Istoria civile del Regno di Napoli, v. 1 - 03
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vasti ed immensi paesi, che divisero non in regioni, ma in forma di
province. Le prime furon la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, le due
province della Spagna, l'Asia, l'Etolia, la Macedonia, l'Illirico, la
Dalmazia, l'Affrica, l'Acaja, la Grecia, la Gallia Narbonese, l'Isole
Baleari, la Tracia, la Numidia, Cirene, Cilicia, Bitinia, Creta,
Ponto, la Siria, Cipro e la Gallia transalpina. Alle quali da poi da'
Cesari s'aggiunsero la Mauritania, la Pannonia, la Mesia, l'Egitto, la
Cappadocia, la Bretagna, la Dacia, l'Armenia, la Mesopotamia, l'Assiria
e l'Arabia.
Le principali condizioni, e le comuni a tutte queste province del
romano Imperio furono: I. che dovessero ubbidire al Magistrato romano,
ond'è che da' varj nomi de' Magistrati fossero altre appellate
Proconsolari, altre Presidiali; II. che ricevessero le leggi del
vincitore; III. che fossero al medesimo tributarie. Ma nell'imporre
i tributi, fuvvi infra loro varietà considerabile: poichè i Romani,
de' campi[39] occupati a' nemici, alcuni ne vendevano, altri venivan
assegnati a' veterani, altri ancora si lasciavano agli antichi
possessori, o per grazia, o per amicizia, o per altra cagione, che
movesse il Capitano. Quelli, a' quali i campi non erano in tutto o
in parte tolti, fecero o vettigali, o stipendiarj, ovvero tributarj;
per la qual cosa alcune province si dissero da poi vettigali, altre
stipendiarie, e tributarie. Le vettigali eran quelle, che pagavano
certe gabelle, o dazj di cose particolari, e determinate, come del
porto, delle cose venali, de' metalli, delle saline, della pece,
e di cose simili, le quali solevano affittarsi a' Pubblicani.
Le stipendiarie ovvero tributarie eran quelle, le quali un certo
stipendio o tributo pagavano al P. R., ed ancorchè da Ulpiano[40] si
confondessero questi due nomi di stipendio e di tributo, in realtà però
erano diversi; poichè lo stipendio era un peso certo ed ordinario:
il tributo era incerto e straordinario, che secondo la varietà, o
necessità de' tempi e delle cose s'imponeva[41].
In questa guisa adunque alcune province dell'Imperio romano furono
vettigali, come l'Asia, la Gallia Narbonense e l'Aquitania: alcune
altre tributarie. Ma siccome le condizioni delle città d'Italia non
furono sempre le medesime, nè costanti, e furon poscia da' Cesari
mutate: così lo stato delle province, cominciando ad introdursi
il Principato, e l'autorità degl'Imperadori sempre più crescendo,
mutarono anch'esse le condizioni, secondo il volere de' Principi.
Così l'Asia fu vettigale infino, che Cesare, debellato Pompeo, non
la trasformasse in tributaria[42]. La Gallia fu mutata parimente da
vettigale in tributaria da Augusto, dappoichè intera fu manomessa[43].
Ed all'incontro ne' tempi seguenti si vide, che Vespasiano concedè il
_Jus Latii_ alle Spagne[44]. Nerone pur egli diede la libertà alla
Grecia tutta; ma Vespasiano glie la tolse ben tosto, facendola di
nuovo vettigale, e la sottopose a' Magistrati romani, come quella, che,
siccome scrive Pausania[45], s'era dimenticata di servirsi a bene della
libertà.
Finalmente gli altri Imperadori Romani, che nient'altro badavano,
che di ridurre a poco a poco l'Imperio alla Monarchia, per togliere
a' Romani tutti i lor privilegi (siccome erasi fatto delle città
d'Italia, che per la legge Giulia furon tutte uguagliate a Roma) fecero
anch'essi delle province; laonde l'Imperador Antonino[46], non osando
alla scoverta togliere questi privilegi al Popolo romano, gli comunicò
per un fino tratto di stato a tutti i sudditi dell'Imperio, donando
a' provinciali la cittadinanza romana[47], con fargli tutti Romani;
il che altro non fu che togliere con effetto, ed abolire i privilegi
de' cittadini romani, riducendogli in diritto comune; e come ben a
proposito disse S. Agostino[48], _ac si esset omnium, quod erat ante
paucorum_. Ciocchè Rutilio Numaziano spiegò così bene in que' suoi
versi[49].
E lungo tempo appresso, Giustiniano tolse scovertamente questa
differenza di terre d'Italia, e di province; e per abolire tutti i
vestigi e l'orme della libertà popolare, disse finalmente, che questo
_Jus Quiritum_ era un nome vano e senza soggetto[50]. Ed in verità se
gli tolse tutto il suo effetto, allorchè abolita la differenza _rerum
mancipi, et nec mancipi_[51], fu stabilito, che ciascuno fosse arbitro
e moderatore delle sue robe. Così da una parte i Romani rimasero
senza privilegi; e dall'altra i Provinciali, a' quali fu conceduta
la cittadinanza, non perciò ne guadagnarono cosa alcuna; imperocchè
pian piano si ridusse l'esser riputati cittadini romani, ad un nudo e
vano nome d'onore; poichè non per questo non erano costretti a pagare
i dazj ed i tributi, come scrisse S. Agostino medesimo[52]: _Nunquid
enim illorum agri tributa non solvunt?_ Anzi negli ultimi tempi della
decadenza del loro Imperio, la condizione de' Provinciali si ridusse
a tanta bassezza e servitù, che impazienti di soffrire il giogo e la
tirannide degli Uffiziali romani, passavan volentieri alla parte de'
Goti, e dell'altre Nazioni straniere. Salviano[53], Scrittore di questi
ultimi tempi, che fiorì nell'imperio d'Anastasio Imperadore, rapporta,
che i Provinciali passavano frequentemente sotto i Goti, nè di tal
passaggio si pentivano, eleggendo più tosto, sotto specie di cattività
viver liberi, che sotto questo specioso nome di libertà, essere in
realità servi; in maniera, che e' soggiunge, _nomen Civium Romanorum
aliquando non solum magno aestimatum, sed magno emptum, nunc ultro
repudiatur, ac fugitur; nec vile tantum, sed etiam abominabile pene
habetur_. Ed Orosio[54], ed Isidoro parimente rendono testimonianza,
che i medesimi eleggevano più tosto poveri vivere fra' Goti, che esser
potenti fra Romani, e sopportare il giogo gravissimo de' tributi:
di che ci sarà data altrove più opportuna occasione di lungamente
ragionare.
Tali, e così varie furono le condizioni delle città d'Italia, e
delle province dell'Imperio romano; ma qual forma di politia, e
quante divisioni ricevesse l'Imperio infino a' tempi di Costantino il
Grande, uopo è qui, per la maggior chiarezza delle cose da dirsi, che
brevemente trattiamo.
CAPITOLO III.
_Della disposizione dell'Imperio sotto Augusto._
Quattro divisioni, per comun consentimento degli Scrittori, le
quali altrettanti Autori riconoscono, e quattro aspetti e forme di
Repubbliche ebbe l'Imperio Romano fino alla sua decadenza. Della prima,
di cui Romolo fu l'autore, troppo a noi remota, e che niente conduce
all'istoria presente, non farem parola: ma della seconda stabilita da
Augusto, e della terza, che riconosce per suo autore Adriano, egli è di
mestieri, che qui ristrettamente se ne ragioni, senza la cui notizia
non così bene s'intenderebbe la quarta, che introdotta da Costantino
M. fu poi da Teodosio il Giovane ristabilita, della quale nel secondo
libro, come in suo luogo, ragioneremo.
