Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 02 (of 16) - 17

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Costantinopoli ed in tutto l'Impero, avessero stretti legami di famiglia
coi Greci, e sembrassero diventati loro concittadini, il solo loro nome
li rendeva in faccia al popolo un oggetto di odio; talchè ogni
rivoluzione di corte, ogni sedizione popolare, poteva essere il segno
d'un massacro. Quando Andronico, l'anno 1183, cacciò dal trono Alessio
Comneno, figliuolo di Manuele[394], i Veneziani furono attaccati
all'impensata, saccheggiati e costretti a salvarsi colla fuga: del 1187
sotto il regno d'Isacco Angelo[395] furono nuovamente attaccati; e da
quest'epoca fino al 1201 gl'insulti del popolo e le violenti esazioni
degli ufficiali del governo moltiplicarono ogni giorno i titoli di
malcontento e l'odio reciproco delle due nazioni. I negozianti pisani
seppero approfittare delle disposizioni in cui trovavansi i Greci verso
i Veneziani, per soppiantarli nel commercio di Costantinopoli; e la loro
colonia fu in breve la più ricca perchè non si rifiutarono di venire
frequentemente alle mani coi Veneziani onde mantenersi cari al governo
greco che li ricolmava di favori[396].
[393] _Nicetas Chron. in Manuel. Comment. l. II, c. 5. Edit. Venet.
Scrip. Byzant. p. 45. — Joan. Cinnami Hist. l. VI, c. 10, p. 128. t.
XI._
[394] _Nicet. in Alex. Manuel. Comnen. filium c. 11. p. 138._
[395] _Id. in Isaacium Angelum l. II, c. 10. p. 203._
[396] _Nicetas in Alexium lib. III, cap. 8. et 9. p. 280._
Il trono di Costantinopoli era a quest'epoca occupato da un usurpatore.
Dopo i principi della casa Comnena ch'eransi fatti ammirare come
superiori assai ed ai loro predecessori ed ai loro sudditi, la Grecia
era stata da prima governata da un debole fanciullo, ultimo erede di
questa stirpe; poi da un feroce tiranno, Andronico; e dopo questi dal
debole Isacco Angelo, ch'era stato in fine balzato dal trono da suo
fratello, privato della vista e posto in carcere: ma ciò che facilmente
non accaderà giammai altrove, l'usurpatore non aveva nè maggiori talenti
ne più coraggio di quello ch'egli aveva spogliato della porpora; ed il
secondo Alessio Angelo, nelle delizie del suo palazzo, non occupavasi,
in sull'esempio di suo fratello, che de' suoi piaceri e delle assurde
predizioni degli astrologi.
Tale era, l'anno 1198, lo stato dell'Oriente quando Innocenzo III
facendo predicare la crociata da Folco di Nuelly pose in moto la maggior
parte de' baroni francesi per riconquistare il santo Sepolcro. Tebaldo,
conte di Champagne, Luigi, conte di Blois, Baldovino, conte di Fiandra,
Ugo, conte di san Paolo, Simone, conte di Monfort, e Goffredo, conte di
Perche, potevano risguardarsi come i capi dell'intrapresa[397]. Essendo
morto Tebaldo avanti che la loro armata potesse porsi in cammino, i
crociati, in un'assemblea tenuta a Soissons, nominarono loro condottiero
Bonifacio di Monferrato, fratello di quel marchese Corrado che aveva
così valorosamente difeso Tiro contro Saladino.
[397] _Geoffroy de Villehardovin_, Della conquista di
Costantinopoli, _in Script. Byzant. Edit. Venet. t. XX, p. 1_. —
Doutreman, _Costantinopolis Belgica, lib. II, p. 88_, dà un catalogo
di tutti i più illustri crociati. Rispetto agl'Italiani per altro è
assai mancante.
