Istoria civile del Regno di Napoli, v. 1 - 01

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ISTORIA CIVILE
DEL
REGNO DI NAPOLI

DI
PIETRO GIANNONE

VOLUME PRIMO

MILANO
PER NICOLÒ BETTONI
M.DCCC.XXI


AL POTENTISSIMO E FELICISSIMO
PRINCIPE
CARLO VI IL GRANDE
DA DIO CORONATO IMPERADORE DE' ROMANI
RE DI GERMANIA, DELLE SPAGNE, DI NAPOLI, D'UNGHERIA
DI BOEMIA, DI SICILIA, EC.

_Avventurosa, e non men di queste Province fortunata deggio reputar
io l'_Istoria Civile del Regno di Napoli_, che ora umilmente, e
coll'animo, il più ch'io possa, riverente e divoto alla _CESAREA E
CATTOLICA MAESTÀ VOSTRA_ presento; non sol tanto per aver ella la
sorte d'uscire alla luce del Mondo sotto un Principe non meno eccelso e
poderoso, che magnanimo e benigno; e di così rara e maravigliosa bontà,
ch'essendo le sue grandezze maggiori della fama, non isdegna di prender
in grado le più basse ed umili cose, allorchè da ossequiosa mano
se gli porgono in dono; ma ancora per esser venuta a terminarsi ne'
vostri innumerabili e segnalati beneficj, de' quali avete colmo questo
Regno, e nelle vostre sublimi e gloriose azioni, di cui avete riempiuto
il Mondo tutto; onde la beneficenza, e la fama di tutti gli altri
Principi, che lo dominarono, di gran lunga sopravanzando, lo splendore
stesso de' vostri Augusti Antecessori avete certamente oscurato._
_Se mai, per effetto di vostra natural cortesia, tra la moltitudine
delle occupazioni gravissime, che nel governamento di sì numerose
Province, ed ampj Regni, onde il vostro grande Imperio si compone,
tengono debitamente la divina vostra mente occupata, dall'altezza
del supremo grado delle mondane cose, dove non men per retaggio de'
vostri Maggiori, che per vostri meriti e virtù siete elevato, degnerà
la Maestà Vostra abbassar l'occhio a riguardare ciò, che 'n questa
Istoria si narra, per lo corso di presso a quindici secoli; potrà
quindi chiaramente comprendere, non pur questo suo fedelissimo Regno,
per dignità e per grandezza, non cedere a quanti ora ubbidiscono
al suo gran nome; ma, che sotto tanti e sì varj Principi di nazioni
diverse, onde e' fu dominato, dopo tanti, e sì varj cambiamenti del suo
governo civile, veduto mai non fu nella più alta ventura, ed in tanta
tranquillità e splendore, come ora, che riposa sotto il di Lei giusto
e clementissimo dominio._
_Nello scadimento del Romano Impero, sotto quegli ultimi Cesari, fu da
straniere nazioni miseramente combattuto ed afflitto. I Longobardi,
pugnando co' Greci e co' Normanni, e sovente tra lor medesimi, il
renderon teatro miserabile di guerre e di rapine. Gli Svevi l'avrebbon
certamente rilevato, se non fosse lor convenuto, quasi sempre
colle armi in mano, dalle altrui intraprese coprirlo e difenderlo.