Tutte quelle regioni, che nel corso di 500. anni furono soggiogate
dal P. R. non con altro general nome, che sotto quello d'Italia furon
appellate. Ma questa ebbe varj distendimenti, e varj confini; poichè
prima i suoi termini erano il fiume Eso dal mar superiore, e il fiume
Macro dal mar inferiore; ma dopo vinti, e debellati i Galli Senoni si
distese infin al Rubicone; e finalmente essendosi a lei aggiunta anche
tutta la Gallia Cisalpina, allargò i suoi confini infin alle radici
dell'Alpi; onde furono i di lei termini, verso il mare superiore,
l'Istria, il Castello di Pola, ed il fiume Arsia; nel mar inferiore, il
fiume Varo, che da' Liguri divide la Gallia Narbonense; e per confine
mediterraneo ebbe le radici dell'Alpi.
Fu l'Italia, secondo questa estensione, divisa da Cesare Augusto in
undici _Regioni_[55], delle quali la I. abbracciava il vecchio, e 'l
nuovo Lazio e la Campania: la II. i Picentini: la III. i Lucani, i
Bruzj, i Salentini ed i Pugliesi: la IV. i Ferentani, i Marrucini, i
Peligni, i Marsi, i Vestini, i Sanniti ed i Sabini: la V. il Piceno: la
VI. l'Umbria: la VII. l'Etruria: l'VIII. la Gallia Cispadana: la IX. la
Liguria: la X. Venezia, Carni, Japigia ed Istria: e la XI. la Gallia
Traspadana. Queste regioni, com'abbiam di sopra narrato, secondo la
varia condizione delle loro città, eran governate da' Romani, e secondo
le costoro leggi viveansi, nè furon divise in province giammai.
In province furon divisi que' luoghi e quegli ampi paesi, che
soggiogata l'Italia, coll'ajuto di lei conquistò da poi il P. R. Le
prime furono la Sicilia, la Sardegna e la Corsica: quindi avvenne che
la Sicilia, secondo questa descrizione dell'Imperio, fosse riputata
provincia fuori d'Italia; onde Dione lasciò scritto, che avendo Augusto
fatto un Editto, che i Senatori non dovessero andar senza licenza di
Cesare fuori d'Italia, eccettochè nella Sicilia, e nella provincia
Narbonense, bisognò che espressamente eccettuasse dall'Editto queste
due province, perchè altrimente vi sarebbero state comprese. Furono
poi aggiunte le Spagne e l'Asia, l'Etolia, la Macedonia, l'Illirico, la
Dalmazia, l'Affrica, l'Acaja, la Grecia, la Gallia Narbonense, l'Isole
Baleari, la Tracia, Numidia, Cirenaica, Cilicia, Bitinia, Creta, Ponto,
l'Assiria, Cipro, e la Gallia Transalpina.
Nel tempo della libera Repubblica, il governo di queste province era
regolarmente a' Presidi commesso, che da Roma in esse mandavansi.
V'erano ancora delle province Consolari, a' Consoli, o vero Proconsoli,
date in governo; queste sotto Pompeo e Cesare, furon le Spagne, le
Gallie, l'Illirico e la Dalmazia: e la Cilicia e la Siria sotto
Cicerone e Bibulo Proconsoli. Altre Pretorie, le quali furono I.
Sicilia, II. Sardegna e Corsica, III. Affrica e Numidia, IV. Macedonia,
Acaja e Grecia, V. Asia, Lidia, Caria, Jonia e Misia, VI. Ponto e
Bitinia, VII. Creta, ed VIII. Cipro.
Furon da poi da' Cesari aggiunte altre province all'Imperio romano,
ciò sono, la Mauritania, la Pannonia, la Mesia, l'Affrica, le province
orientali, la Cappadocia, Britania, Armenia, Mesopotamia, Assiria,
Arabia ed altre; le quali province da Augusto, altre in Proconsolari
partite furon, altre in Presidiali. Le province più pacifiche e quiete,
le quali senz'arme, ma col solo comandamento potevan governarsi, le
diede egli in guardia e le commise alla cura del Senato, il quale vi
mandava i Proconsoli. Le più feroci e le più torbide, che senza militar
presidio non potevan reggersi, riserbò a se, ed in queste mandava
egli il Preside. Ecco in brieve qual fosse la disposizion dell'Imperio
romano sotto Augusto.
CAPITOLO IV.
_Della disposizione e politia di queste regioni, che oggi compongono il
Regno di Napoli: e della condizione delle loro città._
Questa parte d'Italia adunque, che ora appelliamo Regno di Napoli, non
era partita in _Province_; come fu fatto da poi ne' tempi d'Adriano.
Ella fu divisa in _Regioni_ e da varj popoli, che in esse abitarono
presero insieme, o diedero il nome agli abitatori. Abbracciava i
Campani, i Marrucini, i Peligni, i Vestini, i Precuzj, i Marsi, i
Sanniti, gl'Irpini, i Picentini, i Lucani, i Bruzj, i Salentini, gli
Japigi, ed i Pugliesi.
Ciascuna di queste regioni ebbe città per loro medesime chiare ed
illustri, le quali secondo la varia lor condizione eran da' Romani
amministrate, e secondo le leggi de' medesimi viveano. Vi furon di
quelle, che sortirono la condizione di _Municipj_, le quali, oltre alle
leggi romane, potevan anche ritener le proprie e municipali. Di questa
condizione nella _Campania_ furono Fondi e Formia, la quale da poi
fu da' _Triumviri_ fatta Colonia; Cuma, ed Acerra, altresì da Augusto
renduta Colonia; Sessa, ed Atella, le quali parimente lo stesso Augusto
in Colonie da poi mutò: Bari in _Puglia_, e molte altre città poste in
altre regioni.
Ma più numerose furon in queste nostre regioni le _Colonie_, che da
tempo in tempo, e nella libera Repubblica, e sotto gl'Imperadori furono
successivamente accresciute.
Colonie nella _Campania_ furon Calvi, Sessa, Sinvessa[56], Pozzuoli,
Vulturno, Linterno, Nola, Suessula, Pompei, Capua, Casilino, Calazia,
Acquaviva, Acerra, Formia, Atella, Teano, Abella, e poscia la nostra
Napoli ancora, la quale da Città Federata fu trasformata in Colonia.
Colonie parimente furono nella _Lucania_ Pesto[57], Buxento[58], Conza
ed altre città. Nel _Sannio_, Saticula[59], Casino, Isernia, Bojano,
Telese, Sannio, Venafro, Sepino, Avellino, ed altre.
Nella _Puglia_, Siponto, Venosa, Lucera, che da città federata passò
ancor ella in Colonia; e, per tralasciar l'altre, Benevento che ne'
tempi d'Augusto, come rapporta Plinio[60], non già alla Campania, come
fu fatto da poi, ma alla Puglia appartenevasi[61].
Colonie anche furono Brindisi, Lupia, ed Otranto, ne' _Salentini_.
Valenzia, Tempsa, Besidia, Reggio, Crotone, Mamerto, Cassano, Locri,
Petelia, Squillace, Neptunia, Ruscia, e Turio, ne' _Bruzj_[62]; alcune
delle quali avvegna che prima godessero il favor di Città Federate,
furon quindi in Colonie mutate; siccome Salerno, Nocera, ed altre
città, ne' _Picentini_; ed alcune altre poste nell'altre regioni, che
non fa mestieri qui tesser di loro un più lungo catalogo.
In tutte queste città si viveva conforme al costume, alle leggi ed
agl'istituti dell'istessa Roma. A somiglianza del Senato, del Popolo,
e de' Consoli, aveano ancor'esse i Decurioni, la Plebe, e i Duumviri.
Avean similmente gli Edili, i Questori, e gli altri Magistrati minori
in tutto uniformi a quelli di Roma, di cui erano piccioli simulacri
ed immagini: quindi è che si valevan de' nomi di _Ordo_, ovvero di
_Senatus Populusque_[63]. E per questa ragione in alcuni marmi,
che sottratti dal tempo edace son ancora a noi rimasi, veggiamo,
che indifferentemente si valsero di questi nomi. Moltissimi possono
osservarsi in quella stupenda e laboriosa opera di Grutero[64], ove fra
l'altre leggiamo più inscrizioni poste da' Nolani ad un qualche loro
benefattore, che tutte finiscono: S. P. Q. _Nolanorum_. Anche i Segnini
nel Lazio ad un tal Volumnio dirizzarono un marmo, che diceva così[65].
