Istoria civile del Regno di Napoli, v. 1 - 25

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dei Vescovi si variò la disciplina de' precedenti secoli. Non ancora
le nostre Chiese erano innalzate ad esser metropoli; nè anche per la
concession del Pallio, a' loro Vescovi eran concedute, come fu fatto
da poi, le ragioni de' Metropolitani: nè fin a questo tempo erano
state invase dal Patriarca di Costantinopoli; poichè ciò che si narra
di Pietro Vescovo di Bari[853], che nell'anno 530 sotto il Ponteficato
di Felice IV avesse dal Patriarca di Costantinopoli ricevuto il titolo
di Arcivescovo, e l'autorità di Metropolitano, con facoltà di poter
consecrare dodici Vescovi per la sua provincia di Puglia, non dee a
quell'anno riportarsi, quando queste province non erano state ancora
dai Greci invase, ed erano sotto la dominazione d'Atalarico Re de'
Goti, ma ne' tempi seguenti, quando sotto gl'Imperadori d'Oriente
essendo rimasa parte della Puglia e Calabria, della Lucania e Bruzio,
e molte altre città marittime dell'altre province, i Patriarchi di
Costantinopoli, col favore degl'Imperadori, s'usurparono in quelle le
ragioni patriarcali, come diremo ne' seguenti libri.

§. II. _Del Patriarca d'Oriente._
Se grandi furono l'intraprese del Patriarca di Roma sopra tutte
le province d'Occidente, maggiori e più audaci senza dubbio furon
quelle del Patriarca di Costantinopoli in Oriente: egli non solamente
sottopose al suo Patriarcato le tre diocesi Autocefale, l'Asiana,
quella di Ponto, e la Tracia; ma col correr degli anni, quasi estinse
i tre celebri Patriarcati d'Oriente, l'Alessandrino, l'Antiocheno
e l'ultimo di Gerusalemme. Nè contenta la sua ambizione di questi
confini, invase anche molte province d'Occidente, nè perdonò a
queste nostre, che per tutte le ragioni al Patriarcato di Roma
s'appartenevano.
Da quali bassi e tenui principj avesse il Patriarcato di Costantinopoli
cominciamento, si vide nel precedente libro. Il Vescovo di Bizanzio
prima non era, che un semplice suffraganeo del Vescovo d'Eraclea, il
quale presiedeva come Esarca nella Tracia[854]. Sopra tutti erano
in Oriente celebri ed eminenti due Patriarcati, l'Alessandrino e
l'Antiocheno. Quello di Alessandria teneva il secondo luogo dopo il
Patriarca di Roma, forse perchè Alessandria era riputata dopo Roma la
seconda città del Mondo: l'altro d'Antiochia teneva il terzo luogo,
ragguardevole ancora per la memoria, che serbava d'avervi S. Pietro
tenuta la sua prima Cattedra. Così le tre parti del Mondo tre Chiese
parimente riconobbero superiori sopra tutte le altre: l'Occidente
quella di Roma, l'Oriente quella di Antiochia, ed il Mezzogiorno quella
d'Alessandria. Non è però, che sopra tutta Europa esercitasse la sua
potestà patriarcale quel di Roma, ovvero quello d'Antiochia per tutta
l'Asia, e l'altro d'Alessandria in tutta l'Affrica: ciascuno, come
s'è veduto nel secondo libro, non estendeva la sua potestà, che nella
diocesi a se sottoposta: l'altre ubbidivano agli Esarchi proprj: e
molti altri luoghi ebbero ancora i loro Vescovi Autocefali, cioè a
niun sottoposti. Tali furon in Oriente i Vescovi di Cartagine e di
Cipro. Tali furon un tempo nell'Occidente i Vescovi della Gallia, della
Spagna, della Germania e dell'altre più remote regioni. Le Chiese
de' Barbari certamente non furon soggette ad alcun Patriarca, ma si
governavano da' loro proprj Vescovi. Così le Chiese d'Etiopia, della
Persia, dell'Indie e dell'altre regioni, ch'eran fuori del romano
Imperio, da' loro proprj Sacerdoti venivano governate.
