Istoria civile del Regno di Napoli, v. 1 - 20

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quod negotium Romano cum Gothis est, aut Gotho emerserit aliquod cum
Romanis, legum consideratione definias; nec permittimus discreto jure
vivere, quos uno voto volumus vindicare_[723]. Solamente quando le
liti s'agitavan fra Goto e Goto volle, che si decidessero dal proprio
Giudice, ch'egli destinava in ciascuna città, secondo i suoi editti,
i quali, come s'è detto, ancorchè contenessero alcune cose di gotica
disciplina, non molto però s'allontanavan dalle leggi romane; ma in
ciò i Romani anche venivan privilegiati, poichè solo se la lite era fra
Goto e Goto, poteva procedere il lor Giudice: ma se in essa occorreva,
che v'avesse anche interesse il Romano, attore o reo che questi si
fosse, doveva ricorrersi al Magistrato romano: ed in questa maniera
era conceputa da Teodorico la formola della _Comitiva_, che si dava
a coloro, che da lui erano eletti per Giudici de' Goti in ciascheduna
provincia, rapportata da Cassiodoro nel settimo libro fra le molt'altre
sue formole[724].

§. III. _La medesima politia, o Magistrati ritenuti da TEODORICO in
Italia._
Siccome somma fu la cura di Teodorico di ritenere in Italia le
leggi romane, non minore certamente fu il suo studio di ritenere
ancora l'istessa forma del governo, così per quel che s'attiene alla
distribuzione delle province, come de' Magistrati e delle dignità.
Egli ritrovando trasferita la sede imperiale da Onorio e Valentiniano
suoi predecessori in Ravenna, che non a caso, e per allontanarsi da
Roma, ivi la collocarono, ma per esser più pronti ed apparecchiati a
reprimer l'irruzioni de' Barbari, che per quella parte si inoltravan
ne' confini d'Italia, ivi parimente volle egli fermarsi; onde le
querele de' Romani erano pur troppo ingiuste e irragionevoli, quando
di lui si dolevano, perchè in Ravenna, e non in Roma, avesse collocata
la sua sede regia. Ben del suo amore inverso quella inclita città
lasciò egli manifestissimi documenti, ornandola di pubbliche e chiare
memorie della sua grandezza e regal animo, e della sua magnificenza,
cingendola ancora di ben forti e sicure mura. Non fu minore il suo
amore e riverenza verso il Senato romano, come ne fanno pienissima
fede le tante affettuose epistole da lui a quel Senato dirizzate,
piene d'ogni stima e rispetto, che si leggono presso a Cassiodoro. In
Ravenna adunque, come avean fatto i suoi predecessori, collocò la sua
regia sede; e quindi resse l'Italia, e queste nostre province, che
ora compongono il Regno di Napoli, con quelli Magistrati medesimi, co'
quali era stata governata dagl'Imperadori romani.
De' Magistrati e degli altri Ufficiali del palazzo e del Regno,
ancorchè alcuni ne fossero stati sotto il suo governo nuovamente
rifatti, e ne' nomi e ne' gradi qualche diversità vi si notasse,
se ne ritennero però moltissimi, se non in tutto nella potestà e
giurisdizione simili a quelli de' Romani, molti però nel nome ed
assaissimi anche in realtà a' medesimi conformi. Si ritennero i
Senatori, i Consoli, i Patrizj, il Prefetto al Pretorio, i Prefetti
della città, ed i Questori. Si ritennero i Consolari, i Correttori,
i Presidi, e moltissimi altri. Qualche mutazione solamente fu
negli Ufficiali minori, essendo stata usanza dei Goti in ogni,
benchè picciola città, mandare i Comiti, e particolari Giudici per
l'amministrazione del governo e della giustizia, e di creare alcuni
altri Ufficiali, di cui nella _Notizia_ delle dignità dell'Imperio è
ignoto il nome.