L . VOLVMNIO
L . F . POMP
JULIANO . SEVERO
IIII . VIRO . COL . SIGN
PATRONO . COLONIAE . SUAE
S . P . Q . SIGNINUS
E Minturno pure ad un tal Flavio eresse quell'altro[66].
M . FLAVIO . POSTU
C . V . PATR . COL
ORDO . ET POPV
MINTVRNEN
Furonvi in queste nostre regioni eziandio le _Prefetture_. Erano in
Italia, secondo il novero di Pompeo Festo ventidue Prefetture. A dieci
città, che tutte eran in questo Reame, cioè Capua, Cuma, Casilino,
Volturno, Linterno, Pozzuoli, Acerra, Suessola, Atella, e Calazia,
si mandavan da Roma dieci Prefetti dal Popolo romano creati, a' quali
il governo e l'amministrazione delle medesime era commessa. A dodici
altre, i Prefetti mandavansi dal Pretor Urbano, e secondo il costui
arbitrio si destinavano: queste città eran Fondi, Formia, Cerri,
Venafro, Alife ed Arpino, tutte nel Regno; Anagni, Piperno, Frusilone,
Rieti, Saturnia e Nurcia, nell'altre regioni d'Italia.
La condizione di queste Prefetture, come s'è detto, era la più dura;
non potevano aver proprie leggi, come i Municipj: non potevan dal Corpo
delle loro città creare i Magistrati, come le Colonie: ma si mandavan
da Roma per reggerle. Sotto le leggi de' Romani vivevano, e sotto
quelle condizioni, che a' Magistrati romani loro piaceva d'imporre.
Non mancaron ancora in queste regioni, che oggi formano il nostro
Reame, le _Città Federate_. Queste toltone il tributo, che per la
lega e confederazion pattuita co' Romani pagavan a' medesimi, erano
reputate nell'altre cose affatto libere: avevano la loro propria forma
di Repubblica, vivevano colle leggi proprie: creavan esse i Magistrati,
e spesso ancora valevansi de' nomi di Senato e di Popolo. Di tal
condizione ne fu per molto tempo la nostra città di Napoli, furon i
Tarentini, i Locresi, i Reggioni[67], alcun tempo i Lucerini[68], i
Capuani, ed alcun altre delle città greche, le quali eran in Italia,
che tali furono, e Napoli, e Taranto, e Locri, e Reggio, le quali
per molto tempo non solo nelle leggi e ne' costumi e negli abiti non
s'allontanarono da' Greci, onde ebbero la lor origine, ma nè tampoco
nella lingua. Queste città da' Romani furon sempre trattate con tutta
piacevolezza e riputate più tosto per amiche e federate, che per
soggette, e toltone il tributo, che in segno della confederazione
esigevan da esse, lasciavanle nella loro libertà; tanto che, come
se queste città fossero fuori dell'Imperio, era permesso a gli esuli
Romani in quelle dimorare[69].
I. DI NAPOLI,
_Oggi capo e metropoli del Regno._
Napoli, ancorchè piccola città, ritenne tutte queste nobili
prerogative: ebbe propria politia, proprj Magistrati, e proprie leggi.
Ma quali queste si fossero, siccome dell'altre Città Federate, ben dice
il Sigonio[70], esser impresa molto malagevole in tanta antichità, e
fra tante tenebre andarle ricercando. Pure per essere stat'ella città
greca non sarà fuor di ragione il credere, essersi ne' suoi principj
governata colla medesima forma di Repubblica e di leggi, che gli
Ateniesi. Ella ebbe i suoi Arconti, ed i Demarchi, Magistrati in tutto
conformi a que' d'Atene. L'autorità degli Arconti prima non durava
più, che un anno, come quella de' Consoli in Roma: da poi fu prorogata
infino al decim'anno. Essi erano dell'ordine Senatorio, ed equestre:
siccome i Demarchi, a somiglianza dei Tribuni romani, appartenevano al
Popolo. Quindi non senza ragione i nostri più accurati Scrittori[71],
la divisione, che oggi ravvisiamo in questa città tra i Nobili,
ed il Popolo, la riportano fin'a questi antichissimi tempi. Altra
congettura ancora ci somministra di ciò credere, dal veder, ch'essendo
stata questa città greca, anzi con ispezialità così chiamata dagli
antichi Scrittori, siccome dimostra[72] Giano Dousa per quel luogo
di Tacito[73], dove di Nerone scrisse, _Neapolim quasi Graecam urbem
delegit_, avea altresì, come Atene, le sue _Curie_, che i Napolitani
con greco vocabolo chiamavano _Fratrie_.
Fu solenne istituto de' Greci distribuire i cittadini in più corpi,
ch'essi appellavano _File_; e quelli sottodividere in altri corpi
minori, che chiamavano _Fratrie_. Così in Atene il popolo era diviso
in File, e le File in Fratrie; non altrimenti che i Romani, i quali
anticamente erano distribuiti in Tribù, e le Tribù in Curie. Ma non in
tutte le città greche eravi questa doppia distribuzione: alcune aveano
solamente le File; altre le Fratrie; ond'è che i Grammatici spiegano
l'un per l'altro, e danno l'istessa potestà così all'uno, che all'altro
vocabolo. Napoli certamente ebbe distribuiti i cittadini in Fratrie, nè
vi furon File.
Queste Fratrie, o sian Curie non eran altro che confratanze, o vero
corpi, ne' quali si scrivevano e univano non già soli i congiunti
o fratelli d'un'istessa famiglia, ma molt'insieme della medesima
contrada; e per lo più la Fratria si componeva di trenta famiglie. Il
luogo ove univansi era un edificio, nel quale oltre a' portici ed alle
loro stanze, v'ergevano un privato tempio, che dedicavano a qualche
loro particolar Dio, o Eroe; e da quel Nume, a cui essi dedicavan la
Confratanza, si distingueva l'una dall'altra Fratria. In questo luogo
celebravano i loro privati sacrificj, i conviti, l'epule, e l'altre
cose sacre, secondo i loro riti e cerimonie distinte e particolari e
convenienti a quel Dio, o Eroe, a cui era il tempio dedicato. Eranvi
i Sacerdoti, i quali a sorte dovean eleggersi da questa, o da quella
famiglia; e poichè regolarmente le Fratrie si componevano di trenta
famiglie, da ciascheduna s'eleggevano a sorte i Sacerdoti. Convenivano
quivi costoro, ed i primi della contrada; e non solamente univansi per
trattar le cose sacre, i sacrificj e l'epule, ma anche trattavano delle
cose pubbliche della città, onde presero anche nome di Collegj.