Vide ancora l'Oriente un altro Patriarca, e fu quello di Gerusalemme.
Se si riguarda la disposizione dell'Imperio, non meno, che il Vescovo
di Bizanzio, meritava tal prerogativa il Vescovo di Gerusalemme;
e siccome quegli era suffraganeo al Metropolitano di Eraclea nella
Tracia, così questi era suffraganeo al Vescovo di Cesarea, metropoli
della Palestina: ma forse con più ragione si diedero gli onori di
Patriarca al Vescovo di Gerusalemme: fin da' tempi degli Appostoli
fu riputato un gran pregio il sedere in questa Cattedra posta nella
città santa, dove il nostro Redentore instituì la sua Chiesa, e dalla
quale il Vangelo per tutte l'altre parti del Mondo fu disseminato;
dove l'Autor della vita conversò fra noi, ove di mille sanguinosi rivi
lasciò asperso il terreno:
_Dove morì, dove sepolto fue,_
_Dove poi rivestì le membra sue._
Ma se altrove in ben mille esempj si vide, come la politia della Chiesa
secondasse quella dell'Imperio, e come al suo variare mutasse ancor
ella forma e disposizione, certamente per niun altro convincesi più
fortemente questa verità, che per l'ingrandimento del Patriarcato di
Costantinopoli. Da che Costantino il Grande rendè cotanto illustre e
magnifica quella città, che la fece sede dell'Imperio d'Oriente, con
impegno di renderla uguale a Roma, e che fosse riputata dopo quella la
seconda città del Mondo; cominciò il suo Vescovo anch'egli ad estollere
il capo, ed a scuotere il giogo del proprio Metropolitano. Per essere
stata riputata Costantinopoli un'altra Roma, ecco che nel Concilio
costantinopolitano[855] vengon al suo Vescovo conceduti i primi onori
dopo quella, _eo quod sit nova Roma_. Così quando prima, dopo il
romano, i primi onori erano del Patriarca d'Alessandria, sottentra
ora quello di Costantinopoli ad occupare il suo luogo. Egli è vero,
come ben pruova Dupino[856], che i soli onori furon a lui dal Concilio
conceduti, non già veruna patriarcal giurisdizione sopra le tre diocesi
autocefale: ma tanto bastò, che collo specioso pretesto di questi
onori, cominciasse egli le sue intraprese; non passò guari, che invase
la Tracia, ed esercitando ivi le ragioni esarcali, si rendè Esarca di
quella diocesi, ed oscurò le ragioni del Vescovo di Eraclea.
Dopo essersi stabilito nella Tracia, lo spinse la sua ambizione a
dilatar più oltre i suoi confini: invade le vicine diocesi, cioè
l'Asia e Ponto, ed in fine al suo Patriarcato le sottopone. Non in
un tratto le sorprende, ma di tempo in tempo col favor de' Concilj,
e più degl'Imperadori. S. Giovan Crisostomo più di tutti gli altri
Vescovi di Costantinopoli aprì la strada d'interamente occuparle:
in fine venne ad appropriarsi non solo la potestà d'ordinar egli i
Metropolitani dell'Asia e di Ponto, ma ottenne legge dall'Imperadore,
che niuno senza autorità del Patriarca di Costantinopoli potesse
ordinarsi Vescovo; onde appoggiato su questa legge, si fece lecito
poi ordinare anche i semplici Vescovi. Ecco come i Patriarchi di
Costantinopoli occuparono l'Asia e Ponto; ciò che poi, per render
più ferme le loro conquiste, si fecion confermare dal Concilio di
Calcedonia e dagli editti degl'Imperadori[857]. S'opposero a tanto
ingrandimento i Pontefici romani: Lione il Santo glie le contrastò, il
simile fecero i suoi successori, e sopra tutti Gelasio[858], che tenne
la Cattedra di Roma dall'anno 492 sino all'anno 496. Ma tutti i loro
sforzi riusciron vani, poichè tenendo i Patriarchi di Costantinopoli
tutto il favor degl'Imperadori, fu loro sempre non meno confermato il
secondo grado d'onore dopo il Patriarca di Roma, che la giurisdizione
in Ponto, nell'Asia e nella Tracia. L'Imperador Basilisco in un suo
editto rapportato da Evagrio[859] glie le rattificò: l'Imperador Zenone
fece l'istesso per una sua costituzione, ch'ancor si legge nel nostro
Codice[860]; e finalmente il nostro Giustiniano con sua Novella[861],
secondando quel che da' canoni del Concilio di Calcedonia era stato
statuito, comandò il medesimo. Ciò che poi fu abbracciato dal consenso
della Chiesa Universale; poichè essendo stati inseriti i canoni de'
Concilj costantinopolitano e calcedonense ne' Codici de' canoni delle
Chiese, fu ne' seguenti secoli tenuto per costante, il Patriarca di
Costantinopoli tener il secondo grado di onore, e la giurisdizione
sopra tutte le tre quelle diocesi.
