Istoria civile del Regno di Napoli, v. 1 - 16

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Gli altri s'appellaron _Cenobiti_, ovvero Religiosi, perchè essi
avevansi prescritte certe regole di vita, ed in comunità vivevano.
Traggon questi la lor origine dagli _Esseni_, ch'era una Setta di
Giudei distinta dai _Terapeuti_, e la maniera del loro vivere era
molto diversa da coloro, siccome quelli, che menavan una vita tutta
contemplativa, e molto divota, della quale Filone[533] appresso Eusebio
fa lungo racconto, descrivendola tutta simile a quella de' nostri
Religiosi.
Il primo lor Duce nella Tebaide fu Antonio. In Grecia Basilio, il
quale gli obbligò a tre voti, che diciamo ora esser essenziali alla
Religione, cioè d'ubbidienza per combattere l'alterigia del nostro
spirito; di castità risguardante i moti nel nostro corpo; e di povertà,
per una totale abbominazione a' beni di fortuna.
(Altri vogliono, che _Basilio_ non fosse stato Institutore di alcun
nuovo Ordine, ma solo il direttore di que' che si erano già resi
Monaci, siccome infra gli altri credette _Binghamo_[534].)
S. Benedetto gl'introdusse in Italia, e propriamente nella nostra
Campagna: ma ciò avvenne nel principio del sesto secolo sotto il Regno
di Totila, di che nei libri, che seguono, ci verrà a proposito di
ragionare più a lungo, come d'una pianta pur troppo in questo nostro
terreno avventurosa, che distese i suoi rami, e dilatò i germogli in
più remote regioni.
S. Pacomio diede anche perfezione all'ordin monastico, ed unì molti
Monasterj in congregazione: loro diede una regola, e fondò monasterj di
donzelle. Erano state già prima introdotte alcune comunità di donzelle,
le quali facevano voto di virginità, e dopo un certo tempo ricevevano
con solennità il velo. Così essendo la vita monastica dell'uno e
dell'altro sesso divenuta più comune, furono stabiliti monasterj, non
solo vicino alle città grandi, ma eziandio dentro le stesse città, ed
in quelli i Monaci viveano in solitudine in mezzo al Mondo, praticando
la loro regola sotto un Abate, ovvero Archimandrita; ed il Monachismo
da Oriente passò in Occidente verso il fine del quarto secolo.
Di questi Cenobiti ne' secoli seguenti ne germogliaron infiniti altri
Ordini di regole diverse, che potranno vedersi presso a Polidoro
Virgilio[535], de' quali nel corso di questa Istoria, secondo
l'opportunità, se ne farà menzione.
S. Agostino pur volle nell'Affrica introdurre un altro Ordine di
regolarità: egli fu l'Autore de' Canonici Regolari, avendo posti in
vita religiosa i suoi Preti della Chiesa d'Ippona. Non gli chiamò nè
Monaci, nè Religiosi, ma Canonici, cioè astretti a regole, ch'eran
mescolate di chericheria, e della pura vita monastica: e fu chiamata
vita apostolica, per l'intento, che s'avea di rinnovare la vita comune
degli Apostoli: eran essi astretti agli accennati tre voti, ed avean
clausura[536].
(_S. Agostino_ vien anche da _Duareno_[537] riputato Autore
de' Canonici Regolari. Ciò che lo stima molto probabile anche
Binghamo[538], se bene _Onofrio Panvinio_[539], ed Ospiniano[540],
credano che fosse stato Autore Papa _Gelasio I_ intorno l'anno 495.
È certo però, che S. Agostino non fu institutore degli Eremiti
Agostiniani, siccome costoro vantano, poichè nè quel Dottore fu
mai Romito, nè si legge aver dettate regole per loro uso, siccome
saviamente ponderò Binghamo[541]. Delle origini ed istituzioni di
tanti nuovi Ordini de' Monaci venuti da poi nel Mondo, oltre Polidoro
Virgilio, son da vedersi Ospiniano[542] e Creccelio[543]).
