Istoria civile del Regno di Napoli, v. 1 - 14

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delle province, ed a gli altri Ufficiali indirizzati.
Non fu certamente tralasciata niuna parte della pubblica e privata
ragione, che in questo Codice non si fosse trasferita, come è pur
troppo manifesto dall'argomento de' suoi libri, e dal novero de'
titoli. Delle costituzioni de' Principi appartenenti alla ragion
privata, a' contratti, a' testamenti, alle stipulazioni, a' patti,
all'eredità, e ad ogn'altro a questa attenente, se ne compilarono ben
cinque libri. Per quel che s'attiene alla ragion pubblica, niente evvi
che desiderare; qui si descrivono le funzioni di tutti i Magistrati,
dassi la _Notizia_ delle dignità, dassi la norma per le cose militari:
dispongonsi gl'impieghi degli Ufficiali: si stabiliscono l'accusazioni
criminali: si dichiarano le ragioni del Fisco: si dispongono le cose
appartenenti all'annona, ed a' tributi: si dà providenza al Comune
delle città, a' Professori, agli spettacoli, alle pubbliche opere,
agli ornamenti, ed in somma si prende cura e pensiero di tutto ciò,
che alla pubblica pace e tranquillità possa mai conferire. Nè si
tralasciò la ragion Pontificia, anzi un intero libro si compilò di
varie costituzioni a questa appartenenti, nelle quali varj negozj
ecclesiastici, ed alla religione attinenti, si diffiniscono: in guisa
che non v'è parte della ragion privata, pubblica, o divina, che in
questo Codice non si racchiuda.
I nomi de' Principi, che le proferirono, il luogo, il tempo, le persone
a cui furon indirizzate, perchè non s'invidiasse a' lor Autori la
gloria, e s'evitasse ogni confusione e disordine, non furon soppressi,
ma con ogni diligenza lasciati intatti.
Nondimeno l'opera non riuscì così esatta e compiuta, che in essa non
s'osservino molti difetti ed errori lungo di lor catalogo ne tessè il
diligentissimo Gotofredo[492], che non fa uopo qui rammemorargli; ma
non dee passarsi sotto silenzio quello gravissimo, e non da condonarsi
a Teodosio Principe cristiano, d'avervi anche in esso molte leggi
empie, e alla sua religione in tutto opposte, inserite. Il proponimento
suo fu delle costituzioni de' Principi cristiani solamente far
raccolta, incominciando da quelle del G. Costantino: perciò Prospero
Aquitanio chiamò questo Codice, libro nel quale le leggi de' Principi
legittimi furon raccolte, Principi legittimi appellando egli i Principi
cristiani, delle cui sole costituzioni era composto. In oltre il
suo disegno, ed il fine in compilarlo fu, affinchè potesse servir
nel Foro, e nelle cotidiane controversie allegarsi, e secondo le sue
leggi, quelle terminarsi in tempo, che la religion cristiana erasi già
fermamente nel suo soglio stabilita. Come dunque potrà condonarglisi
d'avere ancor quivi mescolate molte costituzioni di Giuliano apostata,
affatto contrarie a molte altre di Principi cristiani, ed oltre ciò,
del titolo di _Divo_ decorarlo? Come inserirvi quelle costituzioni,
che a' suoi tempi avevan acquistata nota pur troppo chiara d'empietà
e di superstizione, come la _l._ 1. _de paganis_ di Costantino Magno,
nella quale si permette l'uso pubblico dell'Aruspicina, e l'altra
di Valentiniano il Vecchio, per la quale vien permessa la libertà di
qualunque religione, ed approvato anche l'uso dell'Aruspicina[493]?