Ma se in questo divario de' Magistrati introdotto da' Goti, vogliamo
seguire il sentimento dell'accuratissimo Ugon Grozio, bisognerà dire,
che in ciò fecero cosa assai più commendabile, che i Romani stessi;
imperciocchè, e' dice, appresso a' Romani furon molti nomi di dignità
affatto vani e senza soggetto: _Multa apud Romanos ejusmodi inani
sono constantia, Vacantium, Honorariorum, etc._[725]. All'incontro
i Goti ebbero sentimenti contrarj, come si legge in Cassiodoro[726]:
_Grata sunt omnino nomina, quae designant protinus actiones, quando
tota ambiguitas audiendi tollitur ubi in vocabulo concluditur,
quid geratur_. In oltre Grozio riflette, che i Romani mandando per
ciascheduna provincia un Consolare, o un Preside, il qual dovesse avere
il governo e la cura di tutte le città e castelli della provincia,
molti de' quali eran assai distanti dalla sua sede: quindi avveniva,
che non potendo il Preside esser presente in tutti que' luoghi, venivan
perciò a gravarsi i provinciali d'immense e rilevanti spese, poichè
bisognava ch'essi ricorressero a lui da parti remotissime. Presso a'
Goti la bisogna in altro modo procedeva: avevan bensì le province i
loro Consolari, i Correttori, ed i Presidi, nulladimeno non solamente
alle più principali città, ma eziandio a ciascheduno, benchè piccolo
castello, mandavansi i _Comiti_, o altri Magistrati inferiori, fedeli,
incorrotti, e dal consentimento de' popoli approvati, acciocchè
potessero render loro giustizia, ed aver cura de' tributi, e altri
bisogni di que' luoghi.
Tanto che questa disposizione di Magistrati, che oggidì ancora nel
nostro Regno osserviamo, di mandarsi Governadori e Giudici ad ogni
città, la dobbiamo non a' Romani, ma a' Goti.
E se ne' tempi nostri si praticassero que' rigori e quelle diligenze,
che a' tempi di Teodorico usavansi nella scelta di tali Ministri,
cioè di mandare uomini di conosciuta integrità e dottrina, e a'
Popoli accettissimi, vietando perciò l'appellazioni ad altri Tribunali
lontani, e sol permettendole, quando o la gravità degli affari, o una
manifesta ingiustizia il richiedesse, certamente d'infinite liti, e di
tanti gravi dispendj vedrebbonsi libere queste nostre province, ch'ora
non sono. E per questa cagione presso a molti Scrittori tanto s'esagera
il governo de' Popoli orientali ed affricani, che noi sovente nelle
comuni querele sogliamo perciò invidiargli; perocchè questi non pur
nelle città, ma in ogni piccolo castello hanno i lor Giudici sempre
pronti ed apparecchiati, e le liti non tantosto sono fra essi insorte,
che subito veggonsi terminate, rarissime volte, o non mai, ammettendo
appellazioni; perchè la gente tenendo nella venerazione dovuta il
Magistrato, a' suoi decreti tosto s'acqueta, e soffre più volentieri,
che se le tolga la roba controvertita, che andar girando in parti
lontane e remote con maggiori dispendj, e coll'incertezza di vincere, e
sovente col timore di tornar a perdere; e stiman esser di loro maggior
profitto, che ad essi s'usi una ingiustizia pronta e sollecita, che
una giustizia stentata e tarda. Perciò Clenardo[727] avendo lasciata
Europa, e in Affrica nel regno di Feza ricovratosi, soleva a molti
suoi amici europei scrivere, ch'egli non invidiava le magnificenze
e grandezze di tante belle città, solamente perchè non dovea più nel
Foro rivoltarsi tra tanta gente malvagia e piena di cavilli: nè ivi
faceva uopo de' loquaci Causidici, ma se occorreva tra quegli Affricani
qualche lite, era sempre presto il Giudice a deciderla, nè tornavan a
casa i litiganti, se non terminato il litigio. Ma questo, nello stato
delle cose presenti, è più tosto da desiderarsi, che da sperarsi;
poichè il male è nella radice; oltracchè nell'elezione de' Magistrati
non s'attendon più quelle prerogative, che forse in quei tempi, ch'ora
noi chiamiamo barbari, accuratamente s'attendevano: ciò che allora era
rimedio, presentemente in mortifero veleno si trasmuterebbe: giacchè
fin da' tempi d'Alfonso I. Aragonese si trasfuse il male di concedere
a' Baroni del Regno ogni giurisdizione ed imperio. E oggi sono più i
governi, che si concedono da' medesimi, che quelli, che sono dal Re
provveduti e la maggior parte del Regno è governata da essi nelle prime
istanze; onde era espediente, che s'ammettessero que' tanti ricorsi
a' Tribunali superiori che oggi giorno osserviamo; giacchè non potè
praticarsi il disegno, che Carlo VIII, Re di Francia, in que' pochi
mesi, che tenne questo Regno, avea conceputo, di togliere a' Baroni
ogni giurisdizione ed imperio, e ridurgli a somiglianza di quelli di
Francia, e dell'altre province d'Europa[728].
