Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - 07

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tosto riprovato il fatto, e data loro pace, incolpando i Duci loro
d'essersi uniti coi Greci, non già i Vinegiani[72]. La qual guerra però
fu a' medesimi profittevole, perchè una gran parte di quelle genti,
che per tutti que' stagni, e lidi diversi abitavano (ch'erano pure a
Vinegia soggette, e come parte, e membri di questa città) lasciando le
stanze loro, se ne vennero ad abitare sopra sessanta isolette picciole,
ch'erano intorno a Rialto, giungendole insieme con ponti, alle quali
poi fu dato aspetto d'una grande e magnifica città, e stabilitavi la
presidenza de' Duchi, ed il Consiglio pubblico.
Ed avendo da poi i Normanni discacciati i Greci dalla Sicilia, dalla
Puglia e dalla Calabria, non può dubitarsi, che i nostri Principi
scorrevano a lor posta con poderose armate l'Adriatico, e tralasciando
cento altre occasioni, ch'ebbero di navigarvi con armate, nell'anno
1071, quando il famoso Duca Roberto Guiscardo fu chiamato in ajuto da
Ruggiero suo fratello mentr'era nell'assedio di Palermo, v'accorse
egli con poderosa armata di 58 navi traversando l'Adriatico, come
scrisse Lupo Protospata[73]. E ne' tempi, che seguirono, essendo
passate sotto la dominazione di essi Normanni tutte queste province, il
famoso Ruggiero I Re, non contento di tanti e sì sterminati acquisti,
resosi potente in mare assai più che non erano gl'Imperadori istessi
d'Oriente, portò le sue vittoriose insegne non pur in Dalmazia, nella
Tracia, e fin alle porte di Costantinopoli, ma corsero le sue poderose
armate insino all'Affrica, ove fece notabili conquiste di città e di
province. Nè vi fu Principe al Mondo in questi tempi, che lo superasse
per forze marittime, e d'armate navali, le quali sovente combattendo
con quelle dell'Imperadore d'Oriente, anche potente in mare, ne riportò
sempre trionfi e piene vittorie. Ciò si è potuto anche conoscere dalle
tante armate, che mantenevano, tanto che non bastando un Ammiraglio
per averne cura; fu d'uopo crearne molti, a' quali prepose un solo,
che perciò fu chiamato _Admiratus Admiratorum_; siccome era appellato
Giorgio Antiocheno Grand Ammiraglio ne tempi di Ruggiero, e Majone
ne tempi di Guglielmo suo figliuolo. E fu ne' tempi di questi Re
normanni così grande la loro potenza in mare, che non vi era lido, o
porto ne' loro dominj, che (oltre d'esser provista ciascuna provincia
d'Ammiraglio) non avessero questi ancora altri Ufficiali minori a
lor subordinati, alla cura de' quali si apparteneva la costruzione
de' vascelli e delle navi, di reparargli, e disporgli per mantener
libero il commercio e di tener li Porti in sicurezza, e ciò in tutta
l'estensione de' loro Reami, e in tutti i lati marittimi, ed avendo
l'Adriatico molti Porti nella Puglia, e per tutta quell'estensione,
ch'è la più grande di quel Golfo (ne' quali sovente anche l'armate,
che venivano da Sicilia solevano ricovrarsi) nel Regno di Ruggiero, dei
due Guglielmi, e degli altri Re suoi successori, fu quel Golfo sempre
guardato, e ripieno di navi e d'armate de' Re di Sicilia; anzi in
congiunture di viaggi e di espedizioni navali, i Porti più frequentati
e scelti a tal fine erano que' di Vesti, di Barletta, Trani,
Bisceglia, Molfetta, Giovenazzo, Bari, Mola, e di Monopoli, oltre a
quelli di Brindisi, d'Otranto, di Gallipoli, e di Taranto posti quasi
tutti nell'Adriatico; ed i pellegrinaggi per Terra Santa in Soria,
sovente per l'Adriatico si facevano. L'armate di Federico, e d'Errico
Imperadori indifferentemente ne' Porti dell'Adriatico si fermavano: per
l'Adriatico si trasportava l'oste per Soria, ed in fine tutte l'altre
imprese della Grecia, e di Levante per questo Golfo si disponevano.
