Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 20

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il pensiero del sig. Gallina di dare disegnati in litografia i quadri
principali del bellissimo romanzo del sig. Manzoni»; ed ebbe a dire
«che l'impresa, ben pensata e lodevolmente eseguita, prestava materia
di gradevolissimo ornamento».
[29] _Costumi vestiti alla festa da ballo data dal Signor Conte
Batthyany_ (sic), Milano, litografia Elena. [Ogni fascicolo costava 20
lire italiane].
[30] _La Minerva Ticinese_, fasc. 50, 16 decembre 1829.
[31] Il «giudizio del conte O' Mahony sui Promessi Sposi di Alessandro
Manzoni» fu ristampato, con la traduzione italiana a fronte, a pp.
391-413 del tom. III dell'edizione del Romanzo fatta a Lugano, presso
Francesco Veladini e comp., nel 1829.
[32] _L'Eco_, ann. VI, n. 1, 2 gennaio 1833.
[33] _Revue encyclopèdique_, tom. XXXVI [octobre 1827], pp. 411-412.
[34] _Revue encyclopèdique_, tom. XXXVIII [avril 1828], pp. 376-389.
[35] Non senza interesse sono due lettere del Niccolini a Salvatore
Viale, una del 21 e una del 5 luglio '28. La prima è questa: «Il
_Globo_ ha delle dottrine ultra-romantiche, e nella _Rivista_ il
Salfi sta pedantescamente attaccato ai precetti dei classici. Questa,
per chi la discerne, è disputa in gran parte di nomi, ma pur divide
la repubblica letteraria in due fazioni e offusca coi pregiudizi
l'intelletto. Il Salfi accusa il Manzoni nel suo articolo sugli _Sposi
promessi_ d'essere fautore delle istituzioni monastiche. Quest'accusa è
ingiusta, e non può cadere in mente di chiunque legga spassionatamente
quel libro, ed io che intimamente conosco l'autore, e sono stato la
persona colla quale ei più conversasse in Firenze, posso far fede
che la sua pietà è scevra di superstizione, e che non ama i frati».
Nell'altra scrive: «A me premeva d'investigare le ragioni del silenzio
del Salfi, ma senza però ch'ei mi potesse credere un accattalodi...
Io amo più di conservare la dignità dell'animo, che mostrarmi ghiotto
d'uno sciocco articolo di quel canuto e solenne buffone. E meritamente
io lo chiamo così, perchè non v'è pazienza che sostenga di leggere i
suoi imbratti sull'opere ch'escono in Italia: egli loda quello che fra
noi si disprezza, o s'ignora, mentre maltratta e calunnia il Manzoni,
primo ornamento delle lettere italiane».
[36] Giuseppe Giusti racconta in una sua lettera, scritta nell'aprile
del '36: «Finalmente ho parlato a Sismondi, e per due volte mi son
trattenuto seco lungamente... Parlammo di Manzoni, e qui apparve
singolarmente l'uomo grande. Io introdussi il discorso colla massima
delicatezza, ma a bella posta, perchè voleva chiarirmi d'un dubbio,
nato in me alla prima lettura di quel libro del Manzoni, ove confuta
gli ultimi due capitoli della _Storia delle Repubbliche_. Sismondi
parlò di quell'opera, dicendo che era ammirato della maniera urbana
con la quale fu distesa: lodò la sincerità dell'autore, e ne compianse
le ultime disgrazie, le quali, secondo lui, hanno contribuito non poco
a confermarlo ne' suoi principii; aggiunse poi, sempre moderatamente,
che gli pareva che si fosse partito da un punto molto diverso dal suo,
poichè esso considerava le cose come sono attualmente, e Manzoni come
dovrebbero essere. Nè so dirti quanto fossi contento di vedere che io
non m'era ingannato. Credei bene di dirgli che gl'Italiani non avevano
fatto gran plauso a quel libro, e che anzi, senza scemare in nulla la
debita reverenza al Manzoni, era stato riguardato piuttosto come un
errore, o almeno come un'opera suggerita da qualcuno che lo avvicina
per secondi fini, i quali, dall'altro canto, non capiscono nell'animo
integerrimo di quel sommo italiano».
[37] MAMIANI T., _Manzoni e Leopardi_; nella _Nuova Antologia_; XXIII,
760-762.