Gli Angioini, che dal favore de' Romani Pontefici ne riconobbero
l'acquisto, il posero in mille soggezioni e servitù; e dopo la morte
dell'inclito Re Roberto, essendo caduto sotto la dominazione di
femmine, e tra le competenze di più Reali di quella stirpe, da più
parti combattuto, streme miserie ebbe a sofferire. Fu poi dal magnanimo
Alfonso Re d'Aragona restituito nel suo antico lustro; ma avendolo
in morte separato dagli altri suoi paterni Regni, e lasciatolo a
Ferdinando suo natural figliuolo, non tanto sotto costui, quanto sotto
i suoi discendenti, ritornò nelle primiere calamità e disordini. Il
savio Re Ferdinando il Cattolico restaurollo dalle passate sciagure,
e sotto l'imperio del vostro gran Zio, dell'invitto e glorioso Carlo
V, videsi portato anche a maggior fortuna. Ma Filippo II di lui
figliuolo, abbagliato da altre sue vastissime idee, poco ne curò la
dechinazione, e molto meno i suoi discendenti. Ma essendosi a' nostri
felicissimi tempi avventurosamente restituito sotto il vostro alto e
potente imperio, a tanta grandezza con la vostra benefica mano l'avete
sollevato là dove non fu veduto giammai. Stolta cosa mi parrebbe a
dover credere, che i vostri immensi beneficj a quelli degli altri Re
vostri predecessori comparar si potessero. Voi spinto dalla fedeltà
e dall'amore de' nostri cuori, e più dalla grandezza e generosità del
proprio, che non saprebbe donare, senza arricchire; non pur l'antiche
degnaste di confermare, ma di nuove e copiosissime grazie, e tutte
considerabili fregiarne. Onoraste la città nostra, e i suoi Eletti,
di nuovi e più ragguardevoli titoli. Antiponeste i nativi del Regno
nelle cariche, beneficj, e negli uffizj, escludendone i forestieri.
Severamente vietaste, non più per utile del vostro erario, che de'
vostri sudditi l'alienazione de' fondi dell'entrate regali. Imponeste,
che per niun modo nelle cause appartenenti alla nostra S. Fede
procedessero, se non gli Arcivescovi e gli altri Ordinarj di questo
Regno, come Ordinarj, e con la via ordinaria che si pratica negli altri
delitti, e cause criminali ecclesiastiche. Con più vostri regali editti
comandaste, che in tutti i Beneficj, Vescovadi, Arcivescovadi, ed altre
Prelature del Regno, ne fossero esclusi gli stranieri. Accresceste
i privilegj a' Baroni, oltre a' gradi già stabiliti la succession
feudale stendendo. Vostro ordinamento fu, che la ruota del Cedulario
si togliesse: contro del regio fisco la prescrizion centenaria
si ammettesse, anche nelle regalie, nelle cose giurisdizionali, e
nell'altre vostre fiscali ragioni. E non minor beneficio è quello che
ritrae il Regno, oggi che vive sotto le vostre temute insegne, dal
venir compreso nelle tregue, che si fanno tra l'Imperio e 'l Turco;
e dal commerzio, il quale Vostra Maestà è tutta intesa ad aprire, ed
allargare nei nostri Porti colla Germania, e con altre più remote
regioni. Cose tutte, di cui, in altri tempi, vano sarebbe stato il
desiderio, non che la speranza._
_Ma il maggior pregio, onde dobbiamo gir alteri nel suo felicissimo
regno, è l'aver Ella col decoro dell'Imperial Maestà sostenute, e fatte
valer tra noi, ed a nostro pro i suoi legali diritti, e le sue alte
e supreme Regalie: affinchè più non si confondessero, come già fu, i
confini tra 'l Sacerdozio e l'Imperio. Sotto i vostri auspicj furon
queste due potenze ridotte ad una perfetta armonia e corrispondenza; e
prendendo lodevolmente la cura dell'esterior politia ecclesiastica, vi
mostrate tutto volto a restituir la disciplina nella Chiesa, di cui per
instituzion Divina siete protettore ed avvocato; tal che oggi ammirasi
la giustizia e la giurisdizione ecclesiastica nel suo giusto punto,
lasciandosi al Sacerdozio quel, ch'è di Dio, ed all'Imperio quel, ch'è
di Cesare._
_Se adunque questa Storia non si troverà degna d'altro pregio, sì
n'avrà ella d'assai, nè potrò io pentirmi di avervi logorati in
faticose vigilie molti anni, coll'aver manifestato al Mondo, quanto
Voi nel beneficarci e nell'illustrarci, e negli atti di magnanimità
e di valore, avete superati i beneficj e l'opere di tutti altri Re
vostri predecessori; e che per rendervi per fama immortale ed eterno,
immortali ed eterne cose operando, ogni umana grandezza addietro vi
lasciate._
_Il vostro grande e sublime intendimento ben comprenderà quali, e
quanti debban essere i nostri obblighi per sì rari e stupendi beneficj,
la cui dolce memoria non si estinguerà se non col Mondo. E se le
grazie, e doni non altronde sogliono, che da dilezion provenire, quali
più chiari segni, e più certi potrà mai darne il vostro paterno amore?
