Istoria civile del Regno di Napoli, v. 1 - 09

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a' Magistrati gentili, erano riputati presso che infedeli, o almeno
cattivi Cristiani: ma questi giudicj, che davansi da' Vescovi, non
eran che pareri arbitrali, nè obbligavan i litiganti che per onore;
come allorchè persone ragguardevoli intromettonsi alla composizione di
qualche differenza: del rimanente nè eran costretti a sottomettervisi,
nè proferito il parere potevan essere astretti ad eseguirlo, lasciando
loro la libertà di ricorrere a' Magistrati secolari.
Sopra queste tre sole occorrenze prese la Chiesa a conoscere nel suo
cominciamento; ciò sono, sopra gli affari della fede e della religione,
di cui ella giudicava per forma di politia: sopra gli scandali e minori
delitti, di cui ella conosceva per via di censura e di correzione: e
sopra le differenze fra' Cristiani, che a lei riportavansi, le quali
decideva per forma d'arbitrio e di caritatevole composizione. Donde si
vede, che gli Ecclesiastici non avevan quella cognizione perfetta, che
nel diritto chiamasi _giurisdizione_: ma la loro giustizia era chiamata
_notio_, _judicium_, _audientia_, non giammai _jurisdictio_.

§. VII. _Elezione de' Ministri._
Era ancor cosa appartenente alla disciplina della Chiesa di fornirla
de' suoi Ministri: e Dupino[315] scrisse, essere stata da Cristo
conceduta anche questa potestà a gli Apostoli di sostituire nelle
Chiese i loro successori, cioè i Vescovi, i Preti ed altri Ministri.
Ed in vero gli Apostoli, come si raccoglie dall'Istorie Sacre[316],
in molti luoghi ordinaron i Vescovi e gli lasciaron al governo delle
Chiese, ch'essi aveano fondate: ma da poi mancati gli Apostoli, quando
per la morte d'alcun Vescovo rimaneva la Chiesa vacante, si procedeva
all'elezione del successore; ed allora si chiamavan i Vescovi più
vicini della medesima provincia, almeno al numero di due, o di tre;
ch'era difficile in questi tempi il tener Concilj numerosi, se non
negl'intervalli delle persecuzioni: ed alle volte le sedi delle Chiese
restavano gran tempo vacanti; e quelli unendosi insieme col Presbiterio
e col Popolo fedele della città, procedevan all'elezione[317]. Il
Popolo proponeva le persone che desiderava s'eleggessero, e rendeva
testimonianza della vita e costume di ciascuno, finalmente unito col
Clero, e i Vescovi presenti, acconsentiva all'elezione, onde tosto il
nuovo eletto era da' Vescovi consecrato. Alcune volte il Clero ed il
Popolo avean nell'elezioni maggiore o minor parte, poichè in alcune
esponeva solamente i suoi desiderj, e rendeva le testimonianze della
vita e costumi: in altre s'avanzava ad eleggere[318], come accadde
nell'elezione di S. Fabiano Vescovo di Roma, che al riferir d'Eusebio
fu eletto a viva voce di Popolo, il quale aveagli veduta sul capo
fermarsi una colomba: il che quando accadeva, ed i Vescovi lo stimavan
conveniente, era da essi l'elezione approvata, ed ordinato l'eletto:
e nell'istesso tempo si faceva l'elezione e la consecrazione, ed
i medesimi Vescovi erano gli elettori e gli ordinatori. Nè vi si
ricercava altro; imperciocchè in questi tre primi secoli non era
stata ancor dichiarata da' canoni la ragion de' Metropolitani sopra
l'ordinazioni de' Vescovi della loro provincia, come fu fatto da
poi nel quarto secolo; di che tratteremo nel libro seguente, quando
dell'esterior politia ecclesiastica del quarto e quinto secolo ci
tornerà occasione di favellare.
Questa in brieve fu la disciplina ecclesiastica intorno all'elezioni
de' Vescovi di questi tre primi secoli, secondo si ravvisa
dall'Epistole di S. Clemente Papa, e di S. Cipriano Scrittore del
terzo secolo[319]. L'elezione de' Preti e de' Diaconi s'apparteneva
al Vescovo, al qual unicamente toccava l'ordinazione, ancorchè
nell'elezione il Clero ed il Popolo v'avessero la lor parte.

