Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 06
clandestino, e la narrazione divenne allora liscia, verisimile e ben
congegnata.
--Avete confessata una colpa, disse tranquillamente Federigo: Dio ve la
perdoni e... a chi v'ha dato una tentazione così forte di commetterla.
Ma d'ora in poi, buona figliuola, e voi, buona donna, non fate più di
quelle cose che non raccontereste volentieri.
Quindi passò a chiedere a Lucia dove fosse Fermo; che ora il matrimonio
poteva e doveva esser tosto conchiuso.
Questo era un punto ancor più rematico. Le dirò io... cominciava
Agnese, ma il Cardinale le diede un'occhiata, la quale significava,
ch'egli sperava la verità più da Lucia che da lei, onde Agnese ammutì;
e Lucia singhiozzando, rispose: Fermo, povero giovane, non è qui; s'è
trovato in quei garbugli di Milano e ha dovuto fuggire; ma son certa
ch'egli non ha fatto male, perchè era un giovane di timor di Dio.
--Ma che ha fatto in quel giorno? chiese ancora il Cardinale: quale è
la sua colpa?
--Non ne sappiamo di più, rispose Lucia.
Il Cardinale, giacchè altri non v'era a cui domandare, si volse ad
Agnese, la quale, rianimata, disse: Se volessi potrei inventare una
storia per contentare Vossignoria illustrissima, ma sono incapace
d'ingannare una gran persona, come Ella è; e non sappiamo proprio
niente di più.
--Dio buono! disse il Cardinale: insidie, colpe, sciagure, incertezze,
ecco il mondo dei grandi e dei piccioli. Ma voi, disse a Lucia, che
pensate adunque di fare intanto?
--Io, rispose Lucia, io vedo che il Signore ha deciso altrimenti di
me, che non mi vuole in quello stato, e ho messo il mio cuore in
pace. E se trovassi dove vivere tranquillamente, fuor d'ogni pericolo;
se potessi esser ricevuta conversa in un monastero... consecrarmi a
Dio...
--Oh che furia! sclamò Agnese.
--Voi vi siete promessa, buona giovane, disse Federigo: vi siete allora
risoluta a promettere senza riflessione, leggermente?
--Questo no, disse Lucia arrossando.
--Bene, disse Federigo, potrebbe ora dunque esser leggiero il
ritrattarvi. Se quest'uomo fosse innocente, se potesse sposarvi, che
mutamento è accaduto nelle vostre relazioni? Nessun altro che una serie
di sventure ad ambedue, e non è questa una ragione per separarvi.
Questo non è il momento di pigliare una risoluzione. Sospendete, fate
ricerche, aspettate che Iddio vi riveli più chiaramente la sua volontà.
L'asilo[87] intanto ve lo troverò io.
Lucia fu tentata più d'una volta di rivelare il voto, ma una vergogna
insuperabile la ritenne. Federigo l'assicurò che non sarebbe partito
da quei contorni prima d'avere stabilito qualche cosa per lei; e dopo
qualche altra parola di consolazione e di avviso la lasciò partire con
Agnese[88].
XIII.
VISITA DEL CONTE DEL SAGRATO A LUCIA
Abbiamo detto che il Conte del Sagrato era venuto ogni mattina a quella
chiesa che il Cardinale visitava in quel giorno. Stava alquanto con
lui in quell'ora di riposo che precedeva il pranzo, e poi ripartiva.