E perchè essendo Voi ottimo, e nel più sublime grado di vera virtù,
non potete amare se non se 'l buono, e ciò che maggiormente a quel
s'avvicina; dovrem noi sempre più studiarci d'esser buoni e grati,
almeno per le stesse massime de' cattivi, cioè per proprio interesse,
per non interromperci il corso favorevole delle vostre benignissime
grazie._
_Vengono, Principe eccelso, in quest'Opera, dove l'opportunità l'ha
richiesto, sostenute le vostre regalie e preminenze, e le ragioni
di quelle con ischietta e pura verità messe in chiaro; non già con
intendimento, che s'abbia punto da scemare altrui ciò, che dirittamente
se gli dee, che questo alla santa sua mente non s'affarebbe; ma
perchè possan riformarsi con modi legittimi quegli abusi, a' quali la
debolezza umana, in processo di tempo, ha potuto abbandonarsi; e per
quell'affezione ed ardore, che ciascun vostro fedel vassallo è tenuto
d'avere, non men per amore della verità, e per l'obbligo dovuto al
proprio Signore, che per l'interesse che noi medesimi ci abbiamo. E
quindi fia, se non m'inganno, che non solamente non abbia a dispiacer
altrui, se vedrà d'averle io con franchezza cristiana difese; ma che
questa Storia si renda meritevole dell'alta protezione della vostra
potente mano: il che reputerò io degna mercede di queste mie lunghe
fatiche, le quali portando in fronte la gloriosa scritta del vostro
Imperial Nome, ed uscendo alla luce, come dono, ancorchè basso e
mal conveniente a tanto Principe, sotto l'ombra de' vostri temuti
allori, saranno sicure di non esser percosse dagli ardenti fulmini
della maledica invidia, nè pur crollo veruno, o scossa dovran temere
d'ingiuriosa fortuna._
_La vostra sola benignità mi fa ragion di sperare, che siate per
accettarle con lieto e favorevol viso, onde le obbligazioni, ch'insieme
con questo comune io porto, me con particolar maniera costringano a
pregare con incessabili voti la Divina Bontà, che lungamente e sempre
più prosperandola, conservi la sua eccelsa Persona, in guisa, che non
ce n'abbiano a portar invidia i nostri nipoti: largamente concedendole
ciò, che tanto si sospira, e che sol manca per compimento della
universal tranquillità e contentezza._
_Napoli 12 febbraio 1723._
_Di V. S. C. e C. M._
_Umiliss. devotiss. ed ossequiosiss. Vass. e Serv._
PIETRO GIANNONE.


INTRODUZIONE

L'Istoria, che prendo io a scrivere del Regno di Napoli, non sarà
per assordare i leggitori collo strepito delle battaglie, e col romor
dell'armi, che per più secoli lo renderon miserabil teatro di guerra;
e molto meno sarà per dilettar loro colle vaghe descrizioni degli
ameni e deliziosi suoi luoghi, della benignità del suo clima, della
fertilità de' suoi campi, e di tutto ciò, che natura, per dimostrar suo
potere e sua maggior pompa profusamente gli concedette: nè sarà per
arrestargli nella contemplazione dell'antichità e magnificenza degli
ampj e superbi edificj delle sue città, e di ciò, che l'arti meccaniche
maravigliosamente vi operarono: altri quest'ufficio ha fornito; e forse
se ne truova dato alla luce vie più assai, che non si converrebbe.