[38] _Tragedie e poesie varie di_ Alessandro Manzoni, _colle
prose analoghe ed un'apposita prefazione del barone_ CAMILLO
UGONI--_Quindicesima edizione_--Lugano, Giuseppe Ruggia e C., 1830; in
16º. di pp. XXVIII-272. La «prefazione» dell'Ugoni abbraccia le pp.
V-XXVIII e porta la data: «Parigi, 19 novembre 1829». Ne diede un cenno
il Tommaseo nell'_Antologia_, tom. XXXIX, n. 151, luglio 1830, p. 136.
[39] _Il Nuovo Ricoglitore_, ann. III, part. I, n. 30, giugno 1827, pp.
446-451.
[40] Cfr. _Gazzetta di Milano_ dell'11 luglio 1827.
[41] _Corriere delle Dame_, n. 36, 8 settembre 1827, pagine 285-287.
[42] _Gazzetta di Milano_ del 15 ottobre 1827.
[43] Da una lettera di Giovanni Pagni (il noto Farinello Semoli delle
baruffe del Monti con la Crusca) al marchese Gian Giacomo Trivulzio,
scritta da Firenze il 5 ottobre 1827, tolgo questo brano: «Ha passato
in Toscana, tra Livorno e Firenze, una cinquantina di giorni il celebre
Manzoni, decoro di questa capitale. Non può credere quanto sia stato
onorato e distinto dalla maggior parte dei letterati e dei nobili più
culti, che si son dati la premura di conoscerlo e di ammirarne il
carattere. S. A. R. [_il Granduca Leopoldo II_] lo ha invitato alla
sua mensa, trattenendosi molto con esso lui ed ha voluto mostrargli in
persona la preziosa ricchissima sua biblioteca. Io ho avuto il piacere
di far compagnia alla sua famiglia, che avevo conosciuta a Milano, e
che, dotata di morali virtù, è degna di tanto padre di famiglia».
[44] È un'allusione al _Sergianni Caracciolo, dramma storico del prof._
G. B. DE CRISTOFORIS, Milano, 1826; in-8º. del quale parlò il Tommaseo
nell'_Antologia_, n. LXIX, settembre 1826, pp. 104-111. Alle _Melodie
liriche_ di Samuele Biava di Bergamo dette «gran lode» il Cantù nel
_Ricoglitore_. Invece la _Biblioteca italiana_ «tolse a provare che
poteano mostrarsi ai giovani come agli Spartani l'ilota ubriaco. Il
colpo era diretto a sbalzarlo d'impiego: ma uscì una risposta, forte
sino alla violenza, e segnata C. C., dove era difeso il Biava e
investito il suo avversario. Fu atto generoso, perchè quell'avversario
avea in mano i processi e potea mandarlo allo Spielberg; onde va data
lode al difensore, che era Carlo Cattaneo». Cfr. CANTÙ C., _Italiani
illustri ritratti_; III, 79.
[45] _La Vespa_, ann. I [1827], pp. 17-20, 38-43 e 96-103.
[46] Nacque l'8 settembre del 1799; involto nelle cospirazioni del
'21, «negò denunziare i compagni ed ebbe da Ferdinando III, Granduca
di Toscana, per carcere un convento di frati in paese ameno, di dove
lo trasse a Roma lo zio monsignore [_Giovanni_] Marchetti, dotto uomo,
ma più illiberale del Principe lorenese, che fu ben lieto dell'esser
libero da quel prigione». Cfr. TOMMASEO N., _Di Giampietro Vieusseux
e dell'andamento della civiltà italiana in un quarto di secolo_,
_memorie_, Firenze, 1863; p. 44. «Passati gli anni successivi in
privati impieghi, non però alieni da' cari studi, in Rimini e indi a
Roma, appena tornato a Empoli nel settembre del '29, fu sorpreso da
febbri violente, che si volsero in tisi, e il 16 decembre tolto a'
viventi». Così il MONTANI [_Antologia_, n.º 108, decembre 1829, pp.