Ma in questo giorno egli era venuto con un disegno, che fu cagione di
farlo rimanere più tardi. Sapeva il Conte che Lucia doveva tornare alla
sua casa: il Cardinale lo aveva informato di questo, anzi gliene aveva
chiesto consiglio: perchè, dove si trattava di pericolo e di cautela,
di bravi e di tiranni, non v'era uomo più al caso di dare un buon
consiglio[89]: e il Conte aveva confortato il Cardinale ad installare
pure sicuramente Lucia nel suo pacifico albergo. Prevedendo egli dunque
che quel giorno Lucia si sarebbe trovata dal Cardinale, non vi si
presentò all'ora consueta, ma stette nella chiesa, aspettando l'ora
in cui il Cardinale era solito di desinare, e quando questa gli parve
dover esser giunta, entrò nella cucina, dove Perpetua stava in grandi
faccende, e le chiese, con umile affabilità, di potere ivi trattenersi
ad attendere che il pranzo fosse finito, per chiedere udienza a
Monsignore. Chi entra in una cucina in un giorno di cerimonie è sempre
il mal venuto; ma il Conte aveva una antica riputazione di ribalderia
e una recente di santità, che imposero anche a Perpetua, la quale, per
levarsi dattorno nel modo più gentile quell'incomodo arnese, propose al
Conte d'entrare nella sala del pranzo.--Si faccia avanti, diss'ella,
sulla mia parola: Monsignore la vedrà molto volentieri; e anche il mio
padrone e tutta la compagnia: non faccia cerimonie.
Ma il Conte disse di nuovo che desiderava di attendere ivi in un canto.
Perpetua lo fece sedere al posto d'onore della cucina, nel banco sotto
la cappa del cammino, dicendo: Vossignoria starà come potrà: veramente
avrebbe fatto meglio d'entrare coi signori, che quello è il suo posto:
basta, com'ella vuole: mi scusi se non posso fare il mio dovere a
tenerle compagnia, perchè oggi ho tante faccende: ella vede. Il Conte
sedette, ringraziò, e cavato un tozzo di pane[90], che aveva portato
con sè, si diede a mangiare. Quando Perpetua vide questo, non lo volle
patire.--Come? un signore suo pari! non sarà mai detto ch'ella faccia
questo torto alla mia cucina. Ecco, si serva, mangi di questo: e lasci
fare a me per mandare in tavola il piatto senza un segno: non faccia
complimenti: che serve?--E come il Conte rifiutava, Perpetua gli si
avvicinò all'orecchio e gli disse a bassa voce:--Via, signor Conte;
che scrupoli son questi? so quello che posso fare; la padrona sono io
qui.--Ma tutto fu inutile. Il Conte ringraziò di nuovo, e continuò a
rodere ostinatamente il suo pane.
Quando poi da quello che accadeva in cucina s'avvide che erano cessati
i cibi e levate le mense, fece chiedere udienza a Federigo, dal quale
fu tosto fatto introdurre.
--Monsignore, diss'egli, quando gli fu in presenza, questo è un giorno
di festa singolare per questo paese e per voi: ma in questa allegrezza
comune, io, io ho una parte ben diversa da tutti gli altri; il gaudio
puro e sgombro della liberazione d'una innocente non è per colui che
l'aveva vilmente oppressa, angariata. A me conviene dunque un contegno
e un linguaggio particolare; lasciate che io faccia oggi la mia parte;
approvate che io vada ad implorare un perdono da quella innocente,
ch'io mi umilj dinanzi a lei, che le confessi il mio orribile torto, e
che riceva dalla sua bocca innocente dei rimproveri, che non saranno
certo condegni alla mia iniquità, ma che serviranno in parte ad
espiarla.
Federigo intese con gioja questa proposizione; e pel Conte, a cui
questo passo sarebbe un progresso nel bene e una consolazione nello
stesso tempo; e per Lucia, alla quale lo spettacolo della forza
umiliata volontariamente, sarebbe un conforto, un rincoramento dopo
tanti terrori; e pel trionfo della pietà, e per l'edificazione dei
buoni; e finalmente perchè una riparazione pubblica e clamorosa
attirerebbe ancor più gli sguardi sopra Lucia, e sul suo pericolo[91],
sarebbe una più aperta manifestazione del soccorso che Dio le aveva
dato, la renderebbe come sacra, e così più sicura da ogni nuovo
attentato dello sciaurato suo persecutore. Approvò egli dunque con
vive e liete parole la proposizione e aggiunse:--Dite: dite se
l'offesa la più ardentemente bramata, la più lungamente meditata, la
meglio riuscita reca mai tanta dolcezza quanto una umile e volontaria
riparazione?
