Istoria civile del Regno di Napoli, v. 1 - 11
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essa si commettesse a' Correttori, non a' Presidi, Ufficiali a coloro
inferiori. Ma quali fossero stati i Correttori di questa provincia, ed
ove avessero fermata la lor sede, niente può affermarsi di certo. Nel
Codice di Teodosio non si legge alcun imperial editto, che a questi
Correttori fosse stato indirizzato: in Venosa solamente città della
Puglia, fra gli antichi monumenti, che serba, si legge un'iscrizione,
nella quale d'un tal Emilio Restituziano, Correttore della Puglia e
della Calabria, fassi memoria con queste parole[380]:
LUCULLANORUM. PROLE. ROMANA
AEMILIUS. RESTITUTIANUS
V. C. CORRECTOR. APULIAE. ET. CALABRIAE
IN HONOREM
SPLENDIDAE. CIVITATIS. VENUSINORUM
CONSECRAVIT
Simmaco[381] fa anche menzione de'_Correttori_ della Puglia, i quali
impropriamente chiamò anche _Rettori_. Soleasi ancora in luogo di
Correttore mandarsi talora alle province Magistrato d'ugual potere,
che appellavasi _Juridicus_. E di questo nella nostra Puglia ne serbano
ancora la memoria due iscrizioni rapportate da Gutero[382]; in una si
legge:
HERCULI. CONSERVATORI
PRO SALUTE. L. RAGONI
JURIDIC. PER. APULIAM
PRAEF. J. D.
in un'altra ch'è in Roma:
C. SALIO. ARISTAENETO. C. V.
JURIDICO. PER. PICENUM. ET
APULIAM
S'incontrano ancora bene spesso nel Teodosiano Codice molte leggi,
per le quali a' bisogni di questa provincia si diede particolar
provvedimento. Era quella posta (oltre del Correttore, dal quale
immediatamente veniva governata) sotto la disposizione del Prefetto
P. d'Italia, al quale, per via d'appellazione, potevasi aver ricorso;
e se mancano costituzioni dirette a' Correttori, non mancan però di
quelle, che al Prefetto P. d'Italia per lo governo della medesima si
mandavano. Sotto l'Imperio di Valentiniano il Vecchio fu travagliata
ed infestata da' ladroni; in guisa che a quel prudentissimo Principe
fu uopo con severe leggi darvi riparo e proccurarne sollecitamente lo
sterminio, indirizzando a tal fine quella sua costituzione a Rufino
allora P. P. d'Italia in luogo di Mamertino, a cui apparteneva ancora
tener cura di questa provincia, come dell'altre d'Italia, per la
quale costituzione[383] a' mali sì gravi di questa provincia fu dato
opportuno rimedio.
Osservasi parimente in questo Codice un'altra legge dello stesso
Valentiniano data in _Lucera_ nell'anno 365 che porta questa
soscrizione: _VIII. Kal. Octobris. Dat. Luceriae ad Rufinum (in
locum Mamertini) PF. P. Italiae_. Giacomo Gotofredo[384] suspica, che
questa Lucera non fosse quella di Puglia, ma l'altra che nella Gallia
Circumpadana, fra Milano, Verona, ed Aquileja è posta, oggi detta
_Luzara_: ma dall'argomento di quella legge, e da quanto in essa si
contiene intorno a' pascoli, per più veementi conghietture dobbiamo
creder'esser questa di Puglia, siccome quella che tiene i più ubertosi
e piani campi, che altra regione non ebbe giammai, per la pastura degli
armenti e delle gregge assai celebri e considerabilissimi presso a'
Romani, ed appo tutti i Scrittori delle cose rusticane e pastorali, e
che anche tengono il vanto presso di tutte le regioni d'Europa. Ma ciò
che sia di questo, egli è certissimo, che non minore dell'altre, fu
la cura di questa provincia appo gli altri Imperadori occidentali, a'
quali il governo dell'Italia s'apparteneva.
Era la Puglia e la Calabria ne' tempi d'Onorio molto infestata da'
Giudei, i quali licenziosamente vivendo, di non poca confusione eran
cagione, e non piccol detrimento da essi si recava alla religione
cristiana: ritrovavasi in questo medesimo tempo Prefetto P. d'Italia
_Teodoro_, uomo religiosissimo, appo il quale pari era l'abbominazione
a questa nazione, che l'amore ardentissimo verso la religione
cristiana; tanto che meritò quella stima, che della di lui persona
ebbe S. Agostino, dedicandogli quel suo libro intitolato _de vita
beata_, com'egli stesso testifica[385]. Per dare a tanti mali qualche
compenso proccurò Teodoro, che si reprimesse in questa provincia tanta
insolenza e licenziosa vita de' Giudei; onde nell'anno 398 ottenne
da Onorio quella cotanto laudevole, e non mai a bastanza celebrata
costituzione[386], colla quale fu repressa la lor insolenza ed a ben
dure condizioni gli sottopose.
Da Onorio eziandio fu a questa provincia nell'anno 413 conceduta
l'immunità e qualche indulgenza de' tributi, come si legge in una
sua costituzione[387], di cui a più opportuno luogo ragioneremo:
e non mancan ancora altre costituzioni riguardanti il governo e
retta amministrazione che gli altri Principi presero di sì vasta e
considerabile provincia, a' Prefetti d'Italia indirizzate, delle quali
secondo l'opportunità farem parola.
§. III. _Della Lucania e Bruzj, e suoi Correttori._
La Lucania stese i suoi ampj confini molto più, che oggi non si
mirano: incominciando dal fiume Silaro abbracciava non pur quel ch'ora
appellasi _Basilicata_, ma dall'altra parte si dilungava infin a
Salerno, anzi questa stessa città era dentro a' suoi confini, poichè i
Correttori della Lucania anche quivi solevano risedere. A lei in quanto
all'amministrazione furon congiunti i Bruzj, che s'estendevano oltre a
Reggio fino allo stretto siciliano nell'ultima punta d'Italia.
Erano i Lucani, e' Bruzj sotto un solo Moderatore. Il Correttore,
che dagl'Imperadori si mandava al governo di queste regioni, reggeva
con piena autorità amendue queste province. La sua dignità ancorchè
non tanta quanto quella de' Consolari, era di gran lunga superiore al
grado de' Presidi, e solamente eran dipendenti e sottoposti a' Prefetti
d'Italia, ed a' Vicarj di Roma, a' quali potea aversi ritorso.
La loro sede era collocata nella città di Reggio, capo e metropoli di
questa provincia, avvegnachè talora solessero i Correttori trasferirla
anche in Salerno nella Lucania, secondo richiedeva il bisogno de'
pubblici affari. Quindi è, che in queste due città ancor oggi si
veggano gli avanzi d'alcuni marmi, che a' Correttori erano stati
dirizzati: in Reggio nella chiesa della Cattolica si legge, ancorchè
dal tempo in qualche parte rosa, questa iscrizione.
CORRECTORI. LUCANIAE
ET. BRITTIORUM. INTE
GRITATIS. CONSTANTIAE
MODERATIONIS. ANTI-
STI. ORDO. POPULUSQUE
RHEGINUS
E nella città di Salerno in un arco, che prima era, ove oggi è il
sedile di Portaretese, vi s'osservavano alcune statue di marmo sopra le
loro basi, in una delle quali si leggevano queste parole[388].
ANNIO. VITTORINO, V. C
CORRECTORI. LUCANIAE
ET. BRUTIORUM. OB
INSIGNEM. BENEVOLEN
TIAM. EJUS. ORDO. POPU-
LUSQUE. SALERNITANUS
Solevano gl'Imperadori eziandio a questi Correttori indirizzare le loro
costituzioni, che per utilità delle province, e per dar compenso a'
disordini, che ivi nascevano, sovente eran costretti di promulgare; e
può pregiarsi questa provincia sopra l'altre, che le prime leggi, che
Costantino M. dopo sconfitto Massenzio promulgasse per Italia, fossero
quelle, che a' Correttori della Lucania, e de' Bruzj si mandarono:
tanto che a noi è più antica la memoria de' Correttori di questa
provincia, che de' Consolari della Campagna.