E se bene nel Regno degli Angioini non fosse stata tanta la potenza in
mare de' Re di Sicilia, nulladimanco non è, che i due Carli d'Angiò, e
gli altri Re di quella stirpe, non avessero mantenute poderose armate
di mare, tanto che non avessero potuto disporre di quel Golfo a loro
arbitrio e piacere, siccome quando dall'occasione si richiedeva il
facevano.
Ne' tempi posteriori, e particolarmente sotto gli Aragonesi, per
essere a' nostri Re mancate tante forze di mare, ed all'incontro
cresciute quelle de' Vinegiani, nacque, che navigando essi nel Golfo
a lor piacere, senza temer d'armata di Principe vicino, avessero essi
preteso il dominio di quel Golfo, ed avessero da poi preteso d'impor
legge a coloro, che vi navigavano: di non permettere che entrassero in
quello armate navali: di vendicar le prede, che in esso si facevano,
e con loro licenza permettersi il trasporto delle merci; e per la
debolezza de' Principi vicini, giunsero insino a non permetter che
altre armate potessero navigare il Golfo, siccome con non piccol scorno
de' Spagnuoli avvenne, quando essendosi casata Maria con Ferdinando
Re di Ungheria figliuolo di Cesare, sorella del Re Filippo IV e con
numeroso stuolo di galee, e con pompa degna di tanti Principi, giunta
a Napoli, per passare per l'Adriatico a Trieste con la stessa armata
Spagnuola: i Vinegiani per non pregiudicare al loro preteso dominio
di quel Mare, s'opposero con tal ostinazione, che si dichiararono,
che se gli Spagnuoli non accettavano la loro offerta, di condurla
essi colla loro armata, stassero sicuri, che converrebbe alla Reina
tra le battaglie, ed i cannoni passare alle nozze; tanto che bisognò
vergognosamente cedere, e la Reina per la strada d'Abruzzi giunta in
Ancona, fu ricevuta da Antonio Pisani con tredici galee sottili, che
la sbarcò a Trieste[74]. In tanta declinazione si videro le nostre
forze marittime a tempo degli ultimi Re di Spagna; ma se si voglia
aver riguardo a' secoli andati, e spezialmente a questi tempi de' Re
Normanni con maggior ragione potevano vantar il dominio di quel Mare
i Re di Sicilia, che i Vinegiani. Quindi è che presso di noi, tra'
manuscritti della regal giurisdizione rapportati dal Chioccarello[75],
si trovi notato per uno de' punti controvertiti, se il dominio del Mare
Adriatico sia dei Vinegiani, o più tosto de' Re di Napoli.
(Si conferma tutto ciò dal vedersi, che le scritture che uscirono a'
tempi del Re _Filippo III_ de' Veneziani per sostenere questo dominio,
siccome quella del P. _Paolo_ Servita (dove nell'ultima parte si
risponde a' Dottori napolitani, infra i quali al Reggente de _Ponte_)
e del _Francipane_, furono composte per rispondere ad alcune Scritture
date fuori in contrario da' Napolitani; siccom'è manifesto dall'ultima
Edizione dell'Opere del P. _Paolo_ stampate in Venezia in 4.º ancorchè
colla data di _Halmstat_, dove nel frontispizio nell'Allegazione del
_Francipane_ si legge: contra alcune scritture de' Napolitani).

