere questi affari. Vi intervennero molti Principi
e Baroni; ed i Deputati delle città di Lombardia, de' quali in detta
Costituzione si legge un ben lungo catalogo. Furono in essa accordati
molti articoli e stabilite le condizioni delle città di Lombardia
intorno a' servizj, che devono prestare all'Imperadore, oltre a'
quali non potessero esser gravati di vantaggio: concedè Federico per
questa Costituzione alcune regalie alle città suddette ed alcune altre
egli si ritenne, massimamente _Fodrum et investituram Consulum, et
Vassallorum_, ed aggraziò Opizo Marchese di cognome Malaspina.
Sieguono per ultimo dell'istesso Imperadore due Costituzioni _de Jure
protimiseos_, il qual diritto al sentir di Cujacio (che che ne dica
il nostro Reggente Marinis[124]) competendo non meno agli agnati, che
a' padroni de' Feudi; perciò egli volle anche inserirle nel quinto
libro de' Feudi; alle quali parimente aggiunse una Novella greca
dell'Imperador d'Oriente Romano Lecapeno, che tratta del medesimo
diritto, donde Federico prese ciò che si vede stabilito nella prima
sua Costituzione attenente al _Jus protimiseos_. Nel che non possiamo
tralasciar di notare, che questa Costituzione _Sancimus, de Jure
protimiseos_, dai nostri Dottori con gravissimo errore è creduta, che
fosse Costituzione di Federico II, e sopra tal supposizione disputano,
se abbia a reputarsi come sua Costituzione _Augustale_, ovvero come una
delle Costituzioni del nostro Regno, stabilita solo per li Regni di
Sicilia e di Puglia; ed alcuni sostengono, che come tale abbia forza
di legge nel nostro Regno. E l'errore è nato, perchè la veggono unita
insieme coll'altre _Costituzioni_ e _Capitoli_ del nostro Regno[125];
ed anche perchè han veduto, che il nostro Matteo d'Afflitto, che
commentò le nostre Costituzioni, fece anche sopra la detta Costituzione
un particolar Commento, tratto nella sua maggior parte da un altro
non impresso, che ne fece prima di lui _Antonio Caputo_ di Molfetta,
dal quale, come dice Giovan-Antonio de Nigris[126], soppresso il
nome, Afflitto prese tanto, sì che ne distese quel suo trattato; onde
vedendola commentata da' nostri antichi Scrittori, la riputarono
come una Costituzione del Regno nostro. L'errore è gravissimo ed
indegno di scusa; onde non possiamo non maravigliarci esservi incorso
anche il Cardinal di Luca[127], il quale da questa credenza, che
tal Costituzione fosse di Federico II, fa nascere mille inutili
quistioni, le quali cadono per se stesse, come appoggiate sopra un
falso fondamento; poichè non Federico II, ma Federico I la promulgò,
il quale niuna autorità avea di far leggi ne' Reami di Sicilia e di
Puglia; onde non poteva obbligar con quella i sudditi di Guglielmo ad
accettarla. Acquistò ella sì bene da poi presso di noi forza di legge,
non già per autorità del Legislatore, ma per l'uso e consuetudine
dei Popoli, i quali dopo lungo corso di tempo la ricevettero, non
altrimente che fu fatto delle istesse Pandette, e degli altri libri
di Giustiniano, e di questi libri ancora de' Feudi; ond'è, che oggi
abbia tutto il suo vigore nel Regno, ma non già nella città di Napoli,
ove intorno a ciò si vive con particolare e propria Consuetudine. Le
altre leggi di Federico I, così le _Militari_, stabilite nel 1158 in
Brescia nell'Assemblea de' Principi dell'Imperio, come le _Civili_; non
appartenendo punto a' Feudi, nè a noi, volentieri tralasciamo, potendo
ciascuno osservarle presso Goldasto[128], che le raccolse tutte ne'
suoi volumi.

FINE DEL LIBRO DECIMOTERZO.


STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO DECIMOQUARTO

Quanto la morte di Guglielmo il Malo, e l'innalzamento al trono del
suo figliuolo, fece quietare i disordini e i mali, onde il Regno era
involto, altrettanto l'acerba e dolorosa perdita di Guglielmo II, recò
al medesimo molto maggiori e più fiere turbulenze. Non videro queste
nostre regioni tempi più miserabili di quelli, che corsero dalla morte
di questo buon Principe insino a Federico II, il quale colla sua virtù
e grandezza d'animo seppe abbattere i perturbatori del Regno, e dar a
quello una più tranquilla riposata pace.
L'esser Guglielmo mancato senza lasciar di se prole alcuna, pose molti
nella pretensione di succedere al Reame. Ancorch'egli avesse dichiarata
erede del Regno Costanza sua zia, ed in vita in un'Assemblea tenuta per
tal cagione in Troja avesse fatto giurar da' suoi vassalli fedeltà a
Costanza e ad Errico suo marito; nulladimanco abborrendo i Siciliani
la dominazione d'Errico, come di Principe straniero, e ritrovandosi
costui lontano in Alemagna colla sua moglie Costanza, cominciarono i
Siciliani a pensare di sorrogar altri al soglio di quel Reame, ed a
Tancredi Conte di Lecce erano gli occhi di tutti rivolti. I Baroni del
Regno, ed i famigliari della Casa reale erano perciò entrati in grande
discordia; perciocchè tutti coloro ch'erano del regal legnaggio, o
che possedevano grossi Baronaggi, non volendo l'uno all'altro cedere,
aspiravano alla Corona[129], e que' ch'erano in minore stato, aderendo
a' più potenti, posero il tutto in rivolta e contrasto, dimenticandosi
tosto del giuramento di fedeltà fatto a Costanza e ad Errico in Troja.
Vi è ancora chi scrive[130], che il Pontefice Clemente III, vedendo
mancata la stirpe legittima dei Normanni, avesse preteso, che il Reame
come suo Feudo fosse devoluto alla Chiesa romana, e che a questo fine
avesse unite sue truppe per ridurvelo. Ma questa è una favola molto mal
tessuta: non erano a questi tempi i Pontefici romani entrati ancora
in simili pretensioni: essi a passi corti e lenti s'inoltravano, e
per allora eran contenti dell'investiture, le quali in progresso di
tempo, secondo le congiunture propizie, che si sarebbon offerte, ben
conoscevano, che potevan lor recare maggiori vantaggi, come ben se ne
seppero profittare da poi Innocenzio IV e Clemente IV. La situazione
presente delle cose non permetteva di farlo, essendo i pretensori per
forze formidabili, come Errico: gli animi de' Siciliani erano tutti
rivolti a Tancredi, ed i principali Baroni tutti aspiravano per se
stessi al Regno. Non v'era chi potesse somministrare al Papa aiuto, e
per se medesimo era pur troppo debole, e di soldati, e di denari, in
modo che avesse Clemente potuto imprender questa novità. Ed era ciò
tanto lontano da' pensieri di Clemente, che subito ch'egli ebbe la
notizia d'aver i Siciliani innalzato al trono ed incoronato Tancredi,
tosto gli mandò la solita investitura: rendendo a lui miglior conto,
che al Reame di Sicilia fosse acceduto Tancredi, che Errico Re di
Germania.
Ma i Siciliani, e que' particolarmente, che seguivano il partito
di Matteo Vice-Cancelliere contro l'Arcivescovo Gualtieri, liberi
dal timore de' Ministri reali, cominciarono a gridar per loro Re
Tancredi: ed essendosi ad essi unita la fazione del Vice-Cancelliere,
per abbattere l'Arcivescovo Gualtieri e suoi seguaci, che favorivano
Costanza, innalzarono al trono Tancredi, onde finalmente ottennero,
che si chiamasse al Regno Tancredi Conte di Lecce, il qual venuto in
Palermo, ne fu prestamente con pubbliche acclamazioni gridato Re, ed
incoronato con solenne celebrità nel principio di quest'anno 1190[131].
Nè tutto ciò essendo bastato a' Siciliani, spedirono prestamente
in Roma al Pontefice Clemente, il quale per maggiormente stabilirlo
nel Trono, gli mandò la solita investitura: come per cosa indubitata
scrissero il Neubrigense, Riccardo da S. Germano e la Cronaca, che si
conserva in Monte Cassino: il perchè fu Matteo dal grato Re creato Gran
Cancelliero del Regno, e 'l suo figliuolo Riccardo, Conte d'Ajello.