Il primo, che ne' primi anni dell'Imperio d'Italia di Costantino
reggesse questa provincia, fu _Claudio Plotiano_, al quale fin
dall'anno 313 poco dopo la sconfitta di Massenzio dirizzò Costantino,
stando in Treveri, quelle due costituzioni, che si leggono nel Codice
di Teodosio[389], per le quali diede nuova forma e modo alle consulte,
che solevan i Giudici dubbiosi fare all'Imperadore nelle cause de'
privati.
Succedè a Claudio nell'anno 316 _Mechilio Ilariano_, a cui da
Costantino in quest'istesso anno fu mandata quella legge, che nel
Codice di Teodosio[390] vedesi sotto il _tit. de Decur._, e che dal
nostro Giustiniano portando l'istessa iscrizione d'Ilariano Correttore
della Lucania e de' Bruzj, fu inserita nel suo Codice sotto il
medesimo titolo[391]. Ed a quest'istesso Correttore s'indirizzò l'altra
costituzione di Costantino, che si legge sotto il _tit. ad l. Corn. de
Falso_ nel Teodosiano[392].
Ad Ilariano succedè nel 319 alla dignità di Correttore di Lucania,
_Ottaviano_, al quale, risedendo egli in Reggio, dirizzò Costantino
M. la _l. 1. de Filiis Milit. apparit._ che fu letta ed accettata in
Reggio, poichè quivi era la sede de' Correttori[393].
Ma niun'altra memoria è sì chiara ed illustre, che faccia vedere in
quanta stima ed eminenza fossero i Correttori della Lucania, quanto
quella famosa e celebre costituzione di Costantino, che si legge nel
Codice di Teodosio[394] sotto il _tit. de Episcopis_, che a questo
Ottaviano Correttore nella Lucania in quest'anno 319, dirizzò; per
la quale rendè i Cherici immuni da' pesi civili, affinchè non si
distogliessero dagli ossequj delle cose sacre e divine. Costantino una
consimile legge dettata coll'istesse parole, aveva dirizzata sette
anni prima ad Anulino Proconsole dell'Affrica; e come accuratamente
notò Gotofredo, quella costituzione era simile, non però la stessa,
che poi mandossi ad Ottaviano: quella fu proferita molti anni prima,
cioè nell'anno 315 ovvero nel fine dell'anno 312; questa nell'anno 319;
quella fu indirizzata ad altro Magistrato, cioè ad Anulino: questa
ad Ottaviano; quella apparteneva ad altra parte del suo Imperio,
cioè all'Affrica, della quale allora Anulino era Proconsole; questa
alla Lucania, ed a' Bruzj, della quale Ottaviano era Correttore. Fu
tal rinomata costituzione pretermessa da Giustiniano nel suo Codice,
perchè in esso molte consimili lessi s'inserirono: ma ben dal Cardinal
Baronio[395] vien riferita, e nell'istesso anno 319 fu puntualmente
notata.
Quali fossero i Correttori di Lucania sotto l'Imperio di Costante, di
Costanzo, e di Giuliano, non vi è di loro memoria alcuna; non potendo
noi mostrare alcun editto, che da questi Principi fosse stato a costoro
indirizzato: ma non mancan però loro costituzioni spedite a' Prefetti
d'Italia, le quali mostrano quanta cura e sollecitudine avessero delle
cose d'Italia, e di questa provincia in particolare.
Ma de' Correttori della Lucania, che sotto Valentiniano ebbero il
governo e l'amministrazione di questa provincia, ben possiamo dal
lungo e profondo obblio trar fuori i loro nomi. _Artemio_ fu il primo,
quegli, di cui sovente s'incontrano memorie nell'istoria d'Ammiano
Marcellino[396]: a costui, risedendo Valentiniano in Aquileja,
indirizzossi nel 364 quella costituzione che sotto il _tit. de privil.
Apparit. Magistr._ leggiamo. E dall'iscrizione di questa legge si vede,
che quest'Artemio trasferisse sovente la sua residenza in Salerno,
poichè in Salerno fu quella letta ed accettata. A quest'Artemio stesso
furono da Valentiniano, permanendo ancora in Aquileja, indirizzate in
questo medesimo anno la _l. 6. de privileg. eor. qui in sacr. palat._,
e la _l. 21. de Cursu publico_.
Ma da niun'altra apparirà meglio la dignità e la stima appo
gl'Imperadori, de' Correttori della Lucania, e di questo Artemio,
quanto da quella costituzione[397] non abbastanza celebrata di
Valentiniano I. che sotto il _tit. de officio Rectoris Provinciae_
si vede. Fu quella, quando ancora questo Principe risedeva in
Aquileja, nell'anno 364 indirizzata ad Artemio. I più ragguardevoli
e chiari titoli, che dalla generosità e magnanimità d'alcun Principe
possono sperarsi, eran profusamente a questo Correttor della Lucania
conceduti: _Carissime nobis_: _Gravitas tua_: _Sublimitas tua_, ed
altri consimili, eran i più frequentati. A costui indirizzò quella
costituzione, nella quale inculcava ai Giudici l'integrità e la
diligenza nella spedizione delle liti: che dovessero conoscere e
deliberar nelle cause, o si trattasse della vita, o delle sostanze
degli uomini, pubblicamente e nel cospetto e sotto gli occhi di
tutti, non privatamente e ne' secreti delle case, ove davasi luogo
a' negoziati ed a' traffichi: che le sentenze una volta proferite,
dovessero pubblicarsi e leggersi al cospetto di tutti, perchè sotto gli
occhi d'ogn'uno si ponesse ciò che i Giudici faceano, e se secondo le
leggi e l'ordine della verità avesser giudicato, ovvero perversamente
e per gratificare l'una delle parti; ond'è che ne' Tribunali di questo
Regno fu sempre, ed ancor oggi dura lo stile di leggersi e pubblicarsi
le sentenze, ancorchè ridotto ora a pura cerimonia e formalità. Proibì
a cotali Giudici i pubblici spettacoli ed i giocosi trattenimenti,
acciocchè non si allontanassero e trascurassero la cura dalla pubblica
e privata utilità, e si sottraessero perciò dagli atti serj e gravi.
Sotto Valentiniano I. ancora resse la Lucania e' Bruzj _Simmaco_, che
succedè ad Artemio nel seguente anno 365. Quella costituzione[398] che
sotto il _tit. de Cursu publico_, si legge nel _C. Teod._ fu, mentre
questo Principe era in Milano, mandata a Simmaco allora Correttore
di questa provincia. Nè d'altri Correttori della Lucania più innanzi
trovasi vestigio in quel Codice, e non pur sotto questo, ma nè anche
ne' tempi degli altri Imperadori, che seguirono: poichè, se bene sotto
il _tit. de contr. empt._ si legga una costituzione[399] di Teodosio
M. che porta anche il nome di Valentiniano II. accettata e pubblicata
in Reggio nell'anno 384, ed un'altra[400] pur accettata in Reggio sotto
il _tit. de operib. publicis_, non dee però intendersi di Reggio città
posta ne' Bruzj, ma, come nota il diligentissimo Gotofredo, d'un altro
Reggio posto nell'Oriente dodici miglia lontano da Costantinopoli. Il
che si rende manifesto, non solamente perchè all'Imperio di Teodosio M.
non fu assegnata l'Italia, ma quella, essendo toccata coll'Occidente
a Valentiniano II. veniva da costui retta ed amministrata; ma ancora
perchè quelle leggi da Teodosio furono indirizzate, la prima a
_Cinegio_, l'altra a _Cesario_ amendue Prefetti P. dell'Oriente, di
cui Teodosio fu Imperadore. Ed in questo luogo non dee tralasciarsi di
notare il costume degl'Imperadori di questi tempi, i quali, ancorchè
diviso fra loro l'orbe romano, ciascuno reggesse la sua parte, nè
dell'altra s'impacciasse, con tutto ciò le leggi, che da essi ne' loro
dominj si promulgavano, portavan il nome di tutti que' Imperadori, che
allora reggevano l'Imperio, avvegnachè da uno solamente fosse stata
ordinata[401]: siccome ne' pubblici monumenti s'osserva, che quantunque
l'opera ad un solo fosse stata eretta, porta nondimeno il nome di
tutti gl'Imperadori regnanti. L'ignoranza del qual costume fu cagione
a molti Scrittori di gravissimi errori, e che le leggi d'un Principe
riferissero ad un altro; di che secondo l'opportunità se ne vedranno
gli esempj.