Sorsero da poi i _Mendicanti_, i quali agli tre descritti voti
aggiunsero il quarto della mendicità, cioè di vivere di elemosina.
Indi seguiron i Fratelli Cavalieri, come furon quelli di S. Giovanni
in Gerusalemme, i Teutonici, i Templarj, che furono sterminati per
Clemente V, i Commendatori di S. Antonio, i Cavalieri di Portaspada,
di Cristo, di S. Lazaro, ed altri annoverati da Polidoro Virgilio, i
quali erano chiamati Fratelli Cavalieri, ovvero Cavalieri Religiosi,
a differenza de' Cavalieri Laici di nobiltà, de' quali tratteremo ne'
seguenti libri di questa Istoria.
Di questi nuovi Ordini di Religiosi ne' tempi, nei quali si
manifestarono, faremo qualche breve racconto: donde non senza stupore
scorgerassi, come in queste nostre province, col correr degli anni,
abbian potuto germogliar tanti e sì varj Ordini, fondandovi sì numerosi
e magnifici monasterj, che ormai occupano la maggior parte della
Repubblica, e de' nostri averi, formando un corpo tanto considerabile,
che ha potuto mutar lo Stato civile e temporale di questo nostro Reame.
In questi secoli, ne' quali siamo di Costantino M. fino a Valentiniano
III niuna alterazione recaron allo Stato politico, perocchè quantunque
molti _Solitarj_ fossero già nel Vescovato di Roma allignati, per
quello che si ricava dalla riferita costituzione di Valentiniano il
Vecchio: ed in queste nostre province fossero ancor penetrati, dove
ristretti in qualche solitudine menavano la lor vita: niente però
portaron di male, o di turbamento allo Stato, nè furon osservati,
nè avuti in alcuna considerazione, e niente perciò s'accrebbe
all'ecclesiastica Gerarchia.
(È manifesto che a questi tempi i Monaci non si appartenevano alla
Gerarchia ecclesiastica, rigettandosi nell'Ordine de' Laici da quel che
ne scrisse _Isaaco Alberto_[544], dicendo: _Monachi quales primo erant
quo extra Ordinem constituti, ad Hierarchiam imperantem non pertinent_.
_Lindano_[545] pur de' Monaci parlando, disse: _Qui omnes sicuti erant
Ordinis Laici, ita una cum reliquis Templi choro, quem dicimus, erant
exclusi_. Insino _Graziano_ confessò, che fino a' tempi di Siricio, e
di Zosimo, _Monachos simpliciter, et non Clericos fuisse, Ecclesiastica
testatur Historia_, come sono le sue parole[546]).
I _Cenobiti_ è manifesto, che, prima di S. Benedetto, eran radissimi,
ed i lor monasterj assai più radi, e di niun conto. Poichè ciò che si
narra del monastero eretto in Napoli da Severo Vescovo di questa città,
che fiorì nell'anno 375 sotto il nome di S. Martino, quando questo
Santo era ancor vivo[547]; dell'altro di S. Gaudioso, che si pretende
fondato da S. Gaudioso stesso Vescovo di Bitinia nell'anno 438, il
qual, fuggendo la persecuzione di Gizerico Re dell'Affrica, si ricoverò
in Napoli[548]; quando quello ebbe i suoi principj circa l'anno 770
da Stefano II Vescovo di questa città[549]: e di alcuni altri fondati
in altre città di queste nostre province[550], e rapportati a questi
tempi, sono tutte favole mal tessute, e da non perderci inutilmente
l'opera ed il tempo in confutarle.