Dopo ciò i crociati risolvettero l'anno 1201 di passare in Palestina o
in Egitto per la via di mare, e cercarono di fare coi Veneziani un
trattato di sussidio e d'alleanza. Enrico Dandolo allora duca, o doge di
Venezia, offrì ai loro ambasciatori in nome della repubblica di fornire
tanti bastimenti da trasporto, chiamati _usceri_ o _palandre_, quanti
bastassero per quattro mila cinquecento cavalli, e nove mila scudieri;
vascelli per quattro mila cinquecento cavalieri, e venti mila uomini
d'infanteria; le provvigioni per tutte queste truppe per nove mesi, e
cinquanta galee armate per iscortarli su quelle coste in cui il servizio
di Dio e della cristianità li chiamerebbe[398]. Domandavano in compenso,
che i crociati avanti d'imbarcarsi pagassero ottantacinque mila marche
d'argento e dividessero coi Veneziani a parti eguali tutte le conquiste
che farebbero.
[398] _Villehard. c. 13 e 14, p. 4. — Andreæ Danduli Chron. Venet.
l. X, c. 3, p. 28. Scrip. Rer. It. t. XII, p. 320. — Ibid. in
instrumentum Conventionis p. 323._
Ma prima che queste condizioni, accettate dai crociati, potessero
risguardarsi come convenute, era necessario d'avere l'assenso, prima di
sei savj e della quarantia, consigli fin a que' tempi stabiliti in
Venezia per temperare l'autorità dei dogi; poi del popolo medesimo che
non aveva per anco rinunciato ad ogni ingerenza governativa. Polche
Dandolo ebbe il parere de' suoi consiglieri, e preparati gli animi del
popolo, riunendo per sezioni, prima duecento, poi fino mila cittadini,
adunò l'assemblea generale composta di due mila e più persone nella
chiesa di san Marco, e sulla vicina piazza. Colà dovevano essere
introdotti sei deputati della più alta nobiltà francese che venivano ad
umiliarsi innanzi ad un popolo di mercanti per implorarne l'assistenza.
Uno di loro, Goffredo di Villehardovin, maresciallo di Champagne, lasciò
scritta in vecchio francese una relazione di quest'ambasceria e di tutta
la spedizione; eccone il racconto[399]:
[399] Non è questo il testo medesimo di Villehardovin, e nemmeno può
dirsi una traduzione; devo dunque render conto delle fatte
mutazioni. Villehardovin terminò la sua storia avanti il 1213. Per
la maggior parte de' Francesi il linguaggio di quel tempo non è più
intelligibile; non pertanto non sarebbe stato prezzo dell'opera il
citarlo se non ne conservavo il gusto originale, ed il suo
andamento. Credetti di poter farlo intendere senza mutarlo, e
sostituendo la moderna all'antica ortografia, le presenti desinenze
e conjugazioni alle sue, che avvicinano egualmente l'italiano ed il
gallese; conservando per altro tutti i medesimi vocaboli, a meno di
pochi affatto inintelligibili, e lo stesso ordine nelle frasi.
«Il doge, poi ch'ebbe riuniti i suoi concittadini, disse loro, che
ascoltassero la messa dello Spirito Santo, e pregassero Dio a
consigliarli sull'inchiesta loro fatta dai messaggieri; e ciò fecero
assai di buon grado. Finita la messa, il doge invitò i messaggieri
affinchè pregassero il popolo umilmente ad approvare questa convenzione.
Vennero i messaggieri alla chiesa, e furono curiosamente osservati assai
da molta gente che prima non gli avevano così veduti. Goffredo di
Villehardovin prese a parlare, com'era concertato ed assentito dagli
altri messaggieri, e disse: Signori, i più alti e potenti baroni di
Francia ne spedirono a voi; essi vi chiedono mercè: abbiate compassione
di Gerusalemme caduta in servitù de' Turchi; e vogliate in onore di Dio
accompagnarli, e vendicare la vergogna di Gesù Cristo. Essi fecero
scelta di voi, perchè sanno che verun altro popolo marittimo è potente
come voi ed il vostro popolo: c'imposero di gettarci ai vostri piedi, e
di non rialzarci che allorquando avrete determinato d'avere pietà di
Terra santa oltre mare. — Intanto i sei messaggieri inginocchiavansi ai
loro piedi piangendo; ed il doge e tutti gli altri gridarono ad una
voce, stendendoci le mani: noi l'approviamo, noi l'approviamo[400].