Nacque Tancredi di illegittimo, come si disse, da Ruggiero Duca di
Puglia figliuolo primogenito di Ruggiero il Vecchio, I Re di Sicilia, e
da una figliuola di Roberto Conte di Lecce; perciocchè usando il Duca
Ruggiero in casa del Conte Roberto, gli venne per avventura veduta
la figliuola, bella ed avvenente giovane, della quelle s'innamorò
focosamente, ed ella similmente di lui, nè guari di tempo passò, che al
desiderato fine del loro amore pervennero; ed andò di modo la bisogna,
che ingravidando colei due volte, ne partorì Tancredi e Guglielmo[132].
Ma continuando troppo Ruggiero negli amorosi diletti con l'amata
sua donna, cadde per questo in una grave malattia: perlaqualcosa il
padre il fece ritornare a lui, e risaputa la cagione del suo male,
s'adirò grandemente contro il Conte, credendosi, che il tutto fosse
stato sua opera; e poco da poi essendo Ruggiero morto, nel prese sì
fattamente a perseguitare, che fu forzato il Conte a fuggirsene in
Grecia, ritenendosi seco il Re Ruggiero, racchiusi nel suo Palagio a
guisa di prigionieri, i due fanciulli, ove dimorarono finchè succedette
la congiura del Bonello contro il primo Guglielmo, ed iti in Grecia,
essendo quivi morto Guglielmo suo fratello, fu da poi Tancredi
richiamato da Guglielmo II, e graziosamente accolto e rinvestito del
Contado di Lecce, che fu di Roberto suo avolo materno.
Non è mancato chi scrisse[133], che il Duca Ruggiero avesse finalmente
ottenuto dal Re suo padre licenza di sposarsi la sua amata donna, ma
che prevenuto dalla morte non potè eseguirlo, e che niente altro vi
mancasse per render legittimo questo congiungimento, che la celebrità
della Chiesa essendovi già preceduto il vero e legittimo consenso;
onde è che Tancredi dovesse reputarsi non bastardo, ma legittimo; e
quindi esser avvenuto che da Guglielmo il Buono fosse stato rinvestito
del Contado di Lecce, che fu del suo avolo, e che Clemente gli avesse
perciò data la solita investitura del Regno. Ma questi racconti,
come non appoggiati a verun fondamento, meritamente da' più gravi
e diligenti Scrittori sono stati reputati favolosi; e Clemente per
opporlo ad Errico fu mosso a concedergli l'investitura, non già che lo
reputasse legittimo. Quindi è che Federico II reputasse sempre gli atti
di questi Principi, cioè di Tancredi e di Guglielmo III, suo figliuolo,
per nulli e illegittimi, e come di Principi intrusi ed invasori del
Regno, che dopo la morte di Guglielmo II, a Costanza sua madre per
successione e per volontà di Guglielmo II, si dovea.
Nè faceva ostacolo a Costanza esser donna; poichè se bene in Italia
prima di Federico II, le femmine, non altrimenti che i mutoli ed i
sordi, venivan escluse dalla successione de' Feudi, ne' quali solamente
i maschi succedevano, per quella ragione, acciocchè il Feudo dalla
lancia non passasse al fuso; nondimeno nella succession de' Regni
presso i Normanni (che che altrimenti avessero reputato i Longobardi)
le femmine non si stimavano incapaci della Corona; tanto maggiormente
perchè, regolandosi la successione secondo l'investiture de' Pontefici
romani, nelle quali venivano compresi così i maschi, come le femmine,
dandosi le investiture per gli eredi e successori indifferentemente:
venivan perciò ammessi alla successione così i maschi, come le donne,
in mancanza di quelli; e la prima investitura d'Innocenzio II, fatta
a Ruggiero così fu conceputa: _Rogerio illustri, et glorioso Siciliae
Regi, ejusque haeredibus in perpetuum_; ed in quella data da Adriano
IV, a Guglielmo I, chiaramente si concede _haeredibus nostris, qui in