Sarà quest'Istoria tutta civile; e perciò, se io non sono errato, tutta
nuova, ove della politia di sì nobil Reame, delle sue leggi e costumi
partitamente tratterassi: parte, la quale veniva disiderata per intero
ornamento di questa sì illustre e preclara region d'Italia. Conterà,
nel corso poco men di quindici secoli, i varj stati, ed i cambiamenti
del suo governo civile sotto tanti Principi, che lo dominarono; e per
quanti gradi giugnesse in fine a quello stato, in cui oggi 'l veggiamo:
come variossi per la politia ecclesiastica in esso introdotta, e per li
suoi regolamenti: qual uso ed autorità ebbonvi le leggi romane, durante
l'Imperio, e come poi dichinassero; le loro obblivioni, i ristoramenti,
e la varia fortuna delle tant'altre leggi introdotte da poi da varie
nazioni: l'accademie, i Tribunali, i Magistrati, i Giureconsulti,
le Signorie, gli Ufficj, gli Ordini, in brieve, tutto ciò, che alla
forma del suo governo, così politico e temporale, come ecclesiastico e
spiritual s'appartiene.
Se questo Reame fosse sorto, come un'isola in mezzo all'Oceano,
spiccato e diviso da tutto il resto del Mondo, non s'avrebbe avuta
gran pena a sostenere, per compor di sua civile istoria molti
libri: imperciocchè sarebbe bastato aver ragione de' Principi, che
lo dominarono, e delle sue proprie leggi ed istituti, co' quali fu
governato. Ma poichè fu egli quasi sempre soggetto, e parte, o d'un
grand'Imperio, come fu il romano, e da poi il greco, o d'un gran Regno,
come fu quello d'Italia sotto i Longobardi, o finalmente ad altri
Principi sottoposto, che tenendo collocata altrove la regia lor sede,
quindi per mezzo de' loro Ministri 'l reggevano; non dovrà imputarsi,
se non a dura necessità, che per ben intendere la sua spezial politia,
si dia un saggio della forma e disposizione dell'Imperio romano, e
come si reggessero le sue province, fra le quali le più degne, ch'ebbe
in Italia, furon certamente queste, che compongono oggi il nostro
Regno. Non ben potrebbe comprenders'il loro cambiamento, se insieme
non si manifestassero le cagioni più generali, onde variandosi il
tutto, venisse anche questa parte a mutarsi; e poichè queste regioni,
per le loro nobili prerogative invitarono molti Principi d'Europa
a conquistarle, furon perciò lungamente combattute, ciascheduno
pretendendo avervi diritto, e chi come tributarie, chi in protezione, e
qual finalmente come feudatarie le pretese: si è riputato perciò pregio
dell'opera, che i fonti di tutte queste pretensioni si scovrissero;
nè potevano altramente mostrarsi, se non col dare una general'idea,
e contezza dello stato d'Italia in varj tempi, e sovente degli altri
principati più remoti, e de' trasportamenti de' reami di gente in
gente, onde sursero le tante pretensioni, che dieron moto all'imprese,
e fomento.