Ecco come questo Patriarca si lasciò indietro gli altri tre, ch'erano
in Oriente: quelle tre sedi non pure per lo di lui ingrandimento e per
le frequenti scorrerie de' Barbari, che invasero le loro diocesi, ma
assai più per le sedizioni e contrasti, che sovente insorsero fra loro
intorn'all'elezioni, e intorno a' dogmi ed alla disciplina, perderon il
loro antico lustro e splendore; e da allora innanzi con quest'ordine
si cominciaron a numerare le sedi patriarcali: la romana: la
costantinopolitana: l'alessandrina: l'antiochena: e la gerosolimitana.
Quest'ordine tenne il Concilio di Costantinopoli celebrato nell'anno
536. Questo medesimo tenne Giustiniano nel Codice e nelle sue Novelle,
e tennero tutti gli altri Scrittori non meno greci, che latini. Non
ancora però il nome di Patriarca erasi ristretto solamente a questi
cinque: alcune volte soleva ancor darsi ad insigni Metropolitani: così
nel sopraccitato Concilio di Costantinopoli si diede anche ad Epifanio
Vescovo di Tiro; e Giustiniano così nel[862] Codice, come nelle[863]
Novelle dà generalmente questo nome agli Esarchi, ch'avevan il governo
di qualche diocesi: non molto da poi però in Oriente questo nome si
restrinse a que' soli cinque.
Ma in Occidente si continuò come prima a darsi ad altri Vescovi
e Metropolitani. In Italia il nostro Re Atalarico, appresso
Cassiodoro[864], chiamò i Vescovi d'Italia Patriarchi, ed il
romano Pontefice loro Capo, lo chiamò per tal riguardo Vescovo
de' Patriarchi. Da Paolo Varnefrido[865] i Vescovi d Aquileja e
di Grado sono anche nominati Patriarchi. In Francia questo nome fu
anche dato a' più celebri Metropolitani, ed a' Primati. Gregorio di
Tours[866] chiamò Nicezio, Patriarca di Lione. Il Concilio di Mascon
celebrato nell'anno 583 chiamò Prisco Vescovo di quella città anche
Patriarca[867]. Desiderio di Cahors appellò ancora Sulpizio Vescovo di
Bourges Patriarca: ed Inemaro di Rems non distingue i Patriarchi da'
Primati[868]. Così ancora nell'Affrica il primo Vescovo de' Vandali
assunse il nome di Patriarca, ciò che non senza riso fu inteso da'
Vescovi cattolici; ed in decorso di tempo presso a quelle Nazioni, che
si riducevan alla fede di Cristo, il primo Vescovo ch'era loro dato, fu
detto Patriarca. Ridotta la Bulgaria alla nostra fede, l'Arcivescovo,
che se le diede, ed i suoi successori presero il nome di Patriarca.