[400] _Villehard. c. 16-17, p. 5._
»Nel susseguente anno i crociati ottennero da Innocenzo III
l'approvazione di questa convenzione fatta coi Veneziani[401]; ma mentre
la repubblica soddisfece dal canto suo scrupolosamente agli obblighi
suoi, molti de' crociati vi mancarono vergognosamente. I sudditi del
conte di Fiandra, invece di seguirlo, presero la strada del mare, e,
passando in Siria colle loro proprie navi, non si unirono più all'armata
crociata; il vescovo d'Autun, Guiche conte di Forest, ed altri molti
andarono a Marsiglia per procurarsi il passaggio sopra vascelli
mercantili[402]; di modo che i crociati, che incominciarono ad arrivare
a Venezia dopo la Pentecoste, ed ai quali fu ceduta l'isola di san
Nicola di Lido, non arrivarono al numero che si era supposto, e quando
si venne a riscuotere da cadauno di loro la capitazione convenuta, cioè
due marche per uomo, e quattro per ogni cavallo[403], si fu ancora assai
lontani dal compire le ottanta mila marche convenute, tanto più che
molti dicevano di non poter pagare il loro passaggio, sicchè i loro
baroni ricevevano di costoro quello che potevano averne. I conti di
Fiandra, di Blois, di san Paolo, il marchese Bonifacio, ed i loro amici
vollero sagrificare quanto avevano, e mandarono al doge tutto il loro
vasellame; ma malgrado questo generoso sagrificio mancavano tuttavia
trentaquattro mila marche al compimento del pattuito prezzo[404].
[401] _Vita Innocentii III, c. 84, apud Script. Rer. Ital t. III, p.
526._
[402] _Villehard. § 25-26, p. 9._ — _Rhamnusius de Bello Costante l.
I, p. 27._
[403]
I Veneziani avevano domandato per 4500 cavalli,
4 marchi lir. 18,000
Per i loro cavalieri, 2 marchi » 9,000
Per due scudieri per cavallo, nove mila scudieri,
2 marchi » 18,000
Per venti mila pedoni, 2 marchi » 40,000
——————————
Totale N. 85,000
Perchè i Veneziani fecero sempre le loro monete con argento purissimo,
valuto il marco cinquanta lire, e la totale somma lir. 4,250,000 lire
francesi, lo che è ben lontano dal formare un prezzo esorbitante.
[404] _Villehard. § 30._
»Allora il duca parlò ai suoi popoli, e disse loro: Signori, queste
genti non possono pagarci: quanto hanno fin qui pagato, noi l'abbiamo
tutto guadagnato in forza della convenzioni cui essi non sono in istato
di soddisfare; ma il nostro diritto rigorosamente voluto non sarebbe di
loro aggradimento, e noi ed il nostro paese ne saremmo biasimati assai.
E bene invitiamoli dunque ad un nuovo accordo. Il re d'Ungheria si tiene
a torto Zara in Schiavonia, che è una delle più forti città del mondo, e
che, per quanto noi faremo, non potremo mai riavere senza l'ajuto di
questa gente. Ricerchiamoli di andare a conquistarla per noi, e noi
faremo loro rilascio delle 34,000 marche di cui ci vanno debitori,
finchè Dio permetta a noi ed a loro di guadagnarle insieme. L'accordo
venne proposto in questi termini; e fu impugnato assai da coloro che
desideravano che l'armata si disperdesse: ma infine l'accordo fu fatto
ed approvato.
