Istoria civile del Regno di Napoli, v. 1 - 22

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tutto il corpo de' Digesti, e poi arrolando ciascuna delle medesime
sotto quel trattato, o libro del Giureconsulto, onde fu tolta. Fatica
quanto ingegnosa, altrettanto utilissima per poter ben intendere il
vero senso delle medesime; essendo cosa maravigliosa il vedere, come
l'una riceva lume dall'altra, quando sotto i libri, onde furon prese,
si dispongono; il qual lume non potrà mai sperarsi, quando così sparse
si leggono. E ben quest'Autore diffusamente dimostra con più esempli,
quanto conduca l'uso di quell'Indice alla vera interpretazione delle
leggi, e quanto fosse stato commendato da Cujacio suo Maestro, il quale
fu quegli, che l'animò a proseguire questa bell'opera, e di darla alle
stampe. Confermò Cujacio col suo esempio ciò, che da Labitto era stato
dimostrato, mettendo in opera, e riducendo in effetto ciò che colui
aveva insegnato: quindi si vede, che questo incomparabile Giureconsulto
nel commentar le leggi delle Pandette, tenne altro metodo, ed altro
sentiero calcò di quello, che erasi per l'addietro calcato dagli
altri Commentatori: cioè di separare le leggi, e quelle ch'eran
d'Affricano e prese da' suoi libri, unille insieme, e sotto i propri
titoli le dispose, indi con quest'ordine le commentò, come altresì
fece sopra Papiniano, Paolo, Scevola ed alcuni altri Giureconsulti; il
maraviglioso uso del quale, e di quanti comodi sia cagione ben anche
l'intese Antonio Augustino, che compilò un altro non dissimil Indice,
e lo sentono ancora tutti coloro, che della nostra giurisprudenza sono
a fondo intesi.
Piacque in tanto a Triboniano, ed a' suoi Colleghi partire questa
grand'Opera de' Digesti in sette parti principali, distinguerla in
cinquanta libri, e dividerla in 430 titoli. Se vogliam riguardare le
Pandette fiorentine, ch'oggi con molta stima si conservan in Firenze
nella Biblioteca de' Medici, le vedremo in due volumi ben grandi
divise: se bene Crispino[784] rapporta, che anticamente di tutti i 50
libri ne fosse fatto un sol volume; ma quelle, che vanno or attorno per
le mani d'ogn'uno, sortiron varia divisione, secondo le varie edizioni.
Delle molte, ch'oggi s'osservano, e particolarmente in quest'ultimi
nostri tempi, che sono infinite, tre sono le più celebri, e ricevute
nell'Accademie e ne' Tribunali d'Europa. La prima edizione, cioè la
volgare e meno corretta, è quella, della quale si valsero Accursio,
e gli altri antichi Glossatori. La seconda vien detta Norica, ovvero
di Norimberga, ed è quella che Gregorio Aloandro nell'anno 1531 fece
imprimere. La terza appellasi Fiorentina, ovvero Pisana, la quale da
noi deesi a Francesco Taurello, che nell'anno 1553 dalla libreria dei
Medici fece darla alle stampe.
La vulgata partizione di quest'Opera in tre volumi è assai più antica
di ciò, ch'altri crede; poichè fin da' tempi di Pileo, di Bulgaro e di
Azone, per maggior comodità fu in tal maniera divisa[785], essendo la
mole sua così vasta, che comprendendosi in un sol volume, non avrebbe
potuto senza gran disagio leggersi e maneggiarsi. Come poi a ciascun
volume fosse dato il nome, al primo di Digesto Vecchio, al secondo
d'Inforziato ed al terzo di Nuovo, quando tutti e tre nacquero in un
istesso tempo, egli è assai malagevole a recarne la ragione. Essersi
detto il primo vecchio, e l'ultimo nuovo, non sarebbe cosa molto
strana; ma quel di mezzo appellarsi con istrano vocabolo _Inforziato_,
è quello che ha esercitate le penne di più Scrittori, i quali in cose
cotanto tenui han voluto pure abbassare il lor ingegno.