Nè cotali investigamenti sono stati solamente necessarj per dare
un'esatta, e distinta cognizione dello stato politico e temporale di
questo regno, come per avventura sarà da alcuni riputato; ma eziandio
per quello, che s'aspetta ad ecclesiastici affari; imperocchè non
minori furon le contese fra' Principi del secolo, che fra' maggiori
Prelati della Chiesa. Fu anche questo regno combattuto da' due
più celebri Patriarchi del Mondo, da quel di Roma in occidente,
e dall'altro di Costantinopoli in oriente. Per tutte le ragioni
apparteneva il governo delle nostre Chiese al Pontefice romano, non pur
come Capo della Chiesa universale, ma anche come Patriarca d'occidente,
eziandio se l'autorità sua patriarcale avesse voluto restringersi alle
sole città _suburbicarie_; ma il costantinopolitano con temerario
ardire attentò usurpare le costui regioni: pretese molte Chiese di
questo Reame al suo patriarcato d'oriente appartenersi: che di lui
fosse il diritto di erger le città in metropoli, e d'assegnar loro que'
Vescovi suffraganei, che gli fossero piaciuti. Era perciò di mestiere
far vedere, come questi due patriarcati dilatassero pian piano i loro
confini: il che non potea ben farsi senza una general contezza della
politia dello Stato ecclesiastico, e della disposizione delle sue
diocesi e province.
L'istoria civile, secondo il presente sistema del Mondo cattolico, non
può certamente andar disgiunta dall'istoria ecclesiastica. Lo stato
ecclesiastico, gareggiando il politico e temporale de' Principi, si
è, per mezzo dei suoi regolamenti, così forte stabilito nell'imperio,
e cotanto in quello radicato, e congiunto, che ora non possono
perfettamente ravvisarsi li cambiamenti dell'uno, senza la cognizione
dell'altro. Quindi era necessario vedere, come, e quando si fosse
l'ecclesiastico introdotto nell'Imperio, e che di nuovo arrecasse in
questo Reame: il che di vero fu una delle più grandi occasioni del
cambiamento del suo stato politico e temporale; e quindi non senza
stupore scorgerassi, come, contro a tutte le leggi del governo,
abbia potuto un Imperio nell'altro stabilirsi, e come sovente il
sacerdozio abusando la divozion de' Popoli, e 'l suo potere spirituale,
intraprendesse sopra il governo temporale di questo Reame, che fu
rampollo delle tante controversie giurisdizionali, delle quali sarà
sempre piena la repubblica cristiana, e questo nostro Regno più che
ogni altro; onde preser motivo alcuni valentuomini di travagliarsi per
riducere queste due potenze ad una perfetta armonia e corrispondenza,
e comunicarsi vicendevolmente la loro virtù ed energia; essendosi
per lunga sperienza conosciuto, che se l'imperio soccorre con le sue
forze al sacerdozio, per mantenere l'onor di Dio ed il sacerdozio
scambievolmente stringe ed unisce l'affezion del Popolo all'ubbidienza
del Principe, tutto lo Stato sarà florido e felice; ma per contrario,
se queste due potenze sono discordanti fra loro, come se il sacerdozio,
oltrepassando i confini del suo potere spirituale, intraprendesse sopra
l'Imperio e governo politico, ovvero se l'Imperio rivolgendo contro Dio
quella forza, che gli ha messa tra le mani, volesse attentare sopra il
sacerdozio, tutto va in confusione ed in ruina; di che potranno esser
gran documento i molti disordini, che si sentiranno perciò in questo
istesso nostro Reame accaduti.
Nel trattar dell'uso e dell'autorità, ch'ebbero in queste nostre
province, così le leggi romane, come i regolamenti ecclesiastici, e le
leggi dell'altre nazioni, non si è risparmiato nè fatica nè travaglio:
e forse il veder l'opera in questa parte abbondare, farà scoprir la
mia professione, palesandomi al Mondo più Giureconsulto, che Politico.