§. II. _I Veneziani sono stati Soggetti degli Imperadori d'Oriente e
d'Occidente._
Chiunque attenderà lo stato delle cose di quei tempi, secondo che ce
lo rappresentano non meno gli antichi Annali, e Monumenti estratti
dalla voracità del tempo, che gli Storici contemporanei, si accorgerà,
che le province di Venezia e d'Istria col seno del mare Adriatico,
che le bagna, nella decadenza dell'Imperio di Occidente, ubbidivano
agl'Imperadori di Oriente. Quando _Giustiniano_ Imperadore riunì
al suo Imperio di Oriente tutta l'Italia per lo valore di quei due
celebri Capitani _Belisario e Narsete_, non è dubbio, che l'Istria e
le regioni de' Veneti erano appartenenze dell'Orientale Imperio. Le
Regioni marittime de' Veneti dall'Istria si stendevano sino alla città
di Ravenna: siccome ce n'assicura _Procopio_ scrittor contemporaneo,
il quale descrivendo queste regioni, così ne parla[76]: _Sequitur,
cui Dalmatiae nomen, et quae cum ipsa Occidentalis Imperii finibus
comprehenduntur: proxima Liburnia, huic Istria; dein Regio Venetorum,
ad Ravennam urbem porrecta._
Quando la prima volta i Franzesi sotto que' loro famosi Capitani
Leutario, e Buccellino invasero questa parte d'Italia, ed occuparono
i luoghi terrestri dei Veneti, tenendo i Greci i luoghi marittimi,
siccome ci rende testimonianza lo stesso _Procopio_[77]; _Narsete_
mandato da _Giustiniano_ in Italia in luogo di Belisario gli scacciò da
tutti que' luoghi terrestri del tratto Veneto, siccome fece anche dalla
Liguria, avendo sconfitto interamente i Franzesi; a segno che in Italia
non gli restò nè pur un picciolo castello.
Queste province dopo la morte di Giustiniano passarono al suo successor
_Giustino_: e questi avendo istituito in Italia l'Esarcato di Ravenna,
non vi è dubbio, che gran parte del territorio Veneto fosse porzione
dell'Esarcato, giacchè _Procopio_ ci descrive, che la Region Veneta
si distendeva fin alla città di Ravenna: _Regio Venetorum ad Ravennam
urbem porrecta_. Ciocchè per antichi monumenti fin'all'ultima evidenza
dimostrano _Girolamo Rubeo_[78] e _Ludewig_[79], il quale nella
vita di _Giustiniano M._[80], non ebbe difficoltà di dire esser cosa
chiara: _Venetum agrum vel territorium portionem fuisse Exarchatus non
infimam_.
Ma avendo da poi _Carlo M_. interamente scacciati da questa parte
d'Italia non meno i Greci, che i Longobardi, e fatto Re d'Italia
_Pipino_ suo figliuolo, le Venezie sottratte dall'Imperio d'Oriente,
furon rese province del Regno Italico, siccome con verità scrisse
_Costantino Porfirogeneta_[81], dicendo, che d'indi in poi le Venezie
non soggiacquero all'Oriente, ma furon fatte _Provincia Italici
Regni_. Quindi gl'Imperadori di Oriente per reintegrare all'Imperio,
da questa parte, i lor confini, ebbero con _Carlo M._ or guerre,
or tregue, or convenzioni e paci, per le quali finalmente, siccome
rapporta Eginardo[82], fu convenuto, che a Carlo fossero aggiudicate
le due Pannonie, l'Istria, le Venezie, la Liburnia, e la Dalmazia,
lasciandosi all'Imperadore costantinopolitano le città marittime della
Puglia, la Calabria e la Sicilia. _Carolus_, scrive Eginardo, _utramque
Pannoniam, et appositam in altera Danubii ripa Daciam, Histriam quoque
et Liburniam, atque Dalmatiam, exceptis maritimis Civitatibus, quas ob
amicitiam, et junctum cum eo foedus Constantinopolitanum Imperatorem
habere permisit, adquisivit._
Ma per i luoghi terrestri di quelle province rimasti a Carlo, e per le
città marittime lasciate a gl'Imperadori greci; non durò fra medesimi
ed i Re francesi lungo tempo buona armonia; poichè nell'anno 806.
_Paolo_ Principe di _Zara_, ed i Legati di Dalmazia, non meno che i
Duchi di Venezia, che riconoscevano per loro Sovrani gl'Imperadori
di Oriente, mal sofferendo la potenza de' Francesi, come troppo lor
vicina, ricorsero all'Imperadore _Niceforo_, perchè gli prestasse
ajuto per non essere da quelli oppressi, siccome leggesi negli Annali
_Laurisheimensi_ ad An. 806 de' quali non si dimenticò _Simone Stanh.