Ma ritornando onde siamo dipartiti, i Goti, secondo che ci
rappresentano i libri di Cassiodoro, furon molto avvertiti nella scelta
de' Magistrati, e non meno nell'elezione de' maggiori Ufficiali, che
in quella de' minori, che mandavano in ciascuna città, ponendovi ogni
lor cura e diligenza: quindi presso a Cassiodoro leggiamo tanti nuovi
Ufficiali, i Cancellieri, i Canonicarj, i Comiti, i Referendarj; e le
tante formole, colle quali eran tante e sì varie dignità conferite a'
soggetti di conosciuta bontà e dottrina. Pietro Pantino[729] scrisse
un non dispregevol libro delle dignità della Camera gotica: ma come
fu osservato da Grozio[730], senza la costui fatica e diligenza, ben
potevano quelle ravvisarsi e comprendersi dal libro sesto e settimo
di Cassiodoro, ove tutte queste dignità ci vengono rappresentate e
descritte.

§. IV. _La medesima disposizione delle province ritenuta in Italia dal
Re TEODORICO._
Ritenne ancora questo Principe la stessa divisione delle province,
che sotto l'Imperio di Costantino, e de' suoi successori componevano
l'Italia: era ancora il medesimo numero di quel d'Adriano: ed in
diciassette eran ancora distinte, nè ciò, ch'ora appelliamo Regno di
Napoli, in più province fu partito: quattro ancora furono sotto la
dominazione di Teodorico. I. la Campagna. II. la Calabria colla Puglia.
III. la Lucania, e' Bruzj. IV. il Sannio. Alla provincia della Campagna
furono mandati, come prima, i Consolari a governarla: all'altre due di
Calabria, e Lucania i Correttori; ed al Sannio i Presidi.

_Della Campagna, e suoi Consolari._
Il primo Consolare della Campania, che ne' cinque libri di
Cassiodoro[731] s'incontra, fu un tal _Giovanni_, a cui Teodorico mandò
una epistola, nella quale tanto gli raccomandava la giustizia, e la
cura della pubblica utilità, decorandolo col titolo di _Viro Senatori_,
come dall'iscrizione: _Joanni V. S. Consiliari Campaniae, Theod.
Rex_. A questo stesso Giovanni indirizzò Teodorico quel suo editto,
che presso a Cassiodoro[732] anche si legge, per cui fu severamente
proibita quella pessima usanza, che nella Campania e nel Sannio erasi
introdotta, che il creditore senza pubblica autorità, ma per privata
licenza si prendeva la roba del debitore per pegno, nè la restituiva,
se del suo credito non fosse stato soddisfatto; anzi sovente si
prendeva la roba non del debitore, ma d'un suo amico, vicino, o
congiunto, che in Italia son chiamate _Rappresaglie_: si vietò tal
costume severamente, e s'impose pena della perdita del credito, e di
restituire il doppio, nel caso, che si fosse fatta rappresaglia non al
debitore, ma all'amico, o congiunto. Zenone Imperadore quest'istesso
avea comandato per l'Oriente con una sua consimile costituzione[733]:
onde Teodorico, che intendeva reggere l'Italia colle medesime massime,
volle anche in ciò imitarlo: Giustiniano poi lo ripetè nelle sue
Novelle[734]. Nè volle mai Teodorico permettere, che s'usassero simili
violenze nel suo Regno, ma che i creditori, secondo che parimente
dettavano le leggi romane, per vie legittime di pubblici giudizj,
sperimentassero le loro ragioni.