Leggi ancorchè tollerabili, quando da quelli Principi per dura
necessità si proferirono, da non riferirsi però in un Codice, che
all'uso di un'altra età dovea servire, ed in tempi, nei quali la
religion cristiana avea già poste profonde radici ne' petti umani. Chi
potrà soffrire in esso la _l._ 4, _et_ 6. di Giuliano _de Sepulchris
violatis_, le quali sono piene di superstizione, e di gentilesmo; chi
la _l. ult._ di Valentiniano il Giovane collocata sotto il titolo _de
fide Catholica_, per la quale confermandosi il Conciliabolo d'Arimini
diedesi alla pestilente eresia d'Arrio maggior vigore e forza, che
non le poteron dare gli Autori medesimi, ed i suoi maggiori fautori
e parteggiani? Dovrebbe certamente l'animo suo essere stato rimosso
da questo misfatto, per quello generoso insieme, e pietoso rifiuto di
Benevolo, che ritrovandosi primo Cancelliere dell'Imperadrice Giustina,
l'unica promotrice di quella legge, non volle in alcun modo segnarla,
e contentossi anzi vivere privatamente nelle sue paterne case, che
rimanersi pien di stima in Corte partecipe di opera sì indegna. Chi per
ultimo le leggi da Arcadio promulgate apertamente contra i Cattolici,
e contra Crisostomo, e suoi Joanniti[494]?
Non così certamente si portaron i Compilatori del Codice di
Giustiniano, i quali tutte queste costituzioni rifiutarono, come si
dirà, quando dovrem favellare della compilazione di quello, seguita nel
sesto secolo dell'umana Redenzione.

§. I. _Dell'uso, e autorità di questo Codice nell'Occidente, ed in
queste nostre province._
Compilato adunque che fu in questo anno 438 il Codice di Teodosio, e
per pubblica autorità promulgato, fu subito ricevuto, non meno per
l'Oriente, che per l'Occidente. Nell'Oriente acquistò immantenente
tutto il vigore, perchè Teodosio suo Autore, appena pubblicato, cacciò
fuori una sua _Novella_ diretta a Florenzio Prefetto P. dell'Oriente,
che porta il titolo _de Theodosiani Codicis auctoritate_, per la
quale vietò, che d'allora in poi a niuno fosse lecito nel Foro valersi
delle costituzioni d'altri Principi, se non di coloro, che in questo
Codice fossero inserite: incaricandogli ancora, che per mezzo di
pubblici editti, a tutti i Popoli, ed a tutte le province facesse noto
questo suo divieto, ed alla lor notizia portasse la promulgazione, ed
autorità, ch'egli dava a questo Volume.
Nell'Occidente non fu minore la sua fortuna; ancorchè Teodosio,
come quegli, a cui ubbidiva solamente l'Oriente, non potesse in
queste parti occidentali dargli quell'autorità, che gli diede nel
suo Imperio; nulladimeno, perchè prima con Valentiniano suo Collega
n'aveva egli comunicato il consiglio, anzi di concerto avevan ogni
lor opera a questo stesso fine indirizzata; non tantosto fu quello
ricevuto nell'Oriente, che Valentiniano gli diede tutta l'autorità
e forza nell'Occidente. Ancora avea prima questo Principe mandato a
Teodosio, ed a coloro, che furon eletti alla fabbrica di questo Codice,
suoi scrigni delle costituzioni promulgate in Occidente da' Principi
suoi predecessori, che 'l dominarono[495], ed insieme con esse aveva
raccolte ancora le costituzioni sue, che per tutto l'anno 425 aveva,
risedendo ora in Aquileja, ora in Roma, e finalmente in Ravenna, ove
trasferì la sua sede, promulgate; e fra queste, ancor quella sua famosa
Orazione, che molto all'intento di Teodosio conferiva, per la quale
a' disordini delle tante costituzioni, e de' libri de' Giureconsulti
si dava riparo, la qual Orazione da Teodosio fu inserita in questo
Codice, cioè quella parte solamente, in cui trattavasi de' libri
de' Giureconsulti, riputando superflua l'altra per le costituzioni
de' Principi; imperocchè egli sopra di ciò dava più esatta e minuta
providenza in questo stesso suo Codice.