Alcuni han creduto essersi chiamato Inforziato dalla voce greca
φορτίον, che in latino significa _onus_, perchè quel volume contiene le
leggi più obbliganti, come di restituzioni di dote, di tutele, eredità,
alimenti, prestazioni di fidecommissi ed altro[786]. Più tollerabile
è la conghiettura di Bernardo Valtero[787], il quale disse, che
corrottamente siasi così chiamato per vizio degli Scrittori, i quali in
vece d'_Infarcitum_, come posto in mezzo tra 'l vecchio, e 'l nuovo,
lo dissero _Infortiatum_. Ma sopra tutte l'altre, migliore par che
sembri quella d'Alciato, che la riputò voce barbara ed insulsa[788];
ovvero l'altra che ultimamente comunicò a Giovanni Doujat[789] Claudio
Cappellano Dottor della Sorbona e regio Professor di lingua ebraica in
Parigi: questi suspica esser derivato dal Caldeo _Forthiata_, la qual
voce da' Rabini fu sovente presa per significar testamento ed ultima
volontà dell'uomo; onde potè avvenire, che taluno, o per ischerzo,
o per ostentar novità, volendo dir testamento, avesselo chiamato
Inforziato, ed indi, trasferita questa voce a quel volume de' Digesti,
ove de' testamenti si tratta, avesse preso questo nome; ma ciò che
siasi di questo, in cui certamente non sono riposte le ricchezze della
Grecia, rimettendoci in via, egli è costantissimo, che pubblicati i
Digesti da Giustiniano, e sparsi per tutto l'Oriente, essendo stato
commesso a' Prefetti dell'Oriente, dell'Illirico, e della Libia, che
gli notificassero a tutti i Popoli alla loro giurisdizione soggetti,
come è manifesto dalla prefazione, che Giustiniano prepose a' Digesti
ed altrove[790], non poteron però penetrare allora in Italia, ed in
queste nostre regioni, come quelle, che sotto alieno Principe, e sotto
la dominazione de' Goti ancor duravano; nè in questo terreno poteron
esser piantati ed acquistar quella autorità e quella forza, che poi,
dopo il corso di più secoli, fortunatamente ottennero, ed in tanta
stima e riputazione sursero, quanto è quella nella quale oggi si
veggono.

§. III. _Del Secondo Codice di GIUSTINIANO di repetita prelezione._
Posto fine a quest'Opera veramente regia, non perciò quietossi questo
eccelso Principe; egli essendo stato avvertito, che nel compilar
de' Digesti erasi osservato, che molte controversie restavan ancor
indecise negli scritti di quegli antichi Giureconsulti, e che bisognava
terminarle colla sua autorità imperiale; e di vantaggio avendo
egli fra tanto, dopo pubblicato il primo Codice, promulgate altre
sue costituzioni, le quali vagavano sparse, e non affisse ad alcun
volume; ed essendosi osservato eziandio, che molte cose nel Codice già
compilato mancavano; comandò nel seguente anno, che fu l'ottavo del
suo Regno, e propriamente nell'anno 534, che quel Codice s'emendasse e
ritrattasse, con farsene un altro più compiuto e perfetto[791]. Diedesi
per tanto il pensiero a cinque di coloro, ch'intervennero alla fabbrica
de' Digesti, cioè a Triboniano e Doroteo, ed a tre altri Avvocati,
Menna, Costantino e Giovanni: questi secondo l'ordine prescritto loro
da Giustiniano, che si legge nel suo Codice[792], levarono dal primo
quelle costituzioni, che stimaron oziose e superflue, o che fossero
state dalle altre emanate da poi corrette ed abolite.
