Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 02 (of 16) - 18

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poteva opporre venti uomini abili alle armi[427]. Rifatto il ponte, i
crociati vennero ad accamparsi in faccia al palazzo di Blancherna.
Strana maniera di formare un assedio, non potendo guardare che una sola
porta della città.
[427] Villehardovin dice duecento, ciò che deve credersi assai
esagerato. Dice altrove che v'erano quattrocento mila uomini in
Costantinopoli, d'altra parte l'armata crociata sembra che fosse
ridotta alla metà del suo primitivo numero, e per l'assenza di
coloro che mai non giunsero a Venezia, e non pagarono il prezzo
convenuto, e per la diserzione di molti. Può dunque ritenersi di
sedici mila uomini, cioè dieci mila fanti, due mila cavalli e
quattro mila sergenti, senza contare i Veneziani. Tre mesi dopo
Villehardovin fa montare i crociati a 200,000 uomini compresi i
Veneziani, _c. 153. p. 42_.
I Veneziani desideravano che s'attaccasse la città dalla banda del mare
per mezzo di scale e ponti levatoj posti sui loro vascelli: ma i
Francesi rappresentarono che «non saprebbero così bene adoperarsi in
mare, come in terra quando avevano i loro cavalli e le loro armi[428]» e
fu convenuto che si attaccherebbe la città dalla banda di terra e di
mare, combattendo le due nazioni sopra l'elemento a ciascuno più
confacente per mostrarvi il proprio valore. Frattanto la posizione de'
Francesi era assai pericolosa: non passava notte che non fossero cinque
o sei volte obbligati di prendere le armi; e quantunque respingessero
ogni volta con vantaggio gli attacchi dei Greci, non osavano
allontanarsi quattro tiri d'arco dal campo per procurarsi le vittovaglie
che incominciavano a mancare; avevano bensì farine e carni salate per
tre settimane, ma non avevano di carni fresche che quelle de' cavalli
che ammazzavano.
[428] _Villehard. c. 84, p. 26._
In così difficile posizione ogni ritardo diventava fatale. I preparativi
per l'attacco trovaronsi ultimati il decimo giorno, e fu tosto risoluto
l'assalto[429]. I Francesi avevano sei battaglioni: a due affidarono la
custodia del campo, e condussero gli altri quattro all'assalto. Da una
parte cercarono di rompere la muraglia percuotendola col montone,
dall'altra applicarono due scale ad un barbacane o ridotto avanzato
posto presso al mare, col mezzo delle quali salirono sulle mura circa
quindici cavalieri nel luogo detto la scala imperiale; ma furono colà
incontrati dai Varangiani armati di scuri, che Villehardovin dice
Inglesi e Danesi, e dagli ausiliarj Pisani, che la loro rivalità coi
Veneziani teneva attaccati all'imperatore[430], e furono respinti con
perdita. In questo frattempo il doge di Venezia aveva disposta la sua
flotta sopra una sola linea lungo le mura, da cui scacciava i difensori
con frequenti scariche delle sue petriere e colle frecce degli arcieri,
che posti sui ponti in mezzo all'alberatura dominavano le mura. Pure
«sappiate che le galee non osavano prender terra. Ora potete udire le
strane prodezze. Il duca di Venezia vecchio, gottoso, cieco, venne tutto
armato sulla prora della sua galea, facendo portare innanzi a lui il
gonfalone di san Marco, e gridava ai suoi di porlo a terra, o ch'egli
farebbe giustizia dei loro corpi. Allora fecero che la galea prendesse
terra, e saltando fuori, portano innanzi a lui il gonfalone di san Marco
verso la città.» Tutti i Veneziani vedendo la manovra della galea del
doge, slanciansi dietro a lui; piantano sulle mura il gonfalone di san
Marco, e venticinque torri cadono in loro potere.