Simili Patriarchi hanno ora i Cristiani d'Oriente[869], dove, toltone
quelli, che propriamente si dicono Greci, i quali ritengon tuttavia i
quattro Patriarchi, il costantinopolitano, l'alessandrino, l'antiocheno
e 'l gerosolimitano, ancorchè i Pontefici romani soglian essi parimente
creargli titolari: quante Sette vi sono, altrettanti Patriarchi si
contano; così i Giacobiti hanno il lor Patriarca: hannolo i Maroniti,
e gli uni e gli altri prendon il nome di Patriarca d'Antiochia. I
Cophti hanno ancora il Patriarca, che si fa chiamare Alessandrino,
e tien la sua sede in Alessandria. Gli Abissini hanno il loro, che
regge tutta l'Etiopia, ancorchè al Patriarca de' Cophti sia in qualche
maniera soggetto. I Giorgiani hanno un Arcivescovo Autocefalo a niun
sottoposto. Gli Armeni hanno due generali Patriarchi: il primo risiede
in Arad, città dell'Armenia; l'altro in Cis, città di Caramania.
Abbiam veduto quanto s'innalzasse il Patriarca di Costantinopoli sopra
gli altri Patriarchi d'Oriente, e quanto stendesse i confini del suo
Patriarcato in questo secolo, fin all'Imperio di Giustino. Ne' due
secoli seguenti lo vedremo fatto assai più grande, volare sopra altre
province e Nazioni; poichè non contenta la sua ambizione di questi
confini, ne' tempi di Lione Isaurico lo vedremo occupare l'Illirico,
Epiro, Acaja e la Macedonia: lo vedrem ancora soggettarsi al suo
Patriarcato la Sicilia e molte Chiese di queste nostre province, e
contendere in fine col Pontefice romano per la Bulgaria e per le altre
regioni.

§. III. _Politia ecclesiastica di queste nostre province sotto i Goti
e sotto i Greci, fin a' tempi di GIUSTINO II._
Teodorico e gli altri Re ostrogoti suoi successori, ancorchè arriani,
lasciarono, come s'è detto, le nostre Chiese in pace;, e quella
medesima politia che trovarono, fu da lor mantenuta inviolata ed
intatta. Il Pontefice romano vi fu mantenuto, ed in queste nostre
province, come suburbicarie, esercitava, come prima, l'autorità
sua patriarcale, anzi era riconosciuto come Patriarca insieme e
Metropolitano; poichè infin a questi tempi le nostre metropoli,
in quanto alla politia ecclesiastica, non ebbero Arcivescovo o
Metropolitano alcuno: nelle città, come prima, erano semplici Vescovi,
riconoscenti il Pontefice romano, come lor Metropolitano: quindi
Atalarico[870], che a' Vescovi soleva dar anche il nome di Patriarca,
chiamollo Vescovo de' Patriarchi. E se in alcune città d'Italia,
nel Regno de' Goti e de' Longobardi ancora, i quali furono parimente
arriani, si videro in una stessa città due Cattedre occupate da due
Vescovi, l'uno cattolico, l'altro arriano; in queste nostre province,
le quali si mantennero sempre salde, e non furon mai contaminate
dagli errori d'Arrio, i Vescovi professaron tutti la fede di Nicea,
e serbaron le lor Chiese pure ed illibate, e mantennero gli antichi
dogmi e quella disciplina, che serbava la romana Chiesa, loro maestra
e condottiera. I Vescovi governavan le lor Chiese col comun consiglio
del Presbiterio. Non si ravvisava in quelle altra Gerarchia, se non di
Preti, Diaconi, Sottodiaconi, Acoliti, Esorcisti, Lettori ed Ostiarj.