Erano corsi cinque anni tra il primo Codice e questo secondo, e
nello spazio di questo tempo molte costituzioni eransi da Giustiniano
stabilite. Nel Consolato di Decio, dopo la promulgazione del primo
Codice, ne furon pubblicate da Giustiniano alcune, fra le quali
fu assai famosa quella che leggiamo sotto il _tit. de bon. quae
lib._[793], dove fu generalmente stabilito, che ciò che il figliuolo
altronde acquistava, non _ex paterna substantia_, fosse suo peculio
avventizio, e l'usufrutto solamente fosse del padre, contra ciò, che
nell'antica e mezza giurisprudenza era disposto. Da poi nel Consolato
di Lampadio e d'Oreste furono promulgate quasi tutte le cinquanta
decisioni, che per togliere le controversie ed ambiguità degli antichi
Giureconsulti, piacque a Giustiniano stabilire[794]; molte delle
quali abbiamo sotto il _tit. de usufr._ come la _l. 12_, _13_, _14_,
_15_ e _16_ poichè la _17_, ancorchè sia una delle 50 decisioni,
fu fatta l'anno seguente dopo il Consolato di Lampadio. Non pure in
questo Consolato si promulgaron quasi tutte queste decisioni, ma anche
furon fatte altre costituzioni, come la _l._ 7 che leggiamo sotto
il _tit. de bon. quae lib._ dove fu stabilito, che non s'acquistasse
al padre l'usufrutto delle robe donate al figliuolo dal Principe, o
dall'Imperadrice, e l'altra nobilissima, cioè _l. un. C. de rei ux.
act._ Fu anche in quest'anno 530, che fu il quarto dell'Imperio di
Giustiniano, promulgata quell'altra sua costituzione, che si legge
sotto il _tit. de vet. jur. enucl._ ove, come si disse, Giustiniano
comandò a Triboniano ed a sedici altri Giureconsulti la fabbrica de'
Digesti.
Nell'anno seguente dopo il Consolato di Lampadio, e quinto dell'Imperio
di Giustiniano, ne furon promulgate moltissime, come la _l. 2 de
Constit. pecun._ ove fu abolita l'azione receptizia, la _l. 2 C.
Com. de legat._ ove fu tolta la differenza de' legati e fidecommessi
particolari; la _l. 2 C. de indic. viduit._ dove restò abolita la legge
Giulia Miscella; la _l. 3 C. de Edict. D. Hadrian. toll._, per la quale
si tolse e cancellò l'editto d'Adriano per la vigesima dell'eredità;
e la _l. 4 C. de liber. praet._ ove rimase abolita la differenza
del sesso nell'eseredazione. In questo medesimo anno furono ancora
promulgate quelle nobili costituzioni, cioè la _l. si quis argentum 35
C. de donat._ la _l. ult. C. de jur. delib._ la _l. ult. C. qui pot. in
pign._ ed alcune altre.
Nel secondo anno dopo il Consolato di Lampadio e d'Oreste si pubblicò
la _l. 2 Cod. de vet. jur. enucl._ e nell'anno seguente 533, settimo
del suo Imperio, furon pubblicate l'Instituzioni, e come si disse, un
mese da poi le Pandette. Questi due anni si notano così, perchè furono
senza Consoli.
Aggiunsero perciò i Compilatori in questo nuovo Codice tutte queste
costituzioni, che secondo Balduino[795] e Rittersusio[796] oltrepassano
il numero di 200, promulgate dopo il primo Codice fra lo spazio
di cinque anni, che possono anche vedersi appresso Aloandro nel
catalogo de' Consoli al suo Codice aggiunto, delle quali Francesco
Raguellio[797] ne compilò particolari commentarj: siccome fece anche
Emondo Merillio sopra le 50 decisioni[798]. Per queste si variò non
poco il sistema di varie materie alla nostra giurisprudenza attinenti,
e particolarmente restò variata la dottrina de' peculj, de' legati e
d'altre moltissime cose. Donde ne siegue, siccome anche avvertirono
Balduino[799] e Rittersusio[800], che sia error grave il credere, che
in questo nuovo Codice vi si fossero solamente aggiunte le cinquanta
decisioni, e che toltone queste decisioni, in niente altro discordano
le Pandette da questo Codice _di repetita prelezione_.