Per questa cagione Valentiniano gli diede nell'Occidente il medesimo
vigore, che gli avea dato Teodosio nell'Oriente; e se bene non si legge
sopra ciò alcuna speziale sua costituzione, non può nondimeno cadervi
dubbio veruno: poichè anche dopo scorsi diece altri anni, ne' quali
da Teodosio s'erano promulgate molt'altre sue _Novelle_, e che in un
altro volume separato furon pubblicate, Valentiniano con espressa sua
_Novella_[496], la qual è fra le Teodosiane, quelle parimente confermò,
aggiungendovi questa ragione, _ut sicut uterque Orbis individuis
ordinationibus regitur, iisdem quoque legibus temperetur_. Oltre che
il rispetto e l'obbligazioni, che Valentiniano teneva con Teodosio eran
pur troppo grandi, essendo da lui stato creato Augusto, e da poi fatto
suo genero; ond'è, che Valentiniano il soleva chiamar padre, e Teodosio
a lui, suo figliuolo; quindi è, che nell'istessa _Novella_, facendo
menzione di questo Codice, come di già ricevuto nel suo Imperio, con
questi segni di stima ne favelli: _Gloriosissimus Principum Dominus
Theodosius Clementiae meae pater leges a se post Codicem Numinis
sui latas, nuper ad nos, sicut repetitis Constitutionibus caverat,
prosequente sacra praeceptione direxit_. Anzi fu tanta la venerazione,
in cui Valentiniano ebbe questo Codice, che nelle sue _Novelle_, le
quali da tempo in tempo infino all'anno 452 poco prima della sua morte
promulgò, sovente in confermazione de' suoi editti, e per dar loro
maggior autorità, valevasi delle leggi, che nel Codice di Teodosio
eran inserite: così nella Novella[497] 10 dell'anno 451, e nella
_Novella 12 de Episcopali judicio_ del 452, e nell'altra sotto il _tit.
de honoratis etc._ 45 si vede essersi servito delle leggi d'Onorio,
d'Arcadio, e di Graziano, che in questo Codice furono da Teodosio
inserite.
Ma quel che parrà strano, assai più fortunati successi ebbe questo
Codice nell'Occidente, che nell'Oriente: poichè nelle parti orientali
la sua durata non s'estese più, che a novant'anni, cioè fin a' tempi
di Giustiniano, il quale facendosi Autore d'un nuovo Codice, quello
estinse e cancellò; ma nell'Occidente ebbe eziandio presso a quelle
nazioni, che barbare si dicevan, assai miglior fortuna; poichè presso
agli Ostrogoti in Italia, a' Vestrogoti nelle Gallie e nelle Spagne,
e presso a' Borgogni, Franzesi e Longobardi, fu in tanta stima ed
onore avuto, che conforme alle leggi, che in quello si contenevano,
a lor piacque di reggere non pure i Popoli, che soggiogavano, ma loro
medesimi ancora, siccome nel progresso di quest'Istoria ne' seguenti
libri più partitamente dirassi. E per ultimo ne' nostri tempi, e
de' nostri avoli meritò questo Codice, che per la sua sposizione e
rischiaramento s'impiegassero le fatiche de più valorosi e sublimi
ingegni, che fiorissero ne' due ultimi secoli, quando risorto dalle
lunghe tenebre, nelle quali era giaciuto, per opera di Giovanni
Sicardo, che al sentir di Doujat[498] fu il primo, che lo cavò fuori
alla luce del mondo in Basilea, ancorchè assai tronco e mutilato;
ridotto poi in miglior forma nell'anno 1540 in Parigi da Giovanni
Tillio[499] (quegli che da Protonotario della Corte del Parlamento
di Parigi, e ch'ebbe parte nella fabbrica del processo della cotanto
famosa causa del Principe di Condè, fu da poi creato Vescovo di
Meaux) meritò che intorno a tant'opera impiegasse la sua dottrina
e diligenza eziandio l'incomparabile Cujacio; ed alla fine, che con
perpetui, e non mai abbastanza lodati commentarj, ricolmi della più
fina ed elevata erudizione, ponesse tutto se stesso, e tutto il suo
sapere ed accuratezza il diligentissimo Giacopo Gotofredo, il quale
morto al piacere dell'immortal suo nome, dopo le sue cotanto lunghe ed
ostinate fatiche, non potè aver la fortuna di sopravvivere a questa sua
impareggiabil opera, e degna d'immortale ed eterna memoria.