--Ah! la dolcezza sarebbe intera, rispose il Conte, se la riparazione
potesse esserlo, se il pentimento, se l'espiazione la più operosa, la
più laboriosa potesse fare che il male non fosse fatto, che i dolori
non fossero stati sentiti.
--Ma v'è ben Quegli, rispose Federigo, che può far di più; che può
cavare il bene dal male, dare pei dolori sofferti il centuplo di gioja,
fargli benedire a chi gli ha sofferti. E quando voi fate per Lui e con
Lui quel poco che v'è concesso di fare, Egli farà il resto: Egli farà
che del male passato non resti a quella poveretta che un argomento
di riconoscenza e di speranza, e a voi di una afflizione umile e
salutare[92].
Detto questo, il Cardinale chiamò il curato, e gli impose che facesse
avvisare Lucia del disegno del Conte, e le dicesse ch'egli stesso la
pregava di accoglierlo. Partito il curato, Federigo richiese il Conte
che aspettasse tanto che Lucia potesse essere avvertita.
Dopo qualche momento il Conte uscì dalla casa di Don Abbondio e s'avviò
a quella di Lucia tra una folla di spettatori, fra i quali era già
corsa la notizia di ciò che si preparava.
La forza, che spontanea, non vinta, non strascinata, non minacciata,
si abbassa dinanzi alla giustizia, che riconosce nella innocenza
debole un potere, e domanda grazia da essa, è un fenomeno tanto bello
e tanto raro, che beato chi può ammirarlo una volta in sua vita. Quei
buoni terrieri (in quel momento erano tutti buoni) non si saziavano
di guardare il Conte, lo seguivano, lo circondavano in tumulto, lo
colmavano di benedizioni. Tanta è la bellezza della giustizia: per
tarda ch'ella sia, innamora sempre quando è volontaria: quelli che
dopo aver fatti patir gli uomini si vendicano dell'odio loro, che gli
tormenta, col fargli patire ancor più, non pensano che quell'odio è
pronto a cangiarsi in favore, in riconoscenza, al momento che una
risoluzione pietosa, un ravvedimento, anche senza confessione, faccia
cessare i patimenti.
Il Conte camminava ad occhi bassi e col volto infiammato, tutto
compunto e tutto esaltato, che poteva sembrare un re condotto in catene
al trionfo, o il capitano trionfatore, e Don Abbondio camminava al suo
fianco e pareva... Don Abbondio.
Giunti alla casetta di Lucia, il curato fece entrare il Conte, e con
ambe le mani ritenne la folla, o almeno le comandò che si rattenesse,
tanto che potè chiuder l'uscio, e lasciarla al di fuori.
Lucia, tutta vergognosa, condotta dalla madre, si fece incontro al
Conte, il quale, trattenendosi vicino alla porte, nell'atteggiamento
di un colpevole, le disse con voce sommessa: Perdono: io son quello
che v'ha offesa, tormentata: ho messe le mani sopra di voi, vilmente,
a tradimento, senza pietà, senza un pretesto, perchè era un iniquo: ho
sentito le vostre preghiere, e le ho rifiutate: ho veduto le vostre
lagrime, e son partito da voi senza esaudirvi. Vi ho fatta tremare
che voi m'aveste offeso, perchè era più forte di voi e scellerato.
Perdonatemi quel viaggio, perdonatemi quel colloquio, perdonatemi
quella notte; perdonatemi, se potete.
--S'io le perdono! rispose Lucia. Dio s'è servito di lei per salvarmi.
Io ero nelle unghie di chi mi voleva perdere, e ne sono uscita col
suo ajuto. Dal momento ch'ella m'è comparsa innanzi, che io ho potuto
parlarle, ho cominciato a sperare; sentiva in cuore qualche cosa che mi
diceva ch'ella mi avrebbe fatto del bene. Così Dio mi perdoni, come io
le perdono.
--Brava figliuola! disse Don Abbondio, così si deve parlare: fate bene
a perdonare, perchè Dio lo comanda; e già quando anche non voleste, che
utile ve ne verrebbe? Voi non potete vendicarvi, e non fareste altro
che rodervi inutilmente. Oh se tutti pensassero a questo modo, sarebbe
un bel vivere a questo mondo!
