Istoria civile del Regno di Napoli, v. 1 - 07

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de' studj, ed in ciò porre ogni lor cura. Erasi negli ultimi nostri
tempi cominciato a veder qualche riparo da' Collegj instituiti per la
gioventù, nel che furon eminenti i Gesuiti. Ma par ora che scaduta
già in quelli la prima disciplina, veggasi ancora andare scemando
quell'antico fervore, e corrompersi sempre più ogni buon instituto.
Richiederebbero veramente queste cose più tosto un Censore, che un
Istorico, onde potendo fin qui bastare ciò che se n'è divisato come
per un apparato delle cose che avranno a seguire, farem passaggio,
dopo aver narrata la politia ecclesiastica di quest'età, a' tempi di
Costantino, donde quest'istoria prende suo principio.


CAPITOLO XI.
_Della Politia Ecclesiastica dei tre primi secoli._

La nuova religione cristiana, che da Cristo Signor nostro cominciò ne'
tempi di Tiberio a disseminarsi fra gli uomini, ci fece conoscere due
potenze in questo Mondo, per le quali e' bisognava che si governasse,
la spirituale, e la temporale, riconoscenti un medesimo principio, ch'è
Iddio solo[248]. La spirituale nel Sacerdozio, o stato ecclesiastico,
che amministra le cose divine e sacrate: la temporale nell'Imperio, o
Monarchia, o vero stato politico, che governa le cose umane e profane:
ciascuna di loro avente il suo oggetto separato: i Principi perchè
soprantendano alle cause del secolo: i Sacerdoti alle cause di Dio.
Ciascuna ancora ha suo potere diverso e distinto; de' Principi il
punire, o premiare con corporale pena, o premio: de' Sacerdoti con
spirituale. In breve, a ciascuna fu dato il suo potere a parte: laonde
siccome non senza cagione il Magistrato porta la spada, così ancora i
Sacerdoti le chiavi del Regno de' Cieli.
Non così era prima presso a' pagani, i quali non riconoscevano nel
Mondo queste due potenze infra loro separate e distinte; ma in una sola
persona l'unirono: ond'è che i loro Re soli n'eran capi e moderatori:
e la ragion era, perch'essi della religione si servivan per la sola
conservazione dello Stato, e non la indirizzavano, come facciam noi,
ad un altro più sublime fine. Così presso a' Romani il Pontificato
Massimo lungo tempo durò nella stessa persona degl'Imperadori[249],
e se bene avessero separati Collegi di Sacerdoti, a' quali la cura
della lor religione era commessa, nientedimeno come che della medesima
si servivano per la sola conservazione dello Stato, dovean per
conseguenza le deliberazioni più gravi al Principe riportarsi, che
n'era il Capo: istituto, che ad essi fu tramandato da' loro maggiori,
appo i quali, come dice Cicerone[250], _qui rerum potiebantur, iidem
auguria tenebant; ut enim sapere, sic divinare, regale ducebatur_.
Quindi Virgilio[251] del Re Annio cantò. _Rex Anius, Rex idem hominum,
Phoebique Sacerdos._
Appresso gli antichi Greci questo medesimo costume veggiamo, che ci
rappresenta Omero, dove gli Eroi, cioè i Principi, eran quelli che
facevan i sacrifizj: degli Ateniesi e di molte altre città della Grecia
lo stesso narra Platone: appresso gli Etiopi, scrive Diodoro, che i Re
eran i Sacerdoti: siccome ancora appresso gli Egizj narra Plutarco; ed
appresso gli Spartani Erodoto[252].