Regnum pro voluntaria ordinatione nostra successerint_; siccome da poi
seguirono tutte le altre. Tanto che perciò Federico II, soleva chiamar
sempre il Regno di Sicilia ereditario, e che a lui era dovuto come
ereditario per le ragioni di Costanza sua madre: nè la successione
de' Regni si è giammai regolata colle massime e con quelle leggi,
colle quali si regolano i Feudi, come ha bene provato l'incomparabile
Francesco d'Andrea in quella sua dotta scrittura della successione del
Brabante: e quindi è nato che a' Regni di Sicilia indifferentemente
sian succeduti così i maschi, come le donne, e salvo che negli ultimi
tempi del Re Alfonso e degli altri Re aragonesi, per li mali cagionati
a questo Regno dalle due Regine Giovanna I e II, non si pensò a darvi
rimedio, come al suo luogo noteremo. Fu questo costume non solo in
Sicilia ed in Puglia da lunghissimo tempo introdotto; ma in quasi
tutti gli altri Regni d'Europa, la quale perciò dagli Asiani e dalle
altre Nazioni del Mondo vien chiamata _il Regno delle femmine_; non
solo perchè alle medesime rendiamo quegli onori ed adorazioni, come
se fossero nostri idoli, contro il costume degli Orientali, ma ancora
perchè le veggono innalzate sopra i più alti sogli delle Monarchie e
de' Reami. Anzi presso i Normanni, se bene le medesime erano escluse
dalla successione dei Feudi, non era però, che sovente i Re non le
investissero di Baronie e di Contadi, siccome presso Ugone Falcando
abbiamo veduto di Clemenzia figliuola naturale di Ruggiero I, la quale
fu investita del Contado di Catanzaro da suo padre.
Tancredi adunque non altro titolo più plausibile poteva allegar
per se, se non la volontà de' Popoli, i quali l'aveano proclamato
Re ed innalzato al trono di Sicilia; ma molti Baroni per opra
dell'Arcivescovo Gualtieri gli negavano ubbidienza, e particolarmente
quelli del nostro Regno di Puglia; onde bisognò a Tancredi usar tutte
le arti per ridurgli alla sua parte. Teneva egli per moglie Sibilia,
sorella di Riccardo Conte della Cerra[134]; onde mandò al medesimo
grossa somma di denaro, acciocchè ragunasse gente armata per debellar
chi gli avesse contrastato, e procacciasse insieme amichevolmente,
e con preghiere, e con premi di trarre il maggior numero de' nostri
Regnicoli dalla sua parte. Fu l'opera del Conte Riccardo così efficace,
che in breve tempo, posto insieme grosso esercito, sottopose al Re
quasi tutti i Baroni del Principato e di Terra di Lavoro, e pose a
ruba ed a ruina i castelli del monastero di Monte Cassino, infinchè
Roffredo Abate di quel luogo non gli giurasse fedeltà anch'egli. Ma
ciò non ostante gli fecero resistenza le città di Capua e di Aversa. E
Ruggiero Conte di Andria e Gran Contestabile (colui che da Guglielmo,
come abbiam detto, fu mandato suo Ambasciador in Vinegia) non cedendo
di nulla a Tancredi, e sdegnando, che gli fosse stato anteposto nella
corona del Regno, con Riccardo Conte di Calvi, e con molti altri suoi
partigiani, e con grosso stuolo d'armati ne andò a fronteggiar le
genti del Conte Riccardo, acciocchè non avesse occupata la Puglia; e
scrisse ad Errico in Alemagna, che venisse ad acquistarsi il Regno di
Sicilia, che a sua moglie di ragion perveniva, togliendolo al Conte
di Lecce, che l'avea ingiustamente occupato. Scrisse ancora ad Errico
l'Arcivescovo Gualtieri dandogli parte di quanto era accaduto in
Sicilia: ma soprastando Errico a venire ed a mandar gente, Tancredi
tosto personalmente venne a queste nostre province, e felicemente
soggiogò la maggior parte della Puglia, non ostante il contrasto
fattogli dal Conte Ruggiero.
