Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 02 (of 16) - 02

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un tempo troppo prezioso, aspettando l'esito della guerra che le città
lombarde facevansi in apparenza per cagion sua, ma infatti per i
particolari loro interessi. Nè in Germania si proseguiva la guerra più
vigorosamente, opponendovisi l'indipendenza de' principi e de' prelati
dell'Impero, come in Italia, quella della città. Perciò Lotario, che nel
1131 attaccò nuovamente Federico nella Svevia e nell'Alsazia, non
ottenne che la distruzione di alcuni castelli (1131) di poca
importanza[27]; e quando nel susseguente anno (1132) scese in Italia per
le alpi trentine, condusse una così debole armata, che veniva insultata
e derisa dagl'Italiani; perchè non s'attentando d'avvicinarsi a Milano,
dovette fare un vizioso giro per portarsi a Roncaglia, ove aprì
l'assemblea de' giudizj del regno. Il suo emulo Corrado, dopo essere
lungo tempo rimasto a carico dei Milanesi e dei Parmigiani suoi alleati,
trovandosi sprovveduto di soldati e di danaro, prevenne l'arrivo di
Lotario, e si ridusse vilmente, e quasi profugo in Germania[28].
[27] _Mascov. Comment. l. I § 23, p. 37._
[28] _Otto Fris. Chron. l. VII, c. 18, p. 138._
(1133) Pure Lotario colla piccola sua armata si avanzò fino a Roma, ed
ebbe la corona imperiale dalle mani di Papa Innocenzo II il giorno 4
giugno del 1133. Ma questa ceremonia, contro l'antica consuetudine, si
eseguì nella chiesa di s. Giovanni di Laterano, a motivo che la basilica
del Vaticano era occupata dai soldati di Ruggiero re di Sicilia, e
dall'antipapa Anacleto, più assai potenti di Lotario[29]: onde, appena
incoronato, si affrettò d'abbandonar Roma e l'Italia.
[29] _Fulconis Benev. Chron. t. V, p. 115._ Se crediamo a
quest'autore, Lotario non aveva con lui più di duemila soldati.
Mentre la lite di questi due sovrani ugualmente deboli, e la debole
guerra che si facevano, avvezzava le repubbliche italiane a disprezzare
l'autorità imperiale, lo scisma della Chiesa distruggeva il rispetto
dovuto ai Pontefici, ed incoraggiava il popolo romano a rendersi
indipendente dalla loro autorità.
Questo scisma aveva origine dalla rivalità di due potenti famiglie di
Roma dei Frangipane e dei Pietro Leone, le quali s'erano usurpati tutti
i diritti della nazione e della Chiesa. Fino da quando mancò nel 1118
papa Pasquale II, queste due famiglie avevano fatto nascere uno scisma;
essendosi Pietro Leone dichiarato protettore di Gelasio II, che la
Chiesa riconobbe legittimo, ed i Frangipane, coll'ajuto d'Enrico V,
fatto consacrare Gregorio VIII conosciuto sotto nome di antipapa
Burdino. Lo stesso partito divise del 1130 i Cardinali, che dopo il
decreto di Niccolò II eransi arrogati la più essenzial parte delle
elezioni. I partigiani di Pietro Leone elessero un suo figlio, che prese
il nome d'Anacleto II, mentre l'opposto partito dichiarossi per il
Cardinale di sant'Angelo che si fece chiamare Innocenzo II. Ma in questo
recente scisma, in cui le ragioni delle parti sembravano bilanciate, la
Chiesa[30] si decise a favore della fazione contraria a quella, alla
quale dodici anni prima aveva data la vittoria. L'avo di Pietro Leone
protettore di Gelasio II era un ebreo convertito; e per questa ragione
furono profusi a suo figliuolo Anacleto i nomi d'empio e di sacrilego
giudeo, e proclamati difensori della fede quei Frangipane medesimi che
dodici anni prima furono dichiarati gli oppressori della Chiesa[31]. Gli
scrittori ecclesiastici dimenticaronsi che in questa elezione non era
riconoscibile la buona causa, di modo che i due competitori dovevan
essere giudicati ugualmente colpevoli, o innocenti. È bastantemente
provato che nella elezione del 1130 la maggior parte dei suffragi fu per
Anacleto[32]; ma i più _rispettabili_, ci si dice, riunironsi in favor
d'Innocenzo, in ciò più _rispettabili_ che non si associarono agli
scismatici[33]. E per tal modo il più grossolano circolo vizioso, il più
assurdo sofisma viene adottato come incontrastabile ragione nelle
dispute di tale natura.