»S'adunarono allora, in un giorno di domenica, nella chiesa di san Marco
tutto il popolo della città e la maggior parte de' baroni e dei
pellegrini. Avanti che incominciasse la messa solenne, il duca di
Venezia, che avea nome Andrea Dandolo, montò in pulpito, e parlò al
popolo in questo modo: Signori, voi siete associati alla miglior gente
del mondo, e pel più importante affare che altri uomini intraprendessero
mai: io sono ormai vecchio e debole, ed avrei bisogno di riposo, essendo
mal disposto di corpo; ma vedo che niuno saprebbe governarvi e condurre
al par di me, che sono il vostro doge. Se volete acconsentire ch'io
prenda l'insegna della croce per custodirvi e dirigervi, e che mio
figlio faccia le mie veci, e custodisca la terra, anderò a vivere ed a
morire con voi e coi pellegrini.
»E quand'ebbero ciò udito; Sì, gridarono tutti ad una sola voce, noi vi
preghiamo da parte di Dio che la prendiate, e che venghiate con noi.
»Ebbero allora grande compassione il popolo della terra, ed i
pellegrini, e furono versate molte lagrime perchè quest'uomo prode aveva
sì grande motivo di rimanersene, perchè vecchio, perchè, quantunque
avesse begli occhi in testa, non perciò vedeva egli punto, avendo
perduta la vista per una ferita avuta nel capo[405]. Mostrava egli gran
cuore. Ah quanto male gli rassomigliavano coloro ch'eransi diretti ad
altri porti per sottrarsi al pericolo. Così scese egli dal pulpito, ed
andò avanti all'altare, e postosi in ginocchio, versando molte lagrime,
gli fu cucita la croce sul suo grande cappello di cotone, perchè voleva
che tutti la vedessero. Ed i Veneziani cominciarono a crociarsi questo
giorno in molta abbondanza»[406].
[405] Lo storico Andrea Dandolo, uno de' suoi discendenti, dice
soltanto che aveva la vista debole, _et visu debilis. Lib. X, c. 3,
p. XXX, p. 322_. Ducange nelle sue _Osservazioni sopra
Villehardovin_, N.º 204, assicura che a tal epoca aveva
novantaquattro anni, e novantasette quando morì l'anno 1205. Nè
Villehardovin, nè Andrea Dandolo non indicano, parlando della sua
vecchiaja, una così straordinaria età.
[406] _Villehard. § 32-33._ È questo il vocabolo inglese _plenty_,
abbondanza, che trovasi frequentemente in Villehardovin; e ne
abbiamo fatto _pluralità_.
In questo frattempo il figlio del detronizzato imperatore Isacco, che
chiamavasi Alessio, avendo avuto modo di fuggire da Costantinopoli sopra
una nave pisana, e di salvarsi in Italia, mandò i suoi deputati a
Venezia per sollecitare i crociati ad ajutarlo a risalire sul trono de'
suoi padri. Questo giovane principe aveva già visitata la corte di Roma,
ed aveva cercato il favore del papa, ma questi era stato prevenuto
dall'imperatore Alessio suo zio, il quale aveva spediti ad Innocenzo III
ambasciatori di alto rango con grandiosi regali, e pregatolo a mandare
alcuni legati a visitare il suo Impero[407]. Era stato intavolato un
trattato tra Alessio, il patriarca di Costantinopoli e Roma, ed il papa
aveva potuto lusingarsi di ricondurre i Greci all'ubbidienza, cui questi
avevano già ridotti i Latini. Perciò quando da una parte il giovane
Alessio gli chiese protezione, e dall'altra il vecchio Alessio gli
scrisse nuovamente per pregarlo a non dare ajuto al fuggiasco che non
era assistito da verun titolo ereditario, perchè non era porfirogeneta,
ossia nato in tempo che suo padre era sul trono, e perchè l'impero era
elettivo: Innocenzo rispose in modo di richiamare a sè medesimo la
decisione di questo affare, credendo di potere con una sentenza disporre
a modo suo dell'Impero d'Oriente: quindi ordinò che i crociati non
prendessero veruna parte nelle contese de' Cristiani, ed incaricò il
cardinale di san Marcello di assumere in nome del sacro Collegio le
informazioni relative a questa nuova causa[408]. Il giovane Alessio che
non tardò ad avvedersi che poco poteva ripromettersi dalla mediazione
del papa, passò in Germania presso il re Filippo di Svevia, competitore
di Ottone IV, il quale avendo sposata sua sorella, cercò con tutti i
mezzi di raccomandarlo caldamente ai crociati[409].