Intanto Errico avea spedito per Italia con numeroso esercito Errico
Testa Maresciallo dell'Imperio, il quale giunto in Italia dopo i
progressi fatti da Tancredi in Puglia, per lo cammino dell'Aquila entrò
in Terra di Lavoro con abbruciare, dar a saccomanno tutti i luoghi,
ch'e' prese; e congiuntosi col Conte Ruggiero passò prestamente in
Puglia, ove disfecero altresì molti castelli, tra' quali abbatterono
sino dai fondamenti Corneto, luogo sottoposto all'Abate di Venosa, in
dispetto di costui, perchè avea aderito a Tancredi. Intanto l'esercito
del Re non volendo arrischiarsi a far giornata in campagna con i
soldati tedeschi, s'afforzò entro la città d'Ariano, ed in alcuni
altri castelli circonvicini, ed avvedutamente temporeggiando, vide in
breve disfarsi l'oste nemica; perciocchè Errico Testa, assediato per
alcun tempo Ariano, essendo il maggior fervor della State, tra per la
noia del caldo, e per lo mancamento delle cose da vivere, infermando e
morendo i suoi soldati, fu costretto alla fine dal timor di non rimaner
del tutto disfatto a partirsi di là, e senza aver fatto alcun progresso
notabile a ritornarsene indietro in Alemagna.
Ma Ruggiero Conte d'Andria, troppo nelle sue forze confidando, volle
mantener la guerra; onde munita la Rocca di S. Agata, si ritrasse
in Ascoli per difendersi colà entro dal Conte della Cerra; il quale,
ripreso ardire per la partita de' Tedeschi, gli era andato addosso, e
cintolo d'uno stretto assedio, nè potendolo recare al suo volere, nè
con preghiere, nè per forza, si rivolse agl'inganni; onde chiamatolo
sotto la sua fede un giorno a parlamento fuori della Terra, ove
tese gli avea l'insidie, il fece prigione, e poco stante il privò
crudelmente di vita. Dopo la qual cosa andò a campeggiar Capua; i cui
cittadini, smarriti per la morte del Conte Ruggiero, se gli resero
con troppo precipitoso consiglio, perciocchè Errico Re d'Alemagna, le
cui parti seguivano, era già con grande e potente esercito entrato in
Italia per l'acquisto del Reame.
Erano in questo mentre, essendo morto Errico suo padre, Riccardo
Re d'Inghilterra e Filippo Re di Francia con grossa armata partiti
da' loro Stati per andare in Palestina; e giunti, benchè per
diverso cammino amendue a Messina su la fine del mese di settembre,
sopraggiunti ivi dal verno, fu di mestiere, che v'albergassero sino
alla vegnente primavera per potere proseguire la navigazione. Il Re
Riccardo vi si trattenne ancora per dar sesto ad alcune differenze, che
eran nate fra la Reina Giovanna sua sorella vedova del Re Guglielmo,
e Tancredi Re di Sicilia, ed avendole composte, Tancredi promise
di dar per moglie ad Arturo Duca di Brettagna nipote del Re inglese
e successor nel Reame, per non aver Riccardo prole alcuna, una sua
figliuola ancor fanciulla, venuta che fosse all'età convenevole al
maritaggio, con ventimila oncie d'oro di dote[135].
(Le differenze eran insorte per lo Dotario della vedova Regina, e per
alcuni tumulti accaduti in Messina fra gl'Inglesi ed i Messinesi,
mentre _Riccardo_ fu di passaggio a Messina; e l'istromento di
questa pace stipulato nell'anno 1190 è rapportato da _Lunig_[136];
dove si leggono pattuiti gli sponsali tra _Arturo_ e la figliuola di
_Tancredi_, e costituita la Dote di ventimila oncie d'oro).
Era in questi tempi disseminata per tutta Europa la fama di
Giovacchino Calabrese Monaco Cisterciense, ed Abate di Curacio,
riputato comunemente per Profeta, onde venne curiosità al Re Riccardo
di favellargli, il quale dalle sue parole s'avvide incontanente,
ch'era un cianciatore, e quello ch'egli disse dovere fra pochi anni
avvenire in Terra Santa, succedette tutto al contrario. Fu egli però
di uno spirito molto vivace, accorto e scaltro, e sopra tutti que'
della sua età, intendentissimo delle sacre scritture, e dalla somma
perizia, che avea delle medesime col suo gran cervello pronto e vivace,
imposturava la gente facendosi tenere per Profeta. Dagl'infiniti libri
che compose tutti con titoli speziosi e stravaganti, ben si conosce,
che sopra i Teologi di que' tempi fu riputato d'alto e di sottile
accorgimento e dottrina[137]. Se la prese con _Pietro Lombardo_,
uomo anch'egli rinomato in questi tempi, detto il _Maestro delle
Sentenze_, trattandolo con molta acerbità, nè ebbe riparo di chiamarlo
in un suo libro, che gli scrisse contro, eretico e pazzo; ma perchè
la dottrina di Pietro era tutta cattolica, che non meritava tali
rimproveri dal Calabrese, Innocenzio III, nel Concilio che celebrò in
Laterano, condannò il libro dell'Abate, e trattò come eretici coloro,
che ardiranno di difendere la sua dottrina in questa parte contro il
Lombardo.