96-97], che aggiunge: «Ei meditava, dicesi, un'opera storica; e forse
per consacrarvisi avea rifiutata la sopraintendenza agli studi nel
Seminario di S. Marino, offertagli dal celebre Borghesi a nome de'
magistrati di quella Repubblica... Ultimo scritto di lui, e soggetto
d'ancor recenti, nè punto blande censure, fu quello sugl'_Inni_ del
Manzoni. Io tremava, lo confesso, al pensiero che queste censure
potessero, nello stato in cui egli trovavasi, pervenire al suo
orecchio... Innamorato delle forme classiche, siccome quegli che
dall'adolescenza fu sempre co' latini e co' greci, e co' nostri che
meglio li imitarono, ove gli parve di trovar meno di queste forme,
gli parve trovar meno di poesia. Così, trattandosi di teorie (veggasi
la maggior parte de' suoi articoli dell'_Arcadico_) ove gli parve di
trovar discrepanza da' principii de' classici, gli parve di trovare
opposizione assoluta da' principii dei gusto».
Appunto nell'_Arcadico_ [XXXVI; 305] discorrendo della versione
delle _Odi_ di Pindaro fatta da Giuseppe Borghi prese a mordere «la
miserabile e bislacca e torta foggia di metri regalataci con tante
altre cose non poetiche e non italiane da Alessandro Manzoni». Il
Borghi, in una lettera a Gaetano Cioni, stampata nell'_Antologia_
[n.º 87, marzo 1828, pp. 166-167], sorse a difesa del Poeta; ma
l'iroso critico, duro più che mai in quel suo giudizio, diede fuori
lo scritto: _Intorno gl'Inni sacri di Alessandro Manzoni dubbi_ di
GIUSEPPE SALVAGNOLI MARCHETTI, Roma 1829. Presso la Libreria Moderna,
Via del Corso n.º 348 [In Macerata, presso Benedetto di Antonio
Cortesi]; in-16.º di pp. xxiv-112. A questi «biasimi da pedante»,
come li chiama il Tommaseo, l'_Arcadico_ [XLII, 131] applaudì di gran
cuore. La _Biblioteca italiana_ [tom. 55, luglio 1829, pp. 1-20], pur
non menandogli buone tutte quante le censure, concluse: «Il parlare
di originalità, di nuova scuola, d'ingegno divino, di culto, è un
sostituire l'entusiasmo alla ragione, un traviare il giudizio dei
giovani e dar nascimento a quelle tante poesie che il Manzoni non
vorrebbe al certo aver fatte e nemmanco approvate, e non di meno si
credono manzoniane». Enrico Mayer, peraltro, nell'_Antologia_ [n.º 104,
agosto 1829, pp. 92-99] prese «a difendere» (son parole del Tommaseo)
«non tanto il nome dell'Italiano poeta, quanto l'onore d'Italia», e
«lo difese con alto sentimento dell'arte e con facondia cordiale».
Videro pure la luce le _Osservazioni di un giovane italiano sui Dubbi
del signor Giuseppe Salvagnoli Marchetti intorno agli Inni sacri
di Alessandro Manzoni_, Reggio, tip. Toreggiani e comp., MDCCCXXX;
in-16.º di pp. 230. Sono di Luigi Fratti, che, sebbene pregato dalla
modestia del Poeta a «mettere da banda» il lavoro, per consiglio
del P. Bottini gesuita, lo diede alle stampe. Cfr. intorno a questa
controversia: GAMBINI CARLO, _Richiamo di alcune verità manifestate
nel 1829 dal Salvagnoli sugli Inni sacri del Manzoni_, Milano, tip.
Galli e Raimondi, [1882]; in-16.º di pp. 12.--_Intorno gl'Inni sacri di
Alessandro Manzoni dubbi di_ GIUSEPPE SALVAGNOLI MARCHETTI, _ristampati
con aggiunte, in forma di dialogo, fatte da_ FEDERICO BALSIMELLI,
Bologna, tipografia pont. Mareggiani, 1882; in-16.º di pp. 360.
[47] Questo «sunto» si legge in una recensione che il Salvagnoli
Marchetti fece delle _Prose scelte_ del principe don Pietro Odescalchi,
e che inserì nel _Giornale Arcadico_, tom. 42, aprile-giugno 1829, pp.