Veracemente meritava questa parte, che fosse fra noi ben illustrata;
poichè non in tutti luoghi, nè in tutti tempi fu cotal uso ed autorità
delle romane leggi sempre uniforme: onde avendo i nostri Giureconsulti
trascurata questa considerabilissima parte, siccome altresì quella
dell'origine ed uso dell'altre leggi, che da poi nello stesso nostro
Regno da straniere Nazioni s'introdussero; è stata potissima cagione,
ch'abbian costoro riempiuti i lor volumi di gravi e sconci errori;
da' quali con chiaro documento siamo ancora ammaestrati, quanto a
ciaschedun sia meglio affaticarsi per andar rintracciando in sua
contrada le varie fortune ed i varj casi delle leggi romane, e delle
proprie, che con dubbio, e poco accertamento andar vagando per le
province altrui. Imperocchè quantunque si possa, per un solo, tesser
esatta istoria dell'origine e progressi delle lettere nell'altre
professioni, e della varia lor fortuna per tutte le parti d'Europa,
siccome veggiamo esser ad alcuni talora riuscito; nientedimeno quanto
è alla Giurisprudenza, la quale spesso varia aspetto al variar de'
Principi e delle Nazioni, egli non è carico, che possa già per un solo
sostenersi, ma dee in più esser ripartito, ciascun de' quali abbia a
raggirarsi nell'uso, nell'autorità e nelle varie mutazion, che troverà
nella propria regione essere accadute. Così scorgiamo essersi della
Giurisprudenza romana per alcuni eccellenti Scrittori compilata qualche
istoria; però quasi si son affaticati a renderla chiara ed illustre, in
narrando la sua origine ed i progressi ne' tempi, che l'Imperio romano
nacque, crebbe, e si stese alla sua maggior grandezza; ma i varj casi
di quella, quando l'Imperio cominciò poi a cader dal suo splendore, la
sua dichinazione, obblivione e ristoramento, l'uso e l'autorità, che le
fu data ne' nuovi Dominj, dopo l'inondazione di tante nazioni in Europa
stabilite; quando per le nuove leggi rimanesse presso che spenta, e
quando ristabilita quelle oscurasse; non potranno certamente in tutte
le parti d'Europa da un solo esattamente descriversi. Perciò ben si
consigliarono alcuni nobili spiriti, dopo aver dato un saggio delle
cose generali nel proprio Regno o provincia, prefiggersi i confini,
oltre a' quali di rado, o non mai trapassarono.
Un uom di Bretagna, e dal Mondo diviso, reputando gli altri in
troppo brevi chiostri aver ristretto l'ardire dell'ingegno umano,
mostrò d'aver coraggio per tant'impresa. Fu questi il celebre _Arturo
Duck_[1], il quale oltre a' confini della sua _Inghilterra_ volle in
altri e più lontani Paesi andar rintracciando l'uso e l'autorità delle
romane leggi ne' nuovi dominj de' Principi cristiani; e di quelle di
ciascheduna Nazione volle ancora aver conto: le ricercò nella vicina
_Scozia_, e nell'_Ibernia_; trapassò nella Francia, e nella Spagna;
in Germania, in Italia, e nel nostro Regno ancora: si stese in oltre
in Polonia, Boemia, in Ungheria, Danimarca, nella Svezia, ed in più
remote parti. Ma l'istessa insigne sua opera ha chiaramente mostrato
al Mondo, non esser questa impresa da un solo; poichè sebbene la gran
sua diligenza, e la peregrinazione in varj paesi d'Europa, come nella
Francia, nella Germania e nell'Italia, avessero potuto in gran parte
rimuovere le molte difficoltà al proseguimento della sua impresa;
nondimeno il successo poi ha dimostrato essersi ciò ben potuto da
lui esattamente adempire nella sua _Inghilterra_, nella _Scozia_,
nell'_Ibernia_, ed in alcune regioni da se meno lontane; ma nell'altre
parti, e spezialmente nel nostro Reame, si vede veramente essersi
da pellegrino diportato; conciossiacosachè, seguendo le volgari
scorte, cadde in molti errori, non altro avendoci somministrato, che
una molto leggier contezza dell'uso, e dell'autorità delle leggi,
così romane, come proprie, qui introdotte da varj Principi, che lo
ressero. Ned egli, per la sua ingenuità, nella conchiusion del libro
potè dissimularlo, promettendosi appo stranieri trovar perdono,