Non è però, che per la sua grande perspicacia e talento, non fosse
stato anche da uomini dotti riputato saggio e dotato di spirito, se
non di profezia, almeno d'intelligenza, come scrisse di lui Guglielmo
parisiense Vescovo di Parigi, che fiorì intorno all'anno 1240. Ed
il nostro Dante non ebbe difficoltà di metterlo nel Paradiso e di
celebrarlo ancora per Profeta:
_Raban è quivi, e lucemi da lato,_
_Il Calabrese Abate Giovacchino_
_Di spirito profetico dotato_[138].
Siccome la Cronaca di Matteo Palmieri, Sisto Sanese, Errico Cornelio
Agrippa, il Paleotto e moltissimi altri riportati dall'Autor della
Giunta alla Biblioteca del Toppi.
Intanto Errico Re d'Alemagna, essendogli in questo mentre arrivata
la novella della morte di Federico Barbarossa suo padre, che, come
si disse, morì nella minore Armenia, volendo acquistarsi il buon
volere de' Tedeschi, restituì ad Errico Duca di Sassonia, ed a ciascun
altro, ciò che l'Imperadore suo padre gli avea tolto; e racchetati in
cotal guisa gli affari di Alemagna, inviò suoi Ambasciadori in Roma
al Pontefice Clemente ed a' Senatori della città, dando loro avviso,
che egli era per calare in Italia a torre la Corona imperiale nella
prossima Pasqua; ed entrato l'anno di Cristo 1191, mentre si stava
attendendo la sua venuta, morì Papa Clemente, il quarto giorno di
aprile, e sopraggiunto intanto il Re Errico in Roma, fu creato suo
successore Giacinto Bubone romano nato di nobil sangue e vecchio di
85 anni, il quale si nomò _Celestino_ III. Con questo nuovo Pontefice
fu accordata l'incoronazione d'Errico, il quale nella chiesa di S.
Pietro con la solita pompa insieme con la moglie Costanza fu coronato
Imperadore[139].
Il Re Tancredi era da Palermo passato di nuovo in Puglia, ove ragunato
un Parlamento di suoi Baroni a Termoli, e dato sesto a molti affari
del Regno, se n'andò poi in Apruzzi; e debellato il Conte Rainaldo il
costrinse venire alla sua ubbidienza. Indi passato a Brindisi conchiuse
il maritaggio tra Ruggiero suo figliuolo primogenito, ed _Ircoe_, detta
ancora talvolta _Urania_, figliuola d'Isaac Imperador greco[140]; e
poco stante, venuta da Costantinopoli a Brindisi, si celebrarono nella
medesima città pomposamente le nozze. Fece ancora Tancredi coronar
quivi Ruggiero Re di Sicilia; onde riflette Inveges[141], che questo
fu il primo Re coronato fuori di Palermo; e fatta l'incoronazione se
ne tornò Tancredi lietamente a Palermo, avendo conceduto prima del suo
partire a Roffredo Abate di Montecassino la Rocca di Evandro e la rocca
di Guglielmo.