Histor. Germ. in Carolo M._ che ne rapporta varj pezzi: _Statim post
Natalem Domini_ (si legge ne' medesimi) _venerunt Wilharius et Beatus
Duces Venetiae_; _nec non et Paulus Dux Jaderae, atque Donatus, ejusdem
civitatis Episcopus, Legati Dalmatorum, ad praesentiam Imperatoris cum
magnis donis, et facta est ibi ordinatio ab Imperatore de Ducibus et
Populis tam Venetiae, quam Dalmatiae._
Ed in effetto l'Imperadore _Niceforo_ non tardò in gennaro del seguente
anno 807 di mandar una classe marittima ne' porti di Venezia sotto il
comando di _Niceta_, per ricuperar la Dalmazia, siccome si aggiunge
negli Annali stessi: _Classis a Nicephoro Imperatore, cui Niceta
Patricius pracerat, ad recuperandam Dalmatiam mittitur_. Ma giunta che
fu questa flotta ne' porti di Venezia, _Pipino_ costituito Re d'Italia
da _Carlo_ suo padre, fatta tregua con _Niceta_ fino al mese d'agosto,
tanto fece sicchè l'indusse a ritornarsene, come soggiungono gli Annali
stessi ad An. 807 _Niceta Patricius, qui cum Classe Costantinopolitana
in Venetia se continebat, pace facta cum_ Pipino _Rege, et induciis
usque ad Augustum constitutis, regreditur._
Ma i Veneziani e i Dalmatini, che desideravano, che sempre fosse accesa
guerra tra' Greci e' Franzesi, per profittare nel torbido, nutrendo per
ciò fra di loro gare e contenzioni, indussero l'Imperadore Niceforo nel
809 che mandasse la seconda volta in Dalmazia e Venezia un'altra armata
sotto _Paolo_: la quale spedizione ebbe varj successi: nel principio
giunta l'armata a Venezia, si rese padrona dell'Isola di Comiaclo, ma
attaccata poi l'armata da _Pipino_ e fugata; fu obbligata ritirarsi ne'
Porti di Venezia, come dicono gli Annali suddetti Laurisheimensi ad An.
809 _Classis de Constantinopoli missa, primo Dalmatiam, deinde Venetiam
adpulit, cumque ibi hiemaret pars ejus Comiaclum Insulam accessit,
commisso praelio, victa atque fugata Venetiam recessit._
_Paolo_ Prefetto dell'armata, vedendo non poter resistere alle forze
di _Pipino_, cominciò a trattar di pace col medesimo; ma i Duchi di
Venezia _Wilhario_, e _Beato_, i quali di mala voglia soffrivano, che
_Paolo_ volesse trattar di pace con _Pipino_, fecer ogni sforzo per
impedirla, anzi con frodi ed inganni tentarono d'insidiar la di lui
persona: sicchè avendo _Paolo_ conosciute le loro insidie e frodi
l'obbligarono a partire; come soggiungono gli annali stessi: _Dux
autem, qui Classi praeerat, nomine Paulus, cum de pace inter Francos
et Graecos constituenda, quasi sibi hoc esset injunctum, apud Pipinum,
Italiae Regem, agere moliretur, Wilhario et Beato Venetiae Ducibus,
omnes conatus ejus impedientibus, atque ipsi etiam insidias parantibus,
cognita illorum fraude discessit_.
Il Re Pipino conosciuta la perfidia de' Duchi di Venezia, i quali
proccuravano fomentar gare e guerre irreconciliabili tra Greci e
Franzesi per sottrarsi in questi torbidi dagli uni, e dagli altri, si
risolse di soggiogarli affatto; e mossa la sua armata per mare, ed il
suo esercito per terra; soggiogata Venezia, li obbligò a rendersi, e di
passare, come tutti gli altri Popoli d'Italia, sotto il suo dominio,
come narra il Monaco Egolismense pag. 63 scrivendo _Pipinus Rex,
perfidia Ducum Venetiarum incitatus, Venetiani bello, terra marique
jussit adpetere subjectaque Venetia, ac Ducibus ejus in deditionem
acceptis etc_.
Ma il generoso e magnanimo Carlo suo padre, non volendo rompere gli
antichi patti e convenzioni per le quali s'erano lasciati questi
luoghi marittimi di Dalmazia e di Venezia all'Imperio greco, trattò
egli la pace coll'Imperadore _Niceforo_, e nel seguente anno 810 gli
ristituì Venezia, siccome rapportano gli annali di Francia ad An.