--È vero, disse Agnese, che questa mia poveretta ha patito molto...
ma bisogna poi anche dire che noi poveretti non siamo avvezzi a vedere
i signori venirci a domandar perdono.
--Dio vi benedica, disse il Conte, e vi compensi con altrettanta e
più consolazione i mali che io vi ho fatti, tutti quelli che avete
sofferti. Indi soggiunse titubando: Come sarei contento se potessi far
qualche cosa per voi!
--Preghi per me, disse Lucia, ora ch'è divenuto santo.
--Quello ch'io sono stato, lo so pur troppo anch'io: quello ch'io ora
sia, Dio solo lo sa, rispose il Conte... Ma voi, in questa vostra
orribile sciagura... in questa mia scelleratezza... non avete avuto
soltanto timori e crepacuori... La vostra famiglia... una famiglia
quieta e stabilita... i vostri lavori, l'avviamento... voi avete
sofferti danni d'ogni genere... se osassi... se osassi parlare di
compensar questi, io che v'ho fatto tanto male, che non potrò compensar
mai... ma Dio è ricco... frattanto datemi questa prova di perdono...
accettate, e qui cavò, con peritanza quasi puerile[93], un rotolo di
tasca... accettate questa picciola restituzione... non mi umiliate
con un rifiuto.
--No, no, disse Lucia: Dio mi ha provveduta abbastanza: v'ha tanti
poverelli che patiscono la fame: io non ho bisogno...
--Deh! non rifiutate, replicò il Conte con umile istanza: se sapeste!
questa somma... questo numero... pesa tanto in mano mia... e sarei
tanto sollevato se l'accettaste... Non mi farete questa grazia, per
mostrarmi che m'avete perdonato? e vedendo che il volto d'Agnese
esprimeva il consenso che il volto e le parole di Lucia negavano,
presentò alla madre il rotolo, implorando, pur con lo sguardo, il
consenso di Lucia[94].
--Grazie, disse Agnese al Conte; e tu, continuò rivolta a Lucia, ora
non parli bene. Questo signore lo fa pel bene dell'anima sua, e noi
poveri non dobbiamo esser superbi. Così dicendo svolse il rotolo e
sclamò: Oro!
--Vostra madre ha ragione, disse Don Abbondio: accettate quello che
Dio vi manda, e se vorrete farne del bene, non mancheranno occasioni.
Così facessero tutti! Così Iddio toccasse il cuore a qualchedun altro e
gli spirasse di compensare anche me, povero prete, delle spese che ho
dovuto fare in medicine per quella maledetta... Voleva dire paura, ma
ebbe paura di parlare imprudentemente e si fermò.
--Vi ringrazio della vostra degnazione, disse il Conte a Lucia, e del
vostro perdono. E se mai in qualunque caso voi credete ch'io possa
esservi utile, voi sapete... pur troppo... dove io dimoro. Il giorno
in cui mi sarà dato di fare qualche cosa per voi, sarà un giorno lieto
per me: mi parrà allora che Dio mi abbia veramente perdonato.
--Ecco che cosa vuol dire avere studiato! disse Agnese: appena Dio
tocca il cuore, si parla subito come un predicatore.
Lucia ringraziò pure il Conte, il quale, dopo d'aver ripetute parole
di scusa[95] e di umiliazione e di tenerezza, si congedò, uscì con Don
Abbondio, e sulla porta si divisero. Il Conte, tra le acclamazioni
della folla, prese la via che conduceva al suo castello, e Don Abbondio
tornò a casa.
Appena le due donne furono sole, Agnese svolse il rotolo e in fretta
in fretta si diede a noverare. Dugento scudi d'oro! sclamò poi; quanta
grazia di Dio. Non patiremo più la fame certamente.