Ridotte adunque in questa miglior forma, ed in questo nuovo Codice
le costituzioni de' Principi, nel quale anche furono inserite alcune
costituzioni dei successori di Teodosio e di Valentiniano, come
di Marciano, Lione, Antemio, Zenone, Anastasio e Giustino, comandò
Giustiniano, che il primo Codice non avesse più autorità, nè vigore
alcuno: ma che questo secondo, che ad esempio degli antichi chiamò
_di repetita prelezione_, dovesse solamente ne' Tribunali in fatti i
giudicj aver forza e vigore; nè d'altronde, che da esso, potessero
le costituzioni nel Foro allegarsi, cassando tutte l'altre, che
forse si trovassero andare sparse e vaghe fuori del medesimo; ond'è,
che alcuni assai a proposito avvertirono, che di niun vigore sien
quelle costituzioni di Zenone, o d'altro Imperadore, che non veggiamo
inserite in questo Codice, le quali solo dobbiamo alla diligenza ed
erudizione di qualche Scrittore, che dalle lunghe tenebre, ove eran
sepolte, le cavò fuori, alla luce del Mondo restituendole; molte
delle quali si debbono all'industria di Conzio, di Giacopo Cujacio,
di Dionisio e di Giacopo Gotofredo, e d'alcuni altri eruditi; l'uso
delle quali sarà, non di valersene, come costituzioni di Principi, che
ci facciano legittima autorità, ma solo per ricever da esse qualche
lume per intender meglio le ricevute, e quelle, che per antica usanza
hanno acquistato appresso noi nel Foro forza di legge. E quantunque
la costituzione di Zenone stabilita intorno agli edificj e prospetto
del mare, sia difesa da molti per legittima e d'autorità, cioè, perchè
quella si vede da Giustiniano confermata nelle sue Novelle, e nel
Codice viene dichiarata non essere stata locale, per Costantinopoli
solamente, ma comprendere tutte l'altre province dell'Imperio[801].
Fu cotanto rigido Giustiniano in non volere ammettere altre
costituzioni, che quelle, le quali in questo Codice fossero
insieme unite e congiunte, che tutte quell'altre, che per qualche
grave bisogno, o per dare altra providenza fossero per emanarsi
nell'avvenire, volle che si raccogliessero a parte in altro volume, al
quale si desse il nome non di Codice, ma di _Novelle_ costituzioni,
e che formassero un altro Corpo separato dal suo Codice: onde se
bene il nome di _Codice_, generalmente parlando, potesse convenire
ad ogni libro, _a caudicibus arborum deducto vocabulo_; nulladimeno
i nostri Giureconsulti per antonomasia Codice solamente appellarono
quel libro, ove con certo ordine erano raccolte le costituzioni
imperiali; poichè siccome dopo Cujacio avvertì Gotofredo[802], le
costituzioni e rescritti de' Principi, solevano scriversi ne' Codici
e Pugillari, ch'eran tavole di legno ed anche di rame, o d'avorio,
le quali per conservarne la memoria serbavansi negli Scrigni, o sia
Cancellaria del Principe, ond'è che leggiamo che Teodosio il Giovane,
quando fece compilare il suo Codice, mandò a ricercare a Valentiniano
III le Costituzioni da lui fatte per l'Occidente, che conservava
ne' suoi Scrigni per poterle unire colle sue, e degl'Imperadori suoi
predecessori, e compilarne quel Codice. All'incontro i responsi de'
Prudenti, onde si compilarono i Digesti, soleano scriversi nelle
Membrane, non già in legno, o in rame.