Trovandosi questo Principe esausto a cagion delle guerre sostenute
alcun tempo co' Francesi, ebbe necessità di far da questa provincia
proveder di vettovaglie i suoi eserciti; e si legge perciò un
altro suo editto[735], imponendo a' Navicularj della Campagna, che
trasportassero que' viveri nelle Gallie. Meditava ancora d'imporle
altri pesi; ma orando a pro di questa provincia Boezio Severino[736],
e ponendogli avanti gli occhi le tante sue miserie, e le tante
afflizioni e desolazioni, che per l'invasione de' Vandali aveva
patite, clementissimamente Teodorico le concedè ogni indulgenza, nè
di nuovi pesi volle maggiormente caricarla; anzi avendo i Campani, e
particolarmente i Napoletani ed i Nolani, per l'irruzione del Vesuvio
accaduta in questi tempi, patiti danni gravissimi, concedè a' medesimi
indulgenza anche de' soliti tributi, come scorgesi presso a Cassiodoro
in quell'altro suo editto[737], nel quale con molto spirito e vivezza
si descrivono i fremiti, l'orride nubi, ed i torrenti di fuoco, che
suole mandar fuori quel monte. Cassiodoro è maraviglioso in simili
descrizioni, ma quel che non se gli può condonare, è, che oltre
al valersi d'alcune ardite iperboli, e d'alcune metafore soverchio
licenziose, introduce in sì fatta guisa a parlar Teodorico, che non
saprebbesi scernere, se voglia ordinar leggi, e dar providenza a'
bisogni delle sue province, come era il suo scopo, o pure voglia far
il declamatore, introducendolo sovente a parlare in una maniera, che
non si comporterebbe nè anche a' più stravolti Panegiristi de' nostri
tempi.
Aveva veramente la Campania, quando Gezerico dall'Affrica si mosse
con potente armata ad invadere l'Italia, patiti danni insopportabili.
Fu allora da' Vandali aspramente trattata, devastando il suo paese, e
Capua, ch'era la sua metropoli, fu barbaramente saccheggiata, e poco
men, che distrutta. Queste stesse calamità sofferirono Nola e molte
altre città della medesima. Napoli solamente per cagion del suo sito fu
dal furor di quei Barbari esente: città allora, ancorchè piccola, ben
difesa però dal valore de' suoi cittadini, dal sito, e più dalle mura
forti, che la cingevano. E per questa varia fortuna, che sortirono,
avvenne da poi, che molte città di queste nostre province da grandi si
fecion picciole, e le picciole divennero grandi; quindi avvenne ancora,
che ruinata Capua e molte città di questa provincia, Napoli cominciasse
piano piano ad estollersi sopra tutte l'altre, e ne' tempi dei Greci e
Longobardi si rendesse capo d'uno non picciol Ducato.