I Vescovi eran ancora detti dal Clero e dal Popolo, e ordinati dal
Papa, come prima, ancorchè il favor de' Principi vi cominciasse ad
avere la sua parte: Grozio[871] portò opinione, che i Re goti, o
arriani o cattolici che fossero, _semper Episcoporum electiones in
sua potestate habuere_, e rapporta essersi anche ciò osservato da
Giovanni Garzia: ma da' nostri Re goti non si vide sopra ciò essersi
usata altra potestà, se non quella, ch'esercitarono gl'Imperadori,
così d'Occidente, come d'Oriente. Essi, come custodi e protettori
della Chiesa, e come quelli, che reputavan appartener loro anche il
governo e l'esterior politia della medesima, credettero esser della
lor potestà ed incumbenza di regolare con loro leggi l'elezioni,
proibire l'ambizioni, dar riparo a' disordini e tumulti sediziosi, e
sovente prevenirgli; riparar gli sconcerti, che allo spesso accadevan
per le fazioni delle parti, e far decidere le controversie, che per
queste elezioni solevano sorgere; ma l'elezione al Clero ed al Popolo
la lasciavano, siccome l'ordinazione a' Vescovi provinciali, ovvero
al Metropolitano. Odoacre Re degli Eruli, più immediato successore
di Teodorico in Italia alle ragioni degli Imperadori d'Occidente,
nell'elezione del Vescovo di Roma e degli altri d'Italia, vi volle
avere la medesima parte: Basilio suo Prefetto Pretorio vi invigilò
sempre, anche, come e' diceva, per ammonizione del Pontefice Simplicio,
il quale gl'incaricò, che, morendo, niuna elezione si facesse senza il
suo consiglio e guida[872].
Ad esempio di quel, che fece l'Imperador Onorio nello scisma della
Chiesa di Roma fra Bonifacio ed Eulalio, si osserva che Teodorico
usasse della medesima autorità per l'altro insorto ne' suoi tempi in
Roma fra Lorenzo e Simmaco. Per la morte accaduta nel fine dell'anno
498 di Papa Anastasio, pretendevano ambedue essere innalzati su quella
sede: Simmaco Diacono di quella Chiesa fu da maggior numero eletto ed
ordinato: ma Festo Senator di Roma, che avea promesso all'Imperador
Anastasio di far eleggere un Papa, che sarebbe stato ubbidiente a' suoi
desideri, fece eleggere ed ordinare Lorenzo. I due partiti portarons'in
Ravenna a ritrovare il Re Teodorico, il quale giudicò, che dovesse
rimaner Vescovo di Roma colui, il quale fosse stato eletto il primo,
ed avesse avuto il maggior numero de' suffragi: Simmaco avea sopra
Lorenzo ambedue questi vantaggi; onde fu confermato nel possesso di
quella sede, e nel primo anno del suo Ponteficato tenne un Concilio,
dove furon di nuovo fatti alcuni canoni per impedir nell'avvenire
le competenze in simili elezioni. Quelli che s'eran opposti
all'ordinazione di Simmaco, vedendolo lor mal grado in possesso, fecero
tutti i loro sforzi, perchè ne fosse scacciato; gli attribuiron perciò
molti delitti, sollevaron una gran parte del Popolo e del Senato contro
di esso, e domandaron al Re Teodorico un Visitatore, cui delegasse
la conoscenza di queste accuse: Teodorico nominò Pietro, Vescovo
di Altino, il quale precipitosamente, e contra il diritto, spogliò
incontanente il Papa dell'amministrazione della sua diocesi e di tutte
le facoltà della Chiesa: questa azione sì precipitosa eccitò in Roma
gravi sconcerti, e perniziosi tumulti; Teodorico per acquetargli fece
tosto nell'anno 501 convocare un Concilio in Roma, al quale invitò
tutti i Vescovi d'Italia[873]. V'andarono quasi tutti i Vescovi della
nostra Campagna, quel di Capua, di Napoli, di Nola, di Cuma, di Miseno,
di Pozzuoli, di Sorrento, di Stabia, di Venafro, di Sessa, d'Alife,
d'Avellino, ed alcuni altri dell'altre città di questa provincia. Dal
Sannio vi si portarono i Vescovi di Benevento, d'Isernia, di Bojano,
d'Atina, di Chieti, di Amiterno ed altri.