Occorrono ancora nello stesso Codice di Teodosio molte altre
costituzioni de' Principi, le quali (se bene non dirette a' Correttori
di questa provincia, ma o a' Prefetti d'Italia, ovvero ad altri
Magistrati) mostrano de' Lucani, e de' Bruzj aver somma cura e
providenza tenuta. Dovevano questi Popoli, come tutti gli altri di
queste province, portare il vino in Roma per provvedere all'annona
di quella città: ma come che da questa eran alquanto lontani, fu loro
conceduto, che potessero soddisfare in danaro ciò ch'essi eran tenuti
in vino[402].
Onorio concedè loro anche l'immunità de' tributi e gabelle, come si
vede da quella sua costituzione[403], che sotto il _tit. de indulg.
debit._ leggesi nel Codice di Teodosio. E fin qui sia detto abbastanza
della Lucania e de' Bruzj, e suoi Correttori.
§. IV. _Del Sannio, e suoi Presidi._
Tiene l'ultimo luogo il Sannio, provincia ancorchè assai nota ed
illustre presso agli antichi Romani per la ferocia e valore de' suoi
Popoli, e per la felicità delle lor armi, che spesso ebbero il vanto
d'abbatter quelle de' Romani stessi, non fu però decorata ne' tempi
più bassi d'altri Magistrati, che de' Presidi, inferiori in dignità a
tutti gli altri Moderatori di province. Sortì per tanto la condizione
di provincia Presidiale, e perchè rade volte solevan gli Imperadori
indirizzar le loro costituzioni a' Presidi, perciò di essi, e de'
loro nomi è a noi affatto incerta ed oscura la memoria. Varj furono
i suoi confini, secondo il variar de' tempi. Paolo Diacono la ripone
fra la Campagna, il mare Adriatico, e la Puglia; e fuvvi tempo, nel
quale abbracciava molto più di ciò ch'ora comprendon l'Abbruzzi, il
Contado di Molise, e la Valle Beneventana. Le sue più rinomate città
furon Isernia, Sepino, Theate, oggi Chieti, Venafro, Telesia, Bojano,
Afidena, e Sannio, che diede il nome all'intera provincia.
Era questa provincia, oltre del Preside, da cui immediatamente
reggevasi, sotto la disposizione e governo del Prefetto P. d'Italia,
e del Vicario di Roma. Nè fu trascurata da Valentiniano il Vecchio,
il quale, essendo pervenuto a sua notizia, che veniva infestata da'
ladroni, pensò tosto al riparo, mandando per quest'effetto al Prefetto
suddetto d'Italia quella costituzione[404], che oggi ancor si legge nel
C. Teodosiano.
Non fu eziandio trascurata da Onorio, il quale nell'anno 413 concedè
a questa provincia non mediocremente aggravata, alcun rilascio di
tributi, come dalla costituzione[405] di quest'Imperadore che dirizzata
al Prefetto suddetto d'Italia leggiamo nel Codice di Teodosio. Nè
mancan altre leggi, per le quali diedesi dagli altri Imperadori
providenza a gli affari di questa provincia, dirette a' Prefetti
d'Italia, a' quali era sottoposta.
CAPITOLO IV.
_Prima invasione de' Vestrogoti a' tempi d'Onorio._
Non sentirono queste province nel Regno di Costantino, nè degli altri
suoi sucessori, infin ad Onorio, que' mali e quelle calamità ch'avevan
già cominciato a portare i Goti nell'altre province dell'Imperio.
Questi Popoli, usciti dalla Scandinavia ne' tempi di Costantino M. e
prima ancora, vissero in comune fortuna, quantunque sotto un sol Capo
militassero, fino a _Ermanarico_, che si fece loro Re, ma morto costui,
fra di loro si divisero, e ne' tempi di Valente Imperadore, quelli, che
chiamavansi Vestrogoti s'elessero per lor Capitano _Fridigerno_, e poi
per loro Re _Atanarico_. Teodosio il Grande, amator della pace, seppe
sì ben contenergli ne' loro limiti, che con essi non pur ebbe continua
pace, ma gli ridusse in tale stato, che morto Atanarico loro Re, senza
prendersi essi cura di eleggerne un altro, tutti si sottoposero al
romano Imperio, e fecero della milizia un sol corpo, militando sotto
l'insegne di Teodosio, che gli ebbe per suoi confederati ed ausiliarj.
Ma estinto questo Principe nell'anno 395 e succeduto all'Imperio
d'Oriente Arcadio suo figliuol maggiore, e reggendosi l'Occidente
dall'altro suo figliuolo Onorio, cominciaron questi Principi,
lussuriosamente vivendo, a turbar la Repubblica, ed a togliere a'
Vestrogoti lor ausiliarj que' doni e quelli stipendj, che Teodosio lor
padre, per contenergli sotto l'Imperio romano e sotto le sue insegne,
largamente avea loro assegnati. Del che malcontenti i Vestrogoti,
e dubitando, che per sì lunga pace potesse nell'ozio snervarsi il
lor valore e fortezza, deliberarono far di presente, ciò che avean
trascurato ne' tempi di Teodosio, creandosi un Re, che fu _Alarico_,
uomo che per la sua bizzaria aveasi appo i suoi acquistato soprannome
d'_audace_; e come quegli, che traeva sua origine dall'illustre stirpe
de' _Balti_, lo riputaron abilissimo a poter con decoro e magnificenza
sostenere la regal dignità. Questi considerando, che di sua maggior
gloria e della sua nazione sarebbe stato acquistar con proprj sudori i
Regni, che viver oziosi e lenti in quelli degli altri, persuase a' suoi
di cercar nuovi paesi per conquistargli; onde raccolto, come potè il
meglio, un competente esercito, avendo superata la Pannonia, il Norico
e la Rezia, entrò in Italia, che trovatala vota di truppe ed in lungo
ozio, con molta celerità cominciò ad invaderla, e presso a Ravenna
fermossi, sede allora dell'Imperio d'Occidente[406].
Avea già Onorio, lasciato Milano, in quest'anno 402 trasferita la sua
residenza in Ravenna, da lui destinata sede dell'Imperio, acciocchè
potesse con più facilità opporsi all'irruzione, che per questa parte
solevan tentare le straniere Nazioni. Ma gli venne cotanto improviso ed
inaspettato quest'insulto degli Vestrogoti, che trovandosi sorpreso,
nè potendo con quella celerità, che sarebbe stata necessaria, ragunar
eserciti per reprimergli, fu obbligato a prestar subitamente orecchio
a' trattati di pace da Alarico offertigli, il quale se bene proccurasse
co' suoi fermarsi in Italia, nulladimeno fu accordato, che dovessero
i Goti abbandonarla, dandosi loro in iscambio l'Aquitania e le
Spagne, province quasi che perdute da Onorio; poichè da Gizerico Re
de' Vandali erano state in gran parte occupate. Consentirono i Goti,
e lasciata l'Italia, alla conquista di quelle regioni erano tutti i
loro animi rivolti; nè per questo lor primo passaggio patì l'Italia
cos'alcuna di male. Ma furon irritati da poi per gl'ingannevoli tratti
di _Stilicone_, il quale presso a Polenzia, città della Liguria,
mentr'essi a tutto altro pensavano, gli attaccò improvisamente; e
quantunque dissipati e vinti[407], nulladimeno ripreso da poi tantosto
animo e raccolti insieme, dall'inganno e dall'ingiuria stimolati,
furiosamente si rivolsero, e lasciando la destinata impresa, posero
in fuga Stilicone col suo esercito, e nella Liguria ritornati,
proseguirono a devastar con quello l'Emilia, la Flaminia, la Toscana,
e tutto ciò che altro lor veniva tra' piedi, fin a Roma trascorrendo,
ove tutto il circostante paese similmente depredarono e saccheggiarono:
alla fine entrati in Roma, la spogliarono solamente, non permettendo
Alarico che s'incendiasse, nè ch'alcuna ingiuria a' tempj si facesse.