[30] Stando anche alla relazione del Fleury, _Stor. Eccles. lib.
LXVIII, c. 1 e 2_, qualunque uomo imparziale giudicherà illegale
l'elezione d'Innocente.
[31] _Baron. Ann. Eccl. ad ann. 1130, p. 183._
[32] Ventisette contro diecinove. Tra i primi contavasi il vescovo
di Porto decano del sacro Collegio ed il più vecchio Cardinale, che
godeva del favore del popolo e della nobiltà.
[33] _Anonimus apud Baronium ann. 1130, § 2, t. XII, p. 184._
Ma in sostegno delle ragioni i due partiti non tardarono a prendere le
armi. Innocenzo erasi reso forte nel palazzo di Laterano posto in
un'estremità di Roma, e lontano da ogni abitazione; e non credendo
questo luogo abbastanza sicuro, non tardò a ritirarsi coi cardinali del
suo partito ne' rovinati monumenti di Roma, di cui i Frangipani avevano
fatte altrettante fortezze. Dall'altra banda Anacleto s'impadroniva
colle armi alla mano delle basiliche di s. Pietro, di Santa Maria
Maggiore, e di tutte le chiese di Roma. Onde Innocenzo, cedendo a forze
tanto superiori, fuggiva a Pisa, di dove visitò in seguito la Francia e
la Germania. Aveva egli determinato Lotario ad intraprendere il viaggio
di Roma per ricevervi la corona imperiale, sperando poi col di lui
soccorso di potersi a forza impadronire della sede pontificia: ma
l'estrema debolezza cui Lotario era stato ridotto dalla guerra civile,
fece conoscere ad Innocenzo che doveasi prima dar la pace all'Impero che
alla Chiesa (1132).
(1134) Nel 1134, tornato Lotario in Germania, vi fu finalmente
riconosciuto imperatore. I due fratelli di Hohenstauffen, avviliti per
la perdita di Ulma, risolvettero di domandare la pace. Il primo a
tornare in grazia dell'imperatore fu Federico di Svevia, riconciliatosi
(1135) in marzo del 1135, e seguìto poco dopo da Corrado, il quale,
avendo rinunciato alla dignità reale, fu ammesso da Lotario a comandare
di conserva l'armata che meditava di portare in Italia[34].
[34] _Mascovius l. II, § 7 et 9, p. 59-64._
(1136) Abbiamo già parlato nel quarto capitolo di questa nuova discesa
in Italia, nella quale Lotario e Corrado si mostrarono agl'Italiani più
onorevolmente che non avevan fatto tre anni prima. I Milanesi ed i
Parmigiani accolsero l'imperatore come si conveniva alla sua dignità, ed
alla loro ricchezza; onde Lotario li trattò più amichevolmente dei
Pavesi e dei Cremonesi, che, quantunque suoi alleati, lo avevano in
addietro così freddamente soccorso. Dopo alcuni mesi passò dalla
Lombardia a Roma, di dove la sua armata, scacciato l'antipapa Anacleto,
s'avanzò verso Napoli, e costrinse Ruggiero re di Sicilia ad abbandonare
l'assedio di quella città. Ma i vantaggi di così fortunata campagna,
come abbiamo altrove osservato, non ebbero lunga durata; Lotario,
tornando in Germania, morì in Trento il 3 di dicembre del 1137, e papa
Innocenzo, rimasto solo contro Ruggiero, fu da questo re fatto
prigioniero a Gallazzo il 22 luglio del 1139.