[429] Il 17 luglio 1203. _Nicet. in Alex. l. III, p. 228._
[430] Εἰ καί προς τῶν ἐπικȣρων Ρωμαίοις Πίσσάτων, καί των
πελεκύρων Βαρβάρων γεοναιότερον ἀπεκρούθησαν. _Nicet. Choniates
ann. l. III, p. 288._
La città sembrava omai presa, ed il doge aveva già mandato ad avvisare
l'armata francese ch'era padrone di un gran numero di torri da cui non
poteva essere sloggiato. Ma quando tentò d'avanzarsi nel soggetto
quartiere, un vasto incendio che i Latini attribuiscono ai Greci, i
Greci ai Latini, lo fermò, obbligandolo a rinchiudersi in quella parte
delle fortificazioni di cui erasi prima impadronito. Intanto
l'imperatore Alessio spinto dai rimproveri del popolo che lo accusava di
avere aspettato il nemico presso le mura, fece sortire da tre porte le
sue truppe ad un miglio e mezzo da quella di Blancherna; e s'avanzò alla
loro testa contro l'armata francese, con intenzione d'avvilupparla. I
Francesi disposero i sei battaglioni innanzi alle fortificazioni del
loro campo; i sergenti ed i scudieri a piedi si posero dietro la groppa
de' cavalli, gli arcieri e frombolieri in sul davanti. Eravi un
battaglione composto di più di duecento cavalieri, che avendo perduto il
loro cavallo erano forzati di combattere a piedi. L'armata francese era
collocata in maniera che non poteva attaccarsi che di fronte; ed ebbe
l'avvedutezza di non moversi, giacchè avanzandosi nel piano, sarebbe
stata avviluppata dalla infinita gente contro cui doveva battersi.
Avevano i Greci per lo meno sessanta battaglioni, ognuno de' quali era
più numeroso di quelli dei Francesi, i quali avanzaronsi lentamente in
ben disposta ordinanza fino a tiro di freccia. Quando il doge Dandolo fu
avvertito che i suoi alleati erano impegnati in così disuguale
battaglia[431], ordinò alla sua gente di ritirarsi e di abbandonare le
torri che avevano prese, dichiarando di voler vivere o morire coi
crociati. Fece dunque avvicinare le sue galee all'armata, e scese egli
stesso il primo alla testa di tutti i Veneziani non necessari al
servigio de' vascelli. Malgrado questo rinforzo, se Alessio avesse avuto
il coraggio di attaccare i Latini, o avesse permesso di farlo a Lascari
suo genero che gliene faceva istanza, probabilmente gli avrebbe
oppressi[432]; ma tosto che gli arcieri ebbero scaramucciato un poco di
tempo, Alessio fece suonare la ritirata, e tornò verso la città senza
battersi, con grandissima maraviglia de' Latini. «E sappiate che Dio non
liberò mai da maggior pericolo niuno, come in questo giorno l'armata de'
crociati; e sappiate che non vi fu alcuno tanto ardito che non ne
risentisse estrema gioja.»
[431] _Villehard. 93, p. 29._
[432] _Nicetas Choniates in Alexium l. III., p. 289._
La notte del giorno medesimo in cui Alessio aveva mostrata la sua
potenza e la sua viltà, risolse di fuggire. Di che datane parte ad
alcuni de' suoi più fedeli, e facendo portare sopra un vascello una
ragguardevole somma in oro, le pietre preziose, le perle e gli ornamenti
della corona, vi si recò egli stesso con sua figlia Irene, e nella prima
vigilia della notte si fece trasportare a Debeltos[433]. E per tal modo
questo principe perdette per viltà se stesso e la patria. La Grecia
aveva avuto altri tiranni, a petto ai quali Alessio era un buon re.
Niceta terminando la storia del suo regno gli accorda ancora qualche
elogio, facendone il paralello coi suoi predecessori. «Grandi erano,
egli dice, la sua dolcezza e la sua clemenza; egli non faceva cavar gli
occhi, non mutilare le membra, nè compiacevasi della carnificina degli
uomini, e durante il suo regno nessuna matrona vestì per sua colpa
l'abito di lutto.»