Ma presso a' Cristiani la religione non è indirizzata alla
conservazione dello Stato, ed al riposo di questo Mondo, ma ad un più
alto fine, che riguarda la vita eterna, e che ha il suo rispetto a
Dio, non agli uomini: e quindi presso di noi il Sacerdozio è riputato
tanto più alto e nobile dell'Imperio, quanto le cose divine sono
superiori all'umane, e quanto l'anima è più nobile del corpo e de'
beni temporali. Ma dall'altra parte, essendo stata data da Dio la spada
all'Imperio per governar le cose mondane, vien ad essere questa potenza
più forte in se medesima, cioè a dire in questo Mondo, che non è la
potenza spirituale data da Dio al Sacerdozio, al quale proibì l'uso
della spada materiale; poscia che ha solamente per oggetto le cose
spirituali, che non sono sensibili; ed il principale effetto della sua
forza è riserbato al Cielo; come ce ne fece testimonianza l'istesso
nostro buon Redentore, dicendo, il suo Reame non esser di questo Mondo,
e che se ciò fosse, le sue genti combatterebbono per lui.
Riconosciute fra noi queste due potenze procedenti da un medesimo
principio ch'è Iddio, da cui deriva ogni potestà, e terminanti ad
un medesimo fine, ch'è la beatitudine, vero fine dell'uomo; è stato
necessario, si proccurasse, che queste due potenze avessero una
corrispondenza insieme, ed una sinfonia[253], cioè a dire un'armonia ed
accordo composto di cose differenti, per comunicarsi vicendevolmente
la loro virtù ed energia, dimanierachè se l'Imperio soccorre colle
sue forze al Sacerdozio, per mantenere l'onor di Dio; ed il Sacerdozio
scambievolmente stringe ed unisce l'affezion de' Popoli all'ubbidienza
del Principe, tutto lo Stato sarà felice e florido: per contrario, se
queste due potenze sono discordanti fra loro, come se il Sacerdozio
abusandosi della divozion de' Popoli intraprendesse sopra l'Imperio, o
governamento politico e temporale, ovvero se l'Imperio voltando contra
Dio quella forza, che gli ha posta fra le mani, attentasse sopra il
Sacerdozio, tutto va in disordine, in confusione ed in ruina.
Egli è Iddio, che ha messo quasi da per tutto queste due potenze in
diverse mani, e l'ha fatte amendue sovrane in loro spezie, affinchè
l'una servisse di contrappeso all'altra, per timore che la loro
sovranità infinita non degenerasse in disregolamento, o tirannia. Così
vedesi, che quando la sovranità temporale vuole emanciparsi contra le
leggi di Dio, la spirituale le si oppone incontanente; e medesimamente
la temporale alla spirituale[254]: la qual cosa è gratissima a Dio,
quando si fa per via legittima, e sopra tutto quando si fa direttamente
e puramente per suo servigio, e per lo ben pubblico, non già per
l'interesse particolare e per intraprender l'una sopra l'altra.
E poichè queste due potenze si rincontrano per necessità insieme in
tutti i luoghi, ed in tutti i tempi, ed ordinariamente in diverse
persone; e dall'altra parte tutte due sono sovrane in loro spezie,
niente affatto dipendendo l'una dall'altra; l'infinita Sapienza per
evitare il disordine estremo, che nasce inevitabilmente dalla loro
discordia, ha piantati limiti sì fermi, ed ha messe separazioni
sì evidenti fra loro, che chiunque vorrà dare, benchè piccol luogo
alla ragione, non si potrà ingannare nella distinzione delle loro
appartenenze; poichè qual cosa è più facile a distinguere, che le cose
sacrate dalle profane, e le spirituali dalle temporali? Non bisogna
dunque, se non praticare questa bella regola, che il nostro Redentore
ha pronunciata di sua propria bocca, _Reddite quae sunt Caesaris
Caesari, quae sunt Dei Deo_. Regolamento assai breve, ma per certo
assai netto e chiaro, perchè quando la cura dell'anime, e delle cose
sacrate appartiene al Sacerdozio, egli bisogna, che il Monarca stesso
se gli sottometta in ciò, che concerne direttamente la religione
ed il culto di Dio, se sente d'avere un'anima, e se vuol essere
nel numero de' figliuoli di Dio e della Chiesa; chiaro e famoso è
l'esempio dell'Imperador Teodosio, il quale alla censura d'un semplice
Arcivescovo si rendè, ed adempiè la penitenza pubblica, che gli era
stata da colui ingiunta: l'attesta ancora l'esempio di Davide, _Qui
et si regali unctione Sacerdotibus, et Prophetis praeerat in causis
saeculi, tamen suberat eis in causa Dei_[255].