(1139) Dalla guerra tra i due papi, e dalla subita morte di Lotario e
d'Innocenzo ebbe origine una lunga e scandalosa anarchia. Il popolo
romano, approfittando dello scisma e dell'abbassamento del potere
pontificio, ricuperò le prerogative perdute sotto la vigorosa
amministrazione di Gregorio VII e de' suoi successori, quando il
fanatismo non permetteva d'aprir gli occhi sulle usurpazioni della santa
sede: e le prediche del monaco Arnaldo da Brescia cooperarono
potentemente in sul finire del pontificato d'Innocenzo II a far
risorgere le spente forme del governo repubblicano.
Arnaldo, di ritorno dallo studio di Parigi, ebbe coraggio di predicare
in Brescia contro le iniquità, l'ambizione ed il despotismo del
clero[35]. I severi costumi e l'ortodossa fede di Arnaldo non
permettevano ai suoi avversarj di calunniarlo. La sua erudizione e la
robusta eloquenza gli davano l'assoluto predominio di tutte le adunanze,
nelle quali erano ordinario soggetto de' suoi ragionamenti i vizj del
clero e le pericolose conseguenze del suo potere temporale. E perchè
tale argomento solleticava la comune degli uditori, l'eresia de'
_politici_, nome espressivo che allora si diede alle sue dottrine,
faceva rapidissimi progressi[36].
[35] _Otto Fris. de Gest, Frid. I, l. II, c. 21, p. 719._
[36] _Gunt. in Ligur. l. III, v. 170, p. 41 apud Pitheum Scrip.
Germ. Basileæ 1569._
Arnaldo conservava per Pietro Abaelardo suo maestro la più tenera
amicizia; e non è affatto improbabile che le persecuzioni e
l'imputazione d'eresia, ond'ebbe tanto a soffrire Abaelardo nel 1140,
derivassero dall'odio del clero contro il suo discepolo Arnaldo. Si
vollero ambedue colpevoli di oscuri ed inintelligibili errori intorno
alla Trinità: Abaelardo ebbe la modestia di abiurare tutto ciò che
poteva trovarsi di erroneo nelle sue scritture, e morì compianto dai
monaci di Clugnì, presso i quali aveva trovato asilo e generosa
ospitalità[37]. Arnaldo fu perseguitato prima del maestro; ed i suoi
nemici ottennero dopo una lunga ed ostinata guerra di farlo condannare
alla morte ed all'infamia[38]. Nel 1139 Arnaldo fu condannato nel
concilio di Laterano, e costretto ad abbandonare l'Italia[39]. La
persecuzione di s. Bernardo lo seguì a Costanza, ov'erasi riparato
presso quel vescovo[40]: di dove salvatosi prodigiosamente (1139) passò
intrepido a predicare la libertà ai Zurigani, come l'aveva predicata in
Italia: e dopo cinque o sei anni tornò in trionfo a dar le leggi alla
repubblica romana.
[37] _Bar. ad an. 1140, § 4-19._ — _Fleury St. Eccl. l. LXVII._
[38] Intorno ad Arnaldo da Brescia merita di esserne letta
l'_Apologia_ pubblicatasi in Pavia l'anno 1790 in due volumi in 8.º,
e dedicata al Patrizio veneto Andrea Quirini. Oltre l'apologia
trovasi nel secondo volume la di lui vita, nella quale il dottissimo
autore raccolse ed illustrò tutto ciò che intorno a questo celebre
teologo era stato scritto nel suo secolo, o nel susseguente. _N. d.