Ne' tempi di Teodorico, niuna altra città di questa provincia leggiamo,
che si fosse rallegrata cotanto dell'imperio di questo Principe, quanto
Napoli; nè altra, che avesse con tanti e sì cospicui segni di fedeltà
e di stima mostrata la sua divozione ed ossequio verso di lui. Assunto
che fu Teodorico nel Trono, gli eressero i Napoletani nella maggiore
lor piazza una statua, quella, che da poi s'ebbe per infausto presagio
dell'infelice fine della dominazione de' Goti in Italia; poichè, come
narra Procopio[738], avevan i Napoletani innalzata a Teodorico questa
statua composta, con maraviglioso artificio, di picciole petruzze di
color vario, e così bene tra lor commesse, che al vivo rappresentavano
l'effigie di quel Principe. Essendo ancor vivente Teodorico si vide il
capo di questa statua da se cadere, disciogliendosi quel compaginamento
di pietruzze, che lo formavano: e non guari da poi si seppe in
Napoli la morte di questo Principe, ed in suo luogo esser succeduto
_Atalarico_ suo nipote. Passati otto anni del Regno di costui, si
videro in un subito da loro scomporsi quelle, che formavan il ventre;
e nell'istesso tempe s'intese la morte d'Atalarico. Non molto da
poi caddero l'altre, che componevan le parti genitali, ed insieme
s'ebbe novella della morte d'_Amalasunta_ figliuola di Teodorico. Ma
quando ultimamente si vide Roma assediata da' Goti per riprenderla,
ecco, che vanno a terra tutte quell'altre, che le coscie e i piedi
formavano, e tutta cadde da quel luogo, dove era collocata: dal qual
fatto conghietturarono i Romani, dover l'esercito dell'Imperadore
d'Oriente rimaner superiore, interpretando, per li piedi di Teodorico
non denotarsi altro, che i Goti, a' quali egli avea imperato; e
questo vano e ridicolo presagio fu di tanta forza appresso le genti
volgari, le quali soglionsi muovere più per si fatte cose, che per
qualunque più culta diceria di Capitano, che fattesi ardite, presero
non leggiera speranza della vittoria. Nel che parimente giovaron certi
versi Sibillini, posti fuori da alcuni Senatori romani, molto adattati
ad imposturar la gente, il senso de' quali, come ponderò assai bene
Procopio, prima dell'esito delle cose non potea in veruno conto capirsi
per intelletto umano; poichè que' versi eran cotanto disordinati e
confusi, e veramente fanatici, che sbalzando da' mali dell'Affrica alla
Persia, indi fatta menzione de' Romani, passavan poi a parlar degli
Assirj: ritornavan a favellar de' Romani, e poi a cantar delle calamità
de' Britanni: quando poi si vedeva il successo, allora si ponevano in
opera mille graziose interpretazioni, e scoprivano per l'evento seguito
il senso degli oscuri e fantastici versi.
Ma ritornando al nostro proposito, fu Napoli a Teodorico molto fedele e
divota: ed all'incontro questo gratissimo Principe trattò i Napoletani
con non minori segni d'amore e di gratitudine: nè picciolo segno di
stima dee riputarsi quello, che tra le formole delle _Comitive_ del
primo ordine, che da Teodorico solevan darsi a coloro, a' quali egli
commetteva il governo di qualche illustre città, si legga ancora
appresso Cassiodoro[739] quella destinata per Napoli; poichè questo
Autore le formole solamente rapporta, che a' personaggi destinati al
governo di qualche famosa città si solevan dare, non già quelle delle
minori. Leggonsi solo quelle della città di Siracusa, di Ravenna, di
Roma, ed altri luoghi cospicui: per le altre città minori una generale
solamente se ne legge adattata per tutte; e le _Comitive_, che davansi
per lo governo di queste, non eran del primo, ma del secondo ordine,
com'è manifesto dalla formola stessa appresso Cassiodoro[740]. Nè
si tralasciano nella _Comitiva_ (oppure se ci aggrada nomarla col
linguaggio de' nostri tempi, _Cedola_, ovvero _Patente_) le prerogative
di questa città, le sue delizie, la sua eccellenza, quanto sia decoroso
l'impiego, quanto ampia l'autorità e giurisdizione, che se gli concede;