Reciprocamente ancora, poichè la dominazion delle cose temporali
appartiene a' Principi, e la Chiesa è nella Repubblica, come dice
Ottato Milevitano, e non già la Repubblica nella Chiesa, bisogna che
tutti gli Ecclesiastici, ed anche i Prelati della Chiesa ubbidiscano
al Magistrato secolare in ciò ch'è della politia civile[256]. _Si omnis
anima potestatibus subdita est, ergo et vestra_ (dice S. Bernardo[257]
ad Errico Arcivescovo di Sens) _quis vos excepit ab Universitate?
Certe, qui tentat excipere, tentat decipere_; e S. Gio. Grisostomo
sponendo il passo di S. Paulo: _Omnis anima potestatibus sublimioribus
subdita est_, dice, _etiam si fueris Apostolus, Evangelista, Propheta,
Sacerdos, Monachus, hoc vero pietatem non laedit_[258]. In breve, il
Papa S. Gregorio[259] il Grande: _Agnosco_, dice, _Imperatorem a Deo
concessum non militibus solum, sed et Sacerdotibus etiam dominari_.
Poichè dunque la distinzione di queste due potenze è tanto
importante, egli è stato ben necessario dar loro nomi differenti,
cioè coloro, i quali hanno la potenza ecclesiastica, sono chiamati
_Pastori_ e _Prelati_; e gli altri, che possedono la temporale, sono
particolarmente nominati _Signori_ o _Dominatori_. Appellazione, ch'è
interdetta agli Ecclesiastici di propria bocca di N. S. il quale in
due diversi tempi, cioè nella domanda de' figliuoli di Zebedeo, e nel
contrasto di precedenza sopravvenuto fra' suoi Apostoli, poco avanti
la sua santa passione, reiterò loro questa lezione: _Principes gentium
dominantur eorum, vos autem non sic, etc._ Lezion che S. Pietro ha
ben raccolta nella sua prima lettera, dicendo a' Vescovi: _Pascite,
qui in vobis est, gregem Dei non ut Dominantes in Cleris, sed forma
facti gregis_, cioè a dire, stabilito in forma di greggia, il cui
pastore non è il signore e proprietario, ma il ministro e governatore
solamente[260]. Così Dio gli dice: _Pasce oves meas_, e non già
_tuas_[261].
Ed in verità la potenza ecclesiastica essendo diretta sopra le cose
spirituali e divine, che non sono propriamente di questo Mondo, non può
appartenere a gli uomini in proprietà, nè per diritto di signoria, come
le cose mondane, ma solamente per esercizio ed amministrazione, fin
a tanto che Iddio (il qual solo è il Maestro, e signore delle nostre
anime) commette loro questa potenza soprannaturale, e per esercitarla
visibilmente in questo Mondo sotto suo nome, ed autorità, come suoi
Vicarj e Luogotenenti, ciascuno però secondo il suo grado gerarchico,
appunto come nella politia civile più Ufficiali, essendo gli uni sotto
gli altri, esercitano la potenza del Sovrano Signore.
Tutto ciò si dice per ispiegare la proprietà de' termini del soggetto
della presente opera, non già per diminuire in parte alcuna la potenza
ecclesiastica, la quale per contrario riferendosi direttamente a Dio,
dee essere stimata ben più degna di quella de' Principi della Terra
i quali ancora non avean nel principio la loro, che per ufficio e
per amministrazione, appartenendo la Sovranità, o per meglio dire la
libertà perfetta allo Stato in corpo. Così in que' tempi erano pur essi
chiamati _Pastori_ de' Popoli, come vengon qualificati da Omero: ma
l'oggetto della lor potenza, che consiste nelle cose terrene, essendo
adattato a ricever la signoria, o potenza in proprietà, essi l'hanno
da lungo tempo guadagnata, ed ottenuta in tutti i paesi del Mondo: de'
quali molti parimente ve ne sono, dove essi han ottenuto non solamente
la Signoria pubblica, ma ancora la privata, riducendo il lor Popolo in
ischiavitudine.