[433] _Nicetas Choniates in Alexium l. III, p. 289._
Tosto che seppesi in palazzo la fuga dell'imperatore, l'eunuco
Costantino, prefetto del tesoro, riunì i Varangiani e gli ausiliari per
impegnarli a salutare imperatore Isacco suo fratello che si trasse
allora di prigione per rimetterlo sul trono[434]. Nella mattina vegnente
Alessio ed i crociati ricevettero gli ambasciatori del nuovo imperatore,
che invitava il giovane principe a tornare in Costantinopoli,
manifestandogli la rivoluzione accaduta in favore di suo padre. A tale
notizia riunironsi il doge di Venezia ed i baroni, e prima di lasciar
partire il loro protetto, spedirono quattro messaggieri, uno de' quali
fu il nostro storico Villehardovin, onde ottenere da Isacco la conferma
del trattato convenuto con suo figliuolo[435].
[434] _Nicet. in Isaacum, et Alex. Angelos § 1. p. 291._
[435] _Villehard c. 95.-96, p. 30._
Allorchè il vecchio imperatore conobbe le promesse del figliuolo, si
pose a gridare dolorosamente essere tanto considerabili, che non sapeva
come soddisfarvi. Pure, soggiunse, i servigi che voi ci rendeste sono
ancora più grandi, e quando vi donassimo tutto il nostro impero, non
sareste meglio compensati di quello che meritiate. Dopo breve disamina
confermò con una carta autenticata col suo suggello le promesse del
giovane Alessio. Dopo ciò questo principe, accompagnato dai baroni
latini, entrò con magnifico apparato in città; e coloro che il giorno
innanzi si risguardavano come i più fieri nemici di Costantinopoli,
furono festeggiati quali suoi liberatori.
L'imperatore assegnò gli alloggi all'armata crociata ne' due sobborghi
di Pera e di Galata, pregando i Latini di voler tenere le loro truppe
dall'altro lato del golfo di[436] Chrysocheras, onde evitare che
l'animosità nazionale si risvegliasse e che qualche contesa tra i suoi
sudditi ed i suoi alleati non ponesse in pericolo la capitale o i suoi
ospiti.
[436] _Nicetas Choniates in Isaac. et Alex. § I. pag. 292._
Infatti la collera de' Greci contro i Latini non poteva rimanere lungo
tempo nascosta; esauriti erano i tesori dell'Impero, ed il pagamento di
duecento mila marche promesse dal giovine Alessio non poteva eseguirsi
senza inudite vessazioni. Si confiscarono i beni dei partigiani
dell'ultimo imperatore; l'imperatrice Eufrosina sua moglie, ch'egli,
fuggendo, aveva dimenticata in palazzo, fu spogliata; si spogliarono le
chiese e le stesse immagini de' santi delle argenterie[437]; ma a fronte
di questi sacrilegi che rivoltavano il popolo, l'argento raccolto non
bastava per soddisfare i Latini. Pure si fece un primo pagamento, ed i
baroni diedero ad ogni soldato crociato quanto aveva sborsato pel suo
passaggio.