810 _Carolus pacem cum Nicephoro Imperatore fecit, et ei Venetiam
reddidit_. E di vantaggio, avendo fatto imprigionare, e privato di
tutti gli onori _Wilhario_ per la sua perfidia, dovendo mandare
suoi Legati in Costantinopoli a confermar questa pace, nell'anno
seguente 811 co' Legati suddetti fece condurre _Wilhario_ Duca di
Venezia all'Imperadore, perchè come suo Signore il riconoscesse,
siccome portano gli Annali Laurisheimensi ad An. 811 dicendo: _Pacis
confirmandae gratia Legati Costantinopolim mittuntur.... et cum eis....
Wilharius, Dux Venetorum... qui propter perfidiam honore spoliatus,
Constantinopolim ad Dominum suum duci jubetur_.
Quindi è, che degl'Imperadori d'Oriente successori di _Niceforo_,
e spezialmente di Lione V Armeno restano ancora monumenti d'aver
esercitata la loro piena sovranità sopra i Veneziani, ridotti ad
abitare in quelle Isolette negl'ultimi recessi di quelle Lagune: i
quali sebbene avessero loro Duchi, che gli governavano, questi però
non eran riputati, che Ufficiali dell'Imperadore, decorati dell'onore
d'_Ippato_, ch'era una dignità Imperiale; e tutte quelle insegne, come
il Manto, il Corno ducale, e gli altri ornamenti, onde sono fregiati,
tutti erano onori, che gli provenivano dalla Corte di Costantinopoli.
Quindi i Veneziani vestivano alla greca con abiti talari, che ancor
ritengono, a differenza degli altri popoli d'Italia, come all'Imperio
d'Oriente sottoposti.
Onde quel Monumento, che prima si conservava nell'Archivio del
Monasterio delle Monache di S. Zaccheria di Venezia, e che ora insieme
con altri consimili leggiamo impresso in un libro stampato in Venezia
stessa _con licenza de' superiori_ nell'anno 1678 intitolato, _il
silenzio di S. Zaccheria snodato_: non dee sembrar cotanto ingiurioso
a' Veneziani: sicchè severamente, proibiscano il tenerlo proccurando di
sopprimerlo, perchè non ne resti vestigio.
In questo Libro si legge un Attestato di _Giustiniano Participatio_
Doge di Venezia, a' tempi dell'Imperadore _Lione V Armeno_, che sedè
nell'Imperio d'Oriente dopo _Niceforo_ intorno l'anno 813, nel quale
la fondazione, o sia ampliazione di quel Monasterio si attribuisce
a _Lione_, chiamato dal Doge suo Signore, con obbligo alle Monache
d'incessantemente pregare Dio per la salute dell'Imperadore, e suoi
Eredi: Eccone le parole: _Cognitum sit omnibus CHRISTI, et Sancti
Romani Imperii Fidelibus tam praesentibus, quam ex illis, qui post
nos futuri erunt, tam Ducibus quam Patriarchis, atque Episcopis,
seu caeteris Primatibus. Quod ego Justinianus Imperialis Hippatus
et Venetiarum Dux, per revelationem Domini nostri Omnipotentis, et
jussione Domini Serenissimi Imperatoris pacis seu, et Conservatoris
totius Mundi LEONIS: Post multa nobis beneficia concessa, feci
hoc Monasterium Virginum hic in Venetia, secundum quod ipse jussit
edificare de propria Camera Imperiali, et secundum quod iussit mihi,
statim cuncta necessaria auri, sive argenti dari jussit. Tum etiam
nobis Reliquias Sancti Zaccariae Prophetae, et lignum Crucis Domini,
atque Sanctae Mariae pannum, sive de vestimentis Salvatoris et alias
reliquias Sanctorum nobis ad Ecclesiam Sanctam consecrandam dari fecit.