Da queste due province, come più a Roma vicine, ve ne andaron
moltissimi: dall'altre due, come dalla Puglia e Calabria, e dalla
Lucania e Bruzio, come più da Roma lontane, e più a' Greci vicine,
ve ne andaron molto pochi. Vi vennero ancora i Vescovi di Emilia,
di Liguria e di Venezia, i quali, passando per Ravenna, parlaron
a Teodorico in favor di Simmaco; ed essendo giunti in Roma, senza
volere imprendere ad esaminare l'accuse proposte contra Simmaco, lo
dichiararono, innanzi al Popolo, innocente ed assoluto; e s'adoperaron
in guisa col Re Teodorico, che si contentò di quella sentenza; ed il
Popolo col Senato, ch'erano molto irritati contro al Papa, si placarono
e lo riconobbero per vero Pontefice. Restarono tuttavia alcuni mal
contenti, che produssero contra quello Sinodo una scrittura; ma Ennodio
Vescovo di Pavia vi fece la risposta, la quale fu approvata in un
altro Concilio tenuto in Roma nell'anno 503, nel quale la sentenza
del primo Sinodo fu confermata. Le calunnie inventate contra Simmaco
passaron fino in Oriente, e l'Imperador Anastasio, ch'era separato
dalla comunione della Chiesa romana, glie le rinfacciò; Simmaco con una
scrittura apologetica si giustificò assai bene; il quale, mal grado de'
suoi nemici, dimorò pacifico possessor di quella sede fin all'anno 514,
che fu quello della sua morte.
Fu in questi tempi riputato così proprio de' Principi di regolare
queste elezioni, per evitar gli ambimenti e le sedizioni, che Atalarico
mosso da' precedenti scismi, accaduti in Roma per l'elezione de' loro
Vescovi, volendo dare una norma nell'avvenire, affinchè non accadessero
consimili disordini, imitando gli Imperadori Lione ed Antemio, fece
un rigoroso editto, che dirizzò a Gio. II, romano Pontefice, il quale
nell'anno 532 era succeduto a Bonifacio su la sede di Roma, con cui
regolò l'elezioni non solamente dei Pontefici romani, ma anche di
tutti i Metropolitani e Vescovi, imponendo gravissime pene a coloro,
i quali per ambizione, o per denaro aspirassero ad occupar le sedi,
dichiarandogli sacrileghi ed infami, e che oltre alla restituzion
del denaro, ed altre gravi ammende, da impiegarsi alla reparazione
delle fabbriche delle Chiese, ed a' Ministri di quelle, sarebbono
stati severamente puniti da' suoi Giudici, e le lor elezioni, come
simoniache, avute per nulle ed invalide: diede con questo editto altre
providenze per evitare l'altercazioni e litigi sull'elezioni, le quali
riportate al suo palazzo da' Popoli, egli n'avrebbe tosto presa cura,
e dato provedimento, dichiarando, che ciò che egli stabiliva per questo
suo editto, s'appartenesse non solo per l'elezione del Vescovo di Roma,
_sed etiam ad universos Patriarchas, atque Metropolitanas Ecclesias_.
Fu questo editto istromentato per Cassiodoro[874], il quale ancorchè
cattolico, e nelle cose ecclesiastiche versatissimo, tanto che oggi
vien annoverato fra li non inferiori Scrittori della Chiesa, e da
alcuni riputato per Santo, forse perchè morì monaco Cassinese[875],
non ebbe alcun riparo di non solamente istrumentarlo, ma consigliarlo
ancora, come assai opportuno, al suo Principe; nè fu riputato, secondo
le massime di questo secolo, estranio e lontano dalla sua real potestà.
Fu dirizzato a Papa Giovanni II, che lo ricevè con molto rispetto
e stima, nè se ne dolse; anzi se è vero esser sua quell'epistola,
che leggiamo fra le leggi del Codice[876], scritta all'Imperador
Giustiniano, dove tanto commenda il suo studio intorno alla disciplina
ecclesiastica (poichè Ottomano[877], ed altri[878] ne dubitano,
ancorchè venga difesa da Fachineo[879]), si vede che questo Pontefice
non contrastò mai a' Principi quella potestà, che s'attribuivano sopra
la disciplina della Chiesa. E di vantaggio Atalarico lo mandò ancora
a Salvanzio[880], che si trovava allora Prefetto della città di Roma,
acciocchè dovesse senza frapporvi dimora pubblicarlo al Senato e Popolo
romano; anzi perchè di ciò ne rimanesse perpetua memoria ne' futuri
secoli, ordinogli, che lo facesse scolpire nelle tavole di marmo, le
quali dovesse egli porre avanti l'atrio di S. Pietro Appostolo per
pubblica testimonianza[881].