Non si possono ritrovar pruove più considerabili della distinzione di
queste due maniere di potestà, nè più solenni esempj del cambiamento
della potestà per ufficio e per esercizio, in quella di proprietà e
per diritto di signoria, che in quel che accadde nel Popolo di Dio,
quando annojato d'esser comandato da' Giudici, ch'esercitavano sopra
di lui la sovranità per ufficio ed amministrazione assolutamente, egli
volle avere un Re, il quale da allora innanzi avesse la sovranità per
diritto di signoria. Ciò che dispiacque grandemente a Dio, il quale
disse a Samuello ultimo de' Giudici, _essi non hanno te ricusato, ma
me, affinchè io non regni più sopra loro_: e poco da poi: _Tale sarà
il diritto del Re, etc._[262]. Il che significa, che Iddio stesso era
il Re di questo Popolo, ed aveva sopra lui la proprietà e la potenza,
allorchè era governato da semplici Giudici o Ufficiali[263]; ma che ciò
non sarà più, quando avrà un Re, il quale s'abuserà di questa potenza
in proprietà. Bella instruzione agli Ecclesiastici di lasciare a Dio
la proprietà della potenza spirituale, e contentarsi dell'esercizio di
quella, come suoi Vicarj e suoi Luogotenenti, qualità la più alta e la
più nobile, che potesse esser sopra la terra.
Ecco la distinzione della potenza spirituale e della temporale, che ben
dimostra, che l'una non include e non produce l'altra, medesimamente
non è superiore all'altra; ma che amendue sono o sovrane, o subalterne
in diritto loro, e in loro spezie.
Ma nientedimeno questa distinzione non impedisce, che l'una e l'altra
non possano risiedere in una istessa persona, e talora, ch'è più, a
cagion d'una medesima dignità. Tuttavolta bisogna prender cura, che
quando esse risiedono nella medesima dignità, fa mestiere, che ciò sia
una dignità ecclesiastica, e non già una signoria, o ufficio temporale;
poichè la potenza spirituale essendo più nobile della temporale,
non può dipendere, nè essere accessoria a quella, siccome non può
appartenere agli uomini laici, a' quali appartengono ordinariamente le
potenze temporali, e sopra tutto la potenza spirituale non può tenersi
per diritto di signoria, nè deferirsi per successione, nè possedersi
ereditariamente, come le signorie temporali.
Donde siegue, per dir ciò di passaggio, che è errore contro al senso
comune d'aver in Inghilterra voluto attribuire al Re, o alla Reina la
sovranità della Chiesa anglicana, in quel modo, che se l'attribuisce
la temporalità del suo Reame, quasi fosse da questa dependente[264]:
ebbe ciò suo cominciamento da collera, e da una particolar indegnazione
d'Errico VIII. contra 'l Papa, il qual negò d'approvare il di lui
divorzio, di che prese egli tanto sdegno, che ricusò per l'innanzi
di pagargli più quel tributo, che lungo tempo avanti si pagava in
Inghilterra; e quel ch'è più, seguendo lo sfrenato impeto dell'ira, si
dichiarò Capo della Chiesa anglicana immediatamente dopo Gesù Cristo,
e costrinse il suo Popolo a giurare, che lo riconosceva Signor sovrano
tanto nelle cose spirituali, che temporali: error, che apparve poi
visibilmente, quando la Reina Elisabetta sua figliuola venne a regnare;
imperocchè si vide allora una femmina per Capo della Chiesa anglicana,
e la sovranità spirituale caduta nella conocchia.