--Mamma, disse Lucia, poichè quel signore ci ha costrette ad accettare
questo dono e ha preteso che fosse una restituzione... quei denari non
sono tutti nostri. Non siamo noi sole che abbiamo sofferti danni...
non sono io sola che abbia dovuto fuggire, intralasciare i miei
lavori. Io sono tornata finalmente... e se non istarò qui, ho almeno
chi pensa a me, chi non mi lascerà mancare di nulla... Un altro è
lontano, e Dio sa quando potrà tornare. Mi parrebbe di aver rubati quei
denari, se almeno almeno non gli dividessi con lui.
--Glieli porterai in dote, disse Agnese, studiandosi di rotolare
come prima gli scudi, che, facendo pancia da una parte o dall'altra,
sfuggivano dalle sue mani inesperte.
--Non parliamo di queste cose, mamma, disse Lucia sospirando; non ne
parliamo. Se Dio avesse voluto... ah! le cose non sarebbero andate a
quel modo. Non era destinato che fossimo... non ci pensiamo per carità.
--Ma s'egli torna, voleva cominciare Agnese.
--È lontano, è profugo, ramingo... ah! c'è altro da pensare: forse
egli stenta, forse non ha pane da mangiare. Forse con questo ajuto egli
potrà collocarsi bene altrove, farsi un avviamento, uno stato...
--Ohe! disse Agnese, tu non pensi più a lui?...
--Penso a toglierlo d'angustia e di bisogno, rispose in fretta Lucia.
Questo lo possiamo fare; al resto provvederà Iddio.
Agnese era onesta e buona, e per quanto le piacessero quei begli scudi
giallognoli, non avrebbe potuto possederli con un contento puro e
tranquillo quando le fossero divenuti in mano un testimonio di dura e
_bassa avarizia_. Consentì ella dunque a destinarne la metà a Fermo
e promise a Lucia che avrebbe cercato tosto il mezzo di farglieli
tenere sicuramente. Ma Agnese era rimasta colpita di quella nuova
rassegnazione di Lucia all'assenza del suo promesso sposo, e non lasciò
di tentarla con interrogazioni dirette, tortuose, calzanti, subdole,
per venirne all'acqua chiara. Lucia però seppe per allora e per qualche
tempo schermirsi dal soddisfare alla curiosità materna, allegando
sempre che era inutile il pensare a cose che le circostanze rendevano
impossibili[96].
XV.
CURE DEL CARDINAL FEDERIGO PER METTERE AL SICURO LUCIA.
Il Cardinale aveva risoluto di partire quella sera, di là[97], per
portarsi ad una parrocchia vicina; ma partiva col dispiacere di non
avere ancora potuto provvedere Lucia d'un asilo; e quantunque tutto
paresse ivi sicuro per essa, pure il cuore del buon vecchio non era
abbastanza tranquillo. Per avere la certezza che desiderava, egli non
si rivolse a Don Abbondio, perchè teneva per fermo (e nessuno dirà
ch'egli giudicasse temerariamente) che Don Abbondio per rispondere
Monsignor sì, o Monsignor no, avrebbe consultato piuttosto l'interesse
e la sicurezza sua propria, che quella di Lucia. Commise egli adunque
al suo cappellano crocifero di aggirarsi fra il popolo e di osservare
lo stato delle cose, la disposizione degli animi, di vedere se v'era
rimasta in paese gente di mala intenzione, se insomma si poteva
partire col cuore quieto, lasciando Lucia nel luogo dove alcuni giorni
prima non era stata sicura. Il cappellano fece ciò che gli era stato
imposto; parlò al sagrestano, agli anziani, al console, e da tutti fu
accertato che nulla v'era da temere. Anzi, appena si ebbe sentore dì
questa inquietudine del Cardinale, in un momento, giovani e vecchj
s'offersero di guardare la casa di Lucia, con quella risoluzione, con
quell'ardore con cui si veggono offrire le alleanze ad un principe
vittorioso.--Son qua io, diceva l'uno--tocca a me, diceva l'altro--io
son cugino, gridava un terzo--io, io che non ho paura di brutti musi,
schiamazzava il quarto, e così fino al centesimo. Non si sarebbe potuto
credere che Lucia pochi giorni prima avesse dovuto fuggire segretamente
da quello stesso paese. Perchè costoro non si presentavano quando v'era
il bisogno? Eh! perchè v'era il bisogno.