§. II. _Prime collezioni di canoni._
I regolamenti, che tratto tratto, da poi che Costantino diede pace
alla Chiesa, cominciaron a stabilirsi dallo Stato ecclesiastico, se
bene tuttavia per lo corso d'un secolo e mezzo fino a Teodosio il
Giovane e Valentiniano III. moltiplicassero; nulladimeno non davan
in questi tempi alcun sospetto, o gelosia a gl'Imperadori; imperocchè
allora non si poneva in dubbio, ed era cosa ben mille volte confessata,
anzi non mai negata dagli stessi Ecclesiastici, che i Principi per
la loro autorità e protezione, che tenevan della Chiesa, potevano
lodevolmente della stessa canonica disciplina prender cura e pensiero,
ed emendar ciò, che allo Stato avrebbe potuto esser di nocumento e
di disordine: di che ne rende ben ampia e manifesta testimonianza
l'intero libro decimosesto del Codice di Teodosio, compilato unicamente
per dar provvedimento a ciò, che concerneva le persone e le robe
ecclesiastiche.
All'incontro appartenendo, come s'è detto nel primo libro, alla Chiesa
la potestà di far de' canoni attenenti alla di lei disciplina, avendo
già per la pietà di Costantino acquistato maggior splendore, e posta
in una più ampia e numerosa Gerarchia, ebbe in conseguenza maggior
bisogno di far nuovi regolamenti per buon governo della medesima, e per
accorrere a' disordini, che sempre cagiona la moltitudine: perciò oltre
a' libri del Testamento Vecchio e Nuovo, ed alcuni canoni stabiliti in
varj Sinodi tenuti in quelli tre primi secoli, se ne formaron poi degli
altri in maggior numero ne' Concilj più universali, che si tennero
a questo fine; poichè data che fu pace da Costantino alla Chiesa, fu
più facile, che molte Chiese unite insieme comunicassero e trattassero
sopra ciò, che riguardava la disciplina; poichè intorno a tutti gli
altri affari esteriori, gli Ecclesiastici ubbidivano a' Magistrati, ed
osservavan le leggi civili.
Da questo tempo, e non da più antica origine cominciarono i canoni, de'
quali si formaron da poi più _Collezioni_; poichè quantunque alcuni
abbian creduto, che fin dal principio del nascente Cristianesimo
vi fossero stati alcuni regolamenti fatti dagli Apostoli, che anche
a' nostri dì si veggono raccolti al numero di 85 sotto il titolo di
_Canones Apostolorum_: nulla di meno nè l'opinione del Turriano[551],
che stimò tutti essere stat'opera degli Apostoli, nè quella del Baronio
e del Bellarmino, i quali credettero, che cinquanta solamente di que'
canoni fossero Apostolici sono state da savj Critici abbracciate,
i quali comunemente giudicano esser quella una raccolta d'antichi
canoni, e propriamente de' canoni fatti ne' Concilj congregati prima
del Niceno, come, per non entrare in dispute, potrà vedersi appresso
Guglielmo Beveregio[552], Gabriel d'Aubespine, Lodovico Dupino, ed
altri, e quel ch'è più notabile, Gelasio P. gli dichiara apocrifi nel
can. _Sancta Romana, dist_. 15.
Lo stesso si dice del libro delle costituzioni Apostoliche falsamente
attribuito a S. Clemente, per la grande autorità di quel Santo
Pontefice, o che da prima sia stato supposto sotto il nome di
Clemente, o che da poi fosse stato da Eretici corrotto, egli è certo,
che non tiene alcuna autorità nelle materie di Religione, essendovi
state aggiunte varie cose in diversi tempi; onde se bene in esso
si rappresenti l'intera disciplina, almeno della Chiesa orientale,
conchiudono tuttavia gli uomini più sensati, che non possa esser più
antico del terzo secolo[553]. Ed ancorchè prima di questo tempo dobbiam
credere, che varj Concilj si fossero dagli Ecclesiastici raunati,
secondo le varie occorrenze della purità della dottrina cristiana, o
dell'integrità della disciplina, quanto la persecuzione quasi continua
de' Pagani, e l'infelicità de tempi loro permetteva; nondimeno i veri
canoni di quelli si son perduti, e son tutti apocrifi gli altri, che
si millantano; ed in spezie gli atti del Concilio di Sinuessa per
l'apostasia di Marcellino P., e 'l decreto, che la prima sede da niuno
possa venir giudicata, essere certamente cose tutte apocrife, ben lo
dimostra Baronio[554] per autorità di S. Agostino, come inventato dai
Donatisti; anzi Cironio[555] prova che l'accusa di Marcellino non fu
mai vera: che che ne dica fra' nostri il P. Caracciolo[556].