T._
[39] _Baron. Ann. Eccl. an. 1199, § 10 et 11._
[40] _Sancti Bernardi Epist. 195, 196._ Questo Santo così scriveva
al vescovo di Costanza: «Voi scorgerete in costui un uomo che
apertamente si ribella contro il clero, confidando nel tirannico
potere della gente di spada; un uomo che insorge contro i medesimi
vescovi, ed inveisce contro tutto l'ordine ecclesiastico. Sapendo io
ciò, non saprei in tanto pericolo meglio consigliarvi e più
sanamente, che a seguire il precetto apostolico, di allontanare il
male che vi sta vicino. Un amico della Chiesa vorrebbe piuttosto che
fosse legato, che posto in fuga, onde pellegrinando di più non
faccia danno ad altri. Il Papa nostro Signore, quand'era ancora con
noi, ne aveva dato l'ordine in iscritto, dietro le informazioni
avute del male che quest'uomo andava facendo; ma sgraziatamente non
trovossi alcuno che volesse fare una così buona azione.»
Mentre trovavasi Arnaldo in esiglio, i Romani mantenevano viva la guerra
coi Tivolesi, cui aveva dato apparente motivo il precedente scisma
(1140). Ridotta per così dire alla sua prima infanzia, e chiusa negli
antichi confini, Roma appena sosteneva la rivalità di Tivoli, città
formata dalle case di campagna de' suoi antichi cittadini. Finchè i
Romani seguirono le parti d'Innocenzo II, i Tivolesi appoggiarono lo
scisma d'Anacleto (1141). Nel 1141 un'armata romana, preceduta dalla
scomunica, andò ad assediare quella piccola città; ma i Tivolesi con una
improvvisa sortita la ruppero in modo, che si diede ad una vergognosa
fuga, lasciando nel campo ragguardevoli ricchezze. Nel susseguente anno
vollero i Romani riparare la loro perdita, e, ricominciato l'assedio
della città nemica, la ridussero alle ultime estremità. Animati dalla
memoria del sofferto disastro pensavano di distruggerla, e ripartire gli
abitanti ne' vicini villaggi; ma il papa, ascoltando più moderati
consigli, accordò ai Tivolesi la pace ad oneste condizioni,
costringendoli a giurar fedeltà alla Chiesa, come se gli avesse vinti
colle proprie armi, non con quelle de' Romani[41].
[41] _Otto Fris. in Chron. lib. VII, p. 143._
(1143) Intanto i discepoli d'Arnaldo, e tutti coloro che avevano un
cuore libero e romano, mal soffrendo il dominio teocratico,
approfittarono dell'indignazione del popolo per la pace di Tivoli. I
nobili sparsi per le pubbliche piazze rappresentavano ai cittadini la
condotta d'Innocenzo come la conseguenza d'un piano da lui formato per
annientare il loro onore ed i loro privilegi; invocavano la seducente
memoria dell'antica grandezza; e paragonando il governo de' Cesari e la
maestà dell'antico senato con quello de' preti, scossero in modo il
popolo già esacerbato dalla fresca ingiuria, che lo trassero dietro loro
al Campidoglio, ove ristabilirono il senato come caparra del
ristabilimento della repubblica. Su questo monte sacro all'antica
libertà dimora anche al presente il senatore di Roma, troppo debole
immagine de' padroni del mondo. Posto tra l'antica e la moderna città,
pare che il senatore appartenga ancora agli antichi gloriosi tempi, e
faccia parte delle sue ruine; siccome la colonna isolata che vedesi
innanzi al suo palazzo, ricorda la grandezza e la maestà del tempio di
Giove, cui appartenne[42].
[42] Si suppone che questa colonna appartenesse al tempio di Giove
conservatore. È di marmo greco d'ordine corinzio di sessantaquattro
palmi d'altezza. _Vast. Itin. t. I, p. 110._
Innocenzo II sentì tanto vivamente questa sommossa del popolo, che cadde
infermo, e morì pochi giorni dopo (1144). Il breve papato di Celestino
II suo successore non gli permise di porre limiti al sempre crescente
potere de' cittadini, i quali sotto il pontificato di Lucio II posero
l'ultima mano alla loro costituzione, sostituendo al prefetto della
città, nominato dal papa, un nuovo magistrato incaricato della
presidenza del senato e della rappresentanza della repubblica, col
titolo di patrizio di Roma. I Romani nominarono a così grande dignità
Giordano, figliuolo del celebre Pietro Leone, e fratello del defunto
antipapa Anacleto[43].