Avuta questa sicurezza, il Cardinale partì, facendo ancora ripetere a
Lucia ch'egli non si sarebbe scostato da quei contorni prima d'aver
provveduto alla sua sorte. Infatti, egli andò sempre in quei giorni
ripensando al modo di compire questa sua opera e ricercando in ogni
persona, in ogni circostanza se poteva farne un mezzo al suo benefico
intento. A forza di attendere e di ricercare, l'occasione si presentò.
Visitando una di quelle parrocchie, ricevette Federigo fra le altre
visite, che accorrevano da ogni parte, quella d'una famiglia potente di
Milano, che villeggiava in quelle vicinanze[98]. Don Valeriano[99],
capo di casa, Donna Margherita[100], sua moglie, Donna Ersilia, loro
unica figlia, e Donna Beatrice, sorella del capo di casa, rimasta
vedova nel primo anno di matrimonio e ritornata a vivere ritiratamente
in casa. Dei primi tre il Cardinale non aveva conoscenza molto vicina:
sapeva soltanto che la famiglia, benchè molto distinta, pure non faceva
terrore, che Don Valeriano non aveva riputazione di soverchiante e di
tiranno; e questo merito negativo bastava in quei tempi a conciliare
ad una famiglia potente la stima e la fiducia dei più savj. Oltre
di che, Donna Beatrice era nota a Federigo assai più da vicino; le
abitudini di una vita tutta consecrata alla pietà e alla assistenza dei
poveri, le avevano data, senza ch'ella se ne curasse, una riputazione
di santità, e il Cardinale, in più occasioni, incontrandosi con
essa nelle stesse intenzioni e nelle stesse occupazioni, aveva avuto
campo di accertarsi che quella riputazione non era menzognera. Quando
adunque questa visita gli fu annunziata, propose egli di trovare il
modo che Lucia andasse in quella casa; ma non dovette studiar molto
a condurre il discorso dov'egli desiderava: perchè l'affare di Lucia
era stato tanto clamoroso, che Don Valeriano non mancò di parlarne,
per fare un complimento al suo liberatore. Questi allora, dopo d'aver
modestamente rifiutate le lodi, ch'egli sapeva di non meritare,
raccontando semplicemente il fatto e togliendone tutto ciò che la fama
vi aveva aggiunto in suo onore, aggiunse che però tutto non era finito,
che quella povera giovane, uscita da un tanto pericolo, non era pure
in sicuro, non aveva un asilo, e che certamente avrebbe compiuta una
opera incominciata da Dio chi l'avesse raccolta. Don Valeriano guardò
in faccia a Donna Margherita, la quale assenti con una occhiata: Donna
Beatrice, non guardata da loro, gli guardò entrambi con ansietà per
vedere se avevano inteso, se avrebbero fatto vista d'intendere: Donna
Ersilia continuò a guardare la croce del Cardinale, la porpora, a
seguire con l'occhio la mano, per osservare l'anello, che erano le
cose per le quali s'era fatta una festa di venire a far quella visita.
Don Valeriano offerse al Cardinale di prendere Lucia al servizio
della casa, o come il Cardinale avrebbe desiderato. Il Cardinale
accettò lietamente: fece avvertire Lucia ed Agnese, le quali vennero
all'obbedienza: Lucia fu consegnata a Donna Margherita e posta ai
servizj di Ersilia. Don Valeriano fu molto contento d'avere esercitata
una protezione: Donna Margherita di avere in casa una persona, alla
quale potè metter nome: quella giovane che mi è stata affidata dal
signor Cardinale arcivescovo; Donna Beatrice, di vedere in sicuro una
innocente, e di poterla soccorrere e consolare; Donna Ersilia, d'avere
una donna al suo servizio con la quale potere parlare senza che le
fosse dato sulla voce. Lucia pure fu contenta di avere una destinazione
che la toglieva da quel contrasto doloroso tra il voto e il cuore;
Agnese, di vedere la sua figlia in salvo e in casa di signori; e
finalmente il Cardinale, di aver messa quella pecorella al sicuro dalle
zanne del lupo[101].