Ecco quali furono le vicende della giurisprudenza romana da' tempi
di Costantino M. insino all'Imperio di Teodosio il Giovane, e di
Valentiniano III suo collega: ecco con quali leggi essi governarono
l'uno e l'altro Imperio. I volumi, che giravan intorno, onde dovean
prendersi ed allegarsi le leggi per le controversie del Foro, ed
insegnarsi nell'Accademie, furono: de' Giureconsulti, i libri di
Papiniano, Paolo, Cajo, Ulpiano, e Modestino tenevano il primo luogo:
i trattati di Scevola, Sabino, Giuliano, Marcello, e degli altri
Giureconsulti celebrati da' sopraddetti cinque nei loro scritti, avevan
parimente tutta l'autorità e forza. Le note di Paolo, e di Ulpiano
fatte al Corpo di Papiniano furon in questi tempi da Valentiniano
rifiutate, ancorchè da poi da Giustiniano ricevute ed ammesse; ma le
sentenze di Paolo sopra ogni altro furono stimate, e di somma autorità
e vigore riputate.
Delle costituzioni de' Principi: i due Codici, Gregoriano ed
Ermogeniano, ne' quali le leggi de' Principi Gentili da Adriano
sin a Diocleziano furon raccolte, facevan in questi tempi piena
autorità, ancorchè per privato studio, senza commission pubblica, da
que' due G. C. fossero stati compilati: le costituzioni de' Principi
quivi raccolte, s'allegavano con piena fiducia nel Foro, e nelle
consultazioni: d'esse si servì, come s'è veduto nel primo libro, S.
Agostino[500], allegando una costituzione d'Antonino registrata nel
Codice Gregoriano: se ne valse l'Autor della collazione delle leggi
mosaiche colle romane, che secondo Gotofredo fiorì nel decorso del
sesto secolo ne' tempi di Cassiodoro; l'adoperò ancora l'Autor di
quell'antica consultazione, ch'oggi fra quelle di Cujacio leggiamo: e
ne' seguenti tempi anche Triboniano; e del loro Compendio, Papiano,
ed altri Scrittori de' tempi più bassi. E per ultimo era tenuto nel
maggior vigore ed autorità il _Codice_ di Teodosio, colle _Novelle_
recentemente da questo Principe, e da Valentiniano suo collega
promulgate.
Questi adunque furon i libri, ne' quali in questa età contenevasi
tutta la ragion civile de' Romani; dai quali ne' Tribunali, e nelle
Accademie, presso a' Professori, e Causidici, e presso a' Magistrati,
e Giudici si prendevan le norme del giudicare, dello scrivere, e
dell'insegnare. Insino a tali tempi non s'udiron leggi straniere in
queste province, che oggi formano il nostro Regno. Il venerando nome
solamente della legge romana era inteso e riverito, e conforme a'
suoi dettami furon quelle rette ed amministrate, fin che non furon
nuovamente infestate da quelle medesime Nazioni, che già in questi
tempi stessi aveanle cominciate a perturbare, le quali ancorchè non
osassero di fare alle romane leggi alcun oltraggio, anzi dassero a
quelle fra loro onorato luogo, non poteron però fra tanti ravvolgimenti
di cose rimaner così intere e salde, che non restassero contaminate,
ed in maggior declinazione, appresso non si vedessero, come si mostrerà
ne' seguenti libri di quest'Istoria.


CAPITOLO VIII.