Ora, benchè per qualche tempo queste due potenze sieno state nelle
medesime persone fra il Popolo di Dio, cotesto però si fece in modo,
che la temporale era sempre accessoria al Sacerdozio; ma da poi che il
Popolo volle esser dominato da' Re, questi Re non ebbero la potenza
spirituale: e se pur talora la vollero essi intraprendere, ne furon
aspramente puniti da Dio, come è manifesto per l'istoria d'Ozia[265]:
ed in quanto a' Pagani, s'è già veduto, che in più Nazioni i Re sono
stati Sacerdoti, sottomettendo la religione allo Stato, e non se
ne servivano, che in quanto ella era necessaria allo Stato: ma noi
instruiti in migliori scuole, abbiam'appreso di preferire la religione,
c'ha il suo rispetto a Dio, e riguarda la vita eterna, allo Stato, che
non riflette, se non agli uomini, ed al riposo di questo Mondo. Ma non
vi è però alcun inconveniente, nè repugnanza, che la potenza temporale
sia annessa, e rendasi accessoria e dependente dal Sacerdozio, come ne'
seguenti libri di quest'Istoria osserveremo nella persona del Pontefice
romano, e negli altri Prelati della Chiesa: non già perchè fosse stata
prodotta dalla sovranità spirituale, e fosse una delle sue appartenenze
necessarie, ma si è da loro acquistata di volta in volta per titoli
umani, per concessioni di Principi, o per prescrizioni legittime, non
già _Apostolico Jure_, come dice S. Bernardo[266]; _nec enim ille tibi
dare, quod non habebat, potuit_.
Ecco il rincontro di queste due potenze in sovranità independenti l'una
dall'altra, e riconoscenti un sol principio, ch'è Iddio, distinte con
ben fermi limiti per propria bocca del nostro Salvatore, in guisa che
l'una non ha che impacciarsi coll'altra.

§. I. _Politia Ecclesiastica de' tre primi secoli in Oriente._
Riconoscendo noi adunque per la religione cristiana nel Mondo queste
due potenze, bisognerà che si narri ora, come la spirituale fosse
cominciata ad amministrarsi fra gli uomini, e come perciò tratto
tratto nell'Imperio, ed in queste nostre province si fosse stabilita la
politia, e lo stato ecclesiastico, che ne' secoli seguenti portò uno
de' maggiori cambiamenti dello stato politico, e temporale di questo
Reame.
In que' tre primi secoli dell'umana redenzione, prima che da Costantino
Magno si fosse abbracciata la cristiana religione, non potrà con
fermezza ravvisarsi nell'Imperio alcuna esterior politia ecclesiastica.
Gli Apostoli ed i loro successori intenti alla sola predicazione del
Vangelo, non molto badarono a stabilirla; e ne furon impediti ancora
dalle persecuzioni, che gli costringevano in privato e di soppiatto a
mantenere l'esercizio della loro religione fra' Fedeli.
Il nostro buon Redentore adunque, dovendo ritornar al Padre, che
lo mandò in questo Mondo per mostrarci una più sicura via di nostra
salute, volle, dopo averci dati tanti buoni regolamenti, lasciare in
terra suoi Luogotenenti, a' quali questo potere spirituale comunicò,
perchè come suoi Vicarj mantenessero e promulgassero da per tutto la
sua religione. E volle valersi, non già del ministero degli Angioli,
ma piacendogli innalzare il genere umano, volle eleggere per più
profondi misteri non i più potenti uomini della terra, ma i più vili
ed abbietti; volendo con ciò darci un'altra nota di distinzione tra
queste due potenze, che l'una non riguarda nè stirpe, nè altri pregi,
che il Mondo stima, ma solamente lo spirito, non il sangue e gli altri
umani rispetti. Lasciò per tanto questa potenza agli Apostoli suoi
cari discepoli, i quali, mentre egli conversò fra noi in terra, lo
seguirono; a' medesimi diede incumbenza d'insegnare e predicare la sua
legge per tutto il Mondo; e diè loro il potere di legare e sciorre,
come ad essi pareva, impegnando la sua parola, che sarebbe sciolto
in Cielo, quel ch'essi prosciogliessero in terra, e legato quel che
legassero.