Vollero i Re goti, come successori degl'Imperadori d'Occidente,
mantener tutte quelle prerogative, che costoro avevan esercitate
intorno all'esterior politia ecclesiastica, delle quali ne rendono
testimonianza le tante loro costituzioni, registrate nell'ultimo
libro del Codice di Teodosio. Così appartenendo ad essi lo stabilire
i gradi, dentro a' quali potevan contraersi le nozze[882], vietare
i matrimonj ne' gradi più prossimi, dispensargli per mezzo di loro
rescritti[883], ed avere la conoscenza delle cause matrimoniali, non
dee parer cosa nuova, se tra le formole dettate da Cassiodoro[884], si
legga ancora quella de' nostri Re goti, formata per le dispense, che
solevan concedere nei gradi proibiti dalle leggi. Così ancora, imitando
ciò che fecero gl'Imperadori d'Occidente e d'Oriente di non permettere
assolutamente e senza lor consenso ai loro sudditi di ascriversi
alle chiese o monasteri, di che ne restano molti vestigi nel Codice
Teodosiano: fu de' Goti ancora, come scrive Grozio[885], _non minus
laudanda cautio, quod subditorum suorum neminem permisere se Ecclesiis,
aut Monasteriis mancipare, suo impermissu_.
La medesima politia intorno a ciò fu ritenuta in queste nostre
province, quando da' Goti passarono sotto gl'Imperadori d'Oriente,
e molto più sotto l'Imperio di Giustiniano. Gl'Imperadori d'Oriente
calcaron ancora le medesime pedate; e dell'Imperador Marciano, che in
ciò fu il più moderato di tutti, siccome scrisse Facondo[886], Vescovo
d'Ermiana in Affrica, si leggono molti editti appartenenti all'esterior
politia della Chiesa. L'Imperador Lione, imitato da poi da Atalarico,
proibì ancora a' Vescovi l'elezione per ambizione e per simonia; ed
oltre alla pena della degradazione imposta dal Concilio di Calcedonia,
v'aggiunse egli quella dell'infamia; ed Antemio fece il medesimo[887].
Ma sopra tutti gli altri Imperadori d'Oriente, Giustiniano fu quegli,
che della disciplina ecclesiastica prese maggior cura e pensiero:
donde nacque, che gli ultimi Imperadori d'Oriente, non sapendo tener
poi in ciò regola nè misura, s'avanzaron tant'innanzi, che finalmente
sottoposero interamente il Sacerdozio all'autorità del Principe. Le
sue Novelle per la maggior parte sono ripiene di tanti editti sopra la
disciplina della Chiesa, che vien perciò egli arrolato nel numero degli
Autori ecclesiastici: egli più leggi stabilì intorno all'ordinazion
de' Vescovi, della loro età, de' requisiti, che debbon aver coloro per
esser eletti e promossi al Vescovado, della loro residenza, della loro
nozione e privilegi, ed infinite altre cose a quelli appartenenti.
Regolò le convocazioni de' Sinodi e de' Concilj, e loro prescrisse il
tempo. Diede varj provedimenti intorno a' costumi e condotta de' Preti,
Diaconi, e Sottodiaconi, delle loro esenzioni e cariche personali. Fece
molti editti riguardanti la degradazione de' Cherici, ed intorno alla
regolarità e professione de' Monaci. Diede con sue leggi maggior forza
e vigore a' canoni che furono stabiliti in varj Concilj, imponendo a'
Metropolitani, a' Vescovi, ed a tutti gli Ecclesiastici l'osservanza di
essi; aggiungendo gravi pene a coloro, che a quelli contravvenissero,
d'esser deposti e degradati dal lor Ordine; e moltissimi altri editti
sopra le cose ecclesiastiche stabilì, che possono vedersi nelle sue
Novelle, e nel suo Codice.