[43] _Otto in Frisin. Chron. l. VII, c. 31, p. 145._
La città dividevasi in tredici rioni; ed i cittadini di ogni rione
nominavano tutti gli anni dieci elettori, i quali avevano la facoltà di
scegliere i cinquantasei membri che componevano il senato. Se dobbiamo
giudicarne dall'interessamento che la nobiltà prendeva a favore del
governo repubblicano, pare che i senatori fossero gentiluomini. E
siccome i più ragguardevoli aggiungevano al titolo di senatore quello di
consigliere, è da credersi che il patrizio avesse un consiglio privato,
forse formato per turno di tutti i membri del senato.
Anche il papa aveva un ragguardevole partito di nobili e di popolani,
alla testa de' quali trovavansi i Frangipani, e, cosa difficile a
credersi, i fratelli del patrizio Giordano gelosi della sua autorità. Il
pontefice, che aveva di fresco contratta alleanza con Ruggiero re di
Sicilia, aveva ragione di sperare assai da così potente alleato. Intanto
il senato per assicurarsi dagli interni nemici fece attaccare le torri
dei Frangipani e dei loro aderenti; i quali però ne rifecero ben tosto
delle altre, conservando pure gli antichi monumenti quasi tutti
fortificati, onde i nobili possedettero lungo tempo entro Roma degli
asili sicuri, ove sottrarsi al potere de' magistrati. Il senato, per
opporsi con vantaggio alla potenza di Ruggiero, spedì una deputazione al
monarca Allemanno, invitandolo a venire a Roma a prendere la corona
imperiale.
Questo monarca era Corrado III[44], ch'era stato incoronato a Milano nel
1128, ed aveva poi abdicata la corona del 1135. Allorchè morì Lotario,
Corrado ebbe un rivale in Enrico il superbo, genero di quest'imperatore,
erede della casa Guelfa, duca di Sassonia e di Baviera, e marchese della
Toscana; ma presso la dieta di Coblenz del 1138 aveva prevaluto la casa
Ghibellina, o di Hohenstauffen, a fronte d'Enrico, reso dal suo orgoglio
esoso ai principi; e Corrado fu consacrato il sei marzo dello stesso
anno in Aquisgrana. Ma i Sassoni ed i Guelfi non riconobbero legittima
tale elezione, ed avendo prese le armi, non permisero mai a Corrado di
venire a farsi incoronare in Italia[45].
[44] Corrado II per l'Italia è III per la Germania.
[45] _Mascov. Com. de rebus Imp. sub Corrado III, l. III, pag. 114.
— Otto Fris. Chron., l. VII, c. 22, p. 140. — Id. de gestis Frid. I.
l. I, c. 22, p. 656._
Ottone di Frisinga ci conservò una delle lettere del senato e del popolo
romano all'imperatore Corrado. «Se fedeli figliuoli, gli scrivono,
possono permettersi di giudicare le azioni del loro signore e padre,
siamo sorpresi che l'eccellenza vostra non rispondesse alle lettere
colle quali le davamo parte del nostro operato, che dalla nostra fedeltà
è sempre diretto all'onor vostro. Il senato fu colla grazia di Dio
ristabilito; col vigor del quale e del popolo romano, Costantino e
Giustiniano ressero gloriosamente tutto l'Impero, onde noi facciamo ogni
sforzo e desideriamo che voi possiate fare altrettanto, e ricuperiate
tutti gli onori che vi appartengono, e furonvi rapiti.... Noi abbiamo
posti i fondamenti di questo nuovo ordine di cose, perchè manteniamo la
pace e la giustizia a vantaggio di tutti quelli che l'amano: ci siamo
impadroniti delle torri, delle fortezze e delle case di que' signori che
di concerto col Siciliano e col papa si dispongono a resistere al vostro
impero; alcune le conserviamo fedelmente in vostro nome, altre furono
spianate. La vostra prudenza rammenti tutti i torti che la corte dei
papi ed i signori di cui parliamo, fecero ai vostri predecessori. Le
stesse persone collegate col Siciliano stanno preparandovene di ancora
più grandi.....»[46].