Finalmente in quanto all'_Epistole_ de' Sommi Pontefici, benchè di
queste se ne trovin antichissime del primo e secondo secolo, pure,
toltone due lettere di S. Clemente a' Corintj, che sono _Ascetiche_ più
tosto, che _Decretali_, oggi è costantissima sentenza de' più diligenti
ed accurati Critici, non dico fra' Protestanti, come Blondello,
e Salmasio, ma tra piissimi Cattolici, come i Cardinali Cusano, e
Baronio, Marca, Petavio, Sirmondo, Labbeo, Tomasino, Pagi, ed altri,
che tutte le _Decretali_, che si leggon scritte da' Pontefici romani
prima di Siricio Papa, che morì nell'anno 398 e che si trovano nella
raccolta d'Isidoro Mercatore, il quale comparve al Mondo verso la fine
dell'Imperio di Carlo Magno, sieno in verità spurie e supposte, e da
quell'impostore a suo talento formate: _de hac Isidori impostura_, dice
Tomasino[557], _inter doctos jam convenit_.
I primi canoni adunque, donde cominciarono le tante Collezioni, sono
quelli, che si trovano ne' Concilj del quarto secolo. I primi Concilj
fra gli Ecumenici furono quel di Nicea in Bitinia, congregato per
ordine di Costantino nell'anno 325, e quello di Costantinopoli per
comandamento di Teodosio M. nell'anno 381. I più antichi de' Concilj
provinciali (benchè variamente se ne fissi l'epoca da Cronologisti,
nè possa additarsene certamente l'anno) furono quel di Gangra nella
Paflagonia, di Neocesarea in Ponto, d'Ancira in Galazia, d'Antiochia in
Siria, e di Laodicea in Frigia: fuor di molti altri fatti in Affrica,
in Ispagna, ed altrove meno rinomati.
Dopo questo tempo, cioè verso la fine del quarto secolo, intorno
l'anno 385 si pubblicò la _prima Collezione di canoni_ per opera d'un
certo Vescovo d'Efeso chiamato Stefano, come su la fede di Cristofano
Justello attesta Pietro di Marca[558]. In essa si veggono cento
sessantacinque canoni presi da que' sette Concilj, due generali, e
cinque provinciali della Chiesa d'Oriente poco fa mentovati, cioè
20 dal Concilio di Nicea, 24 da quello d'Ancira, 14 da quello di
Neocesarea, 20 da quello di Gangra, 25 dal Concilio d'Antiochia, 59
da quello di Laodicea, e 3 da quello di Costantinopoli[559]. Ed è da
notare, che i primi canoni appartenenti alla politia e disciplina
ecclesiastica furono stabiliti nel Concilio d'Ancira celebrato
l'anno 314, poichè negli altri più antichi Concilj solo si trattò di
cose appartenenti a' dogmi, ed alla dottrina della Chiesa. Questa
Collezione, o sia stata fatta da Stefano per proprio studio o per
autorità d'alcun Concilio d'Oriente, non può di certo stabilirsi:
vero è però, che in tal maniera fu applaudita, e così universalmente
ricevuta, che il Concilio di Calcedonia a quella si rapportò, e volle,
che da essa i canoni si leggessero, approvandola con quelle parole:
_Regulas a Sanctis Patribus in unaquaque Synodo usque nunc prolatas
teneri statuimus_[560]. E perchè questi canoni erano tutti scritti in
greco, per comodità delle Chiese occidentali se ne fece una traduzion
latina, il cui Autore è incerto. Nè la Chiesa romana, e le Chiese di
queste nostre province si servirono d'altra raccolta, se non di questa
così tradotta, fino al sesto secolo, quando comparve la Compilazione di
Dionisio il Piccolo: e la Chiesa Gallicana, e Germanica continuarono a
servirsene fin al secolo nono. Ella, secondo Justello, ebbe per titolo:
_Codex Canonum Ecclesiae universae_: e secondo Florente, quest'altro:
_Collectio Canonum Orientalium_.