_Dell'esterior politia ecclesiastica, da' tempi dell'Imperador
Costantino M. infino a Valentiniano III._

Dopo aver Costantino M. abbracciata la religione cristiana, e
posta in riposo la Chiesa, si vide quella in un maggiore esterior
splendore ed in una più ampia e nobile Gerarchia. I Vescovi, che
in que' tre primi secoli, in mezzo alle persecuzioni, nelle città
dell'Imperio governavano le Chiese, ora che pubblicamente da tutti
poteva professarsi questa religione, e che cominciavan ad ergersi
tempj ed altari per mantenere il culto di quella, si videro, secondo
la maggioranza delle città, nelle quali reggevan le Chiese, in varj e
diversi gradi disposti, ed in maggior eminenza costituiti. Cominciarono
perciò a sentirsi i nomi di Metropolitani, di Primati, d'Esarchi,
ovvero Patriarchi, corrispondenti a quelli de' Magistrati secolari,
secondo la maggiore o minor estensione delle province, ch'essi
governavano.
Pietro di Marca Arcivescovo di Parigi[501], Cristiano Lupo Dottor
di Lovanio, Emanuello Schelstrate Teologo d'Anversa, Lione Allacci,
ed altri, con ben grandi apparati sforzaronsi di sostenere, che
così la dignità di Metropolitano, come la Patriarcale, dagli
Apostoli riconoscessero il lor principio, e che da essi fossero
state instituite. Ma Lodovico Ellies Dupin[502] insigne Teologo di
Parigi ben a lungo riprova il lor errore, e confutando gli argomenti
recati dall'Arcivescovo di Parigi, dimostra con assai forti e chiare
pruove, che nè da Cristo, nè da gli Apostoli tali dignità fossero
state instituite: ma che in questi tempi, data che fu la pace da
Costantino alla Chiesa, cominciaron ad instituirsi, e che secondando la
disposizione delle province dell'Imperio, e le condizioni delle città
metropoli di ciascheduna di quelle, fosse stata introdotta nella Chiesa
questa politia e questa nuova Gerarchia.
E la maniera colla quale ciò si facesse, fu cotanto naturale e propria,
che sarebbe stata maraviglia, se altrimenti fosse avvenuto. Già
dalla descrizione delle province dell'Imperio fatta sotto Costantino
s'è ravvisato, che le diocesi, componendosi di più province, avean
alcune città primarie, ovvero metropoli, dalle quali l'altre della
medesima provincia dipendevano: a queste si riportavan tutti i giudicj
dell'altre città minori: a queste per li negozj civili, e per gli
altri affari, come suole avvenire, tutti i provinciali ricorrevano.
La Chiesa, essendo stata fondata nell'Imperio, come dice Ottato
Milevitano, non già l'Imperio nella Chiesa, prese per ciò, data che
le fu pace, nelle cose ecclesiastiche l'istessa politia, adattandosi
a quella medesima disposizione delle province, ed alle condizioni
delle città che ritrovò. Così quando dovea ordinarsi o deporsi
qualche Vescovo, quando nelle Chiese occorreva qualche divisione,
o disordine, quando dovea deliberarsi sopra qualche affare, ch'era
comune a tutte l'altre chiese della provincia, non essendovi gli
Apostoli a' quali prima per queste cose solea aversi ricorso, era
mestiere, che si ricorresse al Vescovo della città metropoli, e Capo
della provincia. Ed in cotal guisa cominciò prima per consuetudine
tratto tratto ad introdursi questa politia; onde la distribuzione delle
Chiese si fece secondo la forma dell'Imperio, e le città metropoli
dell'Imperio divennero anche metropoli della Chiesa, ed i Vescovi, che
vi presedevano, acquistarono sopra l'intere province la potestà, così
d'ordinare, o deporre i Vescovi delle città soggette, e di comporre le
loro discordie, come anche di raunare i Sinodi, e sopra altre bisogne;
ma questa potestà non era assoluta, poichè senza il consiglio de'
Vescovi della stessa provincia niente potevan fare; questa consuetudine
fu nel quarto secolo, e ne' seguenti ancora per molti canoni in alcuni
Concilj stabiliti, confermata; onde tutta la Chiesa al modo della civil
politia fu disposta e distribuita.