[407] _Gesta Innocentii III, c. 61. p. 507 e seguenti._
[408] _Ib._
[409] La moglie di Filippo era quella principessa greca ch'era stata
promessa a Guglielmo, figlio di Tancredi, e caduta in mano di Enrico
IV nella presa di Palermo. _Conrad. Ab. Usperg. Ch. p. 304._
Intanto la flotta, poi ch'ebbe caricate tutte le macchine di guerra
necessarie ad un assedio, fece vela da Venezia il giorno 8 di ottobre, e
giunse in faccia a Zara il 10 novembre, vigilia di san Martino[410].
Quantunque assai forte questa città si lasciò sgomentare dalla potenza
dell'armata che veniva per intraprenderne l'assedio, e dopo cinque
giorni i cittadini si arresero al doge salve le vite, ed il saccheggio
della città fu diviso tra i confederati. Ma la stagione era ormai troppo
avanzata, perchè una flotta di crociati potesse giugnere sicura in
Egitto, e prese a Zara i quartieri d'inverno.
[410] _Villehardovin c. 39-44, p, 13-14. — Dandolus in Chron. lib.
X, c. 3, p. XXVII, p. 321._ Stando a Ramnusio questa flotta era
composta di 420 vascelli, cioè 50 galee armate, 240 navi da
trasporto a vela quadrata, e cariche di truppe, 70 vascelli carichi
di viveri e di macchine, e 120 uscieri pei cavalli. _De Bello Const.
l. I, p. 33._
Durante tale dimora i baroni francesi ricevettero lettere del pontefice,
colle quali loro rinfacciava aspramente la presa d'una città cristiana,
ed il profano uso che avevano fatto delle loro armi, mentre che in forza
de' voti emessi omai non appartenevano che a Gesù Cristo: gli avvertiva
poi, che se non si pentivano e non si affrettavano di restituire al re
d'Ungheria tutto quanto avevano tolto ai suoi sudditi, sarebbero colpiti
dalla scomunica già sospesa sul loro capo[411].
[411] _Vita Innocentii III, c. 87, p. 529._
I Veneziani avevano fino da que' tempi adottata, rispetto alla santa
sede, quella ferma ma rispettosa politica, colla quale seppero
conservare verso la medesima una indipendenza che non conobbero le altre
potenze cattoliche. Anche prima quando il cardinale Marcello erasi
portato a Venezia per prendere, col titolo di legato, il comando della
flotta crociata, gli avevano fatto sapere che, se era venuto come
predicatore cristiano, si farebbero gloria di riceverlo; ma che, se
intendeva di esercitare sopra di loro un'autorità temporale, non
potevano accoglierlo sulla flotta[412]. Dopo aver avuta quest'ambasciata
il cardinale erasene tornato a Roma. Le nuove minacce del papa non gli
smossero punto, e piuttosto che sottomettersi, lasciaronsi scomunicare.
I baroni francesi erano più spaventati per le minacce del papa; onde
spedirongli quattro deputati per ottenere d'essere riconciliati colla
Chiesa[413]. Ma mentre cercavano di calmarlo colla loro sommissione,
impegnavansi, contro l'espresso suo divieto, in un trattato col giovane
Alessio, che per più lungo tempo ancora doveva tener lontane le loro
armi dalla guerra sacra.