Non pur Roma più volte, e le province sopraddette patirono questi
travagli e questi mali, ma non molto da poi l'istesse calamità
sostennero l'altre ancora, che oggi compongon il nostro regno. La
Campagna, la Puglia e la Calabria, la Lucania ed i Bruzj, ed il Sannio
soffersero lo stesso destino. Scorrevano i Goti portando in ogni parte
flagelli, e ruine, nè si fermarono se non arrivati nell'ultima punta
d'Italia, ove trattenuti dallo stretto Siciliano, ne' Bruzj posero la
lor sede: e quivi mentre a nuove imprese della Sicilia, e dell'Affrica
si dispone Alarico, essendosi in quello stretto naufragate le navi, che
per ciò aveva disposte, dall'avversità di sì funesto accidente toccato
amaramente nell'animo, finì suoi giorni con morte immatura presso a
Cosenza, e non mai abbastanza pianto da' suoi, fu nel fondo del fiume
Busento con molte ricchezze depredate in Roma seppellito[408].
La morte d'Alarico fu cagione, che le cose d'Italia, e di queste
nostre province, ripigliando sotto l'imperio dello stesso Onorio
qualche tranquillità, assai pacifiche ritornassero: poichè se bene
_Ataulfo_[409], che ad Alarico suo parente succedè, ritornato in
Roma, avesse a guisa delle locuste raso ciò che in quella città
dopo le tante prede e saccheggiamenti era restato ed avesse da capo
miseramente spogliata l'Italia, ed Onorio esausto di forze non potesse
contrastargli; nientedimeno, essendosi da poi Ataulfo congiunto in
matrimonio con Galla Placidia sorella d'Onorio, potè tanto l'amor,
che portava a questa Principessa, ed il vincolo del nuovo parentado
appresso lui, che racchetatosi con Onorio, tutta libera lasciogli
l'Italia, ed egli co' suoi nelle Gallie fece ritorno, contro a' Franchi
ed a' Borgognoni, che quelle infestavano, portando le sue armi; donde
si gittarono in quelle regioni i primi semi del loro Reame, imperocchè
dopo la morte d'Ataulfo ed indi a poco di _Rigerico_, essendo succeduto
_Vallia_, gli fu da Onorio stabilmente assegnata l'Aquitania con
molt'altre città della provincia di Narbona, ove fermata la residenza
in Tolosa, si dissero Re de' _Vestrogoti_, cioè de' Goti Occidentali,
a differenza degli _Ostrogoti_, che le parti orientali, e l'Italia da
poi signoreggiarono, come più innanzi diremo.
Onorio adunque, morto Alarico e purgata di Goti l'Italia, per la pace
indi fatta con Ataulfo, volendo ristorar de' passati danni queste
province, nell'anno 413 promulgò quella costituzione[410], ch'oggi
ancor leggiamo nel C. di Teodosio. Erano la Campagna, la Toscana,
il Piceno, il Sannio, la Puglia e la Calabria, la Lucania e' Bruzj,
in istato pur troppo lagrimevole ridotte, e perciò risedendo egli
in Ravenna, sede allora dell'Imperio d'Occidente, dirizzò a Giovanni
Prefetto P. d'Italia quella legge, nella quale a tutte queste province
concedè indulgenza di non potere i suoi provinciali esser astretti a
pagare interamente i tributi, ma contentossi, che pagando solamente
la quinta parte di ciò, ch'essi solevano, tutto il resto lor si
rimettesse.
Nè minore ne' seguenti anni fu la cura, che prese Onorio di queste
province; poichè risedendo, come si disse, in Ravenna, molte leggi per
la buona amministrazione di esse promulgò. Sua parimente fu quella data
in Ravenna[411]; per cui passato il decennio si tolse a' testamenti
ogni vigore, la qual oggi pur abbiamo nel Codice di Giustiniano.
E nell'anno 418 nuovo indulto di tributi concedè alla Campagna, al
Piceno, ed alla Toscana; e sinchè visse al riparo delle cose d'Italia
fu tutto inteso e pronto.
Ma essendo egli in Ravenna, nell'anno 423 finì i giorni suoi; onde
Teodosio il Giovane, che nell'Imperio d'Oriente era succeduto ad
Arcadio suo padre[412], quantunque per breve tempo avesse e' solo
governato l'Imperio, fece tantosto dichiarar Augusto, ed Imperador
d'Occidente Valentiniano III. figliuolo di Costanzo, e di Placidia,
la quale dopo la morte d'Ataulfo, restituita ad Onorio, a Costanzo
fu sposata. Valentiniano portatosi in Ravenna, ed indi a poco in
Roma, rassettò molte cose di quella città, e a dar riparo alla
giurisprudenza, ne' suoi tempi già caduta dall'antico splendore, pose
ogni cura; mentre nello stesso tempo Teodosio pensava in Oriente a
ristabilirla nell'Accademia di Costantinopoli; ed alla fabbrica del
nuovo Codice, che dal di lui nome fu detto Teodosiano, avea rivolti i
suoi pensieri.
Questo fu dunque lo stato delle province ch'oggi forman il nostro
Regno, da' tempi di Costantino fino a Valentiniano III., ne' quali
tempi furon dominate da quelli Cesari, a' quali, secondo le varie
divisioni dell'Imperio, l'Italia appartenne: questi sono Costantino M.,
Costante e Costanzo suoi figliuoli, Giuliano, Gioviniano, Valentiniano
I., Valentiniano II., Onorio e Valentiniano III. Furono parimente sotto
la disposizione e governo de' Prefetti d'Italia, e de' Vicarj di Roma.
Ed ebbero in oltre altri più immediati Moderatori: un Consolare, due
Correttori, ed un Preside, da' quali, risedendo nelle province a loro
commesse, eran più da presso rette e governate.