e quanto pieno di maestà il suo Tribunale: ella è chiamata[741]:
_Urbs ornata multitudine Civium, abundans marinis, terrenisque
deliciis: ut dulcissimam vitam te ibidem invenisse dijudices, si
nullis amaritudinibus miscearis: Praetoria tua officia replent,
militum turba custodit. Conscendis gemmatum Tribunal, sed tot testes
pateris, quot te agmina circumdare cognoscis. Praeterea litora, usque
ad praefinitum locum data jussione custodis. Tuae voluntati parent
peregrina commercia. Praestas ementibus de pretio suo, et gratiae
tuae proficis, quod avidus mercator acquirit. Sed inter haec praeclara
fastigia, optimum esse Judicem decet, etc._ Nè minori sono l'affettuose
dimostranze, che da questo Principe eran espresse nella lettera solita
darsi al provisto, scrivendo alla città di Napoli in commendazione del
medesimo; la formola della quale pur la dobbiamo a Cassiodoro[742];
e da essa può anche raccorsi, che Teodorico lasciasse a' Napoletani
quell'istessa forma di governo, ch'ebbero ne' tempi de' Romani, cioè
d'aver la Curia, o Senato, come prima, dove degli affari di quella
città per quel che s'attiene alla pubblica annona, al riparo delle
strade, ed altre occorrenze riguardanti il governo della medesima,
avessero cura: e solamente loro togliesse il poter da' Decurioni
eleggere i Magistrati, i quali quella giurisdizione avessero, che
concedeva egli al Governadore, o _Comite_, che vi mandava. Ebbe ancora
questa provincia il suo Cancelliero, la cui carica e funzioni ci sono
rappresentate da Cassiodoro nell'undecimo e duodecimo libro delle sue
Opere[743].

_Della Puglia e Calabria, e suoi Correttori._
Siccome non volle Teodorico mutare il governo della Campagna ne'
Magistrati superiori, lasciando i Consolari in essa, come ebbe sotto
i Romani: così nè meno piacque al medesimo mutarlo nella provincia
della Puglia e Calabria. Non divise egli, intorno al governo, la Puglia
dalla Calabria, nè mutarono queste province nomi, come ne' tempi che
seguirono, furon variati: sotto un solo Moderatore furon amministrate,
ancorchè al governo di ciascuna città, particolari _Comiti_, o sia
Governadori mandasse, secondo la commendabile usanza de' Goti.
Il Primo Moderatore della Puglia e Calabria, che ne' primi cinque
libri di Cassiodoro s'incontra, fu un tal _Festo_, ovvero _Fausto_,
come altri leggono; a costui si vede da Teodorico indirizzata
quell'epistola[744], per la quale si concede a' pubblici Negoziatori
della Puglia e Calabria la franchigia de' dazi e gabelle, e sono da
notarsi i speziosi e decorosi titoli co' quali Teodorico tratta questo
Ministro.
Tenne Teodorico particolar cura di questa provincia, e de' suoi campi,
e molte salutari providenze egli vi diede, come in più luoghi appresso
Cassiodoro potrà osservarsi[745]. Fra le città della Puglia più
cospicue fu un tempo Siponto, che ora delle sue alte ruine appena serba
alcun vestigio: città quanto antica, altrettanto nobile e potente,
tanto che i suoi Sipontini ne' seguenti tempi poteron sostenere lunghe
guerre co' Napoletani e co' Greci, come nel suo luogo diremo. Dalle
comuni calamità, che per l'irruzione dei Vandali, e per la tirannide
d'Odoacre travagliarono l'Italia, non restò libera questa città: furono
i suoi cittadini in que' tre, ultimi anni di guerra, che Odoacre
sostenne con Teodorico, per essersi renduti i Sipontini a questo
Principe, crudelmente da Odoacre trattati, ed i loro campi devastati,
tanto che i Negozianti sipontini in grand'estremità ridotti, ricorsero
alla clemenza di Teodorico, chiedendogli l'immunità de' tributi, e
qualche dilazione per li loro creditori: fu loro per tanto pietosamente
da questo Principe conceduto, che per due anni non potessero esser
travagliati per li tributi, nè molestati da' loro creditori, come
da un'altra epistola diretta al suddetto Fausto Moderatore di questa
provincia, o pure, come altri leggono, ad _Atemidoro_, si scorge presso
al Senatore[746].