95-109. La recensione e il «sunto» gli attirarono sulle spalle alcune
sferzate della _Biblioteca italiana_ [tom. 55, luglio 1829, pp. 29-31],
che lo fecero talmente andare in furore, da scrivere: «a ingiurie sì
fatte, quali sono le vostre, meglio si converrebbe, se fosse lecito,
rispondere con la spada che con la penna». Cfr. Giornale Arcadico, tom.
cit., pp. 355-364.
[48] _Nuovo Giornale de' letterati_, di Pisa, tom. XV. Letteratura,
scienze morali e arti liberali [1827], pp. 215-232 e tom. XVI.
Letteratura, ecc. [1828], pp. 64-93.
[49] P. Felice da Mezzana cappuccino, Cenni sul P. Cristoforo del
Manzoni, Crema, tip. S. Pantaleone di L. Meleri, 1899; p. 6.
[50] Sui Promessi Sposi, storia milanese del sec. XVII, scoperta e
rifatta da Alessandro Manzoni, ragionamento critico di Don Anonimo,
autore di varj opuscoli pubblicati colle iniziali P.º G.º S-P.º,
Milano, coi torchi di Omobono Manini, dicembre 1827; in-16º. di pp. 64.
[51] _Giornale dell'italiana letteratura, compilato da una società
di letterati italiani sotto la direzione ed a spese di_ NICOLÒ DA
RIO, tom. LXV della serie intiera, serie IV, tom, I [Padova, tip. del
Seminario, 1828], pp. 265-268.
[52] _Rivista, letteraria dei libri che si stamparono in Torino negli
anni 1827 e 1828_, Torino, per gli eredi Botta, 1829; pp. 119-120 e
138-146.
[53] CHIAPPA G., _Sui Romanzi in generale ed in particolare sul
Gerolimì ossia Nano di una Principessa dell'autore della Sibilla
Odaleta_; in _La Minerva Ticinese, giornale di scienze, lettere, arti,
teatri e notizie patrie_, fascicolo 37, 16 settembre 1829; pp. 635-637.
[54] Anche Trussardo Caleppio volle scoccare i suoi fulmini contro il
nuovo romanzo, censurandolo acerbamente nell'ALMANACCO CRITICO PEL
1830 DI UN MILITARE IN RITIRO, Milano, Manini, 1829; in-16º. Cfr.
ROBECCHI, L. _Questione classico romantica, saggio d'una bibliografia_;
in _Poesie di_ CARLO PORTA _rivedute sugli originali e annotate da un
milanese_, Milano, tip. Ditta Wilmant di G. Bonulli e C., 1887; p. 707.
[55] _Lettere ad Antonio Panizzi di uomini illustri e di amici
italiani_ (1823-1870) _pubblicate da_ L. FAGAN, Firenze, Barbèra, 1880;
p. 80.
[56] _Dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni_. _Articolo primo_,
Lugano, coi tipi di Gius. Ruggia e comp., 1831; in-8º. di pp. 56. E
firmato: A. H. J.
[57] Fu ristampato a Brescia nel 1883 dallo Stabilimento
stereo-tipografico di G. Bersi e C.; in-8º. di pp. 46. Nella breve
avvertenza è detto: «Il manoscritto sopra del quale fu condotta la
presente edizione è una copia precisa, identica all'autografo lasciato
dell'esimio autore; non già copia od estratto da quei pochissimi
esemplari che vennero alla pubblica luce l'anno 1833» [_correggi_:
1831] «in un periodico mensile, compilato da molti esuli italiani a
Parigi; periodico ch'ebbe vita di più poco che due mesi e dal quale
furono ritratte poche copie per regalo ad amici e parenti». Sebbene
«compilato da molti esuli italiani a Parigi», però si stampava a
Lugano coi torchi di Giuseppe Ruggia. Negli _Scritti di_ GIOVITA
SCALVINI _ordinati per cura di_ N. TOMMASEO, _con suo proemio e
altre illustrazioni_, Firenze, Felice Le Monnier, 1860; in-16.º di
pp. xvi-400, non fu riprodotto l'articolo «bellissimo» sul Romanzo
del Manzoni, benchè promesso dall'editore stesso nella prefazione:
«De' lavori suoi critici recherò quasi per intero le considerazioni
sull'_Ortis_ del Foscolo, e quelle sui _Promessi Sposi_, degne
dell'opera». Questo articolo, col titolo: _Considerazioni critiche
scritte nel 1829 da Giovita Scalvini_, venne premesso all'edizione de'
_Promessi Sposi_ fatta a Firenze nel 1884 da' Successori Le Monnier,
ecc.