Secondo le leggi romane, e le costituzioni di questi Principi venivan
amministrate; nè il nome d'altre leggi s'udiva. Toltone alcune città,
nelle quali essendo ancor rimaso qualche vestigio dell'antiche ragioni
di Municipio e di Città Confederata, conforme a' loro particolari
istituti si vivea; in ogni provincia non si riconobbero altre leggi,
che quelle de' Romani, alle quali solevan quest'istesse città in
mancanza delle loro municipali, aver ricorso, siccome a' fonti d'ogni
umana e divina ragione. Nè quel primo turbamento, che sotto Alarico
portarono i Vestrogoti a queste nostre province, recò verun oltraggio
alla politia ed alle leggi de' Romani; poichè questo Principe in mezzo
all'armi non potè pensare alle leggi; non fece, che scorrere queste
regioni; e quantunque per qualche tempo si fosse fermato ne' Bruzj,
nuove leggi da lui non furon introdotte. Nè tampoco dopo lui, dal suo
successore Ataulfo, il quale pacificatosi finalmente con Onorio, tutta
libera lasciò a costui l'Italia, la quale egli poscia, e Valentiniano
III. resse ed amministrò, come avean fatto gli altr'Imperadori
inferiori. Ma quali fossero stati i Correttori di questa provincia, ed
ove avessero fermata la lor sede, niente può affermarsi di certo. Nel
Codice di Teodosio non si legge alcun imperial editto, che a questi
Correttori fosse stato indirizzato: in Venosa solamente città della
Puglia, fra gli antichi monumenti, che serba, si legge un'iscrizione,
nella quale d'un tal Emilio Restituziano, Correttore della Puglia e
della Calabria, fassi memoria con queste parole[380]:
LUCULLANORUM. PROLE. ROMANA
AEMILIUS. RESTITUTIANUS
V. C. CORRECTOR. APULIAE. ET. CALABRIAE
IN HONOREM
SPLENDIDAE. CIVITATIS. VENUSINORUM
CONSECRAVIT
Simmaco[381] fa anche menzione de'_Correttori_ della Puglia, i quali
impropriamente chiamò anche _Rettori_. Soleasi ancora in luogo di
Correttore mandarsi talora alle province Magistrato d'ugual potere,
che appellavasi _Juridicus_. E di questo nella nostra Puglia ne serbano
ancora la memoria due iscrizioni rapportate da Gutero[382]; in una si
legge:
HERCULI. CONSERVATORI
PRO SALUTE. L. RAGONI
JURIDIC. PER. APULIAM
PRAEF. J. D.
in un'altra ch'è in Roma:
C. SALIO. ARISTAENETO. C. V.
JURIDICO. PER. PICENUM. ET
APULIAM
S'incontrano ancora bene spesso nel Teodosiano Codice molte leggi,
per le quali a' bisogni di questa provincia si diede particolar
provvedimento. Era quella posta (oltre del Correttore, dal quale
immediatamente veniva governata) sotto la disposizione del Prefetto
P. d'Italia, al quale, per via d'appellazione, potevasi aver ricorso;
e se mancano costituzioni dirette a' Correttori, non mancan però di
quelle, che al Prefetto P. d'Italia per lo governo della medesima si
mandavano. Sotto l'Imperio di Valentiniano il Vecchio fu travagliata
ed infestata da' ladroni; in guisa che a quel prudentissimo Principe
fu uopo con severe leggi darvi riparo e proccurarne sollecitamente lo
sterminio, indirizzando a tal fine quella sua costituzione a Rufino
allora P. P. d'Italia in luogo di Mamertino, a cui apparteneva ancora
tener cura di questa provincia, come dell'altre d'Italia, per la
quale costituzione[383] a' mali sì gravi di questa provincia fu dato
opportuno rimedio.
Osservasi parimente in questo Codice un'altra legge dello stesso
Valentiniano data in _Lucera_ nell'anno 365 che porta questa
soscrizione: _VIII. Kal. Octobris. Dat. Luceriae ad Rufinum (in
locum Mamertini) PF. P. Italiae_. Giacomo Gotofredo[384] suspica, che
questa Lucera non fosse quella di Puglia, ma l'altra che nella Gallia
Circumpadana, fra Milano, Verona, ed Aquileja è posta, oggi detta
_Luzara_: ma dall'argomento di quella legge, e da quanto in essa si
contiene intorno a' pascoli, per più veementi conghietture dobbiamo
creder'esser questa di Puglia, siccome quella che tiene i più ubertosi
e piani campi, che altra regione non ebbe giammai, per la pastura degli
armenti e delle gregge assai celebri e considerabilissimi presso a'
Romani, ed appo tutti i Scrittori delle cose rusticane e pastorali, e
che anche tengono il vanto presso di tutte le regioni d'Europa. Ma ciò
che sia di questo, egli è certissimo, che non minore dell'altre, fu
la cura di questa provincia appo gli altri Imperadori occidentali, a'
quali il governo dell'Italia s'apparteneva.
Era la Puglia e la Calabria ne' tempi d'Onorio molto infestata da'
Giudei, i quali licenziosamente vivendo, di non poca confusione eran
cagione, e non piccol detrimento da essi si recava alla religione
cristiana: ritrovavasi in questo medesimo tempo Prefetto P. d'Italia
_Teodoro_, uomo religiosissimo, appo il quale pari era l'abbominazione
a questa nazione, che l'amore ardentissimo verso la religione
cristiana; tanto che meritò quella stima, che della di lui persona
ebbe S. Agostino, dedicandogli quel suo libro intitolato _de vita
beata_, com'egli stesso testifica[385]. Per dare a tanti mali qualche
compenso proccurò Teodoro, che si reprimesse in questa provincia tanta
insolenza e licenziosa vita de' Giudei; onde nell'anno 398 ottenne
da Onorio quella cotanto laudevole, e non mai a bastanza celebrata
costituzione[386], colla quale fu repressa la lor insolenza ed a ben
dure condizioni gli sottopose.
Da Onorio eziandio fu a questa provincia nell'anno 413 conceduta
l'immunità e qualche indulgenza de' tributi, come si legge in una
sua costituzione[387], di cui a più opportuno luogo ragioneremo:
e non mancan ancora altre costituzioni riguardanti il governo e
retta amministrazione che gli altri Principi presero di sì vasta e
considerabile provincia, a' Prefetti d'Italia indirizzate, delle quali
secondo l'opportunità farem parola.
§. III. _Della Lucania e Bruzj, e suoi Correttori._
La Lucania stese i suoi ampj confini molto più, che oggi non si
mirano: incominciando dal fiume Silaro abbracciava non pur quel ch'ora
appellasi _Basilicata_, ma dall'altra parte si dilungava infin a
Salerno, anzi questa stessa città era dentro a' suoi confini, poichè i
Correttori della Lucania anche quivi solevano risedere. A lei in quanto
all'amministrazione furon congiunti i Bruzj, che s'estendevano oltre a
Reggio fino allo stretto siciliano nell'ultima punta d'Italia.
Erano i Lucani, e' Bruzj sotto un solo Moderatore. Il Correttore,
che dagl'Imperadori si mandava al governo di queste regioni, reggeva
con piena autorità amendue queste province. La sua dignità ancorchè
non tanta quanto quella de' Consolari, era di gran lunga superiore al
grado de' Presidi, e solamente eran dipendenti e sottoposti a' Prefetti
d'Italia, ed a' Vicarj di Roma, a' quali potea aversi ritorso.
La loro sede era collocata nella città di Reggio, capo e metropoli di
questa provincia, avvegnachè talora solessero i Correttori trasferirla
anche in Salerno nella Lucania, secondo richiedeva il bisogno de'
pubblici affari. Quindi è, che in queste due città ancor oggi si
veggano gli avanzi d'alcuni marmi, che a' Correttori erano stati
dirizzati: in Reggio nella chiesa della Cattolica si legge, ancorchè
dal tempo in qualche parte rosa, questa iscrizione.
CORRECTORI. LUCANIAE
ET. BRITTIORUM. INTE
GRITATIS. CONSTANTIAE
MODERATIONIS. ANTI-
STI. ORDO. POPULUSQUE
RHEGINUS
E nella città di Salerno in un arco, che prima era, ove oggi è il
sedile di Portaretese, vi s'osservavano alcune statue di marmo sopra le
loro basi, in una delle quali si leggevano queste parole[388].
ANNIO. VITTORINO, V. C
CORRECTORI. LUCANIAE
ET. BRUTIORUM. OB
INSIGNEM. BENEVOLEN
TIAM. EJUS. ORDO. POPU-
LUSQUE. SALERNITANUS
Solevano gl'Imperadori eziandio a questi Correttori indirizzare le loro
costituzioni, che per utilità delle province, e per dar compenso a'
disordini, che ivi nascevano, sovente eran costretti di promulgare; e
può pregiarsi questa provincia sopra l'altre, che le prime leggi, che
Costantino M. dopo sconfitto Massenzio promulgasse per Italia, fossero
quelle, che a' Correttori della Lucania, e de' Bruzj si mandarono:
tanto che a noi è più antica la memoria de' Correttori di questa
provincia, che de' Consolari della Campagna.