[412] _Ib._
[413] _Villehardovin c. 53-54, p. 17._
L'anno 1203 il principe greco erasi portato a Zara presso i crociati;
gli aveva commossi col racconto delle proprie sventure e di quelle di
suo padre, e più ancora colle offerte onde seppe abbellire la sua
narrazione. Prometteva di ridurre l'Impero di Costantinopoli
all'ubbidienza della Chiesa romana, di dividere tra crociati duecento
venti mila marche d'argento, di mandare a sue spese in Egitto dieci mila
uomini[414] (che _Villehardovin_ chiama sempre terra di Babilonia[415])
quando egli non possa recarvisi personalmente, e di mantenere
perpetuamente cinquecento cavalieri alla custodia di Terra santa.
[414] _Villehard. c. 46, p. 15. — Dandol. l. X, c. 3, p. 28._
[415] Dal nome di Babilonia d'Egitto, una delle tre città che
formano riunite il Cairo. Veggasi Guglielmo di Tiro _l. XIX, c. 13,
p. 963_, che sempre, da buon critico, e da buon geografo, esamina i
nomi de' paesi.
I Francesi erano già ben disposti a favore del giovane principe, che
invocava, presso di loro, l'alleanza di sua famiglia con quella di Luigi
il giovane[416]. I Veneziani d'altra parte abbracciavano con piacere
un'occasione di vendicarsi dei torti ricevuti dai Greci, e di far loro
provare il proprio potere: e gli uni e gli altri poi parvero sopra tutto
mossi dalla considerazione che per conquistare la Siria era prima
necessario d'essere padroni delle coste di uno dei due paesi limitrofi,
l'Egitto, o l'Asia minore[417]. I più principali signori dell'armata, il
marchese Bonifacio di Montferrat, il conte Baldovino di Fiandra, il
conte Luigi di Blois, ed il conte Ugo di san Paolo, accettarono,
d'accordo col doge, le condizioni loro offerte dal giovane Alessio; ma i
cardinali legati del papa abbandonarono i crociati, e passarono in
Cipro, poi nella Siria, piuttosto che prendere parte alla spedizione
contro la Grecia[418]; ed un gran numero di baroni, tra i quali il conte
di Monforte, dopo aver dichiarato di non volere imbarazzarsi in
un'intrapresa che offendeva il papa, si separarono dall'armata.
[416] Agnese figlia di Luigi VII aveva sposato Alessio Comneno, ed
in seguito Andronico imperatore di Costantinopoli: non era questi un
parentado assai vicino.
[417] _Villehardovin c. 47._
[418] _Epist. Inn. III l. VI, epist 47. — Oderic. Rayn. 1203, § 9,
p. 87._
Già da lungo tempo sapevansi a Costantinopoli i maneggi del giovane
Alessio, ed inoltre la risoluzione dei crociati, onde ebbero tempo di
prepararsi a respingere il loro attacco. Di tutti i paesi d'Europa la
Grecia è quella che invita più fortemente i suoi abitanti alla
navigazione. In ogni tempo le numerose sue isole gli somministrarono
esperti marinaj; ed anco a quest'epoca Costantinopoli divideva con
Venezia l'impero del mare: era dunque a supporsi che una flotta greca
venisse ad aspettare i crociati alla bocca dell'Adriatico, per
impedirgli di avvicinarsi alle coste dell'Impero. Ma l'imperatore aveva
affidato il comando delle sue flotte a Michele Strufuos suo cognato,
uomo bassamente avido, che aveva venduto perfino le ancore, i cordaggi e
le vele dell'arsenale della marina; talchè nell'istante della guerra non
trovaronsi sui cantieri vascelli lunghi proprj alla guerra[419]. Per
farne di nuovi, le vaste foreste delle due coste della Propontide
avrebbero somministrato il legname necessario; ma gli eunuchi del
palazzo avevano prese in custodia quelle foreste, e non permettevano che
si atterrassero le piante dei boschi consacrati alla caccia ed ai
piaceri del loro signore[420].