§. VIII. _Beni temporali._
Non furon nella Chiesa in questi primi tempi tante facoltà e beni,
sicchè dovesse molto badare all'amministrazione e distribuzione de'
medesimi, e stabilire anche sopra ciò suoi regolamenti. Ne' suoi
principj non ebbe stabili, nè peranche decime[320] certe e necessarie:
i beni comuni delle Chiese non consistevano quasi che in mobili,
in provigioni da bocca, ed in vestimenti, ed in danajo contante,
che offerivano i Fedeli in tutte le settimane, in tutti i mesi, o
quando volevano, atteso che non vi era cos'alcuna di regolato, nè di
forzato in quelle offerte. Quanto agl'immobili, le persecuzioni non
permettevano di acquistarne, o vero di lungo tempo conservargli. I
Fedeli volontariamente davan oblazioni e primizie, per le quali fu
destinata persona, che le conservasse, e ne' tempi di Cristo Salvator
nostro ne fu Giuda il conservatore; ma non v'era altro uso delle
medesime, se non che di servirsene per loro bisogni d'abiti e per
vivere, e tutto il di più che sopravanzava, distribuivasi a' poveri
della città.
Quest'istesso costume, dopo la morte del nostro Redentore, serbarono
gli Apostoli, i quali tutto ciò che raccoglievan da' Fedeli, che
per seguirgli si vendevan le case ed i poderi, offerendone ad essi
il prezzo, riponevan in comune: e non ad altr'uso, come s'è detto
del denaro si servivano, se non per somministrare il bisognevole
a loro medesimi, ed a coloro che destinavano per la predicazione
del Vangelo, e per sostenere i poveri e bisognosi de' luoghi dove
scorrevano. E crescendo tuttavia il numero de' Fedeli, crescevano per
conseguenza l'oblazioni, e quando essi le vedevano così soprabbondanti,
che non solamente bastavan a' bisogni della Chiesa d'una città, ma
sopravanzavano ancora: solevan anche distribuirle nell'altre Chiese
delle medesime province, e sovente mandarle in province più remote,
secondo l'indigenza di quelle ricercava: così osserviamo nella
scrittura, che S. Paolo, dopo aver fatte molte raccolte in Macedonia,
in Acaja, Galazia e Corinto, soleva mandarne gran parte alle Chiese
di Gerusalemme. E dopo la morte degli Apostoli, il medesimo costume
fu osservato da' Vescovi loro sucessori. Da poi fu riputato più utile
ed espediente, che i Fedeli non vendessero le loro possessioni, con
darne il prezzo alle Chiese: ma che dovessero ritenersi dalle Chiese
stesse, acciocchè da' frutti di quelle e dall'altre oblazioni si
potesse sovvenire a' poveri ed a' bisogni delle medesime: ed avvenga
che l'amministrazione appartenesse a' soli Vescovi, nulla di manco
costoro intenti ad opere più alte, alla predicazione del Vangelo e
conversion de' Gentili, lasciavan il pensiero di dispensar li danai a'
Diaconi: ma non per ciò fu mutato il modo di distribuirgli; poichè una
porzione si dispensava a' Sacerdoti e ad altri Ministri della Chiesa,
i quali per lo più vivean tutti insieme ed in comunità, e l'altra parte
si consumava per gli poveri del luogo.
In decorso di tempo nel Pontificato di Papa Simplicio intorno all'anno
467, essendosi scoverta qualche frode de' Ministri nella distribuzione
di queste rendite, fu introdotto, che di tutto ciò, che si raccoglieva
dalle rendite e dall'oblazioni, se ne facessero quattro parti,
l'una delle quali si serbasse per li poveri, l'altra servisse per
li Sacerdoti ed altri Ministri della Chiesa, la terza si serbasse al
Vescovo per lui e per li peregrini che soleva ospiziare, e la quarta,
cominciandosi già ne' tempi di Costantino M. a costruire pubblici
templi, e farsi delle fabbriche più sontuose, e ad accrescersi il
numero degli ornamenti e vasi sacri, si spendesse per la restaurazione
e bisogni dei medesimi. Nè questa distribuzione fu in tutto uguale;
poichè se li poveri erano numerosi in qualche città, la lor porzione
era maggiore dell'altre; e se i Tempj non avean bisogno di molta
reparazione, era la lor parte minore.