Il primo, che ne' primi anni dell'Imperio d'Italia di Costantino
reggesse questa provincia, fu _Claudio Plotiano_, al quale fin
dall'anno 313 poco dopo la sconfitta di Massenzio dirizzò Costantino,
stando in Treveri, quelle due costituzioni, che si leggono nel Codice
di Teodosio[389], per le quali diede nuova forma e modo alle consulte,
che solevan i Giudici dubbiosi fare all'Imperadore nelle cause de'
privati.
Succedè a Claudio nell'anno 316 _Mechilio Ilariano_, a cui da
Costantino in quest'istesso anno fu mandata quella legge, che nel
Codice di Teodosio[390] vedesi sotto il _tit. de Decur._, e che dal
nostro Giustiniano portando l'istessa iscrizione d'Ilariano Correttore
della Lucania e de' Bruzj, fu inserita nel suo Codice sotto il
medesimo titolo[391]. Ed a quest'istesso Correttore s'indirizzò l'altra
costituzione di Costantino, che si legge sotto il _tit. ad l. Corn. de
Falso_ nel Teodosiano[392].
Ad Ilariano succedè nel 319 alla dignità di Correttore di Lucania,
_Ottaviano_, al quale, risedendo egli in Reggio, dirizzò Costantino
M. la _l. 1. de Filiis Milit. apparit._ che fu letta ed accettata in
Reggio, poichè quivi era la sede de' Correttori[393].
Ma niun'altra memoria è sì chiara ed illustre, che faccia vedere in
quanta stima ed eminenza fossero i Correttori della Lucania, quanto
quella famosa e celebre costituzione di Costantino, che si legge nel
Codice di Teodosio[394] sotto il _tit. de Episcopis_, che a questo
Ottaviano Correttore nella Lucania in quest'anno 319, dirizzò; per
la quale rendè i Cherici immuni da' pesi civili, affinchè non si
distogliessero dagli ossequj delle cose sacre e divine. Costantino una
consimile legge dettata coll'istesse parole, aveva dirizzata sette
anni prima ad Anulino Proconsole dell'Affrica; e come accuratamente
notò Gotofredo, quella costituzione era simile, non però la stessa,
che poi mandossi ad Ottaviano: quella fu proferita molti anni prima,
cioè nell'anno 315 ovvero nel fine dell'anno 312; questa nell'anno 319;
quella fu indirizzata ad altro Magistrato, cioè ad Anulino: questa
ad Ottaviano; quella apparteneva ad altra parte del suo Imperio,
cioè all'Affrica, della quale allora Anulino era Proconsole; questa
alla Lucania, ed a' Bruzj, della quale Ottaviano era Correttore. Fu
tal rinomata costituzione pretermessa da Giustiniano nel suo Codice,
perchè in esso molte consimili lessi s'inserirono: ma ben dal Cardinal
Baronio[395] vien riferita, e nell'istesso anno 319 fu puntualmente
notata.
Quali fossero i Correttori di Lucania sotto l'Imperio di Costante, di
Costanzo, e di Giuliano, non vi è di loro memoria alcuna; non potendo
noi mostrare alcun editto, che da questi Principi fosse stato a costoro
indirizzato: ma non mancan però loro costituzioni spedite a' Prefetti
d'Italia, le quali mostrano quanta cura e sollecitudine avessero delle
cose d'Italia, e di questa provincia in particolare.
Ma de' Correttori della Lucania, che sotto Valentiniano ebbero il
governo e l'amministrazione di questa provincia, ben possiamo dal
lungo e profondo obblio trar fuori i loro nomi. _Artemio_ fu il primo,
quegli, di cui sovente s'incontrano memorie nell'istoria d'Ammiano
Marcellino[396]: a costui, risedendo Valentiniano in Aquileja,
indirizzossi nel 364 quella costituzione che sotto il _tit. de privil.
Apparit. Magistr._ leggiamo. E dall'iscrizione di questa legge si vede,
che quest'Artemio trasferisse sovente la sua residenza in Salerno,
poichè in Salerno fu quella letta ed accettata. A quest'Artemio stesso
furono da Valentiniano, permanendo ancora in Aquileja, indirizzate in
questo medesimo anno la _l. 6. de privileg. eor. qui in sacr. palat._,
e la _l. 21. de Cursu publico_.
Ma da niun'altra apparirà meglio la dignità e la stima appo
gl'Imperadori, de' Correttori della Lucania, e di questo Artemio,
quanto da quella costituzione[397] non abbastanza celebrata di
Valentiniano I. che sotto il _tit. de officio Rectoris Provinciae_
si vede. Fu quella, quando ancora questo Principe risedeva in
Aquileja, nell'anno 364 indirizzata ad Artemio. I più ragguardevoli
e chiari titoli, che dalla generosità e magnanimità d'alcun Principe
possono sperarsi, eran profusamente a questo Correttor della Lucania
conceduti: _Carissime nobis_: _Gravitas tua_: _Sublimitas tua_, ed
altri consimili, eran i più frequentati. A costui indirizzò quella
costituzione, nella quale inculcava ai Giudici l'integrità e la
diligenza nella spedizione delle liti: che dovessero conoscere e
deliberar nelle cause, o si trattasse della vita, o delle sostanze
degli uomini, pubblicamente e nel cospetto e sotto gli occhi di
tutti, non privatamente e ne' secreti delle case, ove davasi luogo
a' negoziati ed a' traffichi: che le sentenze una volta proferite,
dovessero pubblicarsi e leggersi al cospetto di tutti, perchè sotto gli
occhi d'ogn'uno si ponesse ciò che i Giudici faceano, e se secondo le
leggi e l'ordine della verità avesser giudicato, ovvero perversamente
e per gratificare l'una delle parti; ond'è che ne' Tribunali di questo
Regno fu sempre, ed ancor oggi dura lo stile di leggersi e pubblicarsi
le sentenze, ancorchè ridotto ora a pura cerimonia e formalità. Proibì
a cotali Giudici i pubblici spettacoli ed i giocosi trattenimenti,
acciocchè non si allontanassero e trascurassero la cura dalla pubblica
e privata utilità, e si sottraessero perciò dagli atti serj e gravi.
Sotto Valentiniano I. ancora resse la Lucania e' Bruzj _Simmaco_, che
succedè ad Artemio nel seguente anno 365. Quella costituzione[398] che
sotto il _tit. de Cursu publico_, si legge nel _C. Teod._ fu, mentre
questo Principe era in Milano, mandata a Simmaco allora Correttore
di questa provincia. Nè d'altri Correttori della Lucania più innanzi
trovasi vestigio in quel Codice, e non pur sotto questo, ma nè anche
ne' tempi degli altri Imperadori, che seguirono: poichè, se bene sotto
il _tit. de contr. empt._ si legga una costituzione[399] di Teodosio
M. che porta anche il nome di Valentiniano II. accettata e pubblicata
in Reggio nell'anno 384, ed un'altra[400] pur accettata in Reggio sotto
il _tit. de operib. publicis_, non dee però intendersi di Reggio città
posta ne' Bruzj, ma, come nota il diligentissimo Gotofredo, d'un altro
Reggio posto nell'Oriente dodici miglia lontano da Costantinopoli. Il
che si rende manifesto, non solamente perchè all'Imperio di Teodosio M.
non fu assegnata l'Italia, ma quella, essendo toccata coll'Occidente
a Valentiniano II. veniva da costui retta ed amministrata; ma ancora
perchè quelle leggi da Teodosio furono indirizzate, la prima a
_Cinegio_, l'altra a _Cesario_ amendue Prefetti P. dell'Oriente, di
cui Teodosio fu Imperadore. Ed in questo luogo non dee tralasciarsi di
notare il costume degl'Imperadori di questi tempi, i quali, ancorchè
diviso fra loro l'orbe romano, ciascuno reggesse la sua parte, nè
dell'altra s'impacciasse, con tutto ciò le leggi, che da essi ne' loro
dominj si promulgavano, portavan il nome di tutti que' Imperadori, che
allora reggevano l'Imperio, avvegnachè da uno solamente fosse stata
ordinata[401]: siccome ne' pubblici monumenti s'osserva, che quantunque
l'opera ad un solo fosse stata eretta, porta nondimeno il nome di
tutti gl'Imperadori regnanti. L'ignoranza del qual costume fu cagione
a molti Scrittori di gravissimi errori, e che le leggi d'un Principe
riferissero ad un altro; di che secondo l'opportunità se ne vedranno
gli esempj.