Gli Apostoli ancorchè riconoscessero per lor Capo S. Pietro, nel
principio a tutt'altro pensarono, che a stabilire un'esterior
politia ecclesiastica, poichè intenti solamente alla predicazion
del Vangelo, ed a ridurre l'uman genere alla credenza di quella
religione, ch'essi procuravano di stabilire, e di stenderla per tutte
le province del Mondo, non badarono, che a questo solo: si sparsero
perciò e s'incamminarono per diverse parti, ove più il bisogno, ovvero
l'occasione gli portava. Le prime province furon quelle d'Oriente, come
più a Gerusalemme ed alla Palestina vicine: scorsero in Antiochia, in
Ismirna, in Efeso, in Alessandria e nell'altre città delle province
d'Oriente, nelle quali fecero miracolosi progressi, riducendo que'
Popoli alla vera credenza: nel che non molto venivano frastornati ed
impediti dagli Ufficiali dell'Imperio, poich'essendo queste province
lontane da Roma, capo e sede degl'Imperadori, non erano così da presso
i loro andamenti osservati; onde poterono stabilire in molte città
di quelle province la religione: e fare in più luoghi più unioni di
Fedeli, ch'essi chiamaron _Chiese_. Ma in questi principj, come dice
S. Girolamo[267], fondate ch'essi avevano nelle città le Chiese,
erano quelle governate dal comun consiglio del Presbiterio, come in
Aristocrazia. Da poi cresciuto il numero de' Fedeli, e cagionandosi
dalla moltitudine confusioni e divisioni, si pensò, per ovviare a'
disordini, di lasciare bensì il governo al Presbiterio, ma di dar la
soprantendenza ad uno de Preti il qual fosse lor Capo, che chiamaron
_Vescovo_, cioè a dire, Inspettore, il quale collocato in più
sublime grado, avea la soprantendenza di tutti i Preti, ed al quale
apparteneva la cura ed il pensiero della sua Chiesa, governandola però
insieme col Presbiterio: tanto che 'l governo delle Chiese divenne
misto di monarchico ed aristocratico, onde Pietro di Marca[268] ebbe
a dire, che il governo monarchico, della Chiesa veniva temperato
coll'aristocratico.
Alcuni han voluto sostenere, che in questi primi tempi il governo
e politia delle Chiese fosse stato semplice e puro aristocratico
presso a' Preti solamente, niente di più concedendo a' Vescovi, che
a' Preti, non reputandogli di maggior potere ed eminenza sopra gli
altri: ma ben a lungo fu tal errore confutato dall'incomparabile
Ugone Grozio[269]; ed il contrario ci dimostrano i tanti cataloghi de'
Vescovi, che abbiamo appresso Ireneo, Eusebio, Socrate, Teodoreto ed
altri, da' quali è manifesto, che fin da' tempi degli Apostoli ebbero
i Vescovi la soprantendenza della Chiesa, e collocati in più eminente
grado soprastavano a' Preti, come loro Capo. Così, non parlando de'
Vescovi di Roma come cosa a tutti palese, in Alessandria, morto che fu
S. Marco Evangelista, il qual soprastava a quella Chiesa, narra San
Girolamo[270], che i Preti sempre ebbero uno, che eleggevan per loro
Capo, _et in celsiori gradu collocatum. Episcopum nominabant_. Morì
S. Marco nell'anno 62 della fruttifera incarnazione, e nell'ottavo
anno dell'Imperio di Nerone[271]: e dopo lui fu in suo luogo rifatto,
vivendo ancora S. Giovanni Apostolo, Aniano; ad Aniano succedette nel
governo di quella Chiesa Abilio; ad Abilio, Cerdone; e così di mano in
mano gli altri[272]. In Antiochia, Evodio, Ignazio, ec. In Gerusalemme,
vivente ancor S. Giovanni, dopo la morte di S. Giacomo, tennero