[58] GIANNONE P., _Delle opere di Alessandro Manzoni_; in L_'Esule,
giornale di letteratura italiana antica e moderna_--_Tomo
primo_.--Parigi, dai torchi di Pihan Delaforest (Morinval), rue des
Bons-enfants, 34, M. DCCC.XXXIII; pp. 262-302. La traduzione in
francese, che l'accompagna, è del sig. Lemonier, autore dei _Souvenirs
d'Italie_.
[59] M. de Gourbillon.
[60] _Antologia_, n. 82, ottobre 1827, pp. 101-119. L'articolo, invece
del Tommaseo, doveva scriverlo il dott. Gaetano Cioni, come si rileva
da una lettera di Giuseppe Montani, del 16 di settembre: «L'articolo
sugli _Sposi Promessi_ lo fa il dottor Cioni. Manzoni è qui [a Firenze]
adorato da tutti. Il Granduca ha voluto veder lui e il suo bambino,
che sempre lo accompagna. Gli ha fatta, mi dicono, la più affettuosa
accoglienza». Il 1º agosto aveva scritto: «Aspettiamo di giorno in
giorno il Manzoni, e mai non lo vediamo. Del suo romanzo (crederesti?)
non è ancor giunta copia, se non al Batelli, che gli fa il brutto
complimento di ristamparglielo».
[61] _Biblioteca italiana_, n. 141, settembre 1827, pp. 422-472; e n.
142, ottobre 1827, pp. 32-81.
[62] La prima fu stampata a pp. 322-337 del t. XXXIV [marzo 1824]; la
seconda a pp. 145-172 del tom. XXXV [aprile 1824].
[63] Pubblicai questa lettera, scritta da Brusuglio il 6 luglio del
'24, in _Milano vecchia, strenna del Pio Istituto dei Rachitici di
Milano, Anno IX_, Milano, tip. Bernardoni di C. Rebeschini e C., 1889;
pp. 51-58.
[64] Come si accorda quello che il Tommaseo scrisse de' _Promessi
Sposi_ nelle sue lettere al Vieusseux con quello che stampò
nell'_Antologia_? È un repentino voltafaccia: non si può chiamare
con altro nome. Il Barbi si domanda: «Ma è stato preso proprio pel
suo verso quell'articolo? Ne dubito. Occorre, a intenderlo bene,
una ricerca psicologica sul Tommaseo uomo e scrittore, e storica
sull'ambiente, e dimenticare l'impressione che fa oggi generalmente
il romanzo... E non può essere, che dove il Tommaseo tocca d'alcuni
difetti, avesse in animo d'attenuarli e giustificarli, e che
l'intendimento apologetico non appaia chiaro, o perchè così ha voluto
l'autore, o per mancanza di quei nessi logici e formali che egli era
solito trascurare? Avrebbe così ottenuto effetto contrario a quel che
si proponeva; ma, si sa, altro è scrivere, altro riuscire a farsi
intendere!» Questa spiegazione, per quanto ingegnosa, non mi persuade.
Leggendo le postille e l'articolo si vede che a ogni istante la viva e
sincera ammirazione del Tommaseo per i _Promessi Sposi_ è come troncata
dagli occulti paragoni ch'egli fa inconsapevolmente tra il Manzoni e
sè stesso; e appunto quel continuo guardare a sè stesso gli svia il
giudizio. Mentre riconosceva che il grande Poeta aveva «divinizzata
la lirica, ricreata la tragedia, insegnata agl'Italiani la vera via
della storia», e che in tutti questi campi gli era superiore; ho il
convincimento che come romanziere ritenesse di stargli alla pari e
anche di sorpassarlo. In fin de' conti che cosa significano le sue
tante censure e correzioni ai _Promessi Sposi_? Significano: Avrei
fatto meglio io!
[65] _Del Romanzo in generale e dei Promessi Sposi di Alessandro
Manzoni discorsi due_--_Quinta edizione_, Urbino, coi tipi della V.
Capp. del SS. Sacram. per Giuseppe Rondini, 1846; in-16º. di pp.
VIII-142.