Ecco in breve qual fosse la politia ecclesiastica in questi tre primi
secoli della Chiesa, che in se sola ristretta, niente alterò la politia
dell'Imperio, e molto meno lo stato di queste nostre province, nelle
quali per le feroci persecuzioni a pena era ravvisata: in diverso
sembiante la riguarderemo ne' secoli seguenti, da poi che Costantino
le diede pace: ma assai mostruosa e con più strane forme sarà mirata
nell'età men a noi lontane, quando non bastandole d'aver in tante guise
trasformato lo stato civile e temporale de' Principi, tentò anche di
sottoporre interamente l'Imperio al Sacerdozio.

FINE DEL LIBRO PRIMO.


STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO SECONDO

Il principio del quarto secolo dell'umana redenzione, ed il decorso de'
seguenti anni, vien a recare nel romano Imperio sì strane revoluzioni,
che mostruosamente deformato nel suo capo e nelle membra, prendendo
altri aspetti e nuove forme, più non si riconosce per quello che già
fu. Ecco, che mancato ogni generoso costume, i Romani dati in preda
agli agi ed alle morbidezze, da forti e magnanimi, renduti effeminati
e deboli: da gravi, severi ed incorrotti, pieni d'ambizione e di
dissolutezza. Vedesi perciò snervata e scaduta la militar disciplina; e
quell'armi, che prima avean portato il terrore e le vittoriose insegne
fin a gl'ultimi confini del Mondo, divenire cotanto vili ed imbelli,
che non vaglion più a reprimer le forze di quelle medesime Nazioni,
delle quali esse tante e tante volte avevan gloriosamente trionfato;
ma con eterna lor ignominia cedendo, e lasciandosi vergognosamente
vincere, ne vien in brieve l'Imperio tutto fracassato e miseramente
trafitto. Vedasi la Pannonia, la Rezia, la Mesia, la Tracia e l'Illiria
soggiogate dagli Unni; le Gallie perdute; le Spagne da' Vandali, e da'
Goti manomesse; l'Affrica già occupata da' Vandali; la Brettagna da'
Sassoni; e l'Italia, Regina delle province, dai Goti già debellata
e vinta; e Roma stessa saccheggiata e distrutta. Nè miglior fortuna
ebbero col correr degli anni le cose de' Romani in Oriente. Vedesi la
Siria, la Fenicia, la Palestina, l'Egitto, la Mesopotamia, Cipro, Rodi,
Creta, e l'Armenia occupate da' Saracini. Ecco perduta l'Asia minore.
Ecco finalmente tutte debellate e vinte le province dell'Imperio
romano.
Vedesi nel cader dell'Imperio declinare ancor le lettere e le
discipline tutte: comincia la giurisprudenza a perder quel suo
lustro e quella dignità, in cui per sì lungo corso d'anni l'avevan
mantenuta e conservata tanti preclarissimi Giureconsulti, il favor
de' Principi, la sapienza delle loro costituzioni, la prudenza de'
Magistrati, la dottrina de' Professori, l'eccellenza dell'Accademie.
Più non s'udiranno i nomi di Papiniano, di Paolo, o d'Africano:
tacquero questi oracoli, nè altri responsi per l'avvenire ci saran
dati da' loro successori; i quali, d'oscura fama essendo, maggior
peso non s'addossarono, che d'insegnare nelle Accademie ciò, che que'
maravigliosi spiriti avean lasciato delle loro illustri fatiche. E pure
di queste (tanto calamitosi e lagrimevoli tempi succederono) appena una
rada ed oscura notizia a' posteri n'era pervenuta, la quale sarebbesi
eziandio in tutto certamente spenta, se la prudenza di Valentiniano
III. non fosse opportunamente con le sue costituzioni accorsa al
riparo. E vedesi ancora la scienza delle leggi che prima era solamente
professata da' maggiori lumi della città di Roma, vilmente maneggiata,
e ridutta ad esser mestiere de' più vili uomini del Mondo.