In Napoli vi furon molte di queste Confratanze dedicate a loro
particolari Dii. Fra i Dii de' Napoletani i più rinomati e grandi
furono Eumelo, ed Ebone: onde quella Fratria, che adorava il Dio
Eumelo, fu detta _Phratria Eumelidarum_. Così l'altra, ch'era dedicata
al Dio Ebone, era nominata _Phratria Heboniontorum_. Fra gli Dii Patrii
che novera Stazio, ebbe ancor Napoli Castore e Polluce, e Cerere;
onde varj tempj a costoro furon da Napoletani eretti, de' quali serba
qualche vestigio ancora. Quindi la Fratria dedicata a questi Numi
fu detta _Phratria Castorum_: intendendo per questo dual numero così
Castore, come Polluce, siccome l'appellavan gli Spartani, onde i loro
giuramenti, _per Castores_; e quella dedicata a Cerere chiamossi perciò
_Phratria Cerealensium_. N'ebbero ancora un'altra dedicata a Diana,
della _Phratria Artemisiorum_, poichè presso a' Greci _Artemisia_ era
chiamata la Dea Diana[74]. Non pur agli Dii, ma anche agli Eroi solevan
i Greci dedicar le Fratrie; così parimente Napoli oltre a quelle,
che consecrò a' suoi patrii Dii, n'ebbe anche di quelle dedicate
agli Eroi; ed una funne dedicata ad Aristeo, onde fu detta _Phratria
Aristeorum_. Fu Aristeo figliuolo d'Apolline, e regnò in Arcadia: vien
commendato per essere stato egli il primo inventore dell'uso del mele,
dell'olio, e del coagulo: non fu però avuto per Dio, ma per Eroe. Delle
Fratrie de' Napoletani Pietro Lasena avea promesso darcene un compiuto
trattato, ma la sua immatura morte, siccome ci privò di molt'altre sue
insigni fatiche, le quali non potè egli ridurre a perfezione, così
anche ci tolse questa. Da tali Fratrie, siccome fu anche avvertito
dal Tutini[75], nelle quali s'univano i primi e i più nobili della
contrada, non pur per le funzioni sacre, ma anche per consultare de'
pubblici affari, hanno avuto origine in Napoli i Sedili de' Nobili,
i quali ne' monumenti antichi di questa città da' nostri maggiori
eran chiamati Tocchi, ovvero Tocci, dal greco vocabolo θῶκος, che i
latini dicono _Sedile_, ed oggi noi appelliamo Seggi, de' quali a più
opportuno luogo ci tornerà occasione di lungamente favellare.
Questi greci instituti si mantennero lungamente in Napoli; e Strabone,
che fiorì sotto Augusto, ci rende testimonianza, che fino a' suoi
tempi eran quivi rimasi molti vestigi de' riti, costumi ed instituti
de' Greci, il Ginnasio, di cui ben a lungo ed accuratamente scrisse P.
Lasena[76]; l'Assemblee de' giovanetti, e queste Confratanze, ch'essi
chiamavano Fratrie, e cent'altre usanze: _Plurima_, e' dice[77],
_Graecorum institutorum ibi supersunt vestigia, ut gymnasia, epheborum
Coetus, Curiae (ipsi Phratrias vocant) et graeca nomina Romanis
imposita_; e Varrone[78] che fu coetaneo di Cicerone, pur lo stesso
rapporta: _Phratria est graecum vocabulum partis hominum, ut Neapoli
etiam nunc_.
Egli è però vero, che tratto tratto questa città andava dismettendo
questi usi proprj de' Greci, ed essendo stata lungamente Città Federata
de' Romani, e da poi ridotta in forma di Colonia, divenendo sempre
più soggetta a Romani, cominciò a lasciare i nomi de' suoi antichi
Magistrati, come degli Arconti e dei Demarchi, de' quali par che si
valesse infino a' tempi d'Adriano, giacchè Sparziano[79] rapporta,
parlando di questo Imperadore, che fu Demarco in Napoli; poichè era
costume d'alcuni Imperadori romani volendo favorire qualche città
amica, d'accettare, quando si trovavan in quella, i titoli e gli onori
de' Magistrati municipali[80]. Ma da poi divvezzandosi col correr
degli anni dagl'istituti greci, e divenuta Colonia de' Romani, seguì
in tutto l'orme di Roma, con valersi de' nomi di Senato, di Popolo,
e di Repubblica, e de' Magistrati minori a somiglianza degli Edili,
Questori, ed altri Ufficiali di quella città, non altrimenti che usavan
tutte l'altre Colonie romane, come di qui a poco diremo.
Sono alcuni[81], che credono non esser mancati affatto in Napoli, non
ostante il lungo corso di tanti secoli, questi istituti, ed alcune
sue antichissime leggi; ma che ancora parte delle medesime durino fra
noi, e sian quelle, che furon registrate nel libro delle consuetudini
di questa città, che sotto Carlo II. d'Angiò si ridussero in iscritto,
traendo quelle consuetudini (che non può dubitarsi essere antichissime)
origine da queste leggi, le quali se bene dalla voracità del tempo
furon a noi tolte, lasciarono però ne' cittadini, come per tradizione,
quegl'instituti e costumanze, che nè il lungo tempo, nè le tante
revoluzioni delle mondane cose, poteron affatto cancellare. Ma questo
punto sarà meglio esaminato quando della compilazione di quel libro ci
toccherà di ragionare.
Riguardando adunque ora questa città, come federata a' Romani, non può
negarsi, che innanzi e dopo Augusto toltone il tributo, che pagava a'
Romani, fu da essi trattata con tutta piacevolezza, e lasciata nella
sua libertà, con ritener forma di Repubblica, e riputata più tosto
amica, che soggetta. Chiarissimo argomento della sua libertà è quello,
che ci somministra Cicerone[82]; poich'e' narra, ch'essendo stata per
la legge Giulia conceduta la cittadinanza romana all'Italia, fuvvi
fra que' d'Eraclea, e nostri Napoletani gran contrasto e grandissimi
dispareri, se dovessero accettare, o rifiutare quel favore da tutti
gli altri popoli d'Italia molto avidamente bramato; e reputando alla
perfine esser loro più profittevole rimanere nella lor antica libertà,
che soggettarsi, per quest'onore della cittadinanza, a' Romani,
anteposero la libertà propria alla romana cittadinanza. In brieve,
toltone il tributo, che in segno della sua subordinazione pagava a'
Romani, nel resto era tutta libera, siccome eran ancora tutte l'altre
Città Federate, e si reputavano come fuori dell'Imperio romano;
tantochè come s'è veduto, gli esuli de' Romani potevan in quelle
soddisfar la pena dell'imposto esilio[83].
Ma a qual tributo fosse obbligata Napoli non men che Taranto, Locri
e Reggio città anch'esse Federate, ben ce lo dimostran due gravissimi
Scrittori, Polibio, e Livio. La lor obbligazione era di prestar le navi
a' Romani nel tempo delle loro guerre. Queste città come marittime
abbondavan di vascelli, e gli studj de' Napoletani furon più, che in
altro, nelle cose di mare, come ben a proposito notò Pietro Lasena[84];
onde a quello gli obbligarono, che potevan esse somministrare; come
in fatti nella lor prima guerra navale, ch'ebbero co' Cartaginesi, i
Napoletani, i Locresi ed i Tarentini mandaron loro cinquanta navi. E
Livio[85] introducendo Minione rispondente a' Romani, i quali eran
venuti a dissuadergli la guerra che in nome d'Antioco intendeva
fare ad alcune città greche, le quali stavan alla loro divozione,
in cotal guisa lo fa parlare: _Specioso titulo uti vos, Romani,
Graecorum Civitatum liberandarum, video; sed facta vestra orationi non
conveniunt, et aliud Antiocho juris statuistis, alio ipsi utimini. Qui
enim magis Smyrnaei, Lampsacenique Graeci sunt, quam Neapolitani, et
Rhegini, et Tarentini, a quibus stipendium, a quibus naves ex foedere
exigitis?_
I Capuani, secondo che suspica l'accuratissimo Pellegrino[86], quando
la loro città era a' Romani federata, non dovettero pagar tributo
di navi, ma d'eserciti terrestri; perciocchè dominando eglino una
fecondissima regione, dovevan i loro eserciti militari esser di
fanteria, e di cavalleria; ed è ben noto, che i Capuani militarono in
gran numero negli eserciti terrestri de' Romani. Ma siccome l'infedeltà
de' Capuani verso i Romani portò la ruina della loro città, poichè
ridotta in Prefettura, rimase senza Senato, senza Popolo, senza
Magistrati, ed in più dura condizione, e servitù[87]; così all'incontro
Napoli perseverando con molta costanza nella medesima amicizia co'
Romani in ogni loro prospera e contraria fortuna, e singolarmente nel
tempo della seconda guerra Cartaginese, quando le frequenti vittorie,
che di coloro ottenne Annibale, avean riempiuta tutta l'Italia e la
medesima Roma di confusione e di terrore, fu loro sempre fedele,
e costante. Fu ancora questa città gratissima a' Romani per gli
piacevoli costumi ed esercizj dei suoi Greci, e per l'amenità del suo
clima, ond'i Romani d'ogni grado e d'ogni età, non che i men robusti
province. Le prime furon la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, le due
province della Spagna, l'Asia, l'Etolia, la Macedonia, l'Illirico, la
Dalmazia, l'Affrica, l'Acaja, la Grecia, la Gallia Narbonese, l'Isole
Baleari, la Tracia, la Numidia, Cirene, Cilicia, Bitinia, Creta,
Ponto, la Siria, Cipro e la Gallia transalpina. Alle quali da poi da'
Cesari s'aggiunsero la Mauritania, la Pannonia, la Mesia, l'Egitto, la
Cappadocia, la Bretagna, la Dacia, l'Armenia, la Mesopotamia, l'Assiria
e l'Arabia.