Ad necessaria hujus operis etiam Magistros tribuit, ut citius opus
explerent, et expleto opere congregatio sancta incessanter pro salute
Serenissimi Imperatoris et suorum heredum orarent. De Thesauro vero,
quod manifestat sua carta cum litteris aureis, et totum donum, quod in
hoc loco ipse transmisit, in ipsa Camera salvum esse statuimus: Tamen
ipsam cartam in Camera nostri Palatii volumus, ut semper permaneat,
et ut non valeat aliquis hoc dicere, quod illud Monasterium Sancti
Zaccariae de alicujus Thesauro esset constructum, nisi de Sanctissimi
Domini nostri Imperatoris LEONIS_.
Nè l'aver mandato l'Imperadore quelle reliquie, perchè si riponessero
nella Chiesa, adombra punto l'autenticità della scrittura, come se
ciò non potesse attribuirsi a _Lione V_ creduto Iconoclasta; perchè
i Greci aveano tutta la venerazione a reliquie cotanto insigni; ma
volevano, che per ciò non segli prestasse _Culto Religioso_; oltre
che dopo il Concilio II di Nicea celebrato nell'anno 787 favorevole
alle Reliquie e Imagini, i Greci furon divisi, e chi stava per lo
Concilio Costantinopolitano, che le proibiva, chi per questo II Niceno;
e _Lione_ si adattò al costume d'Italia, dove non soleva consecrarsi
Chiesa senza qualche Reliquia di Martire, o di Santo.
I savj e dotti Veneziani, che non si lasciano trasportare dall'enfatico
stile de' loro moderni Storici, e singolarmente del Nani, con quelle
ampollose frasi di _Libertà nata colla Repubblica stessa_, non riputano
tali monumenti apocrifi, o strani, anzi riguardandosi ai passati tempi,
sono ben proprj e conformi allo stato delle cose d'allora: poichè ad
una Repubblica nuova stabilita negli ultimi tempi, non può certamente
adattarsi quella _innata Libertà_, che vantano: se non fosse caduto dal
Cielo in Terra un pezzo di Luna, o di altro Pianeta, sopra il quale
da' nuovi uomini si fosse stabilita libera; ma sempre che si parla
di nuova Repubblica fondata nell'Imperio, duopo è che riconoscano i
loro maggiori la subordinazione degl'Imperadori sian d'Oriente, ovvero
d'Occidente.
Anzi i Veneziani non meno degli uni che degli altri devono confessarla;
poichè in decorso di tempo sempre più decadendo le forze dell'Imperio
Greco in Italia, i successori di _Carlo M._ profittando della sua
ruina, tornarono ad aggiunger Venezia al Regno Italico, sicchè
_Lodovico_ e _Lotario_, se ne reser padroni, e v'esercitarono
sovranità, sino a far battere le loro monete col nome di _Venecias_,
come facevano delle altre città d'Italia da lor possedute.
Di queste Monete più Musei ne conservano le originali d'indubitata
fede, ed antichità. L'Autore dello _Squittinio della Libertà Veneta_,
nella _Giunta_ non se ne dimenticò. Il Sig. Petau Consigliere nel
Parlamento di Parigi, fece imprimere quella dell'Imperadore _Lodovico
il Buono_, dove da una parte si legge HLVDOVICUS IMP. e dall'altra
VENECIAS. Il Sig. le Blanc ha altresì fatto stampare una moneta di
_Lotario_, che porta da una parte VENECIAS. Ecco quella di Lodovico.
[Illustrazione: Moneta]
Ma da poi nella decadenza dell'Imperio d'Occidente ne' Successori
di _Carlo M._ i Veneziani cominciarono, non essendo chi potesse
resistergli, a stabilire la Sovranità sopra la lor città, e luoghi
marittimi intorno sopra le ruine dell'Imperio d'Oriente, non meno che
di Occidente, decaduto ed avvilito anche esso ne' successori di _Carlo
M._ prima che facesse passaggio a' Germani sotto il grande, e poderoso
_Ottone_.
Questo Imperadore ristabilendo l'Imperio d'Occidente nello stato
primiero, e volendo essere riputato non meno che _Carlo M._ Signore
di tutte quelle Province, che costituivano il Regno Italico: sopra i
Veneziani esercitò pure la Sovranità, e tutte le alte ed Imperiali sue
preminenze: concedendo privilegj ed immunità alle loro Chiese co' loro
precetti, chiamati a que' tempi _Mundiburdj_, a richiesta de' Veneziani
stessi.