_Della Lucania e Bruzj, e suoi Correttori._
Siegue la provincia della Lucania e de' Bruzj, intorno al cui governo
niente ancora fu da Teodorico variato. Si ritennero i Correttori, nè i
Bruzj da' Lucani furon divisi, ma sotto un sol Moderatore, come prima,
rimasero. Reggio fu la lor sede, ond'è, che appresso Cassiodoro[747]
si raccomandano i cittadini di questa città ad Anastasio Cancelliero
della Lucania e de' Bruzj, e l'origine del nome di Reggio è descritta:
_Rhegienses cives, ultimi Brutiorum, quos a Siciliae corpore violenti
quondam maris impetus segregavit, unde Civitas eorum nomen accepit;
divisio enim ῥῆγησις Graeca lingua vocitatur etc._
Non dee riputarsi picciol pregio di questa provincia l'avere avuto ne'
tempi di Teodorico per suo Correttore _Cassiodoro_ medesimo, che fu
il primo personaggio di questa età, cui Teodorico profusamente cumulò
di tutte le dignità, che dalla sua regal mano potevan dispensarsi.
Nel principio del suo Regno, essendo le cose della Sicilia, per lo
nuovo dominio, ancora fluttuanti, fu trascelto Cassiodoro al governo
di quell'isola. Indi dato bastante saggio degli altissimi suoi
talenti, nella Lucania e ne' Bruzj per Correttore di questa provincia
fu mandato. Non molto da poi alla dignità di Prefetto Pretorio fu
assunto, e finalmente al supremo onore del Patriziato fu da Teodorico
promosso[748], come per la formola, che Cassiodoro stesso ne' suoi
libri ci propone, è manifesto[749]; dalla quale par che possa senza
dubbio ricavarsi, come il Barrio, Fornerio, Romeo, e moltissimi altri
Autori scrissero[750], essere stata il Bruzio, e propriamente Squillace
patria di sì nobile spirito, e che al suo terreno debba darsi tutto il
vanto d'aver pianta sì nobile prodotta, come anche da quelle parole
di Teodorico si raccoglie: _Sed non eo praeconiorum fine contenti,
Brutiorum, et Lucaniae tibi dedimus mores regendos: ne bonum, quod
peregrina Provincia_ (intendendo della Sicilia) _meruisset, genitalis
soli fortuna nesciret_.
Fu dopo Cassiodoro, sotto questo stesso Principe, Correttore
della Lucania e de' Bruzj _Venanzio_, al quale Teodorico scrisse
quell'epistola, in cui l'esazion de' tributi di questa provincia
gl'incarica; così appresso Cassiodoro leggiamo[751]: _Venantio Viro
Senatori Correctori Lucaniae, et Brutiorum, Theod. Rex_. Di questo
stesso Venanzio fassi da Teodorico onorata menzione in quel suo
editto[752] indirizzato ad Adeodato, dove si legge: _Viri spectabilis
Venantii Lucaniae, et Brutiorum Praesulis_[753] e del Correttore
di questa provincia pur nel capo seguente presso a Cassiodoro fassi
menzione, come da quelle parole: _Corrector Lucaniae, Brutiorumque_.
Tenne ancora la Lucania, e' l Bruzio il suo Cancelliero, come può
vedersi appresso Cassiodoro[754].
A' Navicularj della Lucania, siccome a quelli della Campagna, ancora
fu da Teodorico comandato il trasporto delle vettovaglie in Francia,
come si legge appresso il Senatore[755]. Nè da Atalarico suo nipote
fu questa provincia trascurata. Egli diede opportuni provvedimenti,
perchè una gran fiera, che si faceva in questi tempi, e dove concorreva
molta gente di tutte l'altre province, ed una gran festività, che si
celebrava nel dì di S. Cipriano, non fosse disturbata: donde fu data
occasione a Cassiodoro[756], come altrove[757] fece del fonte Aretusa
posto nel territorio di Squillace, di descriverci il maraviglioso fonte
Marciliano, ch'era nella Lucania, ed impiegare nella descrizione del
medesimo, secondo il solito stile, tutte le sue arditezze ed iperboli:
e quel ch'è più, ponendole in bocca d'un Principe, che non aveva altro
scopo, che con severi editti proibire, che tanta celerità non fosse da'
rei, e perversi uomini disturbata.