[419] Si assicura che i Greci avevano avuto poco prima sui cantieri
di Costantinopoli 1,600 vascelli di guerra. _Constant. Belg. l. II,
c. 9, p. 145._
[420] _Nicetas Choniates in Alexio l. III, c. 9, p. 286._
Si sarebbero pure potuti prendere altri mezzi di difesa; perciocchè ai
crociati, ritardati dalla quantità delle palandre, vascelli necessarj al
trasporto d'un'intera armata, era impossibile di giugnere a
Costantinopoli senza dar fondo più volte per procurarsi i viveri e
rifare i cavalli dagl'incomodi del mare. Se le coste dell'Impero fossero
state preparate ad una vigorosa resistenza; se le munizioni ed i viveri
fossero stati trasportati nell'interno, l'attacco sarebbesi reso così
difficile, che il grosso partito de' crociati contrarj a
quest'intrapresa sarebbero in più occasioni stati ascoltati ed avrebbero
fatto rivolgere la flotta verso Terra santa, primo oggetto della loro
spedizione. Ma i crociati approdarono ad Epidamno o Durazzo, ove invece
d'incontrare opposizione, vi furono amichevolmente accolti dagli
abitanti, che giurarono fedeltà al giovane Alessio[421]; approdarono di
nuovo a Corcira, e vi riposarono tre settimane, non travagliati da altra
opposizione che da quella di molti crociati che volevano ad ogni modo
prendere la strada di Terra santa, ma che furono alla fine contenuti.
Ebbero eguale accoglimento a Capo Maleo, a Negroponte, ad Andros, ad
Abido, ed ovunque presero terra: l'imperatore non aveva preparata veruna
resistenza; ed il popolo mancava di energia per supplire all'inerzia del
sovrano.
[421] _Villehard. c. 56 e seguenti._
Finalmente i Latini, sempre secondati da un vento favorevole, arrivarono
il giorno 23 giugno, vigilia di san Giovanni, a tre leghe da
Costantinopoli in faccia ad un'abbazia di santo Stefano, di dove la
città mostravasi tutta intera al loro sguardo[422]. «La gente de'
navigli, galee ed usceri presero porto, ed ancorarono i loro vascelli.
Ora potete ben credere che molti, che mai non lo avevano veduto,
guardavano Costantinopoli, e non potevano credere trovarsi più ricca
città in tutto il mondo. Quando videro le alte sue mura, e le ricche
torri che tutta la chiudevano all'intorno, e que' ricchi palazzi e
quelle alte chiese, delle quali ve n'erano tante che niuno avrebbelo
creduto se non le avesse vedute cogli occhi proprj in tutta la lunghezza
e larghezza della città, che di tutte le altre era sovrana; sappiate che
non eravi persona tanto ardita cui non battesse il cuore; nè ciò deve
recare maraviglia, giacchè non fu mai fatta sì grande impresa....
Ciascuno osservava le proprie armi, pensando che ogni soldato ne avrebbe
in breve avuto bisogno.»
[422] _Villehard. c. 66, p. 22._
Colà dove il Bosforo di Tracia sbocca nella Propontide o mar di Marmora,
apresi un golfo profondo e s'allarga dalle coste d'Europa: i Greci danno
a questo golfo il nome di Chrysocheras, o pure di corno di Bisanzo. Tra
questo golfo e la Propontide è posto Costantinopoli sopra un triangolo
bagnato da due bande dal mare. Il muro settentrionale della città
stendesi lungo la riva del mare di Marmora sopra uno spazio di tre mila
tese; un altro muro presso a poco della stessa lunghezza va a nord-ovest
lungo il golfo Chrysocheras che tien luogo di porto: là dove si
riuniscono questi due muri e dove il triangolo si termina in punta
all'imboccatura del Bosforo di Tracia, è oggi posto il serraglio; ed
all'altra estremità del muro settentrionale verso il fondo del porto era
fabbricato il palazzo di _Blacherna_ degl'imperatori greci. Un doppio
muro che scende dal nord a mezzogiorno, chiude la città all'ovest, e
taglia la sola comunicazione che ha colla terra. Dall'altra banda del
golfo trovansi al nord della città e sempre sulle coste d'Europa i
sobborghi di Pera e di Galata: e sotto di questo il golfo non ha più di
cento tese di larghezza; nel qual luogo appunto è chiuso con una catena
onde assicurare i vascelli che trovansi nell'interno del porto. Di
faccia alla punta di Costantinopoli sull'altra costa del Bosforo
appartenente all'Asia trovasi la piccola città di Crisopoli, oggi
chiamata Scutari; più a mezzogiorno, e sulla stessa Propontide quella di
Calcedonia[423].