il Vescovato di quella città, Simone, Giusto, ec. In Ismirna dagli
Apostoli stessi, cioè da S. Giovanni, fu preposto a' Preti per Vescovo
Policarpo, che governò quella Chiesa fin ad un'età provetta. Così
ancora la Chiesa d'Efeso, ancorchè amministrata da' Preti, a costoro
però uno era, che presedeva, e dopo Timoteo, ne fu per qualche tempo
Capo S. Giovanni medesimo: detto perciò Principe del Clero, ed Angelo
della Chiesa: succedettero quindi Tito ed altri in appresso; tanto
che nel Concilio di Calcedonia[273] per bocca di Leonzio Magnesiano
leggiamo: _A Sancto Timotheo, usque nunc XXVII. Episcopi facti, omnes
in Epheso ordinati sunt._
Nè dovrà sembrar cosa strana, per dir ciò di passaggio, che gli
Evangelisti, il cui impiego era d'andar girando per le province
dell'Imperio, e predicare il Vangelo, avessero potuto essere Vescovi
d'alcune città; poichè, come ben avvisa Ugon Grozio[274], essi
avean anche per costume di fermarsi in qualche luogo ove scorgevano,
che la loro più lunga dimora potesse essere di maggior profitto: e
fermati adempievano tutte le parti d'un buon Vescovo, presedendo al
Presbiterio. E per questa cagione noi leggiamo, che gl'istessi Apostoli
furono Vescovi d'alcune città, perchè in quelle lungamente dimorati
aveano governate le loro Chiese, come tutti gli altri Vescovi, da essi
in altre città instituiti, facevano.
Così col correr degli anni, disseminata la religion cristiana per
tutte le province dell'Imperio, ancorchè mancassero gli Apostoli,
succedettero in lor luogo i Vescovi, i quali, soprastando al
Presbiterio, ressero le Chiese: e si videro perciò nelle città
costituiti i Vescovi, come dice S. Cipriano: _Jam quidem per omnes
Provincias, et per Urbes singulas constituti sunt Episcopi_. Onde da
poi fu stabilmente costituito, che nel governo delle Chiese uno de'
Preti dovesse soprastare agli altri, ed al quale dovesse appartenere
la cura della Chiesa, come testifica S. Geronimo[275]: _In toto Orbe
decretum est, ut unus de Presbyteris electis caeteris superponeretur,
ad quem omnis cura Ecclesiae pertineret_.
Egli è però vero, che quantunque S. Cipriano dica, che in ciascheduna
città fosse stato il Vescovo instituito, si sa nondimeno che moltissime
non l'ebbero, e furon governate e rette dal solo Presbiterio; poichè
gli Apostoli non in ogni Chiesa instituirono i Vescovi, ma molte ne
lasciaron al solo governo del Presbiterio, quando fra essi non v'era
alcuno, che fosse degno del Vescovato, come dice S. Epifanio[276]:
_Presbyteris opus erat, et Diaconis, per hos enim duos Ecclesiastica
compleri possunt; ubi vero non inventus est quis dignus Episcopatu,
permansit locus sine Episcopo; ubi vero opus fuit, et erant
digni Episcopatu, constituti sunt Episcopi_. E quelle Chiese, che
rimanevan senza Vescovo, dice S. Girolamo, che _communi Presbyterorum
consilio gubernabantur_. Così di Meroe città dell'Egitto testifica
S. Atanasio[277], che fino ai suoi tempi non avea avuto Vescovo,
e si governava dal solo Presbiterio: e così di molte altre città
dell'Imperio testificano molti Scrittori di que' tempi.
Tale fu la politia in questi primi secoli dello stato ecclesiastico,
nè altra gerarchia si ravvisò, nè altri gradi distinti, se non di
Vescovi, Preti e Diaconi, i quali come loro Ministri teneano anche
cura dell'oblazioni, e di ciò che al sacro ministero era necessario.