Occorrono ancora nello stesso Codice di Teodosio molte altre
costituzioni de' Principi, le quali (se bene non dirette a' Correttori
di questa provincia, ma o a' Prefetti d'Italia, ovvero ad altri
Magistrati) mostrano de' Lucani, e de' Bruzj aver somma cura e
providenza tenuta. Dovevano questi Popoli, come tutti gli altri di
queste province, portare il vino in Roma per provvedere all'annona
di quella città: ma come che da questa eran alquanto lontani, fu loro
conceduto, che potessero soddisfare in danaro ciò ch'essi eran tenuti
in vino[402].
Onorio concedè loro anche l'immunità de' tributi e gabelle, come si
vede da quella sua costituzione[403], che sotto il _tit. de indulg.
debit._ leggesi nel Codice di Teodosio. E fin qui sia detto abbastanza
della Lucania e de' Bruzj, e suoi Correttori.
§. IV. _Del Sannio, e suoi Presidi._
Tiene l'ultimo luogo il Sannio, provincia ancorchè assai nota ed
illustre presso agli antichi Romani per la ferocia e valore de' suoi
Popoli, e per la felicità delle lor armi, che spesso ebbero il vanto
d'abbatter quelle de' Romani stessi, non fu però decorata ne' tempi
più bassi d'altri Magistrati, che de' Presidi, inferiori in dignità a
tutti gli altri Moderatori di province. Sortì per tanto la condizione
di provincia Presidiale, e perchè rade volte solevan gli Imperadori
indirizzar le loro costituzioni a' Presidi, perciò di essi, e de'
loro nomi è a noi affatto incerta ed oscura la memoria. Varj furono
i suoi confini, secondo il variar de' tempi. Paolo Diacono la ripone
fra la Campagna, il mare Adriatico, e la Puglia; e fuvvi tempo, nel
quale abbracciava molto più di ciò ch'ora comprendon l'Abbruzzi, il
Contado di Molise, e la Valle Beneventana. Le sue più rinomate città
furon Isernia, Sepino, Theate, oggi Chieti, Venafro, Telesia, Bojano,
Afidena, e Sannio, che diede il nome all'intera provincia.
Era questa provincia, oltre del Preside, da cui immediatamente
reggevasi, sotto la disposizione e governo del Prefetto P. d'Italia,
e del Vicario di Roma. Nè fu trascurata da Valentiniano il Vecchio,
il quale, essendo pervenuto a sua notizia, che veniva infestata da'
ladroni, pensò tosto al riparo, mandando per quest'effetto al Prefetto
suddetto d'Italia quella costituzione[404], che oggi ancor si legge nel
C. Teodosiano.
Non fu eziandio trascurata da Onorio, il quale nell'anno 413 concedè
a questa provincia non mediocremente aggravata, alcun rilascio di
tributi, come dalla costituzione[405] di quest'Imperadore che dirizzata
al Prefetto suddetto d'Italia leggiamo nel Codice di Teodosio. Nè
mancan altre leggi, per le quali diedesi dagli altri Imperadori
providenza a gli affari di questa provincia, dirette a' Prefetti
d'Italia, a' quali era sottoposta.
CAPITOLO IV.
_Prima invasione de' Vestrogoti a' tempi d'Onorio._
Non sentirono queste province nel Regno di Costantino, nè degli altri
suoi sucessori, infin ad Onorio, que' mali e quelle calamità ch'avevan
già cominciato a portare i Goti nell'altre province dell'Imperio.
Questi Popoli, usciti dalla Scandinavia ne' tempi di Costantino M. e
prima ancora, vissero in comune fortuna, quantunque sotto un sol Capo
militassero, fino a _Ermanarico_, che si fece loro Re, ma morto costui,
fra di loro si divisero, e ne' tempi di Valente Imperadore, quelli, che
chiamavansi Vestrogoti s'elessero per lor Capitano _Fridigerno_, e poi
per loro Re _Atanarico_. Teodosio il Grande, amator della pace, seppe
sì ben contenergli ne' loro limiti, che con essi non pur ebbe continua
pace, ma gli ridusse in tale stato, che morto Atanarico loro Re, senza
prendersi essi cura di eleggerne un altro, tutti si sottoposero al
romano Imperio, e fecero della milizia un sol corpo, militando sotto
l'insegne di Teodosio, che gli ebbe per suoi confederati ed ausiliarj.
Ma estinto questo Principe nell'anno 395 e succeduto all'Imperio
d'Oriente Arcadio suo figliuol maggiore, e reggendosi l'Occidente
dall'altro suo figliuolo Onorio, cominciaron questi Principi,
lussuriosamente vivendo, a turbar la Repubblica, ed a togliere a'
Vestrogoti lor ausiliarj que' doni e quelli stipendj, che Teodosio lor
padre, per contenergli sotto l'Imperio romano e sotto le sue insegne,
largamente avea loro assegnati. Del che malcontenti i Vestrogoti,
e dubitando, che per sì lunga pace potesse nell'ozio snervarsi il
lor valore e fortezza, deliberarono far di presente, ciò che avean
trascurato ne' tempi di Teodosio, creandosi un Re, che fu _Alarico_,
uomo che per la sua bizzaria aveasi appo i suoi acquistato soprannome
d'_audace_; e come quegli, che traeva sua origine dall'illustre stirpe
de' _Balti_, lo riputaron abilissimo a poter con decoro e magnificenza
sostenere la regal dignità. Questi considerando, che di sua maggior
gloria e della sua nazione sarebbe stato acquistar con proprj sudori i
Regni, che viver oziosi e lenti in quelli degli altri, persuase a' suoi
di cercar nuovi paesi per conquistargli; onde raccolto, come potè il
meglio, un competente esercito, avendo superata la Pannonia, il Norico
e la Rezia, entrò in Italia, che trovatala vota di truppe ed in lungo
ozio, con molta celerità cominciò ad invaderla, e presso a Ravenna
fermossi, sede allora dell'Imperio d'Occidente[406].
Avea già Onorio, lasciato Milano, in quest'anno 402 trasferita la sua
residenza in Ravenna, da lui destinata sede dell'Imperio, acciocchè
potesse con più facilità opporsi all'irruzione, che per questa parte
solevan tentare le straniere Nazioni. Ma gli venne cotanto improviso ed
inaspettato quest'insulto degli Vestrogoti, che trovandosi sorpreso,
nè potendo con quella celerità, che sarebbe stata necessaria, ragunar
eserciti per reprimergli, fu obbligato a prestar subitamente orecchio
a' trattati di pace da Alarico offertigli, il quale se bene proccurasse
co' suoi fermarsi in Italia, nulladimeno fu accordato, che dovessero
i Goti abbandonarla, dandosi loro in iscambio l'Aquitania e le
Spagne, province quasi che perdute da Onorio; poichè da Gizerico Re
de' Vandali erano state in gran parte occupate. Consentirono i Goti,
e lasciata l'Italia, alla conquista di quelle regioni erano tutti i
loro animi rivolti; nè per questo lor primo passaggio patì l'Italia
cos'alcuna di male. Ma furon irritati da poi per gl'ingannevoli tratti
di _Stilicone_, il quale presso a Polenzia, città della Liguria,
mentr'essi a tutto altro pensavano, gli attaccò improvisamente; e
quantunque dissipati e vinti[407], nulladimeno ripreso da poi tantosto
animo e raccolti insieme, dall'inganno e dall'ingiuria stimolati,
furiosamente si rivolsero, e lasciando la destinata impresa, posero
in fuga Stilicone col suo esercito, e nella Liguria ritornati,
proseguirono a devastar con quello l'Emilia, la Flaminia, la Toscana,
e tutto ciò che altro lor veniva tra' piedi, fin a Roma trascorrendo,
ove tutto il circostante paese similmente depredarono e saccheggiarono:
alla fine entrati in Roma, la spogliarono solamente, non permettendo
Alarico che s'incendiasse, nè ch'alcuna ingiuria a' tempj si facesse.