[423] Veggansi le piante ed i disegni di Costantinopoli, della
Propontide e del Bosforo in _Banduri Imperium Orientale, t. II, p.
I_.
I crociati sbarcarono prima a Calcedonia; poi passarono a Scutari, e si
riposarono nove giorni nei giardini e palazzi dell'imperatore[424].
Intanto i Greci spiegarono la loro cavalleria sulla spiaggia di Pera in
faccia a quella dei Latini. I crociati, poi ch'ebbero rinfrescate le
loro truppe e cavalli, unironsi a parlamento a cavallo in mezzo al campo
per risolvere intorno al modo che terrebbero nell'attacco: divisero la
loro piccola armata in sei corpi, o battaglie, e quando i vescovi ebbero
esortati i soldati a confessarsi ed a fare testamento, perchè non
potevano sapere quando Iddio disporrebbe delle loro vite, i cavalieri
salirono sulle loro palandre a canto ai loro cavalli sellati e disposti
alla battaglia. Le galee rimorchiarono le palandre fino alla spiaggia
d'Europa, e quando furono vicine alla riva, i cavalieri lanciaronsi in
mare col caschetto in testa e la sciabla in mano, stando nell'acqua fino
alla cintura; e loro tennero dietro i loro sergenti ed arcieri. Tostochè
i Greci armati ed a cavallo sulla riva se li videro vicini[425], benchè
di numero superiori assai, fuggirono a briglia sciolta, senza abbassare
la lancia, di modo che i Latini non incontrarono più difficoltà per fare
scendere a terra i loro cavalli.
[424] _Villehard. c. 69-81, p. 22 e seg._
[425] _Villehard. c. 82, p. 24._
La testa della catena che chiudeva il porto, era difesa dalla torre di
Galata[426], di cui i Latini intrapresero l'assedio. Nella vegnente
notte i Greci fecero una sortita per sorprendere gli assedianti; ma
coll'ordinaria loro viltà si posero in fuga tostochè i Latini dieder
mano alle armi: alcuni s'annegarono volendo gettarsi nelle loro barche,
altri rincularono con tanto precipizio nella torre di Galata, che non si
avvisarono di chiudere le porte, e la fortezza fu presa da coloro che
gl'inseguivano. La catena venne rotta all'istante, e la flotta veneziana
entrò trionfante in porto. Alcune delle galee greche che vi si erano
poste in sicuro furono prese; altre si mandarono a picco sulla riva
opposta a Costantinopoli, ove i marinai le abbandonarono e si diedero
alla fuga.
[426] _Nicetas Choniates in Alexium l. III, c. 10, p. 287._
Alla estremità del porto due fiumi, il Barbisse ed il Cidaro, riuniti in
un solo letto, passano sotto un ponte detto Pietra forata, che poteva
essere lungo tempo difeso; i Greci lo tagliarono, non lasciando
sull'opposta riva alcuna guardia. Per accostarsi dalla banda di terra
alle mura delle città, l'armata doveva fare un giro del golfo, ed
attraversare il ponte. S'impiegò un giorno ed una notte a rifare il
ponte, e grandissima fu la maraviglia de' crociati nel vedere che niuno
veniva ad impedirne il lavoro; ben sapendo che ad ogni crociato la città
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