Abolito dunque il primo Codice, del quale se ne estinse affatto la
memoria, a questo secondo si diede tutta l'autorità, ed è quello
ch'oggi ci va per le mani, e del quale si servono tutti i Tribunali,
tutte le Accademie d'Europa, diviso, come ogn'un vede, in dodici
libri, e distinto in 776 titoli. Le sue costituzioni furon quasi tutte
dettate in lingua latina, e contiene le costituzioni di 54 Imperadori,
cominciando da Adriano infino a Giustiniano, siccome è manifesto dal
loro catalogo, che Aloandro e Dionisio Gotofredo prefissero a' loro
Codici. L'Indice delle leggi promulgate da ciascheduno Imperadore pur
lo dobbiamo alla industria e diligenza di Jacopo Labitto e d'Antonio
Agostino, che agli studiosi della nostra giurisprudenza riesce non
men utile e comodo, che quello composto da' medesimi de' responsi de'
Giureconsulti nelle Pandette.
Alcuni han ripreso Giustiniano, Principe cotanto cattolico, che in
questo Codice abbia fatto inserire molte costituzioni non degne della
sua pietà e religione. Il nostro Matteo degli Afflitti seguitando
questo errore scrisse, che molte leggi inique avesse fatte inserire
ne' tre ultimi libri: ma ben ne fu ripreso dal Valenzuola. Altri
dissero, che mal facesse Giustiniano a trasferir nel suo Codice
la legge di Valente contra i Solitarj, ed Amaja non ardisce in ciò
difenderlo: ma si vede chiaro che quella legge non fu stabilita contra
i veri Solitarj, ma contra coloro, che sotto pretesto di religione,
affettando lo esserci, s'univano con quelli per isfuggire i pesi della
Curia. Alcuni altri lo riprendono, perchè molte leggi riguardanti
l'usure ed i repudj stabilisse, con permettergli; ma Godelino[803],
Leotardo[804] ed altri lo difendono. Altri perchè molte leggi attinenti
all'esterior politia ecclesiastica v'inserisse; ma costoro sono degni
di scusa, perocchè non posero mente alla condizione di que' tempi, ne'
quali furono promulgate, ma secondo le massime de' secoli, ne' quali
scrissero, reputarono non convenirsi all'autorità del Principe di
stabilirle; ciò che meglio si vedrà, quando della politia ecclesiastica
di questo secolo tratteremo.

§. IV. _Delle Novelle di GIUSTINIANO._
Se bene abbastanza si fosse proveduto da Giustiniano allo studio
della giurisprudenza con queste tre sue lodevoli opere, cioè
dell'Instituzioni, de' Digesti e del Codice; nulladimeno, come che
col correr degli anni, secondo le varie bisogne e nuove emergenze, fu
d'uopo dar nuove providenze, ed emanar nuove costituzioni, si fece in
modo, che non molto da poi crebbero queste tanto, che bisognò unirle
in un altro volume, il quale delle novelle costituzioni fu detto.
Furon queste di tempo in tempo da Giustiniano emanate, e non già in
sermon latino, come l'altre racchiuse nel Codice, ma quasi tutte in
greca lingua concepute[805], toltane la Nov. 9, 11, 23, 62, 143, 150
che furono dettate in latino[806], nelle quali veramente evvi molto
che desiderare intorno all'eleganza, brevità, gravità e dottrina;
e quanto le costituzioni de' Principi, che da Costantino M. infino
a lui fiorirono, cedono alle costituzioni degli altri più antichi
Imperadori, da Adriano fino a Costantino, tanto queste Novelle di
Giustiniano cedono in brevità ed eleganza alle seconde, in guisa che
s'è sempre retroceduto, ed andato di peggio in peggio, leggendosi
queste ora con molta nausea piene di loquacità, tumide e prive affatto
di quella brevità, gravità ed eleganza delle prime: ma ciò, che più
importa, osservasi nelle medesime una certa incostanza e leggerezza
inescusabile, mutandosi e variandosi ciò, che non molto prima erasi
stabilito, e quel che poco anzi piacque, poco da poi si muta e si
cancella. La qual cosa ha dato motivo a molti di credere, che tanta
instabilità procedesse dalla leggerezza femminile di Teodora moglie di
Giustiniano, che sovente s'intrigava in sì fatte cose; e dall'avarizia
di Triboniano, che per denaro sovente mutava e variava le leggi a sua
posta[807].