se trattando delle loro leggi e costumi, così parco stato fosse: e
confesso altro non essere stato suo intendimento, che d'invogliare
i Giureconsulti d'altri paesi, acciocchè, prendendo esempio da lui,
quel che egli aveva adempiuto nella sua _Inghilterra_, volessero essi
fare con più diligenti trattati ne' proprj loro Regni o province. Per
questa cagione, poco prima d'Arturo, alcuni Scrittori, senz'andar molto
vagando, alle proprie regioni si restrinsero. _Innocenzio Cironio_[2]
Cancellier di Tolosa volle raggirarsi per la sola _Francia_, ancorchè
assai leggiermente la scorresse. Ma _Alteserra_[3] ciò con maggior
esattezza, e più minutamente volle ricercare in quella provincia,
ove ei nacque, cioè nell'_Acquitania_. E _Giovanni Costa_ eccellente
Cattedratico in Tolosa, promise di far lo stesso con maggior diligenza
in tutto il Regno di _Francia_: ma questa sua grand'opera, che con
impazienza era aspettata dal Cironio[4], da Arturo[5], e da tutti
gli altri eruditi, non sappiamo ancora a' dì nostri, se mai uscita
sia alla luce del Mondo. _Giovanni Doujat_[6] fece da poi lo stesso,
non oltrapassando i confini della _Francia_; e talora è accaduto, che
volendo alcuni esser troppo curiosi nelle altrui regioni, abbiano nelle
proprie trascurate le migliori ricerche, ed in mille errori esser per
ciò inciampati.
Alla _Germania_ non manca il suo Istorico, intorno a questo suggetto.
_Ermanno Coringio_[7] compilò un trattato dell'origine, e varia fortuna
delle leggi romane e germaniche, del quale fassi onorata memoria
presso a Giorgio Pasquio[8]; ed a' dì nostri _Burcardo Struvio_[9] ne
ha compilato un altro più difuso, rapportando altri Autori, che per
l'Alemagna fecero lo stesso.
Non manca all'_Olanda_ il suo, e _Giovanni Voezio_ compilò un libro,
intitolato: _De Usu Juris Civilis et Canonici in Belgio unito_.
Per la Spagna abbiamo, che _Michele Molino_ ne distese un consimile per
lo Regno d'_Aragona. Giovanni Lodovico Cortes_ scrisse l'Istoria _Juris
Hispanici_; e _Gerardo Ernesto di Franckenau_ sopra questo argomento si
distese più d'ogni altro[10]. Hanno pure intorno a ciò i loro Istorici,
la _Svezia_, la _Danimarca_, la _Norvegia_, e l'altre province
settentrionali. Nè ve ne mancano ancora in alcune parti della nostra
_Italia_, come in Milano per l'industria di _Francesco Grasso_[11], ed
in altri paesi ancora della medesima.
Nel nostro Regno solamente, ciò che gli altri, tratti dall'amor della
gloria della loro Nazione, fecero, è stato sempre trascurato. Nè per
certo dovrebb'essere maggior l'aspettazione e 'l desiderio, che vi si
provedesse, della maraviglia, come in un Regno così ampio e fecondo di
tanti valorosi ingegni che con le loro opere han dato saggio al Mondo,
null'altro studio esser loro più a cuore, che quello delle leggi,
abbian poi tralasciato argomento sì nobile ed illustre. Imperciocchè
una Storia esatta dell'uso ed autorità, che nel nostro Regno ebbero
le leggi romane, e de' varj accidenti dell'altre leggi, che di
tempo in tempo furon per diverse nazioni in esso introdotte, onde ne
vennero le prime oscurate, e come poi risorte avessero racquistato
il loro antico splendore ed autorità, e siansi nello stato, in cui
oggi veggiamo, restituite; dovrebbe in vero essere una delle cose
appresso noi più considerabili, non per leggieri e vane, ma per gravi
ed importantissime cagioni. Non perchè per troppa curiosità, e forse
inutile, si dovesse esser ansioso di spiar le varie vicende di quelle;
non perchè ne ricevano esse maggior pompa e lustro, nè per ostentazione
di peregrina e non volgar'erudizione; ma per più alte cagioni: queste
sono, perchè da un esatta notizia di tutto ciò, che abbiam proposto
oltre all'accrescimento della prudenza, per l'uso delle leggi, e per
un diritto discernimento, ciascuno potrà ritrarne l'idea d'un ottimo
Governo; poichè notandosi nell'Istoria le perturbazioni ed i moti delle
cose civili, i vizj e le virtù, e le varie vicende di esse, saprà molto
ben discernere, quale sia il vero, ed al migliore appigliarsi.