[437] _Ib. p. 293._
L'insubordinazione de' Latini era un secondo motivo di odio ancora più
potente che le estorsioni cagionate dalla loro avarizia. I Pisani, per
l'intromessione del giovane Alessio, eransi riconciliati coi Veneziani,
ed i Fiamminghi, altro popolo commerciante, strinsero più intrinseca
amicizia coi cittadini delle due città. Unendo uno spirito di mercantile
gelosia ai loro pregiudizj religiosi, risolsero insieme di saccheggiare
il quartiere de' Saraceni in Costantinopoli, e discacciare questi
mercadanti infedeli da una città che volevano intieramente sottomettere
alla Chiesa. Attraversarono lo stretto senza difficoltà, non essendovi
guardia che avesse ordine d'impedirlo, ed attaccarono improvvisamente i
Saraceni, che, malgrado la sorpresa, si difesero valorosamente,
assistiti dai Greci delle vicine contrade. Per forzarli a cedere, i
Fiamminghi posero fuoco alle case più vicine[438], e ben tosto un
secondo incendio più terribile del primo divorò un terzo della città,
attraversandola da un mare all'altro. Otto giorni le fiamme si andarono
dilatando, occupando talvolta quasi un miglio di larghezza. Dopo tale
disastro tutti i Latini che da lungo tempo erano domiciliati in
Costantinopoli, ed erano più di quindici mila, abbandonarono le antiche
loro abitazioni e si salvarono presso i crociati in Galata.
[438] _Villehard. § 107.-108, p. 33._
L'odio de' Greci attaccavasi pure al giovane Alessio, che veniva
risguardato come l'autore di tanti disastri, e caduto in sospetto di
volere, giusta le sue promesse, atterrare la religione, e ridarli sotto
il giogo del pontefice di Roma[439]. Gli rinfacciarono come una viltà la
sua domestichezza coi Latini, dicendo che questo principe macchiava
l'illustre e glorioso nome d'imperatore romano quando entrava nelle
tende dei barbari con poco seguito, quando partecipava ai loro giuochi,
alle loro crapule, e quando permetteva a mercadanti insolenti di porre
sul suo capo la berretta di lana, mentre essi a vicenda ornavansi del
suo diadema fregiato d'oro e di pietre.
[439] _Nicetas, § 3. p. 295._
Infatti Alessio niente ometteva di tutto ciò che poteva conciliargli
l'affetto dei Latini; egli aveva da loro ottenuta la promessa di
prolungare il loro soggiorno a Costantinopoli fino al prossimo mese di
marzo, ed a tale condizione erasi obbligato di tenere l'armata
provveduta di viveri, e di pagare le spese de' vascelli veneti.
All'epoca del grande incendio di Costantinopoli, il giovane Alessio
erasi avanzato nella Tracia, accompagnato dal marchese di Monferrato e
da Enrico fratello del conte di Fiandra[440] per ricevere il giuramento
di fedeltà dalle città poste lungo la costa del Bosforo, e per
sottomettere quelle che si ostinassero a riconoscere l'autorità di suo
zio il vecchio Alessio. Quando il principe ritornò per la festa di san
Martino, dopo una campagna abbastanza gloriosa, trovò l'odio de' Greci
cresciuto a dismisura per il recente infortunio. D'altra parte i Latini
diventavano diffidenti; lagnavansi che il pagamento loro promesso non si
facesse più sollecitamente, nè volevano ammettere per iscusa del ritardo
i troppo legittimi motivi dell'incendio della città e della guerra
manifestatasi coi Valacchi e coi Bulgari. Trovarono che l'imperatore
affettava con loro un orgoglio che prima non manifestava; e prendendo
improvvisamente un partito violento, spedirono sei deputati, tre baroni
e tre veneziani per isfidarlo nel suo palazzo.
[440] _Villehard. § 105.-106. p. 33._
Villehardovin fu anche in questa occasione del numero dei messaggieri,
ma fu Coesnon di Bethuns, che giunto alla presenza dei due imperatori,
dell'imperatrice e di tutta la corte, portò la parola; «Sire, egli
disse, siamo venuti a voi per parte dei baroni dell'armata, e per parte
del duca di Venezia: sappiate ch'essi vi rinfacciano il bene che vi
hanno fatto... Voi gli avete giurato, voi e vostro padre, di osservare
le convenzioni; essi hanno la vostra carta; ma voi non la osservaste
come avevate obbligo di fare. Noi vi abbiamo più volte domandato, e vi
domandiamo oggi in presenza di tutti i vostri baroni..... Se voi lo
fate, ne sarete allora stimato assai; se non lo fate, sappiate che d'ora
innanzi non vi tengono più nè per signore nè per amico. Al contrario
essi procacceranno in ogni maniera il loro vantaggio, e ve lo mandano
essi a dire, imperciocchè non faranno male nè a voi, nè ad altri finchè
v'abbiano sfidato; ch'essi non commisero giammai tradimento, e ne' paesi
loro non sì costuma di farlo. Voi avete ben inteso quanto v'abbiamo
detto, e voi vi consiglierete come vi piacerà[441].»