Questa distribuzione e Gerarchia della Chiesa, conforme alla politia
dell'Imperio apparirà più chiara e distinta, se avremo innanzi agli
occhi quella disposizione delle diocesi, e delle province, che in
questo libro abbiam descritta sotto l'Imperio di Costantino: quivi
si vide l'Imperio diviso in quattro parti, al governo delle quali
altrettanti moderatori destinati. L'Oriente, l'Illirico, le Gallie e
l'Italia.
(Questa istessa disposizione delle diocesi, e province dell'Imperio,
alla quale si conformò la divisione delle province della Chiesa, viene
parimente descritta da Binghamo[503]).

ORIENTE.
Fu l'Oriente diviso in cinque diocesi, ciascuna delle quali abbracciava
più province, Oriente, Egitto, Asia, Ponto, e Tracia.
La diocesi d'_Oriente_ ebbe per sua città primaria, Capo di tutte
l'altre, _Antiochia_ nella Siria, ond'era ben proprio, che questa
città anche nella politia ecclesiastica innalzasse il capo sopra tutte
l'altre, e che il Vescovo, che reggeva quella Cattedra, s'innalzasse
parimente sopra tutti gli altri Vescovi delle Chiese di tutte quelle
province, delle quali questa diocesi si componeva. Si aggiugneva ancora
l'altra prerogativa d'avere in Antiochia il Capo degli Apostoli S.
Pietro fondata la Chiesa, e predicatovi il primo l'Evangelo; ancorchè
poi gli fosse piaciuto di trasferir la sua cattedra in Roma.
Le province che componevano la diocesi d'Oriente, prima non eran più
che dieci, la Palestina, la Siria, la Fenicia, l'Arabia, la Cilicia,
l'Isauria, la Mesopotamia, Osdroena, Eufrate e Cipro; ma da poi crebbe
il lor numero insin a' quindici; imperocchè la Palestina fu partita
in tre province, la Siria in due, la Cilicia in due, e la Fenicia
parimente in due. Ecco come ora ravviseremo in ciascuna di queste
province i loro Metropolitani, secondo la politia dell'Imperio.
La Palestina, prima che fosse divisa, non riconosceva altra città
sua metropoli, che _Cesarea_; onde il suo Vescovo acquistò le
ragioni di Metropolitano sopra i Vescovi dell'altre città minori: ed
essendo poi stata divisa in più province, ebbe in una per metropoli
la città di _Scitopoli_, e nell'altra quella di _Gerusalemme_; ma
non perchè d'una provincia ne fossero fatte tre, venne, per questa
nuova divisione ed accrescimento di due altre metropoli, a derogarsi
le ragioni di Metropolitano al Vescovo di Cesarea, ma rimasero come
già eran i Vescovi di Scitopoli, e di Gerusalemme suffraganei al
Metropolitano di Cesarea: e quando celebrossi il gran Concilio di
Nicea, ancorchè a Gerusalemme città Santa molti onori e prerogative
fossero state concedute, in niente però vollero quei Padri, che si
recasse pregiudizio al Metropolitano di Cesarea, _Metropoli propria
dignitate servata_, dice il settimo canone di quel Concilio; e non per
altra ragione, se non perchè, essendo una la provincia della Palestina,
e Cesarea antica sua Metropoli, trovandosi acquistate già tutte le
ragioni di Metropolitano da quel Vescovo, non era di dovere, che per
quella nuova divisione venisse a perderle, o a scemarsele. Nè se non
molto tempo da poi, la chiesa di Gerusalemme fu decorata della dignità
Patriarcale, come più innanzi vedremo.
L'altra provincia di questa diocesi fu la Siria, ch'ebbe per metropoli
Antiochia, Capo ancora di tutta la diocese; ma poi divisa in due, oltre
ad Antiochia, riconobbe l'altra, che fu _Apamea_.
La Cilicia, che parimente fu in due province divisa, riconobbe ancora
due metropoli, _Tarso_, ed _Anazarbo_.