In processo però di tempo, per una seconda Collezione, o sia Giunta,
autor della quale crede Doujat[561] essere stato l'istesso Vescovo
Stefano, fatta dopo l'anno 451, vi si aggiunsero tutti i sette canoni
del primo Concilio di Costantinopoli, de' quali tre solamente erano
nella prima, otto canoni del Concilio d'Efeso, e ventinove di quello
di Calcedonia, tutti generali; dimodochè tutta questa Collezione era
composta di 206 canoni. Alcun tempo da poi furon aggiunti li canoni
del Concilio di Sardica, e cinquanta degli 89 canoni, che chiamansi
Apostolici, e 68 canoni di S. Basilio; e l'autore di questa nuova
Giunta, o sia Collezione, crede Doujat[562] essere stato Teodoreto
Vescovo di Cirro. È manifesto dunque, che fin ai tempi di Valentiniano
III l'una e l'altra Chiesa non conobbe altri regolamenti, che quelli,
che furon in questo Codice raunati.
Ed è da notare, che non avendo infin a questi tempi la Chiesa niente di
giustizia perfetta, e di giurisdizione, questi regolamenti obbligavano
per la forza della religione, non per temporale costringimento, nè
gli trasgressori eran puniti con pene temporali, ma con censure, ed
altri spirituali gastighi, che poteva imporre la Chiesa: ond'è che i
Padri della Chiesa, quando avean finito il Concilio, dove molti canoni
s'erano stabiliti, perchè fossero da tutti osservati, dubitando,
che per la condizione di que' tempi torbidi e sediziosi, e pieni
di fazioni, particolarmente fra gli Ecclesiastici stessi, i quali
sovente, non ostante le decisioni del Concilio, volevan ostinarsi ne'
loro errori, solevano ricorrere agl'Imperadori, per la cui autorità
erano i Concilj convocati, e dimandar loro che avessero per rato ciò
che nel Concilio erasi stabilito, e comandassero che inviolabilmente
da tutti fossero osservati. Così narra Eusebio[563], che fecero i
Padri del Concilio di Nicea, i quali da Costantino M. ottennero la
conferma de' loro decreti. Ed i Padri del Concilio Costantinopolitano
I, ricorsero all'Imperador Teodosio M. per la conferma de' canoni
di quello[564]. E Marziano Imperadore promulgò un editto, col quale
confermò tutto ciò che dal Concilio di Calcedonia erasi stabilito
con i di lui canoni[565]; e generalmente tutti gli altri Imperadori,
quando volevano, che con effetto si osservassero, solevano per mezzo
delle loro costituzioni comandare, che fossero osservati, e lor davan
forza di legge con inserirgli nelle loro costituzioni, pubblicandogli
colle leggi loro, come è chiaro dal Codice di Teodosio, dalla Raccolta
di Giovanni Scolastico, dal Nomocanone di Fozio, e da ciò, che poi
gli altri Principi d'Occidente, e Giustiniano Imperadore ordinò per
essi, come si conoscerà meglio, quando de' fatti di questo Principe ci
toccherà favellare.

§. III. _Della conoscenza nelle cause._
Lo Stato adunque ecclesiastico ancorchè, da Costantino posto in
tanto splendore, avesse acquistata una più nobile esterior politia,
e fosse accresciuto di suoi regolamenti, non però in questi tempi, e
fino all'età di Giustiniano Imperadore, per quel che s'attiene alla
conoscenza delle cause, trapassò i confini del suo potere spirituale:
egli era ancor ristretto nella conoscenza degli affari della religione,
e della fede, dove giudicava per forma di politia; nella correzion de'
costumi, dove conosceva per via di censure; e sopra le differenze tra'
Cristiani, le quali decideva per forma d'arbitrio, e di caritatevole
composizione.