[441] _Villehard. § 112 p. 35._
Dopo tale sfida che parve ai Greci il colmo dell'audacia, i sei
messaggieri saltarono sui loro cavalli e sortirono dalla città,
senz'essere fermati, quantunque poco mancasse che non venissero
massacrati dal popolo. Dopo ciò accaddero varie scaramucce tra le due
nazioni; i Greci tentarono invano di metter fuoco alla flotta latina,
spingendole in mezzo diciassette navi incendiarie, che furono
allontanate dal coraggio e dalla destrezza de' marinaj veneziani.
Una guerra di scaramucce facevasi non pertanto quasi contro la volontà
dei due imperatori, che temevano i Latini, e cercavano di mitigarne il
malcontento. Alcune bande di cittadini andavano a battersi coi crociati,
ma senza capo, o senza che la corte permettesse che verun personaggio di
riguardo vi prendesse parte. Il solo Alessio duca, di soprannome
Mourzoufle, che aveva sposata una figlia del vecchio Alessio Angelo, e
ch'era decorato della dignità di protovestiario, eccitava i cittadini a
vendicare il vilipeso onor greco, e mettevasi alla loro testa. In un
incontro sulle rive del Balbissè, e presso al ponte di pietra forata, di
cui voleva vietarne il passaggio ai Latini, diede prove di grandissimo
valore, e corse pericolo d'essere fatto prigioniero. Il confronto della
sua condotta con quella dei due imperatori riscaldava sempre più contro
di loro lo sdegno del popolo. Il figlio, malgrado le offese de' Latini,
mostravasi ancora ligio ai medesimi, e veniva accusato di volere
introdurre in palazzo le loro truppe. Stando ad una lettera di Baldovino
a suo padre[442], sembra infatti che fosse entrato in trattati su
quest'oggetto. Il padre non aveva presso di se che astrologi e monaci
impostori che promettevangli di fargli in breve ricuperare la vista, e
di rendere il suo regno più glorioso che quello d'ogni altro imperatore
d'Oriente. Infine la nazione si risolve a scuotere il vergognoso giogo
che l'opprime.
[442] _Gesta Innoc. III, § 92. p. 534._ Villehardovin non pertanto
non parla di questi trattati.
Il 25 gennajo del 1204 il senato fu costretto di radunarsi coi
principali del clero nel tempio di santa Sofia, e per ubbidire al popolo
decretò l'elezione di un nuovo imperatore; ma tutti gli uomini d'una
rispettabile famiglia rifiutavano questo pericoloso onore di mano in
mano che veniva loro presentato; il popolaccio, affollato alle porte,
domandò furibondo un nuovo monarca per rimpiazzare questa famiglia
avvilita che più non sapeva sopportare, e fece successivamente designare
coloro che vedeva più riccamente vestiti; e volevansi forzare ad
accettare colla spada alla mano, ma tutti si rifiutavano. Pure mentre in
mezzo a tanto tumulto un patrizio più degli altri ardito osava
d'accettare la corona, Mourzoufle, corrotto l'eunuco prefetto del
tesoro[443], persuase col di lui mezzo ai Varangiani che formavano la
guardia, che il marchese Bonifacio stava per introdurre i Latini nel
palazzo per rimpiazzarli, e si assicurò in tal modo del loro
attaccamento; in seguito persuase i due imperatori a nascondersi per
sottrarsi ai rivoltosi; ed avendoli egli stesso mostrato un
nascondiglio, li fece colà incatenare, e ben tosto uccidere.