Non si leggeranno più con ammirazione e stupore quelle prudenti e savie
costituzioni de' Principi con tanta eleganza e brevità composte; ma da
ora avanti prolisse e tumide, e più convenienti ad un Declamatore, che
ad un Principe, da non paragonarsi di gran lunga colle prime, nè per
eloquenza, nè per gravità, nè per prudenza civile.
I Magistrati, perduta quella severità e dottrina, prenderanno altri
nomi e co' nuovi nomi, nuovi costumi ancora: da incorrotti, venali:
da sapienti e gravi, ignoranti e leggieri: da moderati, ambiziosi: ed
alla fine ripieni di tanta rapacità e dissolutezza, che se la prudenza
di Costantino, di Valentiniano, e d'alcuni altri Principi di quando in
quando non avesse repressa la loro venalità ed ambizione per mezzo di
molti editti[321], che pubblicarono a questo fine, più gravi ed enormi
disordini avrebbon infallibilmente partorito.
L'Accademie già per l'ignoranza de' Professori, e per li pravi costumi
de' giovani rendute inutili e piene di sconcerti. I giovani dati
già in braccio a' lussi, agl'intemperati conviti, a' giuochi, agli
spettacoli, alle meretrici, ed a mille altre scelleratezze, di rado le
frequentavano; tanto che sarebbon affatto mancate, se la providenza
di Valentiniano il vecchio non fosse stata presta a darvi riparo con
quelle sue XI. leggi Accademiche, che in Roma ad Olibrio Prefetto di
quella città dirizzò nell'anno 370.
Tante e sì strane mutazioni, non solamente alla corrotta disciplina
ed a' depravati costumi deon attribuirsi, ma ancora a quella nuova
divisione e nuova forma, che a Costantino piacque di dare all'Imperio
romano. Egli fu il primo, che volle recare ad effetto, ciò che
Diocleziano avea primo tentato, di divider l'orbe romano in due
principali parti, e di uno far due Imperi[322]. Imperocchè quantunque
fossero stat'innanzi più Imperadori talora a regnare insieme;
nientedimeno non feron fra di loro giammai divisione alcuna, nè
l'Imperio, o le province, nè le legioni furon a guisa d'eredità mai
partite. Costantino fu il primo, che, come dice Eusebio[323], divise
tutto l'Imperio romano in due parti, _quod quidem nunquam antea factum
esse memoratur_. Perciò pose tutto 'l suo studio a fondar nell'Oriente
Costantinopoli, ed impiegò per quest'opera tutta la sua magnificenza
e tutto il suo potere, acciocchè emula di Roma fosse, come questa
Capo nell'Occidente, così quella nell'Oriente[324]. Divise per tanto
l'Imperio in Orientale ed Occidentale, assegnando a ciascuno le
sue province. Tutte quelle province Orientali oltramarine, che sono
dallo stretto della Propontide insino alle bocche del Nilo, l'Egitto,
l'Illirico, Epiro, Acaja, la Grecia, la Tessaglia, la Macedonia, la
Tracia, Creta, Cipro, tutta la Dacia, la Mesia, e l'altre province di
quel tratto, all'Imperio Orientale, ed alla città di Costantinopoli
suo Capo le sottopose, e sotto più Diocesi comprese. All'Imperio
Occidentale ed alla città di Roma lasciò le Spagne, la Brettagna,
le Gallie, il Norico, la Pannonia, le province della Germania, la
Dalmazia, tutta l'Affrica, e l'Italia; disponendole in guisa, che due
Imperadori potessero regger l'Imperio, l'uno nell'Occidente, l'altro
nell'Oriente. Divise parimente il Senato, e que' Senatori, ch'eran
eletti dalle province dell'Imperio occidentale, volle, che rimanessero
in Roma; quelli d'Oriente in Costantinopoli: e lo stesso stabilì de'
Consoli. Diede a Costantinopoli, come a Roma, il Prefetto con uguali
preminenze e privilegi; e tutte le parti dell'Imperio in altra guisa
distinse. La qual nuova divisione è di mestiere qui distintamente
rapportare; poichè gioverà non solamente per ben intendere la spezial
politia e stato temporale di queste nostre province; ma servirà ancora
in appresso per capire con maggior chiarezza la politia ecclesiastica,
e come siasi in quella maniera, che oggi si vede, introdotta
nell'Imperio ed in questo nostro Reame.