La Fenicia, divisa che fu in due province, riconobbe anche due
Metropoli, _Tiro_ e _Damasco_. Eravi ancora nella Fenicia la città
di _Berito_, celebre al Mondo, come s'è veduto nel primo libro, per
la famosa Accademia ivi eretta. Ne' tempi di Teodosio il Giovane,
Eustazio Vescovo di questa città ottenne da quel Principe rescritto,
col quale Berito fu innalzata a Metropoli: per la qual cosa Eustazio
in un Concilio, che di que' tempi si tenne in Costantinopoli,
domandò, ch'essendo la sua città stata fatta metropoli, si dovesse
in conseguenza far nuova divisione delle Chiese di quella provincia,
ed alcune di esse, che prima s'appartenevan al Metropolitano di
Tiro, dovessero alla sua nuova metropoli sottoporsi. Fozio, che si
trovava allora Vescovo di Tiro, scorgendo l'inclinazion di Teodosio,
bisognò per dura necessità, che approvasse la divisione. Ma morto
l'Imperador Teodosio, e succeduto nell'Imperio d'Oriente Marciano,
portò il Vescovo Fozio le sue doglianze al nuovo Imperadore del
torto fattogli, chiedendo, che alla sua città antica metropoli si
restituissero quelle Chiese, che l'erano state tolte. Fece Marciano
nel Concilio di Calcedonia riveder la Causa, e parve a que' Padri, che
tal affare non secondo la nuova disposizione di Teodosio, e secondo
le novelle costituzioni de' Principi dovesse regolarsi, ma a tenor
de' canoni antichi: e lettosi nell'Assemblea il canone del Concilio
Niceno, col quale si stabiliva, che in ciascheduna provincia un solo
fosse il Metropolitano, fu determinato a favor del Vescovo di Tiro, e
restituite alla Cattedra tutte le Chiese di questa provincia: poichè
secondo l'antica disposizione delle province della diocesi d'Oriente,
la Fenicia era una provincia, ed un solo Metropolitano riconobbe.
Così quando i Vescovi volevan intraprendere sopra le ragioni del loro
Metropolitano, solevan ricorrere agl'Imperadori, ed ottener divisione
della provincia, e che la lor città s'innalzasse a metropoli, affinchè
potessero appropriarsi le ragioni di Metropolitano sopra quelle Chiese,
che toglievansi al più antico. In fatti l'Imperador Valente in odio di
Basilio divise la Cappadocia in due parti, e così facendosi nell'altre
province, seguì ancora la divisione delle province della Chiesa, come
testimonia Nazario; perocchè ne' tempi, che seguirono, non fu ritenuto
il rigore del Concilio Niceno, il quale, possiam dire, nella sola
causa di Fozio Vescovo di Tiro essere stat'osservato, giacchè da poi
secondo eran le città dagl'Imperadori innalzate a metropoli, e divise
le province, si mutava per ordinario anche la politia ecclesiastica;
anzi dallo stesso Concilio Calcedonense fu anche ciò permesso,
per quelle parole del _can. 17. Sin autem etiam aliqua Civitas ab
Imperatoria auctoritate innovata fuerit, civiles, et publicas formas,
ecclesiasticarum quoque Parochiarum ordo consequatur._ Quindi poi
nacque, che mutandosi la disposizione e politia dell'Imperio, si videro
anche tante mutazioni nello Stato ecclesiastico, siccome si vedrà
chiaro nel corso di questa Istoria.
In cotal guisa l'altre province ancora di questa diocesi d'Oriente,
come l'Arabia, l'Isauria, la Mesopotamia, Osdroena, Eufrate e Cipro,
secondo la disposizione e politia dell'Imperio riconobbero i loro
Metropolitani, i quali furon così chiamati, perchè presedevan nelle
Chiese delle città principali delle province, e per conseguenza
godevano d'alcune ragioni e prerogative, che non aveano gli altri
Vescovi preposti all'altre Chiese delle città minori della provincia.