Quindi non dee sembrargli strano, se nel Libro medesimo _del Silenzio
di S. Zaccheria snodato_, si leggono de' consimili _Mundiburdj_,
conceduti a petizione di quelle Monache da varj Imperadori Germani
d'Occidente, continuati da _Ottone I_ sino all'Imperadore _Federico
Barbarossa_. Trascriveremo solamente quello di _Ottone_, istromentato
nell'anno 963 poichè gli altri susseguenti non sono che conformi di
questo primo, secondo il costume di que' tempi, che le Chiese secondo
si rifaceva un nuovo Imperadore, ricorrevano dal medesimo per ottener
la conferma de' precedenti: Eccone le parole.
_In nomine Sanctae et individuae Trinitatis._ OTTO, _divina favente
Clementia, Imperator Augustus._
_Si petitionibus Servorum, et Ancillarum, justis et rationalibus
acquiescimius, ad animae nostrae salutem proficere non diffidimus.
Idcirco omnium fidelium Sanctae Ecclesiae nostrorum praesentium, ac
futurorum devotio noverit. Qualiter Joanna Abbatissa de Monasterio
Sancti Zachariae in finibus Venetiarum constructo, prope Palacium de
Rivoalto, et Joannes Presbyter, et Monachus noster Fidelis suggesserunt
nostrae Clementiae, quatenus pro Dei amore, et remedio animae nostrae,
cum cunctis facultatibus, rebusque mobilibus, et immobilibus, seu
familiis utriusque sexus ad eundem Monasterium Sancti Zachariae juste
pertinentibus, scilicet infra ditionem Regni nostri consistentibus,
tam per loca denominata, quae ibi contulit per Cartulas offeritionis
Ingelfredus Comes Filiusque Grimaldi, et Ildeburga Comitissa Uxor
Adalberti Comitis, cum suis haeredibus, sicut in textu ipsorum Cartulae
legitur: Videlicet, Curtem unam cum omnibus suis pertinentiis, in
finibus Montis Siricani positam in villa quae Petriolo nuncupatur,
similiter, et in Cona, et in Sacco, et in Lupa, et in Liquentia,
et Laurentiaca, una cum Terris, Vineis, Campis, Olivetis, Pratis,
Massaritiis, Piscariis, Silvis, Casis, Capellis, Pascuis, Aquis,
aquarumque decursibus, Montibus, Vallibus, Servis, et Ancillis, ad
ipsam Curtem de Petriolo aspicientibus in integrum, ut pars praedicti
Cenobii, cui nunc Joanna Ravennalis Venerabilis Abbatissa praeesse
videtur, cum omni integritate in usu, et sumptu Monacharum inibi
per tempora Deo famulantium perpetualiter permaneant, et sub nostrae
tuicionis, ac defensionis Mundiburdio consistant._
_Nos autem saluberrimas earum petitiones inspicientes hoc nostrae
immunitatis praeceptum fieri jussimus, per quod sancimus, ut jam
dictum Monasterium; cum suis rebus mobilibus, et immobilibus,
omnibusque mancipiis, et Colonis, Idventitiis et Peregrinis, Servis
et Ancillis, super terram ipsius praedicti Monasterii, infra Regni
nostri fines residentibus, sub nostra maneat immunitatis defensione;
ita ut nullus Marchio, Comes, vel quislibet pubblicus Actionarius,
seu alia, magna, parvaque persona, ex rebus saepe dicti Monasterii
modo juste, et legaliter vestita esse videtur, aut in antea ibidem
divina pietas amplificare voluerit, abstrahere aliquod, aut minuere,
quandoque praesumant; sed liceat supradicti Monasterii Abbattissae,
ejusque Successoribus in perpetuum res ejusdem Monasterii, sub nostrae
immunitatis defensione, quieto ordine possidere, cum omnibus ad se
pertinentibus, vel aspicientibus, tam rebus, quamque et mancipiis
liberis, et servis, super res jam dicti Monasterii residentibus.