Non ancora avea la Chiesa acquistata giustizia contenziosa, nè
giurisdizione, nè avea Foro, o territorio nella forma e potere,
ch'ella tien oggi in tutta la Cristianità: poichè quella non dipende
dalle chiavi, nè è propriamente di diritto divino: ma più tosto di
diritto umano e positivo, procedente principalmente dalla concessione o
permissione de' Principi temporali, come si vedrà chiaro nel progresso
di questa Istoria.
Vi è gran differenza tra la spada, e le chiavi, ed ancora tra le chiavi
del Cielo, ed i litigi de' Magistrati: ed i Teologi sono d'accordo che
la tradizione delle chiavi, e la potenza di legare e di sciogliere
data da Cristo Signor nostro a' suoi Apostoli importò solamente la
collazione de' Sacramenti, ed in oltre l'effetto importantissimo della
scomunica, ch'è la sola pena, che ancor oggi possono gli Ecclesiastici
imponere a loro, ed a' laici, oltre all'ingiugnere della penitenza; ma
tutto ciò dipende dalla giustizia, per dir così, penitenziale, non già
dalla pura contenziosa[566]; o più tosto dalla censura e correzione,
che dalla perfetta giurisdizione. Questa porta un costringimento
preciso e formale, che dipende propriamente dalla potenza temporale
de' Principi della terra, i quali, come dice S. Paolo, portano la
spada per vendetta de' cattivi, e per sicurtà de' buoni. E di fatto
le nostre anime, sopra le quali propriamente si stende la potenza
ecclesiastica, non sono capaci di preciso costringimento, ma solamente
dell'eccitativo, che si chiama dirittamente _persuasione_. Quindi è,
che i Padri tutti della Chiesa, Crisostomo[567], Lattanzio, Cassiodoro,
Bernardo, ed altri, altamente si protestano, che a loro non era stata
data potestà d'impedire gli uomini dai delitti, coll'autorità delle
sentenze: _Non est nobis data talis potestas, ut auctoritate sententiae
cohibeamus homines a delictis, dice Crisostomo_[568]; ma tutta la loro
forza era collocata nell'esortare, piangere, persuadere, orare, non già
d'imperare. Per la qual cosa fu reputato necessario, che anche nella
Chiesa i Principi del Mondo esercitassero la lor potenza, affinchè dove
i Sacerdoti non potessero arrivare co' loro sermoni ed esortazioni, vi
giugnesse la potestà secolare col terrore e colla forza[569].
A' Principi della terra egli è dunque, che Dio ha data in mano la
giustizia: _Deus judicium suum Regi dedit_, dice il Salmista: ed il
Popolo d'Israello domandando a Dio un Re, disse: _Constitue nobis
Regem, qui judicet nos, sicut caeterae nationes habent_. E quando Iddio
diede al Re Salomone la scelta di ciò, che volesse, questi dimandò:
_Cor intelligens, ut populum suum judicare posset_: domanda, che fu
grata a Dio; laonde S. Girolamo disse, che _Regum proprium officium
est facere judicium, et justitiam_[570]. In brieve in tutta la Sacra
Scrittura la giustizia è sempre attribuita e comandata a' Re, e non mai
a' Preti, almeno in qualità di Preti; perchè Nostro Signore istesso,
essendo stato pregato da certo uomo, perchè imponesse la divisione fra
lui, e suo fratello, rispose: _Homo quis me constituit Judicem, aut
divisorem super vos_[571]? Ed in quanto agli Appostoli, ecco ciò, che
ne dice S. Bernardo ad Eugenio: _Stetisse Apostolos lego judicandos,
judicantes sedisse non lego_. Nè in quelli tre primi secoli, siccome
s'è veduto nel primo libro, toltone quelle tre accennate conoscenze,
ebbero i Preti quest'ampia giustizia contenziosa, che hanno al
presente.