Le principali condizioni, e le comuni a tutte queste province del
romano Imperio furono: I. che dovessero ubbidire al Magistrato romano,
ond'è che da' varj nomi de' Magistrati fossero altre appellate
Proconsolari, altre Presidiali; II. che ricevessero le leggi del
vincitore; III. che fossero al medesimo tributarie. Ma nell'imporre
i tributi, fuvvi infra loro varietà considerabile: poichè i Romani,
de' campi[39] occupati a' nemici, alcuni ne vendevano, altri venivan
assegnati a' veterani, altri ancora si lasciavano agli antichi
possessori, o per grazia, o per amicizia, o per altra cagione, che
movesse il Capitano. Quelli, a' quali i campi non erano in tutto o
in parte tolti, fecero o vettigali, o stipendiarj, ovvero tributarj;
per la qual cosa alcune province si dissero da poi vettigali, altre
stipendiarie, e tributarie. Le vettigali eran quelle, che pagavano
certe gabelle, o dazj di cose particolari, e determinate, come del
porto, delle cose venali, de' metalli, delle saline, della pece,
e di cose simili, le quali solevano affittarsi a' Pubblicani.
Le stipendiarie ovvero tributarie eran quelle, le quali un certo
stipendio o tributo pagavano al P. R., ed ancorchè da Ulpiano[40] si
confondessero questi due nomi di stipendio e di tributo, in realtà però
erano diversi; poichè lo stipendio era un peso certo ed ordinario:
il tributo era incerto e straordinario, che secondo la varietà, o
necessità de' tempi e delle cose s'imponeva[41].
In questa guisa adunque alcune province dell'Imperio romano furono
vettigali, come l'Asia, la Gallia Narbonense e l'Aquitania: alcune
altre tributarie. Ma siccome le condizioni delle città d'Italia non
furono sempre le medesime, nè costanti, e furon poscia da' Cesari
mutate: così lo stato delle province, cominciando ad introdursi
il Principato, e l'autorità degl'Imperadori sempre più crescendo,
mutarono anch'esse le condizioni, secondo il volere de' Principi.
Così l'Asia fu vettigale infino, che Cesare, debellato Pompeo, non
la trasformasse in tributaria[42]. La Gallia fu mutata parimente da
vettigale in tributaria da Augusto, dappoichè intera fu manomessa[43].
Ed all'incontro ne' tempi seguenti si vide, che Vespasiano concedè il
_Jus Latii_ alle Spagne[44]. Nerone pur egli diede la libertà alla
Grecia tutta; ma Vespasiano glie la tolse ben tosto, facendola di
nuovo vettigale, e la sottopose a' Magistrati romani, come quella, che,
siccome scrive Pausania[45], s'era dimenticata di servirsi a bene della
libertà.
Finalmente gli altri Imperadori Romani, che nient'altro badavano,
che di ridurre a poco a poco l'Imperio alla Monarchia, per togliere
a' Romani tutti i lor privilegi (siccome erasi fatto delle città
d'Italia, che per la legge Giulia furon tutte uguagliate a Roma) fecero
anch'essi delle province; laonde l'Imperador Antonino[46], non osando
alla scoverta togliere questi privilegi al Popolo romano, gli comunicò
per un fino tratto di stato a tutti i sudditi dell'Imperio, donando
a' provinciali la cittadinanza romana[47], con fargli tutti Romani;
il che altro non fu che togliere con effetto, ed abolire i privilegi
de' cittadini romani, riducendogli in diritto comune; e come ben a
proposito disse S. Agostino[48], _ac si esset omnium, quod erat ante
paucorum_. Ciocchè Rutilio Numaziano spiegò così bene in que' suoi
versi[49].
E lungo tempo appresso, Giustiniano tolse scovertamente questa
differenza di terre d'Italia, e di province; e per abolire tutti i
vestigi e l'orme della libertà popolare, disse finalmente, che questo
_Jus Quiritum_ era un nome vano e senza soggetto[50]. Ed in verità se
gli tolse tutto il suo effetto, allorchè abolita la differenza _rerum
mancipi, et nec mancipi_[51], fu stabilito, che ciascuno fosse arbitro
e moderatore delle sue robe. Così da una parte i Romani rimasero
senza privilegi; e dall'altra i Provinciali, a' quali fu conceduta
la cittadinanza, non perciò ne guadagnarono cosa alcuna; imperocchè
pian piano si ridusse l'esser riputati cittadini romani, ad un nudo e
vano nome d'onore; poichè non per questo non erano costretti a pagare
i dazj ed i tributi, come scrisse S. Agostino medesimo[52]: _Nunquid
enim illorum agri tributa non solvunt?_ Anzi negli ultimi tempi della
decadenza del loro Imperio, la condizione de' Provinciali si ridusse
a tanta bassezza e servitù, che impazienti di soffrire il giogo e la
tirannide degli Uffiziali romani, passavan volentieri alla parte de'
Goti, e dell'altre Nazioni straniere. Salviano[53], Scrittore di questi
ultimi tempi, che fiorì nell'imperio d'Anastasio Imperadore, rapporta,
che i Provinciali passavano frequentemente sotto i Goti, nè di tal
passaggio si pentivano, eleggendo più tosto, sotto specie di cattività
viver liberi, che sotto questo specioso nome di libertà, essere in
realità servi; in maniera, che e' soggiunge, _nomen Civium Romanorum
aliquando non solum magno aestimatum, sed magno emptum, nunc ultro
repudiatur, ac fugitur; nec vile tantum, sed etiam abominabile pene
habetur_. Ed Orosio[54], ed Isidoro parimente rendono testimonianza,
che i medesimi eleggevano più tosto poveri vivere fra' Goti, che esser
potenti fra Romani, e sopportare il giogo gravissimo de' tributi:
di che ci sarà data altrove più opportuna occasione di lungamente
ragionare.
Tali, e così varie furono le condizioni delle città d'Italia, e
delle province dell'Imperio romano; ma qual forma di politia, e
quante divisioni ricevesse l'Imperio infino a' tempi di Costantino il
Grande, uopo è qui, per la maggior chiarezza delle cose da dirsi, che
brevemente trattiamo.
CAPITOLO III.
_Della disposizione dell'Imperio sotto Augusto._
Quattro divisioni, per comun consentimento degli Scrittori, le
quali altrettanti Autori riconoscono, e quattro aspetti e forme di
Repubbliche ebbe l'Imperio Romano fino alla sua decadenza. Della prima,
di cui Romolo fu l'autore, troppo a noi remota, e che niente conduce
all'istoria presente, non farem parola: ma della seconda stabilita da
Augusto, e della terza, che riconosce per suo autore Adriano, egli è di
mestieri, che qui ristrettamente se ne ragioni, senza la cui notizia
non così bene s'intenderebbe la quarta, che introdotta da Costantino
M. fu poi da Teodosio il Giovane ristabilita, della quale nel secondo
libro, come in suo luogo, ragioneremo.