CAPITOLO I.
_Disposizione dell'Imperio sotto Costantino Magno._

Costantino adunque dubitando, per l'esempio dei suoi predecessori,
del troppo potere del Prefetto Pretorio, che sovente s'avea usurpato
l'Imperio, divise il suo ufficio in quattro parti, e questo fu
per moltiplicazione, facendo quattro Prefetti: e con ciò venne a
dividersi tutto l'orbe romano in quattro climi, o vero tratti. Questi
abbracciavano un immenso spazio di Cielo e di terra, e dentro i loro
confini più diocesi si comprendevano[325]; e furono, l'_Oriente_,
l'_Illirico_, le _Gallie_, e l'_Italia_, a' quali diede quattro
Rettori, che con nome antico, ma di nuova amministrazione, chiamò
Prefetti al Pretorio: e noi abbiam collocata in ultimo luogo l'Italia
perchè in essa dovremo fermarci.

ORIENTE.
Sotto la disposizione del Prefetto Pretorio dell'_Oriente_ pose cinque
diocesi, ed erano, l'Oriente, l'Egitto, l'Asiana, la Pontica, e la
Tracia; le quali diocesi, secondo è manifesto dal Codice Teodosiano,
e dagli atti d'alcuni antichi Concilj, in questi tempi componevansi di
più province[326].
I. Nella diocesi d'_Oriente_, capo della quale era la città
d'_Antiochia_, erano XV. province, I. Palestina prima. II. Palestina
seconda. III. Fenicia prima. IV. Siria. V. Cilicia. VI. Cipro. VII.
Arabia. VIII. Isauria. IX. Palestina salutare. X. Fenicia del Libano.
XI. Eufratense. XII. Siria salutare. XIII. Osdroena. XIV. Mesopotamia.
XV. Cilicia seconda.
II. Nella diocesi dell'_Egitto_, il cui capo era _Alessandria_, eran
sei province. I. la Libia superiore. II. la Libia inferiore. III. la
Tebaïde. IV. l'Egitto. V. l'Arcadia. VI. l'Augustanica.
III. Nella diocesi _Asiana_, capo essendo _Efeso_, erano dieci
province. I. Panfilia. II Ellesponto. III. Lidia. IV. Pisidia. V.
Licaonia. VI. Frigia Pacaziana. VII. Frigia salutare. VIII. Licia. IX.
Caria. X. L'isole di Rodi, Lesbo, e le Cicladi.
IV. Undici province ebbe la _Pontica_, cui capo era _Cesarea_, e queste
furono. I. Paflagonia. II. la Galazia. III. Bitinia. IV. Onoriade.
V. Cappadocia prima. VI. Cappadocia seconda. VII. Ponto Polemoniaco.
VIII. Elenoponto. IX. Armenia prima. X. Armenia seconda. XI. la Galazia
salutare.
V. La _Tracia_, della quale prima ne fu capo _Eraclea_, da poi
_Costantinopoli_, si componeva di sei province. I. Europa. II. Tracia.
III. Emimonto. IV. Rodope. V. Mesia seconda. VI. Scizia.

ILLIRICO.
Sotto l'amministrazione del Prefetto Pretorio dell'Illirico erano due
diocesi, la Macedonia, e la Dacia.
I. La _Macedonia_, di cui fa capo _Tessalonica_, si componeva di sei
province. I. Acaja. II. Macedonia. III. Creta. IV. Tessaglia. V. Epiro
vecchio, ed Epiro nuovo. VI. parte della Macedonia salutare.