[443] _Nicetas Chon. in Isaac. et Alex. § 4.-5._
Il ritratto di Mourzoufle non fu fatto che dai suoi nemici. Egli spogliò
lo storico Niceta della carica di grande _logotheta_ per darla ad un suo
parente. Villehardovin divise le passioni dei crociati che si eressero
in vendicatori dei detronizzati imperatori; e Baldovino, nella sua
lettera ad Innocenzo III, ingrandisce i delitti dell'usurpatore per
giustificarsi d'averlo spogliato. Ad ogni modo Mourzoufle mostrò nella
sua breve e penosa amministrazione più talenti ed energia de' suoi
predecessori. Per rifare il tesoro, ch'egli aveva affatto spogliato,
fece rendere conto dell'amministrazione loro a quelli ch'erano stati
decorati della dignità di sebastocratoro, o di Cesaro, ed impiegò il
danaro che ne ritrasse a far costruire degli appoggi interni alle mura,
ed a guarnire le torri di gallerie di legno. Armato di sciabla e di
mazza, risvegliava il coraggio dei soldati, conducendoli egli stesso ai
combattimenti, e sorprendendo i nemici che si allontanavano dal campo
per foraggiare[444]. Ma quella troppo avvilita nazione non era più
capace, a fronte del suo esempio, di sentire patriottismo. Gli stessi
parenti di Mourzoufle non sapevano perdonargli il pensiero di volerli
togliere alla loro vita molle ed effeminata, i grandi lo detestavano
come un soldato rozzo e mezzo barbaro, ed il popolo che mostrava
d'amarlo, l'abbandonava vilmente nel pericolo. Baldovino, conte di
Fiandra, erasi reso padrone di Filea sul mar nero, ov'erasi recato per
procurar viveri all'armata: Mourzoufle l'attese all'uscita d'un bosco
con un corpo di truppe assai superiore; ma quando i suoi soldati videro
avvicinarsi i Latini, fuggirono, lasciando il loro generale quasi
solo[445]. In questa circostanza una miracolosa immagine della Vergine
che serviva di stendardo agl'imperatori, ed alla quale credevasi
attaccata la salute dello stato, cadde in potere de' nemici.
[444] _Nicetas Choniat. in Murzuflum § I, 299.-300._
[445] _Villehard. § 118, 119. p. 37._
Se dobbiamo prestar fede a Niceta, Mourzoufle cercò allora di venire a
trattati; e così consigliati dal doge, i crociati offrirono la pace a
condizione di pagare loro una ragguardevole taglia. Mourzoufle non
accettò l'offerta, e l'improvviso attacco d'un corpo di cavalleria
latina ruppe la conferenza[446].
[446] Essi domandarono cinquanta centinaja d'oro, che dietro il
calcolo di Gibbon sono 50,000 libbre pesanti d'oro, ossiano
48,000,000 di franchi.
I Francesi non vollero esporsi soli ad attaccare la città dalla banda di
terra, come avevan fatto nel primo assedio, conoscendo che avevano a
fare con un nemico assai più attivo d'Alessio; accettarono quindi di
battersi sulle galere veneziane, che si disposero nuovamente per
l'assalto, collocando le scale lungo le antenne. Le due armate
consumarono il rimanente dell'inverno nel prepararsi all'attacco ed alla
difesa: finalmente il giovedì 8 aprile del 1104 i Latini fecer salire i
cavalli sopra le palandre, che divisero in sei flottiglie, assegnandone
una ad ogni battaglione francese: le galere erano poste tra i vascelli
di trasporto e le palandre, e la linea di battaglia occupava quasi un
mezzo miglio in faccia al quartiere che stendevasi dal palazzo di
Blancherna fino al monastero d'Evergete; ed era questa la parte della
città ch'era stata consumata dall'incendio. L'imperatore fece alzare il
suo padiglione in mezzo alle rovine, ed aspettò l'attacco.