XVI.
IL TOZZO DI PANE E IL BICCHIER D'ACQUA DEL CARDINAL FEDERIGO.
Prima però di staccarci da Federigo non possiamo a meno di non
raccontare un tratto accaduto nella visita da lui fatta in quei
contorni[102]; perchè questo racconto, quale lo troviamo nel nostro
manoscritto e altrove, serve assai a dipingere i costumi di quel tempo,
tanto lontani dai nostri e osservabilissimi per una certa pienezza
d'entusiasmo, per una esplosione dì sentimenti clamorosa, per un impeto
veemente, come troppo spesso al male, così pure qualche volta verso
ciò che era veramente stimabile. Oltre di che, Federigo è personaggio
tanto amabile, nelle sue azioni anche le più comuni v'è sempre una
tale espressione di gentilezza, di bontà, che fa riposarvi sopra la
fantasia con diletto, e cogliere ogni pretesto per rimanere il più che
si possa in una tale compagnia; che se qualche lettore osasse dire che
noi ve lo abbiamo trattenuto troppo a lungo, osasse confessare d'aver
provato un momento di noja, bisognerebbe concluderne delle due cose
l'una: o che noi raccontiamo in modo da annojare, anche con una materia
interessante, o che questo lettore ha un animo ineducato al bello
morale, avverso al decente, al buono, istupidito nelle basse voglie,
curvo all'istinto irrazionale. Ma il primo di questi due supposti è
manifestamente improbabile a parer nostro. Veniamo al racconto.
Dalle chiese delle quali abbiamo parlato si era Federigo trasportato a
visitar quelle della valle di San Martino, che era allora nel dominio
Veneto e nella diocesi milanese; e per tutto dov'egli si andava
fermando, oltre la folla dei parrocchiani, la chiesa, la piazza, la
terra formicolavano di moltitudine accorsa dai luoghi circonvicini.
In una di quelle terre, avendo egli sbrigate nella sera stessa del
suo arrivo le principali faccende, aveva egli disegnato di partire
prima del pranzo, per giungere più tosto alla stazione vicina. Era la
chiesa, dov'egli si trovava, posta sulla cima d'un lento pendìo, che
terminava in una vasta pianura. Celebrati i santi misteri, si volse
egli dall'altare per favellare al popolo, e stendendo dinanzi a sè
il guardo, che dalla elevazione dell'altare poteva trascorrere, per
la porta spalancata, sul pendìo e nel piano sottoposto, vide, dalla
balaustrata del presbitero, nella chiesa, sul pendìo, nel piano una
calca non interrotta, come un selciato continuo di teste e di volti;
se non che, al di fuori, quella superficie uniforme era interrotta
da tende alzate, che facevano parere quel luogo un campo, o una
fiera; guardando poi più fisamente, scorse fra quella moltitudine
abiti diversi di ricchezza e di foggia, che dinotavano una varietà di
condizioni e di paesi. Chiese egli a chi lo serviva più da vicino,
che cosa volesse dire quel concorso; e gli fu detto, che era gente
accorsa da tutta la diocesi di Bergamo, e dalla città stessa, per
vederlo, per udirlo. E perchè, diss'egli, non gli accoglieremo noi
gentilmente come si conviene con ospiti? Quindi dette alcune parole
di insegnamento e di salute ai popolani, che non avendo avuto viaggio
da fare avevano i primi occupata tutta la chiesa, propose loro che
facessero gli onori di casa e cedessero il luogo a quegli estranei, che
erano venuti da lontano per sentire un vescovo. La voce corse tosto
per la chiesa e per lo spazio di fuori; questi uscivano e cedevano
il luogo con pronta cortesia, quegli entravano con ritegno e con
rendimenti di grazie: contadini e signori parevano in quel momento
gente bene educata. Cangiata a poco a poco l'udienza, il Cardinale
parlò a quei sopravvenuti come gli dettava la sua abituale carità e la
simpatia particolare che aveva eccitata in lui quella ardente e comune