II. La _Dacia_ di cinque. I. la Dacia Mediterranea. II. la Dacia
Ripense. III. Mesia prima. IV. Dardania Prevalitana. V. parte della
Macedonia salutare.

GALLIE.
Sotto l'amministrazione del Prefetto Pretorio delle Gallie erano tre
diocesi, le Gallie, le Spagne, e la Brettagna.
I. La diocesi delle _Gallie_ era composta da diciassette province, e fu
I. Viennense. II. Lugdunense prima. III. Germania prima. IV. Germania
seconda. V. Belgio primo. VI. Belgio secondo. VII. l'Alpi Marittime.
VIII. l'Alpi Pennine. IX. Maxima Sequana. X. Aquitania prima. XI.
Aquitania seconda. XII. Novempopulana. XIII. Narbonense prima. XIV.
Narbonense seconda. XV. Lugdunense seconda. XVI. Lugdunense Turonia.
XVII. Lugdunense Senonica.
II. Quella delle _Spagne_ era composta di sette province. I. Betica.
II. Lusitania. III. Galizia. IV. Tarraconense. V. Cartaginense. VI.
Tingitania VII. le Baleari.
III. L'altra della _Brettagna_, di cinque. I. Maxima Cesariense.
II. Valentia. III. Britannia prima. IV. Britannia seconda. V. Flavia
Cesariense.

ITALIA.
Finalmente sotto la disposizione del Prefetto Pretorio d'Italia erano
tre diocesi: l'_Italia_, l'_Illirico_, e l'_Affrica_. La diocesi
dell'Illirico, della quale _Sirmio_ fu la principal città, era composta
di sei Province. I. Pannonia seconda. II. Savia. III. Dalmazia. IV.
Pannonia prima. V. il Norico Mediterraneo. VI. il Norico. L'_Affrica_
di cinque. I. Affrica, ove era Cartagine. II Bisacena. III. Mauritania
Sitifense IV. Mauritania Cesariense. V. Tripolitana.
L'_Italia_ fu divisa in diciassette province, siccome furon distinte
sotto Adriano; e questa divisione durò nell'età più bassa infino a'
tempi di Longino: l'ordine delle quali, secondo si legge nel libro
della _Notizia_ dell'Imperio (che per comun parere non può dubitarsi,
che sia antichissimo e composto a' tempi di Teodosio il Giovane) è
questo, che siegue. I. Venezia. II. Emilia. III. Liguria. IV. Flaminia,
e Piceno Annonario. V. Tuscia, ed Umbria. VI. Piceno Suburbicario. VII.
Campania. VIII. Sicilia. IX. Puglia, e Calabria. X. Lucania, e Bruzj.
XI. Alpi Cozzie. XII. Rezia prima. XIII. Rezia seconda. XIV. Sannio.
XV. Valeria. XVI. Sardegna. XVII. Corsica.
Paolo Warnefrido[327] Diacono d'Aquileja dà a quelle divers'ordine,
perciocchè, per cagion d'esempio, la _Liguria_, che qui è posta nel
terzo luogo, e l'_Emilia_ nel secondo, le colloca nel secondo, e
nel decimo. Ma vi è fra loro una più notabile varietà, poichè Paolo
dividendo la provincia dell'Alpi in due province, chiamando l'altra
Alpi Appennine, accrebbe il numero con una di più di quelle, che nella
_Notizia_ sono descritte, nella quale solamente il nome dell'Alpi
Cozzie si ritrova. Ma egli, come ben dice Camillo Pellegrino[328],
par che abbia ciò fatto di suo proprio arbitrio, poichè cita a favor
suo la forma del ragionare d'Aurelio Vittore contra coloro, che non
le stimavan due, e non più tosto alcun imperial rescritto, il quale
in questo proposito sarebbe stato il proprio e fermo autore, in cui
avrebbe avuto da appoggiare il creder suo; sicchè ancor di suo parere
dovette mutar l'ordine suddetto, che molto meno importava.