[66] _Del Romanzo in generale e dei Promessi Sposi, romanzo di Manzoni,
discorsi due. Sesta edizione, accresciuta d'altri scritti_. In Venezia,
nella Tip. Emiliana, MDCCCXL; in-16.º di pp. VI-236.
[67] Trovò un difensore anche in Giuseppe Bianchetti di Treviso. Cfr.
_Sopra i Romanzi storici_ [lettera] _Al barone cav. Ferdinando Porro_,
_Milano_; in _Giornale sulle scienze e lettere delle Provincie Venete_,
n.º 107-108 del vol VI della _Continuazione_, bimestre di settembre e
ottobre 1830. Fu ristampata a pp. 71-114 dei _Discorsi critici intorno
alla questione se giovi di ammettere o no nella letteratura italiana il
Romanzo storico_, Treviso, coi tipi di Gio. Paluello del fu Antonio,
MDCCCXXXII; in-16.º ed a pp. 503-522 del libro: _Dei lettori e dei
parlatori, saggi due di_ GIUSEPPE BIANCHETTI--_Alcune lettere di lui
medesimo_, Firenze, Felice Le Monnier, 1858; in-16.º
[68] _Indicatore Genovese_, n. 5, 6 e 7, giugno 1828. Cfr. Mazzini G.,
_Scritti editi ed inediti_ [quarta edizione], volume II, Letteratura
vol I, pp. 41-51.
[69] TOMMASEO N., Studi critici, Venezia, Andruzzi, I, 290.
[70] E altrove: «Vogliamo almeno terminare con un voto, che è certo
comune a tutta l'Italia. Perchè il Manzoni, così grande poeta, non
ha intramesso alla sua prosa alcun verso? Perchè non ha egli seguito
l'esempio del suo Goethe e di tanti altri illustri romanzieri, che
ne aggiunsero questo diletto? La materia di frequente si prestava
volentieri alla poesia... Chi non vorrebbe ascoltare il divoto cantico
e le _laudi_ dei valligiani che s'affollano con santa allegrezza
incontro al Cardinal Federigo? Chi non intenderebbe un orecchio bramoso
alle _giulive canzoni di guerra_ dei soldati che vanno all'impresa
di Mantova? Tutti ricordavano il sublime canto per la battaglia di
Maclodio, tutti aspettavano rinnovata quella robusta armonia. Nè
mancherà, in ispecie fra coloro che più strettamente appartengono alla
scuola romantica, chi si dolga di non sentire espressa la _canzonaccia_
de' monatti, che viene appena accennata».
[71] Fin dal 1890 ne dette un saggio il prof. EMILIO TEZA [_Postille
inedite di_ N. TOMMASEO _ai_ «_Promessi Sposi_»; nella _Nuova
Antologia_, serie III, vol XXVII, pp. 560-566]; poi, nel 1897, vennero
stampate per intiero da GIUSEPPE RIGUTINI. Cfr. _Postille inedite di_
NICCOLÒ TOMMASEO, _precedute da un discorso critico e accompagnate da
osservazioni_, Firenze, R. Bemporad & figlio, 1897; in-16º. di pp.
VIII-332.
[72] Eccone un saggio: «È affettato--Pesante--È da buffone:
tuono che Fautore assume talvolta--È brutto--È duro--Non mi
piace--Miseria--Piccolezza--Cattivo--Inezia--Importuno--Non va--Quanta
roba!--È goffo--Mal detto--Pedantesco--Affettazione--Pare un goffo
dialogo di Goldoni--Rettoricume--Bassezza--Evviva i soliloqui!--È
vecchiume--È un guazzabuglio questo periodo--Malissimo detto--Inezia
grande--Lungherie misere--Falso--È ridicolo--È da retore e mostra la
stanchezza dell'autore--Affettato e prolisso--Gretto e stracco»; e giù
di questo tono, con mano sempre prodiga.