Di queste Novelle solamente novantasei furono a notizia degli antichi
nostri Glosatori, ancorchè Giuliano Professor di legge nell'Accademia
di Costantinopoli, poco da poi di Giustiniano, avendole in compendio
ridotte e trasportate dalla greca nella lingua latina, infino al numero
di centoventicinque ne traducesse. Ne' tempi meno a noi lontani ne
furon da Aloandro ritrovate dell'altre, ed infino al numero di 165
accresciute: Giacopo Cujacio n'aggiunse altre tre, tanto che il loro
numero arriva oggi a quello di 168[808].
Ma non dee tralasciarsi d'avvertire, che nell'unire insieme queste
Novelle non fu osservato con esattezza l'ordine de' tempi, scorgendosi
molte di esse, che furono promulgate negli ultimi tempi dell'Imperio
di Giustiniano, esser preposte a quelle, che si fecero prima, ed
all'incontro alcune pubblicate prima, occupare l'ultimo luogo. Così
nel nono anno dell'Imperio di Giustiniano nel Consolato di Belisario,
quando cominciarono a stabilirsi, furono promulgate le Novelle 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18 e nel medesimo
anno ancora la Novella 24, 25, 26, 27, 28, 29, 32, 42, 51, 102, 103,
107, 110, 116, 118 e 157. Nel seguente anno, dopo il Consolato di
Belisario, si promulgò la Novella 19, 20, 21, 22, 31, 38, 39, 40, 43,
45, 122, e nell'anno seguente, undecimo del suo Imperio, si fecero le
Novelle 41, 52, 53, 54, 55, 56, 58, 59, 60, 61 ed altre moltissime.
Nel Consolato di Giovanni, e duodecimo dell'Imperio di Giustiniano,
furon pubblicate le Novelle 63, 64, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74,
76, siccome nell'anno appresso le Novelle 78, 79, 80, 81, 83, 97, 99,
101, 133, 162, e nel seguente, nel Consolato di Giustino, la Novella
98.
Nel Consolato di Basilio, e decimoquinto dell'Imperio di Giustiniano
si proferirono le Novelle 108, 109, 111, 113, 115, 117, 119, 120,
121, 123, 124, 125, 128, 129, 130, 131, 132, 134, 135, 136, 137, 145,
146, 147, 153. Ne' seguenti anni niente da Giustiniano promulgossi;
ma nell'anno 32, ultimo del suo Imperio, fu emanata la Novella 141
onde l'ultima di tutte dee riputarsi questa, come quella, che si fece
nell'anno 558.
Queste Novelle insieme co' tredici editti promulgati di tempo in
tempo da Giustiniano, furono unite e raccolte in un volume, non
per ordine di Giustiniano[809], ma dopo la sua morte per privata
diligenza ed industria, come mostrano Cujacio ed Antonio Agostino,
senza tenersi altr'ordine di quello, che di sopra s'è detto. Fu tutta
opera degl'Interpetri poi dividerle in nove _Collazioni_, le quali
a similitudine de' libri contengono ciascheduna più titoli. E fu
nominato da poi ne' tempi di Bulgaro _Autentico_, o perchè a queste
costituzioni, come quelle, che promulgate dopo le leggi del Codice,
loro si desse maggiore autorità e peso; ovvero, com'è più probabile,
che al paragone dell'Epitome latina fatta da Giuliano, questa
opera, come quella, che conteneva le Novelle intere, e come furon da
Giustiniano promulgate, doveva riputarsi l'origine e l'autentica[810].
Abbiam di queste Novelle tre versioni latine: una antica, della quale
si crede Autore Bulgaro; ma Cujacio[811] ed altri vi dissentiscono:
l'altra fatta da Aloandro: e la terza da Errico Agileo. Non convengono
gli Autori nè nel nome, nè nell'età di questo antico Interpetre.