Tutte quelle regioni, che nel corso di 500. anni furono soggiogate
dal P. R. non con altro general nome, che sotto quello d'Italia furon
appellate. Ma questa ebbe varj distendimenti, e varj confini; poichè
prima i suoi termini erano il fiume Eso dal mar superiore, e il fiume
Macro dal mar inferiore; ma dopo vinti, e debellati i Galli Senoni si
distese infin al Rubicone; e finalmente essendosi a lei aggiunta anche
tutta la Gallia Cisalpina, allargò i suoi confini infin alle radici
dell'Alpi; onde furono i di lei termini, verso il mare superiore,
l'Istria, il Castello di Pola, ed il fiume Arsia; nel mar inferiore, il
fiume Varo, che da' Liguri divide la Gallia Narbonense; e per confine
mediterraneo ebbe le radici dell'Alpi.
Fu l'Italia, secondo questa estensione, divisa da Cesare Augusto in
undici _Regioni_[55], delle quali la I. abbracciava il vecchio, e 'l
nuovo Lazio e la Campania: la II. i Picentini: la III. i Lucani, i
Bruzj, i Salentini ed i Pugliesi: la IV. i Ferentani, i Marrucini, i
Peligni, i Marsi, i Vestini, i Sanniti ed i Sabini: la V. il Piceno: la
VI. l'Umbria: la VII. l'Etruria: l'VIII. la Gallia Cispadana: la IX. la
Liguria: la X. Venezia, Carni, Japigia ed Istria: e la XI. la Gallia
Traspadana. Queste regioni, com'abbiam di sopra narrato, secondo la
varia condizione delle loro città, eran governate da' Romani, e secondo
le costoro leggi viveansi, nè furon divise in province giammai.
In province furon divisi que' luoghi e quegli ampi paesi, che
soggiogata l'Italia, coll'ajuto di lei conquistò da poi il P. R. Le
prime furono la Sicilia, la Sardegna e la Corsica: quindi avvenne che
la Sicilia, secondo questa descrizione dell'Imperio, fosse riputata
provincia fuori d'Italia; onde Dione lasciò scritto, che avendo Augusto
fatto un Editto, che i Senatori non dovessero andar senza licenza di
Cesare fuori d'Italia, eccettochè nella Sicilia, e nella provincia
Narbonense, bisognò che espressamente eccettuasse dall'Editto queste
due province, perchè altrimente vi sarebbero state comprese. Furono
poi aggiunte le Spagne e l'Asia, l'Etolia, la Macedonia, l'Illirico, la
Dalmazia, l'Affrica, l'Acaja, la Grecia, la Gallia Narbonense, l'Isole
Baleari, la Tracia, Numidia, Cirenaica, Cilicia, Bitinia, Creta, Ponto,
l'Assiria, Cipro, e la Gallia Transalpina.
Nel tempo della libera Repubblica, il governo di queste province era
regolarmente a' Presidi commesso, che da Roma in esse mandavansi.
V'erano ancora delle province Consolari, a' Consoli, o vero Proconsoli,
date in governo; queste sotto Pompeo e Cesare, furon le Spagne, le
Gallie, l'Illirico e la Dalmazia: e la Cilicia e la Siria sotto
Cicerone e Bibulo Proconsoli. Altre Pretorie, le quali furono I.
Sicilia, II. Sardegna e Corsica, III. Affrica e Numidia, IV. Macedonia,
Acaja e Grecia, V. Asia, Lidia, Caria, Jonia e Misia, VI. Ponto e
Bitinia, VII. Creta, ed VIII. Cipro.
Furon da poi da' Cesari aggiunte altre province all'Imperio romano,
ciò sono, la Mauritania, la Pannonia, la Mesia, l'Affrica, le province
orientali, la Cappadocia, Britania, Armenia, Mesopotamia, Assiria,
Arabia ed altre; le quali province da Augusto, altre in Proconsolari
partite furon, altre in Presidiali. Le province più pacifiche e quiete,
le quali senz'arme, ma col solo comandamento potevan governarsi, le
diede egli in guardia e le commise alla cura del Senato, il quale vi
mandava i Proconsoli. Le più feroci e le più torbide, che senza militar
presidio non potevan reggersi, riserbò a se, ed in queste mandava
egli il Preside. Ecco in brieve qual fosse la disposizion dell'Imperio
romano sotto Augusto.
CAPITOLO IV.
_Della disposizione e politia di queste regioni, che oggi compongono il
Regno di Napoli: e della condizione delle loro città._
Questa parte d'Italia adunque, che ora appelliamo Regno di Napoli, non
era partita in _Province_; come fu fatto da poi ne' tempi d'Adriano.
Ella fu divisa in _Regioni_ e da varj popoli, che in esse abitarono
presero insieme, o diedero il nome agli abitatori. Abbracciava i
Campani, i Marrucini, i Peligni, i Vestini, i Precuzj, i Marsi, i
Sanniti, gl'Irpini, i Picentini, i Lucani, i Bruzj, i Salentini, gli
Japigi, ed i Pugliesi.
Ciascuna di queste regioni ebbe città per loro medesime chiare ed
illustri, le quali secondo la varia lor condizione eran da' Romani
amministrate, e secondo le leggi de' medesimi viveano. Vi furon di
quelle, che sortirono la condizione di _Municipj_, le quali, oltre alle
leggi romane, potevan anche ritener le proprie e municipali. Di questa
condizione nella _Campania_ furono Fondi e Formia, la quale da poi
fu da' _Triumviri_ fatta Colonia; Cuma, ed Acerra, altresì da Augusto
renduta Colonia; Sessa, ed Atella, le quali parimente lo stesso Augusto
in Colonie da poi mutò: Bari in _Puglia_, e molte altre città poste in
altre regioni.
Ma più numerose furon in queste nostre regioni le _Colonie_, che da
tempo in tempo, e nella libera Repubblica, e sotto gl'Imperadori furono
successivamente accresciute.
Colonie nella _Campania_ furon Calvi, Sessa, Sinvessa[56], Pozzuoli,
Vulturno, Linterno, Nola, Suessula, Pompei, Capua, Casilino, Calazia,
Acquaviva, Acerra, Formia, Atella, Teano, Abella, e poscia la nostra
Napoli ancora, la quale da Città Federata fu trasformata in Colonia.
Colonie parimente furono nella _Lucania_ Pesto[57], Buxento[58], Conza
ed altre città. Nel _Sannio_, Saticula[59], Casino, Isernia, Bojano,
Telese, Sannio, Venafro, Sepino, Avellino, ed altre.
Nella _Puglia_, Siponto, Venosa, Lucera, che da città federata passò
ancor ella in Colonia; e, per tralasciar l'altre, Benevento che ne'
tempi d'Augusto, come rapporta Plinio[60], non già alla Campania, come
fu fatto da poi, ma alla Puglia appartenevasi[61].
Colonie anche furono Brindisi, Lupia, ed Otranto, ne' _Salentini_.
Valenzia, Tempsa, Besidia, Reggio, Crotone, Mamerto, Cassano, Locri,
Petelia, Squillace, Neptunia, Ruscia, e Turio, ne' _Bruzj_[62]; alcune
delle quali avvegna che prima godessero il favor di Città Federate,
furon quindi in Colonie mutate; siccome Salerno, Nocera, ed altre
città, ne' _Picentini_; ed alcune altre poste nell'altre regioni, che
non fa mestieri qui tesser di loro un più lungo catalogo.
In tutte queste città si viveva conforme al costume, alle leggi ed
agl'istituti dell'istessa Roma. A somiglianza del Senato, del Popolo,
e de' Consoli, aveano ancor'esse i Decurioni, la Plebe, e i Duumviri.
Avean similmente gli Edili, i Questori, e gli altri Magistrati minori
in tutto uniformi a quelli di Roma, di cui erano piccioli simulacri
ed immagini: quindi è che si valevan de' nomi di _Ordo_, ovvero di
_Senatus Populusque_[63]. E per questa ragione in alcuni marmi,
che sottratti dal tempo edace son ancora a noi rimasi, veggiamo,
che indifferentemente si valsero di questi nomi. Moltissimi possono
osservarsi in quella stupenda e laboriosa opera di Grutero[64], ove fra
l'altre leggiamo più inscrizioni poste da' Nolani ad un qualche loro
benefattore, che tutte finiscono: S. P. Q. _Nolanorum_. Anche i Segnini
nel Lazio ad un tal Volumnio dirizzarono un marmo, che diceva così[65].