Nè tampoco l'ebbero nel quarto e quinto secolo: imperocchè quantunque
l'Imperio fosse governato da Imperadori cristiani, toltone la
conoscenza delle sole cause ecclesiastiche, essi venivan da' Magistrati
secolari[572], così ne' giudicj civili, come criminali, giudicati e
riguardati essi ancora come membri della società civile: e non essendo
stata loro conceduta, nè per diritto divino, nè fin allora per legge
d'alcun Principe, immunità, o esenzione alcuna, dovevan in conseguenza
da' Magistrati secolari nelle cause del secolo esser giudicati. E di
fatto nel Concilio Niceno accusandosi i Vescovi l'un l'altro, portaron
i libelli dell'accuse a Costantino, perchè gli giudicasse; ancorchè a
questo Principe fosse piaciuto, per troncar le contese, di buttargli
tutti al fuoco. Costantino stesso giudicò la causa di Ceciliano, ed
Attanasio accusato di delitto di maestà lesa, con sua sentenza fu
condennato in esilio. Costanzo suo figliuolo ordinò, che la causa
di Stefano Vescovo d'Antiochia si trattasse nel suo palazzo[573];
ed essendo stato convinto, fu con suo ordine deposto da' Vescovi.
Valentiniano condannò alla multa il Vescovo Cronopio, e mandò in
esilio Ursicino, e' suoi compagni, come perturbatori della pubblica
tranquillità[574]. Prisciliano, ed Instanzio furono condennati per loro
delitti ed oscenità da' Giudici secolari, come testifica Severo. Della
causa di Felice Aptungitano, di Ceciliano, e de' Donatisti conobbero
ancora i Magistrati secolari[575]. Ed i Vescovi d'Italia ricorsero
a Graziano e a Valentiniano, pregandogli, che prendesser a giudicare
Damaso da loro accusato.
Nè si fece nelle sue cause civili di questi secoli mutazione alcuna,
essendo noto, che non volendo i litiganti acquetarsi al giudicio
de' Vescovi, che come arbitri solevano spesso esser ricercati per
comporle, e volendo in tutte le maniere piatire, e venire al positivo
costringimento, dovevan ricorrere a' Rettori delle province, ed agli
altri Magistrati secolari, ed instituire avanti a' medesimi i giudicj,
e proponere le loro azioni, ovvero eccezioni, come i due Codici
Teodosiano, e Giustinianeo ne fanno piena testimonianza[576]: e quando
venivan citati in alcuno di questi Tribunali, dovevan dar mallevadoria
_judicio sisti_[577].
Nell'estravagante ed apocrifo titolo de _Episcopali judicio_, che
fu collocato in luogo sospetto, cioè nell'ultimo fine del Codice di
Teodosio si legge una costituzione[578] di Valentiniano, Teodosio
ed Arcadio, colla quale pare, che si dia a' Vescovi la cognizione
delle cause fra Ecclesiastici, e parimente, che non siano tirati a
piatire altrove, che avanti di loro stessi: ma quantunque tal legge
sia supposta, come ben a lungo dimostra Gotofredo, e tengono per
certo tutti i dotti; niente però da quella poteron cavarne i Preti;
poichè con espresse e precise parole ivi si tratta delle sole cause
Ecclesiastiche, la conoscenza delle quali l'ebbe sempre la Chiesa
per forma di politia: ecco le sue parole: _Quantum ad causas tamen
Ecclesiasticas pertinet_. Graziano[579], al quale ciò dispiacque, glie
le tolse affatto, e nel suo decreto smembrò la legge, e variò la sua
sentenza: ciò che non fu nuovo di questo Compilatore, siccome altrove
ce ne saranno somministrati altri riscontri. Anselmo[580] su questa
legge pur fece simili scempj, e maggiori in cose più rilevanti se ne
sentiranno appresso.