[73] I critici si trovarono concordi nel biasimare il Manzoni d'avere
scelto a protagonisti due operai; all'infuori però del Sismondi, del
Pezzi, del Giannone e di pochi altri, tra' quali Giovita Scalvini,
che scrisse: «Ha scelto Renzo e Lucia per isvergognare e ridurre al
niente i Rodrighi e gli Egidii; per additarne come l'occhio di Dio,
dinanzi il quale cessa ogni disuguaglianza, sappia scernere infra la
turba gl'_ignobili_ e _spregevoli_ che in lui bene confidano, e la sua
mano sollevarli sulla malvagità illustre e tremenda... Vuolsi dunque
considerare Renzo e Lucia come un simbolo di tutti i deboli, di tutti
quelli che soffrono, e ai quali la giustizia è dovuta... Che se a
qualcuno e' paiono troppo piccioli, perch'ei sia curante dei loro umili
casi, pensi che a lui per l'appunto il Manzoni li propone in esempio;
affinchè corregga il suo orgoglio; nè da loro rivolga indifferente gli
sguardi, senza dirizzarli verso Colui che li ha posti sulla terra,
ascolta le loro imprecazioni, e non li lascerà cadere: chi non può
stare con loro, come prossimo, se ne faccia scala a sani pensieri fuori
e più alti di loro».
[74] Nel dar conto nell'_Antologia_ [n. 93, settembre 1828, pp.
120-132] d'un mediocrissimo romanzo francese: _Gertrude_, _par mad._
HORTENSE ALLART DE THÈRASE, Florence, Ciardetti, 1827, scriveva: «Tutto
ciò ch'è grande, è difficile: e però quant'è più l'altezza a cui si
tende, più frequente è il pericolo della caduta. Troppo insistere sulla
storia dell'uomo interiore, può generare facilmente sazietà e noia;
può torre al poeta la forza e lo spazio di rappresentare i segni e
gli effetti della passione; può renderlo affettatamente minuzioso ed
ardito a spacciare de' fatti dell'anima passionata, i risultati o della
fredda meditazione, o d'un'esperienza angusta, immatura. La maggior
difficoltà sta nel cogliere appunto la reale gradazione dell'affetto; e
mostrando il passaggio dell'anima dall'un grado all'altro, esser vero.
Questa difficoltà non mi par superata in un de' tratti più mirabili
de' Promessi Sposi; la conversione dell'Innominato. Le disposizioni di
quell'anima annoiata del male, i primi tocchi della pietà ch'è, già
per sè medesima un cambiamento in quel cuore ferreo, la confusione che
lo assale alla vista della sua vittima, tutto è fin qui sovranamente
côlto, è quasi tutto con egual potenza indicato. Ma quando siamo
alla notte, i sentimenti di rabbia, di disperazione, d'orgoglio che
l'assalgono con tanta furia di quanta è capace un'anima ancora verde
nel delitto, non mi paiono direttamente condurre a un così prossimo
cambiamento. Un carattere come l'Innominato, e non cangiato ancora, non
ricevere alcuna impressione di sdegno, d'orgoglio da quel suo passaggio
in mezzo alla folla meravigliata e sospettosa, non mi par verisimile.
La storia dice che l'Innominato, dopo avuto un colloquio col Borromeo,
cangiò vita: ma non dice, parmi, che l'Innominato sia ito a cercare
la presenza del vescovo, in mezzo alla moltitudine radunata, in un
giorno ch'era giorno di festa per tutto il dintorno. Egli scende tatto
irritato di quella gioia comune, scende non per altro che per saperne
il motivo, e va difilato a cercare dell'arcivescovo di Milano. Forse
il passo parrebbe men brusco, se l'A. avesse dipinti i sentimenti che,
cammin facendo, agitavano quell'anima umiliata. Ma umiliarla conveniva
dapprima, umiliarla agli occhi suoi propri; giacchè la stanchezza del
male non genera che maggior perversità, quando non conduca ad arrossire
della propria bassezza. Io so bene che descritti tutti i gradi
intermedii della conversione, la cosa sarebbe troppo ita in lungo,
so che allora sarebbe stato assai più difficile rendere teatrale e
romanzesca quella conversione: so in fine che nella pittura del nostro
Manzoni, c'è tanta profondità da ammirare, che non è quasi lecito il
mostrare desiderio di quello che manca».