Non pur Roma più volte, e le province sopraddette patirono questi
travagli e questi mali, ma non molto da poi l'istesse calamità
sostennero l'altre ancora, che oggi compongon il nostro regno. La
Campagna, la Puglia e la Calabria, la Lucania ed i Bruzj, ed il Sannio
soffersero lo stesso destino. Scorrevano i Goti portando in ogni parte
flagelli, e ruine, nè si fermarono se non arrivati nell'ultima punta
d'Italia, ove trattenuti dallo stretto Siciliano, ne' Bruzj posero la
lor sede: e quivi mentre a nuove imprese della Sicilia, e dell'Affrica
si dispone Alarico, essendosi in quello stretto naufragate le navi, che
per ciò aveva disposte, dall'avversità di sì funesto accidente toccato
amaramente nell'animo, finì suoi giorni con morte immatura presso a
Cosenza, e non mai abbastanza pianto da' suoi, fu nel fondo del fiume
Busento con molte ricchezze depredate in Roma seppellito[408].
La morte d'Alarico fu cagione, che le cose d'Italia, e di queste
nostre province, ripigliando sotto l'imperio dello stesso Onorio
qualche tranquillità, assai pacifiche ritornassero: poichè se bene
_Ataulfo_[409], che ad Alarico suo parente succedè, ritornato in
Roma, avesse a guisa delle locuste raso ciò che in quella città
dopo le tante prede e saccheggiamenti era restato ed avesse da capo
miseramente spogliata l'Italia, ed Onorio esausto di forze non potesse
contrastargli; nientedimeno, essendosi da poi Ataulfo congiunto in
matrimonio con Galla Placidia sorella d'Onorio, potè tanto l'amor,
che portava a questa Principessa, ed il vincolo del nuovo parentado
appresso lui, che racchetatosi con Onorio, tutta libera lasciogli
l'Italia, ed egli co' suoi nelle Gallie fece ritorno, contro a' Franchi
ed a' Borgognoni, che quelle infestavano, portando le sue armi; donde
si gittarono in quelle regioni i primi semi del loro Reame, imperocchè
dopo la morte d'Ataulfo ed indi a poco di _Rigerico_, essendo succeduto
_Vallia_, gli fu da Onorio stabilmente assegnata l'Aquitania con
molt'altre città della provincia di Narbona, ove fermata la residenza
in Tolosa, si dissero Re de' _Vestrogoti_, cioè de' Goti Occidentali,
a differenza degli _Ostrogoti_, che le parti orientali, e l'Italia da
poi signoreggiarono, come più innanzi diremo.
Onorio adunque, morto Alarico e purgata di Goti l'Italia, per la pace
indi fatta con Ataulfo, volendo ristorar de' passati danni queste
province, nell'anno 413 promulgò quella costituzione[410], ch'oggi
ancor leggiamo nel C. di Teodosio. Erano la Campagna, la Toscana,
il Piceno, il Sannio, la Puglia e la Calabria, la Lucania e' Bruzj,
in istato pur troppo lagrimevole ridotte, e perciò risedendo egli
in Ravenna, sede allora dell'Imperio d'Occidente, dirizzò a Giovanni
Prefetto P. d'Italia quella legge, nella quale a tutte queste province
concedè indulgenza di non potere i suoi provinciali esser astretti a
pagare interamente i tributi, ma contentossi, che pagando solamente
la quinta parte di ciò, ch'essi solevano, tutto il resto lor si
rimettesse.
Nè minore ne' seguenti anni fu la cura, che prese Onorio di queste
province; poichè risedendo, come si disse, in Ravenna, molte leggi per
la buona amministrazione di esse promulgò. Sua parimente fu quella data
in Ravenna[411]; per cui passato il decennio si tolse a' testamenti
ogni vigore, la qual oggi pur abbiamo nel Codice di Giustiniano.
E nell'anno 418 nuovo indulto di tributi concedè alla Campagna, al
Piceno, ed alla Toscana; e sinchè visse al riparo delle cose d'Italia
fu tutto inteso e pronto.
Ma essendo egli in Ravenna, nell'anno 423 finì i giorni suoi; onde
Teodosio il Giovane, che nell'Imperio d'Oriente era succeduto ad
Arcadio suo padre[412], quantunque per breve tempo avesse e' solo
governato l'Imperio, fece tantosto dichiarar Augusto, ed Imperador
d'Occidente Valentiniano III. figliuolo di Costanzo, e di Placidia,
la quale dopo la morte d'Ataulfo, restituita ad Onorio, a Costanzo
fu sposata. Valentiniano portatosi in Ravenna, ed indi a poco in
Roma, rassettò molte cose di quella città, e a dar riparo alla
giurisprudenza, ne' suoi tempi già caduta dall'antico splendore, pose
ogni cura; mentre nello stesso tempo Teodosio pensava in Oriente a
ristabilirla nell'Accademia di Costantinopoli; ed alla fabbrica del
nuovo Codice, che dal di lui nome fu detto Teodosiano, avea rivolti i
suoi pensieri.
Questo fu dunque lo stato delle province ch'oggi forman il nostro
Regno, da' tempi di Costantino fino a Valentiniano III., ne' quali
tempi furon dominate da quelli Cesari, a' quali, secondo le varie
divisioni dell'Imperio, l'Italia appartenne: questi sono Costantino M.,
Costante e Costanzo suoi figliuoli, Giuliano, Gioviniano, Valentiniano
I., Valentiniano II., Onorio e Valentiniano III. Furono parimente sotto
la disposizione e governo de' Prefetti d'Italia, e de' Vicarj di Roma.
Ed ebbero in oltre altri più immediati Moderatori: un Consolare, due
Correttori, ed un Preside, da' quali, risedendo nelle province a loro
commesse, eran più da presso rette e governate.
Secondo le leggi romane, e le costituzioni di questi Principi venivan
amministrate; nè il nome d'altre leggi s'udiva. Toltone alcune città,
nelle quali essendo ancor rimaso qualche vestigio dell'antiche ragioni
di Municipio e di Città Confederata, conforme a' loro particolari
istituti si vivea; in ogni provincia non si riconobbero altre leggi,
che quelle de' Romani, alle quali solevan quest'istesse città in
mancanza delle loro municipali, aver ricorso, siccome a' fonti d'ogni
umana e divina ragione. Nè quel primo turbamento, che sotto Alarico
portarono i Vestrogoti a queste nostre province, recò verun oltraggio
alla politia ed alle leggi de' Romani; poichè questo Principe in mezzo
all'armi non potè pensare alle leggi; non fece, che scorrere queste
regioni; e quantunque per qualche tempo si fosse fermato ne' Bruzj,
nuove leggi da lui non furon introdotte. Nè tampoco dopo lui, dal suo
successore Ataulfo, il quale pacificatosi finalmente con Onorio, tutta
libera lasciò a costui l'Italia, la quale egli poscia, e Valentiniano
III. resse ed amministrò, come avean fatto gli altr'Imperadori
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