L . VOLVMNIO
L . F . POMP
JULIANO . SEVERO
IIII . VIRO . COL . SIGN
PATRONO . COLONIAE . SUAE
S . P . Q . SIGNINUS
E Minturno pure ad un tal Flavio eresse quell'altro[66].
M . FLAVIO . POSTU
C . V . PATR . COL
ORDO . ET POPV
MINTVRNEN
Furonvi in queste nostre regioni eziandio le _Prefetture_. Erano in
Italia, secondo il novero di Pompeo Festo ventidue Prefetture. A dieci
città, che tutte eran in questo Reame, cioè Capua, Cuma, Casilino,
Volturno, Linterno, Pozzuoli, Acerra, Suessola, Atella, e Calazia,
si mandavan da Roma dieci Prefetti dal Popolo romano creati, a' quali
il governo e l'amministrazione delle medesime era commessa. A dodici
altre, i Prefetti mandavansi dal Pretor Urbano, e secondo il costui
arbitrio si destinavano: queste città eran Fondi, Formia, Cerri,
Venafro, Alife ed Arpino, tutte nel Regno; Anagni, Piperno, Frusilone,
Rieti, Saturnia e Nurcia, nell'altre regioni d'Italia.
La condizione di queste Prefetture, come s'è detto, era la più dura;
non potevano aver proprie leggi, come i Municipj: non potevan dal Corpo
delle loro città creare i Magistrati, come le Colonie: ma si mandavan
da Roma per reggerle. Sotto le leggi de' Romani vivevano, e sotto
quelle condizioni, che a' Magistrati romani loro piaceva d'imporre.
Non mancaron ancora in queste regioni, che oggi formano il nostro
Reame, le _Città Federate_. Queste toltone il tributo, che per la
lega e confederazion pattuita co' Romani pagavan a' medesimi, erano
reputate nell'altre cose affatto libere: avevano la loro propria forma
di Repubblica, vivevano colle leggi proprie: creavan esse i Magistrati,
e spesso ancora valevansi de' nomi di Senato e di Popolo. Di tal
condizione ne fu per molto tempo la nostra città di Napoli, furon i
Tarentini, i Locresi, i Reggioni[67], alcun tempo i Lucerini[68], i
Capuani, ed alcun altre delle città greche, le quali eran in Italia,
che tali furono, e Napoli, e Taranto, e Locri, e Reggio, le quali
per molto tempo non solo nelle leggi e ne' costumi e negli abiti non
s'allontanarono da' Greci, onde ebbero la lor origine, ma nè tampoco
nella lingua. Queste città da' Romani furon sempre trattate con tutta
piacevolezza e riputate più tosto per amiche e federate, che per
soggette, e toltone il tributo, che in segno della confederazione
esigevan da esse, lasciavanle nella loro libertà; tanto che, come
se queste città fossero fuori dell'Imperio, era permesso a gli esuli
Romani in quelle dimorare[69].
I. DI NAPOLI,
_Oggi capo e metropoli del Regno._
Napoli, ancorchè piccola città, ritenne tutte queste nobili
prerogative: ebbe propria politia, proprj Magistrati, e proprie leggi.
Ma quali queste si fossero, siccome dell'altre Città Federate, ben dice
il Sigonio[70], esser impresa molto malagevole in tanta antichità, e
fra tante tenebre andarle ricercando. Pure per essere stat'ella città
greca non sarà fuor di ragione il credere, essersi ne' suoi principj
governata colla medesima forma di Repubblica e di leggi, che gli
Ateniesi. Ella ebbe i suoi Arconti, ed i Demarchi, Magistrati in tutto
conformi a que' d'Atene. L'autorità degli Arconti prima non durava
più, che un anno, come quella de' Consoli in Roma: da poi fu prorogata
infino al decim'anno. Essi erano dell'ordine Senatorio, ed equestre:
siccome i Demarchi, a somiglianza dei Tribuni romani, appartenevano al
Popolo. Quindi non senza ragione i nostri più accurati Scrittori[71],
la divisione, che oggi ravvisiamo in questa città tra i Nobili,
ed il Popolo, la riportano fin'a questi antichissimi tempi. Altra
congettura ancora ci somministra di ciò credere, dal veder, ch'essendo
stata questa città greca, anzi con ispezialità così chiamata dagli
antichi Scrittori, siccome dimostra[72] Giano Dousa per quel luogo
di Tacito[73], dove di Nerone scrisse, _Neapolim quasi Graecam urbem
delegit_, avea altresì, come Atene, le sue _Curie_, che i Napolitani
con greco vocabolo chiamavano _Fratrie_.
Fu solenne istituto de' Greci distribuire i cittadini in più corpi,
ch'essi appellavano _File_; e quelli sottodividere in altri corpi
minori, che chiamavano _Fratrie_. Così in Atene il popolo era diviso
in File, e le File in Fratrie; non altrimenti che i Romani, i quali
anticamente erano distribuiti in Tribù, e le Tribù in Curie. Ma non in
tutte le città greche eravi questa doppia distribuzione: alcune aveano
solamente le File; altre le Fratrie; ond'è che i Grammatici spiegano
l'un per l'altro, e danno l'istessa potestà così all'uno, che all'altro
vocabolo. Napoli certamente ebbe distribuiti i cittadini in Fratrie, nè
vi furon File.
Queste Fratrie, o sian Curie non eran altro che confratanze, o vero
corpi, ne' quali si scrivevano e univano non già soli i congiunti
o fratelli d'un'istessa famiglia, ma molt'insieme della medesima
contrada; e per lo più la Fratria si componeva di trenta famiglie. Il
luogo ove univansi era un edificio, nel quale oltre a' portici ed alle
loro stanze, v'ergevano un privato tempio, che dedicavano a qualche
loro particolar Dio, o Eroe; e da quel Nume, a cui essi dedicavan la
Confratanza, si distingueva l'una dall'altra Fratria. In questo luogo
celebravano i loro privati sacrificj, i conviti, l'epule, e l'altre
cose sacre, secondo i loro riti e cerimonie distinte e particolari e
convenienti a quel Dio, o Eroe, a cui era il tempio dedicato. Eranvi
i Sacerdoti, i quali a sorte dovean eleggersi da questa, o da quella
famiglia; e poichè regolarmente le Fratrie si componevano di trenta
famiglie, da ciascheduna s'eleggevano a sorte i Sacerdoti. Convenivano
quivi costoro, ed i primi della contrada; e non solamente univansi per
trattar le cose sacre, i sacrificj e l'epule, ma anche trattavano delle
cose pubbliche della città, onde presero anche nome di Collegj.
In Napoli vi furon molte di queste Confratanze dedicate a loro
particolari Dii. Fra i Dii de' Napoletani i più rinomati e grandi
furono Eumelo, ed Ebone: onde quella Fratria, che adorava il Dio
Eumelo, fu detta _Phratria Eumelidarum_. Così l'altra, ch'era dedicata
al Dio Ebone, era nominata _Phratria Heboniontorum_. Fra gli Dii Patrii
che novera Stazio, ebbe ancor Napoli Castore e Polluce, e Cerere;
onde varj tempj a costoro furon da Napoletani eretti, de' quali serba
qualche vestigio ancora. Quindi la Fratria dedicata a questi Numi
fu detta _Phratria Castorum_: intendendo per questo dual numero così
Castore, come Polluce, siccome l'appellavan gli Spartani, onde i loro
giuramenti, _per Castores_; e quella dedicata a Cerere chiamossi perciò
_Phratria Cerealensium_. N'ebbero ancora un'altra dedicata a Diana,
della _Phratria Artemisiorum_, poichè presso a' Greci _Artemisia_ era
chiamata la Dea Diana[74]. Non pur agli Dii, ma anche agli Eroi solevan
i Greci dedicar le Fratrie; così parimente Napoli oltre a quelle,
che consecrò a' suoi patrii Dii, n'ebbe anche di quelle dedicate
agli Eroi; ed una funne dedicata ad Aristeo, onde fu detta _Phratria
Aristeorum_. Fu Aristeo figliuolo d'Apolline, e regnò in Arcadia: vien
commendato per essere stato egli il primo inventore dell'uso del mele,
dell'olio, e del coagulo: non fu però avuto per Dio, ma per Eroe. Delle
Fratrie de' Napoletani Pietro Lasena avea promesso darcene un compiuto
trattato, ma la sua immatura morte, siccome ci privò di molt'altre sue
insigni fatiche, le quali non potè egli ridurre a perfezione, così
anche ci tolse questa. Da tali Fratrie, siccome fu anche avvertito
dal Tutini[75], nelle quali s'univano i primi e i più nobili della
contrada, non pur per le funzioni sacre, ma anche per consultare de'
pubblici affari, hanno avuto origine in Napoli i Sedili de' Nobili,
i quali ne' monumenti antichi di questa città da' nostri maggiori
eran chiamati Tocchi, ovvero Tocci, dal greco vocabolo θῶκος, che i
latini dicono _Sedile_, ed oggi noi appelliamo Seggi, de' quali a più
opportuno luogo ci tornerà occasione di lungamente favellare.