Così essi ordinavan i Vescovi eletti dalle Chiese della provincia;
convocavan i Concilj provinciali, ed aveano la soprantendenza e la
cura, perchè nella provincia la fede, e la disciplina si serbasse,
ch'erano le ragioni, e privilegj de' Metropolitani, per li quali si
distingueano sopra i Vescovi: ed in cotal maniera, dopo il Concilio
Niceno, intesero il nome di Metropolitano tutti gli altri Concilj, che
da poi seguirono, e gli altri Scrittori ecclesiastici del quarto, e
quinto secolo.
Egli è ancor vero, che vi furon alcuni Vescovi, ch'ebbero solamente
il nome di Metropolitano, e per sol onore furono così chiamati, non
già perchè ritenessero alcuna di quelle ragioni e prerogative: così il
Vescovo di Nicea solamente per onore ottenne il nome di Metropolitano,
con esser anteposto a tutti gli altri Vescovi di quella provincia;
ma non già restò esente dal Metropolitano di Nicomedia, di cui era
suffraganeo: così anche furon i Vescovi di Calcedonia, e di Berito. E
secondo questo instituto negli ultimi nostri tempi pur veggiamo nel
nostro Regno molti Vescovi come quelli di Nazaret, di Lanciano, e
di Rossano, ed in Sardegna il Vescovo Arborense, o sia d'Oristagni,
i quali per onore godono il titolo di Metropolitano, ancorchè non
avessero provincia, o Vescovo alcuno per suffraganeo.
Il nome d'Arcivescovo non è di potestà, come il Metropolitano, ma solo
di dignità: e prima non soleva darsi, se non a' primi, e più insigni
Vescovi, ed anche molto di rado. Ne' tre primi secoli non s'intese,
nè si legge mai tal nome: cominciò nel quarto secolo a sentirsi,
prima presso ad Atanasio, e da poi in alcuni altri Scrittori, ma di
rado. Nel quinto secolo fu più usitato, e cominciò a darsi a' Vescovi
di Roma, a quelli d'Antiochia, d'Alessandria, di Costantinopoli, di
Gerusalemme, d'Efeso, e di Tessalonica. Nel sesto diedesi anche a quel
di Tiro, d'Apamea, e ad alcuni altri: San Gregorio Magno diede da poi
questo nome a' Vescovi di Corinto, di Cagliari, e di Ravenna: e ne'
seguenti tempi del secolo ottavo fu dato a questi, e ad altri insigni
Metropolitani, come di Nicopoli, di Salona, d'Acquileja, di Cartagine,
e d'altre città. Ma negli ultimi tempi, e ne' secoli men a noi lontani
questo nome promiscuamente se l'attribuirono tutti i Metropolitani
anzi sovente fu dato a' semplici Vescovi, che non erano Metropolitani;
donde avvenne, che presso a' Greci degli ultimi tempi fossero più gli
Arcivescovi che i Metropolitani, perchè fu facile a' semplici Vescovi
d'attribuirsi questo spezioso nome, ma non così facile di sottoporsi le
Chiese altrui. E per questa cagione si veggon ancora nel nostro regno
molti Arcivescovi senza suffraganei: di che più ampiamente tratterassi,
quando della politia ecclesiastica di questi ultimi tempi ci toccherà
ragionare.
Ecco come nelle province della diocesi d'Oriente ravvisiamo
i Metropolitani secondo la disposizione delle città metropoli
dell'Imperio. Ecco ancora come in questa diocesi ravviseremo il suo
Esarca, ovvero _Patriarca_, che fu il Vescovo d'_Antiochia_, come
quegli, che presedendo in questa città, Capo della intera diocesi,
presedeva ancora sopra tutti i Metropolitani di quelle province,
delle quali questa diocesi era composta, e di cui erano le ragioni,
e privilegj patriarcali, cioè d'ordinare i Metropolitani, convocare
i Sinodi diocesani, ed aver la soprantendenza e la cura, che la fede
e la disciplina si serbasse nell'intera diocesi. Prima questi erano
propriamente detti _Esarchi_, perchè alle principali città delle
diocesi erano preposti, e più province sotto di essi avevano: onde
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