Ma l'Imperador Errico, tosto che fu coronato in Roma raccolse il
suo esercito, ed accompagnato da Costanza sua moglie per la via di
Campagna assalì il Reame per conquistarlo; ma Celestino fece tutti
i suoi sforzi per frastornarlo dall'impresa, e si sdegnò assai, che
per tal cagione movesse guerra a Tancredi, quando del Regno n'era
investito da Clemente suo predecessore[142]. Niente però valse l'opera
di Celestino, poichè i Tedeschi pervenuti alla Rocca d'Arce, luogo
fortissimo posto alle frontiere dello Stato della Chiesa, lo presero
per forza d'arme in un subito: il qual avvenimento, siccome rincorò,
e diede baldanza a' soldati dell'Imperadore, così all'incontro scemò
in gran parte il valor de' Regnicoli; onde Sorella, Atino e Colle,
sbigottite, senza aspettar altro assalto, se gli diedero; e Roffredo
Abate di Monte Cassino, che gravemente era infermo in letto, con
quelli di S. Germano, inviarono a giurargli fedeltà anch'essi; e poco
stante Cesare e Costanza ne girono a quel monastero a visitar quel
Santuario. Seguitando poi il lor cammino, se gli diedero il Conte di
Fondi, e quel di Molise, e passando in Terra di Lavoro si rivolse
alla lor parte Guglielmo Conte di Caserta, e le città di Teano,
Capua ed Aversa; nè ritrovarono resistenza alcuna sino a Napoli, ove
essendosi ricovrato il Conte della Cerra, e non volendo que' cittadini
mancar di fede a Tancredi, s'apprestarono francamente alla difesa. Si
governava allora questa città da _Aligerno_, di cui fu quel privilegio
spedito agli Amalfitani, come si disse; e sebbene riconoscesse per
suo Signore Tancredi, siccome conobbe tutti gli altri Re normanni suoi
predecessori, riteneva però quella forma stessa di Governo, che avea
prima, che da Ruggiero fosse manomessa. Entrato ora in sua difesa il
Conte Riccardo, potè far valida resistenza ad Errico; il quale inviata
l'Imperadrice Costanza a Salerno, che in questo mentre era passato
sotto la sua dominazione, cinse Napoli d'uno stretto assedio da tutti i
lati; ma non perciò fu bastevole a prenderla a patto alcuno, così per
la valida difesa del Conte e de' Napoletani, com'ancora perchè negli
eccessivi ardori di quella state, infermando per lo soverchio mangiar
de' frutti, e per l'intemperie dell'aria in que' luoghi paludosi,
i Tedeschi, ne cominciarono a morire in grosso numero, fra' quali
morì l'Arcivescovo di Colonia, il cui corpo portarono i famigliari a
seppellire in Alemagna; ed ammalatosi alla fine il medesimo Imperadore,
veggendo non poter venire a capo della sua impresa, dato a saccomanno
tutto il Contado, ed abbruciato ogni sorta d'alberi fruttiferi, lasciò
la città libera dall'assedio. Ed avendo lasciata Costanza in Salerno,
ed un suo Capitano chiamato Mosca in Cervello, alla guardia del castel
di Capua, Diepoldo Alemanno alla Rocca d'Arce, e Corrado di Marlei alla
Terra di Sorella; e presi gli ostaggi da que' di S. Germano, i quali
recò seco con l'Abate Roffredo, per lo cammin delle terre di Pietro
Conte di Celano uscì dal Reame, e s'avviò verso Lombardia per girsene
in Alemagna.
Riccardo Conte della Cerra avendo intesa la partita d'Errico, uscì
prestamente con suoi soldati da Napoli, e con molti Napoletani, che
parimente li seguirono, ed essendo andato a Capua, que' cittadini
tosto se gli diedero, uccidendo grosso numero di Tedeschi, che in essa
dimoravano, ed assediato il castello, non potendovisi Mosca in Cervello
mantenere per difetto di vettovaglie, glielo rese, uscendone libero
con tutti i suoi[143]. Indi prese il Conte Atino, Aversa, Teano, e S.
Germano con tutte le terre della Badia di Monte Cassino; e richiesto
Adenolfo da Caserta Decano del monastero, che v'era rimasto in guardia
per l'assenza di Roffredo, a darsegli, non potè a patto alcuno, nè con
preghiere, nè per forza recarlo al suo volere. Soggiogò poscia Riccardo
Mandra Conte di Molise, e pose in guardia di S. Germano, e di S. Angelo
Teodico Masnedam. Per li cui felici progressi sgomentato Riccardo
Conte di Fondi, il quale avea comperato dall'Imperadore Sessa e Teano,
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