Oppongono gli Ecclesiastici alcune altre costituzioni di simil tempra,
e molti canoni contro a verità sì conosciuta; ma risponde loro ben a
lungo, ed a proposito Dupino[581] gran Teologo di Parigi, il quale
meglio d'ogni altro ci dimostrò, che i Cherici, così nelle cose
civili e politiche, come nelle cause criminali, non furono per diritto
divino esenti dalla potestà secolare, siccome nè da' tributi, nè dalle
pene: ma che in decorso di tempo per beneficio degl'Imperadori e dei
Principi, in alcuni casi l'immunità acquistarono; ciò che si vedrà
chiaro nel corso di questa Istoria.
Così è, che la Chiesa fin a questi tempi non aveva acquistata quella
giustizia perfetta, che il diritto chiama Giurisdizione sopra i
suoi Preti, e molto meno sopra gli altri del secolo; nè allora avea
territorio, cioè _jus terrendi_, come dice il Giureconsulto[582] nè
per conseguenza perfetta giurisdizione, che inerisce al territorio,
nè preciso costringimento, nè i Giudici di essa erano Magistrati, che
potessero pronunciare quelle tre parole essenziali, _do_, _dico_,
_abdico_. Per la qual cosa essi non potevano di lor autorità fare
imprigionar le persone ecclesiastiche: siccome oggi il giorno ancora
s'osserva in Francia, che non possono farlo senza implorare l'ajuto del
braccio secolare[583]. E perchè per consuetudine s'era prima tollerato,
e poi introdotto, che il Giudice ecclesiastico potesse fare imprigionar
coloro, che si trovavano nel suo Auditorio, tosto Bonifacio VIII alzò
l'ingegno, e cavò fuori una sua decretale[584], con cui stabilì, che
i Vescovi potessero da per tutto, e dove essi volessero ponere il lor
Auditorio, per farv'in conseguenza da per tutto le catture: la qual
opera, perchè non poteva nascondersi, fece, che quella decretale in
molti luoghi non fosse osservata, ed in Francia, come testifica Mons.
Le Maître[585] si pratica il contrario. In fine gli Ecclesiastici
non ebbero carcere fin al tempo d'Eugenio I, come c'insegna il
Volaterrano[586].
Egli è altresì ben certo, che in questi secoli la Chiesa non avea
potere d'imponer pene afflittive di corpo, d'esilio, e molto meno di
mutilazion di membra, o di morte: e ne' delitti più gravi d'eresia,
toccava a' Principi di punire con temporali pene i delinquenti i quali
Principi per tenere in pace e tranquilli i loro Stati, e purgargli di
questi sediziosi, che turbavan la quiete della Repubblica, stabilirono
perciò molti editti, dove prescrissero le pene ed i gastighi a color
dovuti: di queste leggi ne sono pieni i libri del Codice di Teodosio,
e di Giustiniano ancora. Nè in questi tempi i Giudici della Chiesa
potevano condennare all'emende pecuniarie[587]; e la ragion era,
perch'essi non avevan territorio[588], e secondo il diritto de' Romani,
i soli Magistrati, ch'hanno il pieno territorio, potevano condennare
all'emenda[589]; ma poi, ancorchè la Chiesa non tenesse nè territorio,
nè Fisco, intrapresero di poterlo fare, con applicare a qualche pietoso
uso, come a Monaci, a prigioni, a fabbriche di chiese, o altro, la
multa, di che altrove avremo nuovo motivo di ragionare.
Non potendosi adunque dubitare, che tutto ciò, che oggi tiene la Chiesa
di giustizia perfetta e di giurisdizione, dipenda per beneficio e
concessione de' Principi, alcuni han creduto, che queste concessioni
cominciassero da Costantino il Grande, quegli che le diede pace ed
incremento. Credettero, che questo Principe per una sua costituzione
estravagante, che si vede inserita nel fine del Codice di Teodosio[590]
avesse stabilito, che il reo, o l'attore in tutte le materie, ed
in tutte le parti della causa, possa domandare, che fosse quella
al Vescovo rimessa: che non gli possa esser denegato, avvegnachè
l'altra parte l'impedisse e contraddicesse: e per ultimo, che ciò
che il Vescovo proferirà, sia come una sentenza inappellabile, e che
tosto senza contraddizione, e non ostante qualunque impedimento,
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