Alcuni lo credettero, o più antico, ovvero coetaneo di S. Gregorio M.,
allegando e trascrivendo questo Pontefice molti passi di queste Novelle
ne' suoi libri, della quale opinione fu anche Balduino[812]. Ma Antonio
Agostino[813] seguitato da Rittersusio rapporta, che ne' tempi di
Irnerio e di Bulgaro fu per opra di un certo Monaco trovato il volume
greco di queste Novelle, il quale lo tradusse in latino. Fu questi
chiamato Bergonzione Pisano, del quale anche si narra, che traducesse
in latino quelle clausole greche, che si trovano ne' libri de' Digesti.
La traduzione fatta da Aloandro seguì in questo modo: conservavasi in
Firenze un volume MS. delle greche Novelle, dal qual libro fiorentino
fu copiato quello di Bologna: di questo si servì Aloandro, e fu il
primo che diede alle stampe le Novelle greche da lui tradotte in
latino. La prima edizione si fece nell'anno 1531, non senza gloria del
Senato di Norimbergh, il quale somministrò le spese. Errigo Scrimgero
molti anni dopo, avendo avuto in mano in Venezia un altro esemplare
MS. più esatto, che fu del Card. Bessarione, supplì da questo nuovo
volume molto di ciò che mancava nell'edizione di Norimbergh, e stampò
le Novelle in quell'idioma, cioè greco: donde ne nacque poi la terza
traduzione di Errico Agileo, il quale tradusse ancora le Novelle di
Lione; e Conzio ne trasportò ancora alcune altre nella latina favella.
Vernero, ovvero, come i nostri l'appellano, _Irnerio_, con non
picciol comodo degli studiosi, avendole accorciate, a ciascuna legge
del Codice, che per le Novelle venisse corretta, o che trattasse
di simil argomento, aggiunse il ristretto delle medesime, perchè
potesse conoscersi ciò, che su quel soggetto erasi innovato per queste
novissime costituzioni di Giustiniano, che perciò acquistaron il
nome d'_Autentiche_, le quali cautamente debbon co' suoi fonti, onde
derivano, confrontarsi; poichè alle volte si discostano da' medesimi,
e Giorgio Rittersusio[814] figliuolo di Corrado novera 70 luoghi, che
discordano da' loro originali.
È ancora d'avvertire, che in tre cose principalmente differisce dal
Codice questo volume delle Novelle. La prima, che il Codice abbraccia
le costituzioni di più Principi, cominciando da Adriano infino a
Giustiniano; e le Novelle sono costituzioni del solo Giustiniano. La
seconda, che le leggi del Codice furono quasi tutte dettate in sermon
latino, e le Novelle in greco. La terza, che nel Codice le costituzioni
sono ripartite in certe classi e collocate sotto varj titoli, secondo
la varietà del soggetto che trattano, e molte volte ne sono state più
disposte sotto un titolo; quando nel volume delle Novelle ciascheduna
costituzione ha il suo titolo, e furono senz'ordine unite insieme, con
serbarsi solamente l'ordine del tempo: il qual ordine nemmeno fu in
tutto osservato, come di sopra s'è veduto.

§. V. _Dell'uso ed autorità di questi libri in Italia, ed in queste
nostre province._
Quantunque Giustiniano, per queste insigni sue opere, avesse
nell'Oriente oscurata la fama di Teodosio, tanto che s'estinse affatto
il nome del costui Codice, nè altrove, che a questi suoi libri
poteva ricorrersi, o nel Foro, o nell'Accademie, e fossero stati
nell'Imperio d'Oriente questi soli ricevuti, e rifiutati tutti gli
altri; nulladimeno nell'Occidente, ed in Italia precisamente, diversa
fu la lor fortuna; poichè essendo stati da Giustiniano pubblicati negli
ultimi anni del Regno d'Atalarico, mentre ancor durava la dominazione
de' Goti, non furono in Italia, nè in queste nostre province ricevuti,
nè qui, come in alieno terreno, poterono esser piantati e metter
profonde radici; ma si ritennero gli antichi Codici, e gli antichi
libri dei Giureconsulti, ed il Codice di Teodosio niente perdè di stima
e di autorità; anzi appresso gli Vestrogoti per l'autorità d'Alarico,
fu in somma riputazione avuto, tanto che il suo Compendio, che essi
chiamavan Breviario, non pure appresso i medesimi, ma anche appresso
gli Ostrogoti e presso a molte altre Nazioni, come Borgognoni, Francesi
e Longobardi niente perdè di pregio e d'autorità, e ciò ch'era legge
dei Romani, in questi libri era racchiuso.