Tutte queste province non sortiron una medesima condizione, imperocchè,
avvegnachè tutte ubbidissero e stassero sotto la disposizione
del Prefetto Pretorio d'Italia, avevan però altri più immediati
Amministratori, a' quali era particolarmente commesso il loro governo.
Erano prima divise in due Vicariati, uno detto di Roma, l'altro
d'Italia. Nel Vicariato di _Roma_ erano dieci province: la Campagna:
l'Etruria e l'Umbria: il Piceno Suburbicario: la Sicilia: la Puglia
e Calabria: la Lucania e Bruzj: il Sannio: la Sardegna: la Corsica e
la Valeria. Nel Vicariato d'Italia, il cui capo era _Milano_[329],
furono sette province: la Liguria: l'Emilia: la Flaminia e Piceno
Annonario: Venezia, a cui da poi fu aggiunta l'Istria: l'Alpi Cozzie:
e l'una e l'altra Rezia. Le prime erano sotto la disposizione del
Vicario di Roma, onde perciò si dissero anche province _Suburbicarie_.
Le seconde tenevansi sotto la disposizione del Vicario d'Italia, e
perciò da alcuni Scrittori vengono semplicemente chiamate province
d'Italia, distinguendole dall'altre, le quali ancorchè racchiuse
tra l'Alpi, e l'uno e l'altro mare, e perciò comprese nell'Italia
(prendendo questo nome nella sua ampia significazione) nulla di meno
ristrettamente province d'Italia eran nomate quelle, che al Vicario
d'Italia ubbidivano, la cui sede era Milano. Così osserviamo negli
atti del Concilio di Sardica celebrato nell'anno 347 che correndo allor
il costume di sottoscriversi i Vescovi, che intervenivano ne' Concilj
non solamente col nome della propria città, ma anche della provincia,
alcuni si sottoscrissero in questa maniera: _Januarius a Campania
de Benevento. Maximus a Tuscia de Luca. Lucius ab Italia de Verona.
Fortunatus ab Italia de Aquileja. Stercorius ab Apulia de Canusio.
Securus ab Italia de Ravenna. Ursacius ab Italia de Brixia. Portasius
ab Italia de Mediolano, ec._ E questo era, perchè Verona, Aquileja,
Ravenna, Brescia, e Milano erano nelle province, che al Vicario
d'Italia ubbidivano: ciò che non potea dirsi di Benevento, di Lucca, e
di Canosa, le quali erano nelle province del Vicariato di Roma, non già
del Vicariato d'Italia[330].
Ebbero ancora queste province altri più immediati Ufficiali, a ciascuno
de' quali era particolarmente il governo d'una provincia commesso;
ma non erano d'un medesimo grado e condizione. Alcune eran dette
Consolari; perchè per loro moderatore sortirono un Consolare come
furono Venezia, Emilia, Liguria, Flaminia, e Piceno Annonario, la
Toscana e l'Umbria, il Piceno Suburbicario e la nostra _Campania_.
Altre si dissero Correttoriali, perchè da' Correttori, non già
da' Consolari eran amministrate; le quali furono la _Sicilia_: la
_Puglia_, _e Calabria_; _la Lucania_, _e Bruzj_. E per ultimo alcune
si nomarono Presidiali, perchè ai Presidi sottoposte; e queste furono
l'Alpi Cozzie, la Rezia prima e seconda, il nostro _Sannio_, Valeria,
Sardegna, e Corsica. Così i primi Moderatori di queste province erano
i Prefetti Pretorj, i secondi li Vicarj, gli ultimi e' più immediati
eran i Consolari, i Correttori, ed i Presidi, dell'ufficio ed impiego
de' quali è di mestiere, che qui brevemente si ragioni.


CAPITOLO II.