(Il fonte Marciliano in Lucania descritto da Cassiodoro _Lib._ 8 _Ep._
33 era vicino alla città chiamata _Cosilina_, oggi distrutta, la quale
avea un sottoborgo, chiamato _Marciliano_, dove poi andò ad abitare
il Vescovo, onde promiscuamente fu da poi nominato, ora _Episcopus
Marcellianensis_, ora _Cosilinus_. Ecco come ne parla Ostenio nelle
note a Carlo S. Paolo in _Lucania, et Brutia_: _Cosilianum antiquissima
Lucaniae Civitas_. Cassiodor. _var. lib. 8 Ep. 33_. _Suburbicum habuit
_Marcilianum_, sive _Marcellianum_, unde Marcellianensis Episcopus,
et Cosilinus promiscue dicebatur._ Contrastano i vicini abitatori per
appropriarsene i ruderi; e chi vuole, che sian quelli, onde sorse la
città di _Marsico_, altri pretendono, che da que' ruderi fosse sorta,
non già _Marsico_, ma la città di _Sala_).

_Del Sannio, e suoi Presidi._
Viene in ultimo luogo il Sannio, provincia, siccome appo i Romani,
così ne' tempi di Teodorico, non decorata d'altro, che di Preside.
In questa provincia si legge presso a Cassiodoro[758] essersi da
Teodorico mandato a preghiere de' Sanniti un tal _Gennaro_, ovvero
come altri[759] leggono, _Sunhivado_ per lor Moderatore e Giudice,
imponendosegli, che accadendo litigio nella medesima tra' Romani con
Goti, ovvero fra' Goti con Romani, dovesse secondo le leggi romane
diffinirlo; non volendo egli permettere, che sotto varie e diverse
leggi i Romani co' Goti vivessero, le cui parole già furon da noi,
ad altro proposito, recate. Ebbe anche questa provincia i suoi
Cancellieri, come è chiaro appresso Cassiodoro[760]; e del Sannio
pur altrove[761] fassi da Teodorico memoria; tanto che non v'è stata
provincia di quelle, che ora compongon il nostro Regno, che, per le
memorie, che a noi sono rimase di questo Principe, le quali tutte fra
gli altri Scrittori le dobbiamo a Cassiodoro, non si vegga da Teodorico
providamente amministrata e dati giusti ed opportuni rimedi per lo
governo loro.

§. V. _I medesimi Codici ritenuti, e le medesime condizioni delle
persone, e de' retaggi._
Quindi può distintamente conoscersi, che le nostre province, estinto
l'Imperio romano d'Occidente, ancorchè passassero sotto la dominazione
de' Goti, non sentirono quelle mutazioni, che regolarmente ne' nuovi
dominj di straniere genti soglion accadere. Non furon in quelle
nuove leggi introdotte, ma si ritennero le romane, e la legge comune
de' nostri provinciali fu quella de' Romani, ch'allora ne' Codici
Gregoriano, Ermogeniano, e sopra ogni altro nel Codice di Teodosio,
e nel Corpo delle Novelle di questo Imperadore, di Valentiniano,
Marziano, Magioriano, Severo, ed Antemio suoi successori si
contenevano: ed a' libri di quelli Giureconsulti, che Valentiniano
trascelse, era data piena autorità e forza.
Non s'introdusse nuova forma di governo, e si ritennero i medesimi
Ufficiali; nè la variazione de' Magistrati fu tanta, che non si
ritenessero le dignità più cospicue e sublimi. Poichè l'idea di
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