Il venerdì mattina la flotta attraversò il canale, e diede principio
all'attacco: i vascelli s'avvicinarono tanto alle mura, che quelli che
stavano sui ponti potevano ferire colle loro spade le guardie delle
torri. I Latini gettaronsi sulle mura in più luoghi, ma ogni torre era
superiore di forze alla galera che l'attaccava; altronde tutte le galee
che formavano la linea, non essendo ugualmente avanzate, le pietre e i
dardi lanciati da quelle sul di dietro riuscivano egualmente dannosi ai
nemici ed agli amici, onde furono costretti a ritirarsi dopo aver
perduta assai gente.
La sera i crociati unironsi in una chiesa per deliberare sul modo di
continuare l'assedio. Molti Francesi proposero di uscire dal porto, e di
attaccare la città dalla parte di mezzogiorno per il Bosforo, o la
Propontide, perchè da questo lato Mourzoufle non aveva fiancheggiate le
mura di torri, nè assicurate con sostegni per di dentro; ma i Veneziani
che conoscevano meglio il mare, opposero che la corrente del Bosforo
batteva contro le mura a mezzogiorno, e respingeva tutti i vascelli che
vogliono avvicinarsi da quella banda[447]. Fu perciò seguito il
consiglio del doge di differire l'attacco fino al lunedì seguente; di
legare intanto i vascelli due a due, affinchè ogni torre venisse
assalita da due navi, e che si rinnovasse l'attacco nello stesso luogo.
[447] _Villehard. § 126. p. 39._
Il lunedì mattina 12 aprile, la flotta crociata attraversò nuovamente il
canale, ed attaccò le mura. Durante il mattino i Greci resistettero con
coraggio; ma a mezzogiorno un gagliardo vento del nord spingeva i
vascelli crociati contro il muro, e ne facilitò l'abbordaggio. I
vascelli dei vescovi di Troies e di Soissons chiamati il _Paradiso_ ed
il _Pellegrino_[448], ch'erano legati assieme, abbassarono i primi le
loro scale sulla torre ch'essi combattevano; e nello stesso tempo un
Francese ed un Veneziano lanciaronsi sulle mura[449]: e ben tosto gli
altri vascelli accostaronsi egualmente. Furono all'istante prese quattro
torri, ed atterrate tre porte, ed i Latini non solo s'impadronirono di
questa parte delle mura, ma ancora di tutto il quartiere ch'era stato
incendiato, e dello stesso padiglione di Mourzoufle; il quale, obbligato
di fuggire, si rinchiuse nel palazzo di Boucolèon. In seguito
approfittando dell'oscurità della notte vicina corse tutto il rimanente
della città eccitando gli abitanti a prendere le armi[450]. Egli loro
rappresentava che i Latini chiusi entro le loro mura, in mezzo a strade
di cui non conoscevano le sinuosità, potevano facilmente essere oppressi
dall'immensa superiorità del loro numero; che l'intera loro fortuna,
l'onore delle consorti, la vita stessa cadevano in potere del nemico, se
non facevano un generoso sforzo per metterle in sicuro; che si
ricordassero che andavano ad incontrare minori pericoli combattendo, di
quelli che li minacciavano sottomessi che si fossero al nemico. Ma
Mourzoufle parlava a gente che un lunghissimo despotismo aveva privata
d'ogni energia, a gente cui la certezza della morte non bastava a
rendere valorosa. Essi erano almeno quattrocento mila, ed i crociati
francesi e veneziani non arrivavano ai trenta mila. Pure rifiutarono di
combattere, e Mourzoufle, disperato, rientrò nel suo palazzo di
Blancherna[451], e prese con lui Eudossia sua moglie, ed Eufrosina sua
cognata, moglie del vecchio Alessio, montò sopra una barca, e
s'allontanò da una città che voleva la propria ruina.