Appartenevasi ancora all'economia del Principe impedire a' Vescovi
l'abuso delle chiavi. Così quando essi s'abusavano delle scomuniche,
tosto lor s'opponevano; e Giustiniano stesso con sua legge[888] proibì
a' Vescovi le scomuniche, se prima la cagione non fosse giustificata:
e ne' Basilici ancor si vede con particolar legge[889] proibito a'
Vescovi di scomunicar senza giusta cagione, e quando non concorrano
i requisiti da' canoni prescritti. Quindi avvenne, che i Principi ne'
loro Reami, che in Europa stabilirono dopo la decadenza dell'Imperio
romano, vi vollero mantenere questo diritto, come praticano gli
Spagnuoli ed i Franzesi, e come ancora veggiamo tuttodì in questo
nostro Reame; di che altrove ci sarà data occasione d'un più lungo
discorso. Nè in questi tempi furono queste leggi reputate come
eccedenti la potestà imperiale; anzi furon queste di Giustiniano
comunemente ricevute non men in Oriente, che in Occidente, come ne
rendon testimonianza Gio: Scolastico Patriarca di Costantinopoli,
S. Gregorio M.[890], Inemaro,[891], ed altri: e se non è apocrifa la
sua epistola, che si legge nel nostro Codice[892], di sì fatta cura e
pensiero, ch'egli mostrò verso l'ecclesiastica disciplina, n'ebbe per
commendatore, e panegirista l'istesso Giovanni, romano Pontefice.
Le medesime pedate furon calcate da Giustino suo successore, sotto
l'Imperio del quale ora veggiamo queste nostre province. Per la qual
cosa non fu insin a questo tempo (per ciò che s'attiene a questa parte)
variata la politia ecclesiastica di queste nostre province, ma da' Goti
e da' Greci fu ritenuta la medesima, che si vide ne' secoli precedenti
sotto i successori di Costantino, fin a Valentiniano III, Imperador
d'Occidente.

§. IV. _De' Monaci._
Cominciarono però in questo secolo le nostre province a sentir qualche
mutazione per riguardo del monachismo, che di tali tempi ebbe nelle
medesime la perfezione e lo stabilimento. Come si vide nel precedente
libro, non ancora fino a' tempi di Valentiniano, eransi in queste
nostre parti stabiliti i Solitarj, o Cenobiti: ma ecco, ch'essendosi
l'Ordine monastico perfezionato in Oriente, tanto per le leggi
degl'Imperadori, quanto da' varj trattati ascetici, e divenuto sopra
tutti gli Ordini quello di S. Basilio celebre e numeroso, che in due
nostre province più a' Greci vicine, cioè nella Puglia e Calabria,
nella Lucania e Bruzj, comincian a fondarsi, in alcune città delle
medesime, monasteri di quell'Ordine, che Basiliani furon appellati.
Nelle due altre, quanto più a' Greci lontane, tanto più a Roma vicine,
cioè nella Campagna, e nel Sannio, vedi stabilito il monachismo per
molte regole, ma sopra tutte per quella di S. Benedetto, il cui Ordine
fu sì avventuroso, che stabilito nella nostra Campagna, si sparse in
poco tempo non solo per l'Italia, ma eziandio per la Francia e per
l'Inghilterra.
S. Benedetto nacque in Norcia città della diocesi di Spoleto verso
l'anno 480. Fu condotto giovane in Roma a studiare[893], ma fastidito
delle cose del secolo, si ritirò in Subiaco, 40 miglia da Roma
distante, e si chiuse in una grotta, ove dimorò per lo spazio di tre
anni, senza che alcuno ne avesse notizia, toltone Romano, Monaco, il
quale gli somministrava dal suo vicino monastero il mangiare: essendo
stato poi conosciuto, i Monaci d'un monastero vicino, per la morte del
loro Superiore, l'elessero Abate; ma i loro costumi non confacendosi
con quelli di Benedetto, egli si ritirò di nuovo nella solitudine,
dove visitato da molte persone, vi fabbricò dodeci monasteri, de' quali
l'Abate della Noce rapporta i nomi, e i luoghi dove furon fondati[894].
Di là passò nell'anno 529 nella nostra Campagna[895], e fermossi nel
monte, che da Casino, antica Colonia de' Romani, la qual è nella sua
costa, prende il nome, lontano da Subiaco intorno a 50 miglia, e da
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