Nullusque audeat eas injuste distringere, neque ab eis ullas illicitas
redibitiones, aut publicas angarias exigere. Ante omnia autem Abbatissa
ejusdem Monasterii, ejusque Successores, et omnes Monachae ibidem Deo
servientes, sub nostrae defensionis quiete perenni vivere permaneant.
Nullusque Reipublicae Minister eas per placita ventilare pertemptet,
nisi in praesentia Abbatissae quae per tempora ibi praeesse visa
fuerit, quatenus ipsas Ancillas Dei, quae ibidem Deo famulantur, pro
nobis statusque Regni nostri jugiter exorare delectent. Si quis igitur
hoc nostrae auctoritatis praeceptum et Mundiburdium infregerit, sciat
se compositurum auri optimi libras centum, medietatem Camerae nostrae,
et medietatem praedictae Abbatissae Joannae, vel ejus Successoribus.
Quod, ut verius credatur, et diligentius ab hominibus observetur, manu
propria roborantes, Annulo nostro sigillari jussimus. Signum Domini
OTTONIS Invictissimi, ac Magni Imperatoris Augusti._
[Illustrazione: Sigillo]
_Lyurtgerius Cancellarius ad vicem Vidonis Episcopi Barda Cancellarii
recognovi et subscripsi._
_Acta 7. Kal. Septembris. Anno Dominicae Incarnationis 963. Indictione
6 Anno Imperii OTTONIS Magni Imperatoris Augusti secundo; Actum Monte
Feretrano ad Petrum S. Leonis._
Dopo gli _Ottoni_, sotto gli Errici, come sono varie le vicende
mondane, cominciò l'Imperio occidentale altra volta a decadere.
L'Imperadore _Federico Barbarossa_, pensava ristabilirlo; ma distratto
nella guerra di Soria, e dalle brighe, che gli diedero le città
di Longobardia, ed i Pontefici romani, non potè ridurre a fine la
magnanima impresa; e molto meno poteron tentarla i di lui successori,
_Errico_ e _Federico II_ per le gare e contenzioni, ch'ebbero colle
città medesime, e co' Papi, e co' loro Emoli dell'Imperio.
Morto Federico II, e contrastando i Germani fra di loro per l'elezione
del successore si vide nell'Imperio quel lungo interregno, che ciascun
sa; ed allora i più Potenti, e più città d'Italia cominciarono a
scuotere il giogo, e porsi in libertà, poichè non era chi potesse
validamente opporsi. Così i Veneziani che ne aveano gettati già i
fondamenti, stabilirono la sovranità sopra la loro città e luoghi
marittimi intorno, la quale poi col correr degli anni con lunga
prescrizione se la resero più stabile e ferma, non altrimente che
fecero gli altri Principi d'Italia sopra le ruine dell'Imperio
d'Occidente. Queste mondane vicende recarono a' Veneziani la loro
libertà, non già patto, o convenzione alcuna, siccome alcuni sognarono,
esser seguita tra gl'Imperadori greci, e que' di Occidente della linea
di _Carlo M._, dicendo, che questi per porre fra di loro un confine
stabile e fermo, avessero dichiarati immuni, e liberi i Veneziani
dall'uno, e dall'altro Imperio, siccome scrisse il _Sigonio_[83];
_Venetos inter utrumque Imperium positos, liberos atque immunes,
et ab utroque Imperatore securos vixisse_: e nell'anno 812 _novo
pacto libertati atque immunitati Venetorum imprimis cautum_. Nè fin
qui è stato chi avesse potuto mostrarci documento alcuno di questa
nuova convenzione e patto. Nè tante Collezioni, Cronache, ed antichi
annali, che a' tempi nostri sono stati impressi; nè Scrittore alcun
contemporaneo fa memoria d'una tal convenzione passata tra gl'Imperii
d'Oriente e que' di Occidente; nè si sa il _Sigonio_ onde l'abbia
tratta.


CAPITOLO II.
_Spedizione de' Siciliani in Grecia: nozze tra COSTANZA ed ERRICO Re di
Germania; e morte del Re GUGLIELMO e sue leggi._

Ma ritornando al nostro Guglielmo, molto poco ci rimane da notare
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