Questi greci instituti si mantennero lungamente in Napoli; e Strabone,
che fiorì sotto Augusto, ci rende testimonianza, che fino a' suoi
tempi eran quivi rimasi molti vestigi de' riti, costumi ed instituti
de' Greci, il Ginnasio, di cui ben a lungo ed accuratamente scrisse P.
Lasena[76]; l'Assemblee de' giovanetti, e queste Confratanze, ch'essi
chiamavano Fratrie, e cent'altre usanze: _Plurima_, e' dice[77],
_Graecorum institutorum ibi supersunt vestigia, ut gymnasia, epheborum
Coetus, Curiae (ipsi Phratrias vocant) et graeca nomina Romanis
imposita_; e Varrone[78] che fu coetaneo di Cicerone, pur lo stesso
rapporta: _Phratria est graecum vocabulum partis hominum, ut Neapoli
etiam nunc_.
Egli è però vero, che tratto tratto questa città andava dismettendo
questi usi proprj de' Greci, ed essendo stata lungamente Città Federata
de' Romani, e da poi ridotta in forma di Colonia, divenendo sempre
più soggetta a Romani, cominciò a lasciare i nomi de' suoi antichi
Magistrati, come degli Arconti e dei Demarchi, de' quali par che si
valesse infino a' tempi d'Adriano, giacchè Sparziano[79] rapporta,
parlando di questo Imperadore, che fu Demarco in Napoli; poichè era
costume d'alcuni Imperadori romani volendo favorire qualche città
amica, d'accettare, quando si trovavan in quella, i titoli e gli onori
de' Magistrati municipali[80]. Ma da poi divvezzandosi col correr
degli anni dagl'istituti greci, e divenuta Colonia de' Romani, seguì
in tutto l'orme di Roma, con valersi de' nomi di Senato, di Popolo,
e di Repubblica, e de' Magistrati minori a somiglianza degli Edili,
Questori, ed altri Ufficiali di quella città, non altrimenti che usavan
tutte l'altre Colonie romane, come di qui a poco diremo.
Sono alcuni[81], che credono non esser mancati affatto in Napoli, non
ostante il lungo corso di tanti secoli, questi istituti, ed alcune
sue antichissime leggi; ma che ancora parte delle medesime durino fra
noi, e sian quelle, che furon registrate nel libro delle consuetudini
di questa città, che sotto Carlo II. d'Angiò si ridussero in iscritto,
traendo quelle consuetudini (che non può dubitarsi essere antichissime)
origine da queste leggi, le quali se bene dalla voracità del tempo
furon a noi tolte, lasciarono però ne' cittadini, come per tradizione,
quegl'instituti e costumanze, che nè il lungo tempo, nè le tante
revoluzioni delle mondane cose, poteron affatto cancellare. Ma questo
punto sarà meglio esaminato quando della compilazione di quel libro ci
toccherà di ragionare.
Riguardando adunque ora questa città, come federata a' Romani, non può
negarsi, che innanzi e dopo Augusto toltone il tributo, che pagava a'
Romani, fu da essi trattata con tutta piacevolezza, e lasciata nella
sua libertà, con ritener forma di Repubblica, e riputata più tosto
amica, che soggetta. Chiarissimo argomento della sua libertà è quello,
che ci somministra Cicerone[82]; poich'e' narra, ch'essendo stata per
la legge Giulia conceduta la cittadinanza romana all'Italia, fuvvi
fra que' d'Eraclea, e nostri Napoletani gran contrasto e grandissimi
dispareri, se dovessero accettare, o rifiutare quel favore da tutti
gli altri popoli d'Italia molto avidamente bramato; e reputando alla
perfine esser loro più profittevole rimanere nella lor antica libertà,
che soggettarsi, per quest'onore della cittadinanza, a' Romani,
anteposero la libertà propria alla romana cittadinanza. In brieve,
toltone il tributo, che in segno della sua subordinazione pagava a'
Romani, nel resto era tutta libera, siccome eran ancora tutte l'altre
Città Federate, e si reputavano come fuori dell'Imperio romano;
tantochè come s'è veduto, gli esuli de' Romani potevan in quelle
soddisfar la pena dell'imposto esilio[83].
Ma a qual tributo fosse obbligata Napoli non men che Taranto, Locri
e Reggio città anch'esse Federate, ben ce lo dimostran due gravissimi
Scrittori, Polibio, e Livio. La lor obbligazione era di prestar le navi
a' Romani nel tempo delle loro guerre. Queste città come marittime
abbondavan di vascelli, e gli studj de' Napoletani furon più, che in
altro, nelle cose di mare, come ben a proposito notò Pietro Lasena[84];
onde a quello gli obbligarono, che potevan esse somministrare; come
in fatti nella lor prima guerra navale, ch'ebbero co' Cartaginesi, i
Napoletani, i Locresi ed i Tarentini mandaron loro cinquanta navi. E
Livio[85] introducendo Minione rispondente a' Romani, i quali eran
venuti a dissuadergli la guerra che in nome d'Antioco intendeva
fare ad alcune città greche, le quali stavan alla loro divozione,
in cotal guisa lo fa parlare: _Specioso titulo uti vos, Romani,
Graecorum Civitatum liberandarum, video; sed facta vestra orationi non
conveniunt, et aliud Antiocho juris statuistis, alio ipsi utimini. Qui
enim magis Smyrnaei, Lampsacenique Graeci sunt, quam Neapolitani, et
Rhegini, et Tarentini, a quibus stipendium, a quibus naves ex foedere
exigitis?_
I Capuani, secondo che suspica l'accuratissimo Pellegrino[86], quando
la loro città era a' Romani federata, non dovettero pagar tributo
di navi, ma d'eserciti terrestri; perciocchè dominando eglino una
fecondissima regione, dovevan i loro eserciti militari esser di
fanteria, e di cavalleria; ed è ben noto, che i Capuani militarono in
gran numero negli eserciti terrestri de' Romani. Ma siccome l'infedeltà
de' Capuani verso i Romani portò la ruina della loro città, poichè
ridotta in Prefettura, rimase senza Senato, senza Popolo, senza
Magistrati, ed in più dura condizione, e servitù[87]; così all'incontro
Napoli perseverando con molta costanza nella medesima amicizia co'
Romani in ogni loro prospera e contraria fortuna, e singolarmente nel
tempo della seconda guerra Cartaginese, quando le frequenti vittorie,
che di coloro ottenne Annibale, avean riempiuta tutta l'Italia e la
medesima Roma di confusione e di terrore, fu loro sempre fedele,
e costante. Fu ancora questa città gratissima a' Romani per gli
piacevoli costumi ed esercizj dei suoi Greci, e per l'amenità del suo
clima, ond'i Romani d'ogni grado e d'ogni età, non che i men robusti
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