[46] _De gestis Friderici I, l. I, c. 27 et 28, p. 662._
Corrado che non ignorava nascondersi sotto quest'apparente sommissione
lo spirito d'indipendenza, non trovò opportuno di prender parte in
questa lite, non riscontrando il senato, onde non disgustare il papa che
in pari tempo erasi a lui diretto.
Intanto Lucio II lusingossi che i Romani, scoraggiati dall'abbandono di
Corrado, e dall'alleanza ch'egli aveva contratta col re di Sicilia,
rinuncierebbero alla nuova magistratura tostochè si vedessero
vigorosamente attaccati (1145). In tale persuasione circondato dal clero
e da tutta la pompa pontificia, e seguìto da' suoi partigiani armati di
tutto punto, marciò un giorno verso il Campidoglio per scacciarne il
senato. Il popolo sorpreso da questa mescolanza di armi spirituali e
temporali, non sapeva in sull'istante a qual partito appigliarsi, e
lasciò che la processione s'avvicinasse al sacro colle. Ma tutt'ad un
tratto vergognandosi di abbandonare i suoi magistrati, che risguardava
come i soli campioni della romana libertà, fece piovere un diluvio di
sassi sui soldati pontificj. Lucio medesimo, gravemente ferito, morì
pochi giorni dopo, ed i suoi satelliti dovettero abbandonare
l'impresa[47].
[47] _Godef. Viterb. in Pant. pars XVII, t. VII. R. It. p. 461._
Eugenio III discepolo di s. Bernardo eletto in suo luogo abbandonò
immediatamente Roma per non essere costretto a dare la sua approvazione
al ristabilimento del senato. Però dopo pochi mesi disponevasi a
riconoscerlo a condizione che i Romani riconoscessero pure il suo
prefetto; ed a tali patti ritornò in Roma in mezzo alle più vive
dimostrazioni di allegrezza: ma essendosene poco dopo allontanato,
mentre viaggiava in Italia ed in Francia, tornò a Roma trionfante
Arnaldo da Brescia[48], il quale si sforzò di dare ai Romani più giuste
nozioni intorno alle cause della grandezza della loro antica repubblica.
Persuaso che la più durevole di tutte le riforme è quella che, invece di
distruggere le antiche costumanze, cerca anzi di ravvicinarvisi,
rendendole più vigorose, consigliò i Romani a formare un ordine equestre
che fosse intermediario tra i senatori e la plebe, di ristabilire i
consoli per presiedere al senato, i tribuni per difendere il popolo; di
escludere affatto i pontefici dall'amministrazione politica, e di
limitare i poteri ch'erano forzati di conservare all'imperatore. Ma
l'assoluto silenzio degli storici italiani intorno alle cose accadute in
tale epoca, e la brevità delle storie tedesche cui dobbiamo attenerci,
non ci fanno conoscere quale esecuzione avessero le riforme proposte da
Arnaldo[49][50]. Sembra soltanto che durante tutto il non breve
pontificato d'Eugenio III i Romani fossero sempre in guerra col papa, e
che Arnaldo andasse loro rammentando l'esempio de' loro antenati, e ciò
che far dovevano per mantenere la patria libera. Vedremo nel susseguente
capitolo l'infelice fine di quest'uomo martire della libertà in quella
medesima città che aveva cercato di rendere libera.
[48] _J. de Muller_ scrive che, stando ad una cronaca di Corbia,
duemila Svizzeri delle montagne accompagnarono Arnaldo a Roma, e lo
assistettero a ristabilirvi la libertà. _B. I, c. 14, p. 410._
[49] _Gunt. in Ligurino, lib. III, p. 43. — Otto Fris. de gestis
Frid. I, l. II, c. 21, p. 719_. — Le vite dei papi scritte da
Bernardo Guidoni, e dal Cardinale di Arragona, _t. III, p. 437_ 439,
quasi niente contengono d'importante.