E se bene dopo la morte d'Atalarico, ed indi a poco d'Amalasunta,
le cose de' Goti in Italia si riducessero ad infelicissimo stato, e
Giustiniano col valore di Belisario riportasse di loro più vittorie,
ed avesse con particolar editto[815] ordinato l'osservanza delle leggi
romane, ne' suoi libri contenute, per tutte le province d'Italia; e
da poi che Belisario nel decim'anno del suo Imperio ebbe espugnata
Napoli, la Puglia, la Calabria, il Sannio e la Campania, avesse tolte
ai Goti queste province: nulladimeno avendo poi costoro sotto Totila,
valorosissimo Principe, ripreso l'antico spirito e valore, e poste in
tanta revoluzione le cose d'Italia, che a tutt'altro potè badarsi, che
alle leggi in mezzo a tant'armi e guerre sì crudeli e feroci, rimasero
perciò di nuovo senza vigore ed autorità alcuna le leggi romane ne'
libri di Giustiniano contenute. E quantunque alla fine negli ultimi
anni del suo Imperio avesse riportata de' medesimi intera vittoria, e
sotto Teja ultimo loro Re gli avesse per mezzo di Narsete interamente
debellati e sconfitti; contuttociò, sopraggiunto non molto da poi dalla
morte, e succedutogli Giustino il Giovane, Principe inettissimo, non
andò guari, che l'Italia passò sotto il dominio dei Longobardi, i quali
seguitando gli esempi de' Goti, non altre leggi riconobbero, se non le
proprie e quelle de' Romani, che nel Codice di Teodosio eran comprese,
e ciò che per tradizione era rimaso delle medesime nella memoria de'
provinciali; nulla curando dei libri di Giustiniano, de' quali poca e
rada era la notizia, come quinci a poco partitamente vedrassi.
Si aggiunse ancora, che non passarono molti anni, che questa medesima
fortuna cominciarono ad avere in Oriente, ove, come diremo ne'
seguenti libri, parte per imperizia ed inezia de' suoi successori,
parte per invidia, vennero in tanta dimenticanza, per le tante altre
compilazioni, che ad emulazione di Giustiniano seguirono, che di questa
di Giustiniano rimase ogni fama oscurata e spenta. E vedi in tanto le
strane vicende delle mondane cose: questa grand'opera di Giustiniano
con tanta cura e studio compilata, che per tutti i secoli avrebbe
dovuto correre gloriosa e immortale, appena mancato il suo Autore,
che restò anch'ella per lo spazio di cinque secoli sepolta in tenebre
densissime, ed in una profonda oblivione: risorta poi in Occidente
a' tempi di Lottario, fu così avventurosa, che alzò i vanni e la fama
sopra tutte l'altre province del Mondo, nè trovò Nazione alcuna culta,
o barbara che fosse, che in somma stima e venerazione non l'avesse, e
che non la preferisse alle medesime loro proprie leggi e costumi.


CAPITOLO IV.
_Espedizione di GIUSTINIANO contra TEODATO Re d'Italia successor
d'ATALARICO._

Dopo aver Giustiniano in così fatta guisa posta l'ultima mano a dar
certa e stabil forma alla giurisprudenza romana, disbrigato dalle
leggi, passa con non disugual fortuna all'armi. Principe così nella
pace, come nella guerra fortunatissimo; poichè, siccome per condurre a
fine quell'impresa delle leggi, quanto magnanima e nobile, altrettanto
ardua e difficile, ebbe ne' suoi tempi Giureconsulti insigni, quali
furono Triboniano, Teofilo, Doroteo, e tutti quegli altri, dei quali
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