Ma sopra ogni altro, da ciò dipende in gran parte il rischiaramento
delle nostre leggi patrie, e de' nostri proprj istituti e costumi;
le quali cose non per altra cagione veggonsi dai nostri Scrittori
sì rozzamente trattate, e sovente, senza comprendersene il senso, sì
stranamente a noi esposte; se non perchè ignari della storia de' tempi,
de' loro Autori, delle occasioni, onde furono stabilite, dell'uso e
dell'autorità delle leggi romane, e delle longobarde, sdrucciolaron
perciò in quei tant'errori, de' quali veggonsi pieni i lor volumi, e di
mille puerilità, e cose inutili o vane caricati; e tanta ignoranza avea
loro bendati gli occhi, che si pregiavano d'essere solamente Legisti,
e non Istorici; non accorgendosi, che perchè non erano Istorici, eran
perciò cattivi Legisti, e rendevansi dispregevoli appo gli estranei,
ed a molti ancora de' loro compatrioti. _Carlo Molineo_[12] di quanti
sconci errori riprese, per ignoranza d'Istoria, non pur _Baldo_, ma
eziandio il nostro _Andrea d'Isernia_? E di quanto scherno furono
perciò i nostri agli altri Scrittori? Di quanto riso fu a costoro
cagione _Niccolò Boerio_, che scrisse, i Longobardi essere stati certi
Re venutici dalla Sardegna, il nostro _Matteo degli Afflitti_, e tanti
altri?
Si aggiunge eziandio l'utilità grande, che dalla cognizione di tal
Istoria si ritrae per l'uso del Foro, e de' nostri Tribunali, e per
le controversie medesime forensi. Nel che non possiamo noi in questi
tempi allegar miglior testimonio, che il _Cardinal di Luca_, stato
celebre Avvocato in Roma, ed uomo nel Foro compiutissimo, il quale
in quasi tutti i suoi infiniti discorsi, onde furon compilati tanti
volumi, con ben lunga esperienza ha dimostrato in mille luoghi[13],
non altronde esser derivati i tanti abbagli de' nostri Scrittori, se
non dall'ignoranza dell'Istoria legale, tanto che non predica altro,
così a' Giudici, come agli Avvocati, che l'esatta notizia di quella,
senza la quale sono inevitabili gli errori, e le scipitezze. Ma fra'
nostri, niun altro rendè più manifesta questa verità, quanto quel lume
maggiore della gloria de' nostri Tribunali, l'incomparabile _Francesco
d'Andrea_, il quale in quella dotta disputazione feudale[14], che diede
alla luce del Mondo, ben a lungo dimostrò, che non altronde, che da
questa Istoria potevan togliersi le difficoltà, dove aveano inviluppata
tal materia i nostri Scrittori; onde si videro perciò in mill'errori
miseramente caduti. Ciò che dovea essere a tutti d'ammonimento quanto
la cognizione dell'Istoria legale sia necessaria a tutte l'altre
controversie del Foro. Nè lasciò questo gran Letterato, per quanto
comportava il suo istituto, di darci di quella non debil lume. E
veramente nostra disavventura fu, che ciò, che gli altri Scrittori
fecero per gli loro paesi, non avesse egli tentato di far per lo nostro
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