[50] A torto si è tentato di attribuire ad Arnaldo da Brescia
opinioni troppo libere in punto di religione e di governo. Lasciando
da banda le prime perchè affatto straniere alla presente storia, non
credo inutile il dare qualche schiarimento rispetto alle seconde,
trattandosi di un uomo ch'ebbe tanta parte ne' movimenti popolari di
Roma e di Brescia; e vedremo che tutta la sua colpa si riduce
all'aver predicato contro il dominio secolare del clero. Lunga fu la
lotta che sostenne nella sua patria contro il vescovo Mainfredo, il
quale faceva ogni sforzo per rialzare in Brescia il prostrato
edificio della signoria episcopale, onde andava accarezzando i
nobili, mirando a valersi delle forze loro per distruggere i
consoli, e farsi egli principe. Lo che conoscendo Arnaldo contrario
allo spirito, alle leggi ed all'utilità della Chiesa, animò i
consoli ed il popolo ad opporsi agli attentati dell'ambizioso
vescovo. Colle scritture e coi sacri canoni mostrava al popolo che i
vescovi, siccome descritti in capo alla milizia di Dio, non devono
prender parte nelle faccende secolaresche; che come successori degli
apostoli debbono esserne gl'imitatori; _non essendo giusto che
abbandonino la parola di Dio_ per occuparsi di governi temporali, di
milizie, ec. Queste spiacevoli verità annunciate da Arnaldo al
popolo con robusta eloquenza, e confermate dalla santità de' suoi
costumi, riunirono contro di lui il vescovo, tutto il clero, gli
abati ed i monaci, i quali accusando Arnaldo di eresia al concilio
lateranese, ottennero, colla calunnia, di farlo condannare. S.
Bernardo chiama pessimo scisma, non eresia il titolo d'accusa dato
ad Arnaldo. E tale doveva veramente essere in faccia alla corte
pontificia la dottrina d'Arnaldo, che non solo non concedeva agli
ecclesiastici la superiorità da loro pretesa sopra il temporale dei
principi, ma accordava ai principi una piena autorità sopra i beni
ecclesiastici per regolarne l'uso a tenore dei canoni.
Obbligato di abbandonare la patria per sottrarsi alle calde
persecuzioni del clero, fu alcun tempo a Costanza, e nella Svizzera,
di dove passò in Francia per difendere il suo maestro Abaelardo
accusato da s. Bernardo. Ma sul principio del pontificato d'Eugenio
III si ridusse a Roma per appoggiare colla sua eloquenza e co' suoi
consigli la fazione de' Romani, che contrastavano al papa la
temporale signoria. E forse vi fu chiamato dai Romani medesimi,
conoscendo quanto poteva esser utile al loro partito. Nè Arnaldo
mancò alle loro speranze, perchè distinguendo accuratamente le
incumbenze ecclesiastiche dalle secolari, persuase al popolo, che il
Papa doveva accontentarsi della cura spirituale di tutta la
cristianità, ma non addossarsi ancora il peso del governo temporale,
la di cui alta ispezione doveva lasciare all'imperator de' Romani
suo sovrano, e l'immediata amministrazione al senato ed al popolo
romano. A tal fine confortava i Romani non solo a conservare il
senato, ma a repristinare ancora tutti gli antichi ordini e
costumanze, l'ordine equestre, i tribuni, i censori, i consoli, e
l'antica forma de' giudizj e delle milizie. _N. d. T._


CAPITOLO VIII.
_Federico Barbarossa imperatore. — Sua prima spedizione contro
le città libere d'Italia._
1152 = 1155.