Questi componevano un sol Corpo, di cui il Vescovo era Capo, e gli
altri Ministri, o meno o più principali erano i membri, ed era come
un Consiglio o Senato del Vescovo, che insieme con lui governava la
Chiesa. Quindi S. Girolamo[278] ragionando de' Vescovi, dicea che anche
quelli aveano il lor Senato, cioè il ceto de' Preti; siccome anche
dicea San Basilio[279]; ed Ignazio scrivendo a' Tralliani affermava,
che i Preti fossero i Consiglieri del Vescovo, gli Assessori di
quello, e che dovessero riguardarsi come succeduti in luogo del Senato
Apostolico: quindi era che S. Cipriano non soleva trattar cos'alcuna di
momento senza l'intervento o consiglio de' suoi Preti e Diaconi, come
si raccoglie dalle sue epistole[280].
Alcuni credettero[281], che questa politia di dar la soprantendenza
a' Vescovi e superiorità su i Preti fosse stata introdotta anche ad
esempio de' Gentili, appresso i quali nel Sacerdozio parimente si
notavano più gradi; e si vede ciò non solamente essersi praticato
da' Greci e da' Romani, ma essere stata anche disciplina antichissima
de' Druidi nella Gallia, come narra Cesare ne' suoi Commentarj[282]:
_Druidibus praeest unus, qui summam inter eos habet authoritatem_.
Presso a' Burgundi fuvvi ancora il Sacerdote massimo, come narra
Marcellino[283], e nella Repubblica giudaica questo stesso costume
approvò anche Iddio S. N. quando a tutti i Sacerdoti prepose uno di
maggiore autorità.
Ma quantunque fosse ciò probabile, e che a loro imitazione si fosse
instituito tal ordine, nulladimanco dovrà sembrare a ciascuno più
verisimile ciò che Grozio[284] suspica, essersi questa politia
introdotta ad esempio delle Sinagoghe degli Ebrei, delle quali par chè
le Chiese fondate dagli Apostoli fossero simulacri ed immagini: ed in
fatti osserviamo, che in molti luoghi le Sinagoghe erano senz'imperio,
siccome la Chiesa da se non ha imperio alcuno, e tutta la sua potenza
è spirituale; si vede ancora, che gli Apostoli predicando per la
Palestina e per le province d'intorno il Vangelo, trovavano in que'
tempi molte Sinagoghe ben instituite fin da' tempi della dispersione
babilonica: e ricevendo queste per la predicazione degli Apostoli
la fede di Cristo, giacchè ad esse prima d'ogn'altro fu predicato
l'Evangelo, non vi era cagione, perchè dovessero mutar politia,
ed allontanarsi da quella, che l'esperienza di molti secoli aveva
approvata e commendata per buona; si aggiungeva ancora, che riusciva
agli Apostoli più acconcia al loro fine, perchè in cotal guisa, dovendo
disseminar una nuova religione nell'Imperio gentile, si rendeva la
novità meno strepitosa, nè dava tanto su gli occhi agli Ufficiali
dell'Imperio, a' quali poco importava, che niente mutandosi della
lor esteriore politia, le Sinagoghe divenissero Chiese; e fondandosi
altrove altre Chiese, perchè all'intutto conformi agl'instituti
giudaici, a' quali già essi s'erano accomodati, picciola novità loro
s'arrecava nè tanta che potesse turbar lo stato civile dell'Imperio.
Così in ogni Sinagoga essendovi uno, il qual soprastava agli altri, che
chiamavan il Principe, in suo luogo sostituirono il Vescovo: erano in
quelle i Pastori, ed a costoro succedettero i Preti: v'eran ancora gli
Elemosinieri, i quali avean in gran parte corrispondenza co' Diaconi.

§. II. _Politia ecclesiastica in Occidente, ed in queste nostre
regioni._
Sparsa intanto per le province d'Oriente questa nuova religione, ed
avendo in quelle parti avuto mirabili progressi, si procurò anche
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