[448] _Balduin. Ep. ad pontif. De Gestis Innoc. III, p. 535._
[449] _Villehard. § 128. p. 40._
[450] _Bald. ad pont. Inn. III, § 92. p. 535._
[451] _Nicetas Chon. in Murzuflum, c. 2. p. 301._
Due nobili greci, Teodoro Lascari e Teodoro Duca, il primo de' quali era
destinato a far risorgere l'Impero d'Oriente, sforzaronsi ancora, dopo
la partenza di Mourzoufle, di riunire in diversi quartieri della città
le truppe scoraggiate, e di condurle alla battaglia; ma non vi
riuscirono, e furono anch'essi costretti a procacciarsi salvezza colla
fuga. Durante la notte i Latini per assicurarsi dagli attacchi, cui
vedevano d'essere esposti, avevano posto fuoco ai più vicini quartieri;
e questo terzo incendio dilatandosi con furore distruggeva un'altra
parte della città. La vegnente mattina, quando aspettavansi di dover
combattere, e che dietro i loro calcoli supponevano doversi impiegare
almeno un mese per sottomettere tutti i palazzi e tutte le chiese che
potevano essere facilmente ridotti in fortezze, si videro venire
all'incontro processioni di preti e di donne, che, portando innanzi a
loro croci ed immagini, domandavano grazia per la loro città.
Costantinopoli era presa, ed un pugno di crociati aveva atterrato il
trono dei padroni dell'Oriente.
Per sorprendente che fosse questa vittoria, non superava però
l'ambizione e le speranze de' Latini. Mentre trovavansi ancora nel
sobborgo di Galata, avanti al primo assalto, avevano di già tra di loro
fatto un trattato di divisione di tutto l'Impero d'Oriente[452]. Il
saccheggio della città di Costantinopoli formava il primo articolo del
trattato. Avevano convenuto di mettere in comune tutto il bottino che
farebbero sui Greci, di prendere prima su quest'ammasso le somme ancora
dovute ai Veneziani, ed i sussidj loro promessi dal giovane Alessio;
indi di dividere il rimanente in parti eguali tra i crociati e le truppe
della repubblica. Erasi inoltre convenuto che i Veneziani
conserverebbero in tutte le province dell'Impero, che omai ritenevansi
per conquistate, tutti i privilegi di cui godevano in tempo de' monarchi
greci: convennero di conservare il titolo ed il potere imperiale, e di
decorarne un principe latino, assegnandogli però soltanto per patrimonio
un quarto dell'Impero, ed un quarto della capitale; riservandosi di
dividere tra di loro gli altri tre quarti: che l'elezione
dell'imperatore farebbesi nel seguente modo; sei baroni francesi e sei
veneziani dovevano essere nominati dall'armata, e questi farebbero la
scelta di un successore ad Augusto ed a Costantino.
[452] Veggasi questo trattato nelle note alla cronaca di Dandolo, p.
326.
La presa di Costantinopoli chiamò ben tosto i crociati a realizzare così
vasto progetto. Incominciarono da quello del saccheggio, e la città fu
senza riserva abbandonata alla brutalità de' soldati vincitori. Le
lagnanze di Niceta, e l'esultanza di Villehardovin ci danno tutta
l'estensione di questo disastro. La profanazione e l'insulto
accompagnarono il saccheggio; e mentre i Latini si vantavano che _dopo
il cominciamento de' secoli non fu mai tanto guadagnato in una città_,
la capitale dell'Oriente fu ridotta in tale stato di avvilimento e di
miseria da cui non si potè mai più rilevare. I templi non furono più
risparmiati delle case private; i calici, i crocifissi, le teche delle
reliquie furono levate e divise da mani barbare, e s'introdussero nelle
chiese i cavalli ed i muli per caricarne le spoglie. Le stesse passioni
religiose incitavano alla profanazione delle chiese scismatiche[453].
Una prostituta ebbe l'impudenza di porsi a sedere sulla sede del
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