Corrado III, che regnò quattordici anni in Germania, s'intitolava pure
re d'Italia senza aver avuta mai la più leggiera influenza sopra questo
paese. La guerra che faceva ai principi guelfi Enrico il superbo, e
Guelfo VI, duchi di Baviera e di Sassonia, lo tennero molti anni in
Germania. Del 1147 cesse, siccome Luigi VII di Francia, alle eloquenti
esortazioni di s. Bernardo, e passò in Oriente con una potente armata di
crociati; e di ritorno ne' suoi stati, dopo tre anni di sgraziata
guerra, fu sorpreso dalla morte il 15 febbrajo del 1152 mentre
disponevasi a discendere in Italia per ricevere la corona imperiale[51].
[51] Vedasi intorno a questo regno, _Mascovius Comment. de rebus
Imp. sub Corrado III lib. IV et V._
Quantunque lasciasse un figliuolo in tenera età, la dieta del regno
riunitasi in Francoforte, seguendo i consigli di Corrado medesimo, dava
la corona a suo nipote Federico Barbarossa, duca di Svevia, allora nel
fiore della gioventù. Potevano i principi lusingarsi che il nuovo
monarca farebbe cessare le sanguinose divisioni delle due più potenti
famiglie dell'Impero, i Ghibellini, ossia la casa di Svevia in
Franconia, ed i Guelfi, ossia la casa di Baviera in Sassonia. Federico
era l'erede della casa ghibellina, siccome nipote di una sorella di
Enrico V; e d'altra parte era alleato della famiglia guelfa per essere
figliuolo d'una figlia di Enrico il nero, duca di Baviera: di modo che,
dal lato della madre, veniva ad essere nipote di Guelfo VI, duca di
Baviera, e cugino d'Enrico il Leone, duca di Sassonia, i due capi della
casa guelfa[52].
[52] _Otto Frisin. de Gestis Frid. I. l. II, cap. 2. Scrip. Rer.
Ital. tom. VI, p. 699._
Le speranze dell'Allemagna non andarono deluse; e, quasi durante tutto
il lungo regno di Federico, le dissensioni di queste due famiglie che
avevano cagionati tanti travagli ai suoi predecessori, rimasero sopite.
Le forze de' Tedeschi rese maggiori dall'abitudine delle guerre civili,
si riunirono sotto le bandiere di Federico. Vero è che questa concordia
ebbe fine colla sua vita; quando le due famiglie, separandosi nuovamente
sotto il regno del suo successore, comunicarono il loro odio ai popoli,
i quali confondendo le contese di queste famiglie con quelle del
sacerdozio e dell'Impero, fecero nascere in Italia le troppo famose
parti de' Guelfi e de' Ghibellini, che, siccome vedremo, furono cagione
che essi spargessero torrenti di sangue per più secoli.
Lo stesso giorno dell'incoronazione, il nuovo sovrano lasciò travedere
il severo ed inflessibile carattere che portava sul trono. Uno de' suoi
cortigiani, che avendo avuto la disgrazia di spiacergli, era stato per
suo ordine allontanato dalla corte, credette che in questo giorno
d'allegrezza gli sarebbe stato facile d'ottenere il perdono. In tempo
della cerimonia si gittò ai piedi del nuovo re; e gli chiese grazia. Le
guardie che udirono le sue preghiere, benchè non sapessero quale fosse
il suo delitto, aggiunsero alle sue le loro suppliche, e tutta la
moltitudine, commossa a tale spettacolo, chiamò grazia per il
supplicante. Federico impose a tutti silenzio, e nell'istante in cui
andava a ricevere la sacra unzione, dichiarò con alta e severa voce, che
la giustizia, e non l'odio aveva dettato il suo giudizio, e che niuna
cosa al mondo potrebbe farglielo rivocare[53]. Tal era l'uomo che si
preparava ad armare la Germania contro la libertà italiana.
[53] _Ibid. — Gunteri Ligurinus lib. I, p. 12. ap. Pitheum._
Federico era stato eletto nella dieta di Francoforte dai soli principi
tedeschi; onde l'Italia veniva, siccome una provincia soggetta, data ad
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