[75] L'_Antologia_ [n. 116, agosto 1830; pp. 140-142] tornò a parlare
de' _Promessi Sposi_ pigliando occasione dalla ristampa che ne fece a
Firenze, nel '30, la tipografia Passigli, Borghi e C. in un vol in-8.º
e in sei volumetti in-32.º con vignette. Dell'articolo, scritto dal
Montani, è notevole questo brano: «Walter Scott, ha già detto qualcuno,
va dalla storia al romanzo, Manzoni dal romanzo alla storia. Da questo
loro andamento diverso risulta che ciò che nelle composizioni dell'uno
forma, per così dire, lo sfondo delle composizioni medesime, in quello
dell'altro forma il soggetto principale. Quindi non fa meraviglia ciò
che da un anno si va bucinando, e in un giornale assai recente si
narra senza mistero, che il Manzoni in uno scritto, che verrà presto
alla luce, sul romanzo storico, si separi interamente da Walter Scott.
Può egli non separarsene in teorica, quando in pratica ne va tanto
lontano?».
[76] Singolare è questa lettera del Tommaseo al Vieusseux, scritta da
Milano il 12 novembre del '26: «Manzoni forse per la primavera vegnente
verrà con la famiglia a Firenze... Del resto, se egli venisse a
Firenze, vedreste un uomo che dall'assenza di ogni singolarità è
reso agli occhi d'ognuno che non gli dissomigli, affatto singolare e
mirabile. Una statura comune, un volto allungato, vaiuolato, oscuro,
ma impresso di quella bontà che l'ingegno, non che guastarla, rende
più sincera e profonda: una voce di modestia e quasi di timidità,
cui lo stesso balbettare un poco giunge come un vezzo alle parole,
che paiono escir più mature, più desiderate: un vestito dimesso, un
piglio semplice, un tuono famigliare, una mite sapienza che irradia
per riflessimento tutto ciò che a lui s'avvicina... Questo è l'uomo
direste, il cui nome sarà simile di qui a mill'anni, adorato, com'io
venero oggi il suo volto. Questo è l'uomo che in ogni via che calcò
impresse un'orma indelebile; che ha divinizzata la tragedia, che ha
insegnata agl'Italiani la vera via della storia; che ha fatto il
romanzo la lettura del Genio e della Virtù; ch'ebbe amici i più buoni
del secol suo; che fu pio, semplice, generoso; che trasse il suo
genio dal cuore: e potreste aggiungere (questo è forse il maggiore
degli encomii) che fu visto più d'una volta piangere sulle sventure
degl'infelici».
[77] Il RIGUTINI ristampò il vecchio articolo dell'_Antologia_, in
fronte alle _Postille_ [pp. 1-21], ma senza accennare per nulla ai
tanti cambiamenti che vi aveva fatto l'autore nell'edizione del '43 ed
ai lievi ritocchi di quella del '58.
[78] _Il primo esilio di Nicolò Tommaseo_ 1834-1839, _lettere di lui a
Cesare Cantù_, Milano, Cogliati, 1904; p. 102.
[79] TOMMASEO N., _Studi critici_; I, 304-312.
Cfr. _Ispirazione e arte o lo scrittore educato dalla società e
educatore_, _studi di_ NICCOLÒ TOMMASEO, Firenze, Felice Le Monnier,
1858; pp. 417-426.
[80] TOMMASEO N. _Dizionario estetico_, Firenze, Successori Le Monnier,
1867, pp. 622-623.
[81] Nacque a Novara il 12 febbraio del 1803; si laureò in legge a
Pavia; presa la carriera della magistratura, al pane onorato del suo
forte Piemonte e de' suoi vecchi Re preferì quello dell'Austria, e morì
il 9 ottobre del 1850, consigliere dell'I. e R. Tribunale criminale di
Milano.
[82] Il Visconti fa in margine l'osservazione seguente: «Lascerei come
una inezia questo cenno sul Griso. Ha del rettorico o per dir meglio
del Tassesco:
_Argante, Argante stesso ad un gran urto_
_Di Rinaldo abbattuto appena è surto._»
[83] È il famoso Azzecca-garbugli, che prima chiamò _Pèttola_, poi
_Duplica_. (Ed.)
[84] Valente. [Postilla del Visconti].
[85] Quest'episodio è un brano del capitolo III del tomo III. (Ed.)
[86] Lascerei queste righe, per dare maggiore brevità, e perchè queste
acclamazioni sono cosa troppo simile alle altre in cui Lucia fu
nominata plaudendo al Cardinale. [Postilla del Visconti].
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