_Degli Ufficiali dell'Imperio._

I Prefetti al Pretorio eran quelli, ne' quali dopo i Cesari, s'univano
i primi onori e le prime dignità dell'Imperio[331]: a costoro si
dava la spada dall'Imperadore per insegna della loro grandissima
autorità[332]: sotto la cui amministrazione e governo erano più
diocesi, e colle diocesi, le tante province, che le componevano:
avevan sotto di loro i Vicarj, i Rettori delle province, i Consolari, i
Correttori, i Presidi, e tutti i Magistrati di quelle diocesi, alla cui
amministrazione soprastavano. Essi dovevano con vigilanza attendere e
provvedere a' difetti di questi Magistrati[333], ammonirgli, insinuar
loro le leggi, ed in somma invigilare a tutte le loro azioni: i quali
Magistrati all'incontro ai Prefetti dovevan ricorrere, riferire e
consigliarsi di ciò che di dubbio e scabroso loro veniva per le mani.
Potevasi, oltre a ciò, da tutti i Tribunali suddetti appellare a'
Prefetti Pretorj, da' quali riconoscevansi le cause dell'appellazioni,
e le coloro sentenze discusse, o le rifiutavan, o l'ammettevan, senza
che delle deliberazioni de' Prefetti Pretorj ad altra appellazione
alcuna si dasse luogo, ma solamente alla retrattazione, che noi ora
diciamo _Reclamazione_[334].
A' Prefetti per lo più gl'Imperadori solevan dirizzare le loro
costituzioni, affinch'essi le promulgassero per le province di lor
disposizione: avevano sotto la lor censura anche i Proconsoli, e
d'infinite altre prerogative eran adorni, delle quali dottamente
scrissero Codino, Gotifredo, e Giacomo Gutero[335]. Furon, oltre
a costoro, due altri Prefetti destinati al governo delle due
città principali del Mondo, cioè Roma, e Costantinopoli, sotto la
disposizione de' quali eran i Prefetti dell'Annona, e molt'altri
Magistrati, che alla cura e governo di quelle città sotto varj impieghi
venivan destinati: de' quali non accade qui far parola.
Dopo i Prefetti seguivan i Proconsoli; dignità pur _illustre_, ed
ornata dell'alte insegne, delle scuri e dei fasci. Nell'Oriente ve ne
furon due, cioè nell'Acaja, e nell'Asia, ed alcune volte fuvvi il terzo
in Palestina. Nell'Occidente solamente uno, e questi nell'Affrica.
Tenevan il terzo luogo i Vicarj, inferiori a' Proconsoli, ma di
gran lunga superiori, ed eminenti sopra tutt'altri Magistrati.
Questi, che tali si dissero, perchè le veci e la persona de'
Prefetti rappresentavano, onde nell'antiche iscrizioni si chiamano
_Propraefecti_, erano preposti al reggimento dell'intere diocesi,
e delle province, delle quali si componevano. Soprastavano ai
Rettori, ed agli altri Magistrati inferiori. La loro principal cura
era d'invigilare a' tributi, ed all'annona, gastigar i desertori
ed i vagabondi, e custodirgli infino che al Principe se ne desse
notizia[336]. Non solamente giudicavano _ex ordine_, ma sovente _ex
appellatione_, ed alcune volte anche _ex delegato_[337]. Ebbero
i Vicarj l'Asia, la Pontica, la Tracia, l'Oriente, la Macedonia,
l'Affrica, la Spagna, la Gallia, e la Brettagna. Fuvvi ancora il
Vicario della città di Roma, sotto la cui disposizione erano, come
s'è detto, alcune province d'Italia, che si dissero perciò province
Suburbicarie. Italia similmente ebbe il suo Vicario, e del di lui
governo furon alcun'altre province, onde province d'Italia propriamente
si dissero. E tutti questi, per esser d'alto ed eminente grado, eran
chiamati _Judices majores_[338].
Sieguono in appresso gli Ufficiali di minor grado, detti perciò
_Judices minores_; e fra questi il primo luogo era de' Rettori delle
province, a' quali il governo e l'amministrazione d'alcune d'esse era
commessa: questi erano sotto la disposizione del P. P. al quale degli
atti di coloro potevasi appellare. Tenevan il _Jus gladii_; e la lor
principal cura era di spedir le liti tanto civili, quanto criminali,
ove della roba e della vita degli uomini si trattava, e d'invigilare,
che a' provinciali non si facesse ingiuria e danno dagli Ufficiali
minori, e perciò eran tenuti in certo tempo dell'anno a scorrere
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