volontà, la quale egli si sforzava di credere attirata in tutto dal suo
ministero e per nulla da una inclinazione alla sua persona. Terminato
il discorso, benedisse egli tutto quel concorso, lo accomiatò, e si
dispose a partire. Salito sulla sua mula, si mosse col suo seguito, in
mezzo a quella moltitudine, ma dopo alquanto viaggio, quando credeva
d'abbandonarla, s'avvide che la moltitudine lo seguiva. Si volse
egli allora, ristette in faccia a quella e la benedisse di nuovo,
come per congedarla ultimamente. Ma rimessosi in via, s'accorse che
non era niente, e che la processione continuava. Li fece pregare di
ritornarsene e di non aggravare inutilmente la stanchezza del cammino
già fatto, ma tutto fu inutile: gli era come un dire al fiume torna
indietro. Si erano già fatte più miglia di cammino, l'ora era tarda,
quando il Cardinale, che era digiuno e già da lungo tempo combatteva
con la fame, sentendo mancarsi le forze e visto che quel giorno gli
era forza desinare in pubblico, si fermò sulla cima d'una salita,
dove vide spicciare una sorgente da una roccia che fiancheggiava il
cammino e chiese, così a cavallo, che gli fosse servito il pranzo.
L'ajutante di camera tolse da un cestello un pezzo di pane e glielo
presentò. Federigo lo prese, indi chiese che gli fosse riempiuto
un bicchiere a quella sorgente. Mentre questo si faceva, cominciò
Federigo a banchettare, non senza un qualche pudore per tutti quegli
spettatori, e chiuse il banchetto col bicchiere d'acqua, che gli fu
porto. Quando tutta quella folla vide quali erano le mense d'un uomo
così dovizioso e così affaticato, insorse un grido di maraviglia, un
gemito di compunzione: e questi sentimenti crebbero quando, fra quegli
accorsi, alcuni, i quali conoscevano più degli altri le costumanze
del Cardinale, affermarono che questo era il suo solito pranzo quando
doveva farlo in cammino, e che quello che gli era imbandito in casa non
ne differiva di molto. I poveri si rimproveravano la loro intolleranza
nel disagio, i ricchi la loro intemperanza; e quivi tosto molti fra
questi distribuirono ai bisognosi i danari che si trovavano in dosso.
Il Cardinale, così ristorato, pregò i più vicini che finalmente
tornassero e persuadessero gli altri a tornare, e alzata la mano su
tutta la turba, che egli dominava da quella altura, la benedisse di
nuovo, stendendo poi verso di quella affettuosamente ambe le mani in
atto di saluto. La turba rispose con nuove acclamazioni, e non osando
più resistere al desiderio di quell'uomo, si rivolse e tornò addietro.
congegnata.
--Avete confessata una colpa, disse tranquillamente Federigo: Dio ve la
perdoni e... a chi v'ha dato una tentazione così forte di commetterla.
Ma d'ora in poi, buona figliuola, e voi, buona donna, non fate più di
quelle cose che non raccontereste volentieri.
Quindi passò a chiedere a Lucia dove fosse Fermo; che ora il matrimonio
poteva e doveva esser tosto conchiuso.
Questo era un punto ancor più rematico. Le dirò io... cominciava
Agnese, ma il Cardinale le diede un'occhiata, la quale significava,
ch'egli sperava la verità più da Lucia che da lei, onde Agnese ammutì;
e Lucia singhiozzando, rispose: Fermo, povero giovane, non è qui; s'è
trovato in quei garbugli di Milano e ha dovuto fuggire; ma son certa
ch'egli non ha fatto male, perchè era un giovane di timor di Dio.
--Ma che ha fatto in quel giorno? chiese ancora il Cardinale: quale è
la sua colpa?
--Non ne sappiamo di più, rispose Lucia.
Il Cardinale, giacchè altri non v'era a cui domandare, si volse ad
Agnese, la quale, rianimata, disse: Se volessi potrei inventare una
storia per contentare Vossignoria illustrissima, ma sono incapace
d'ingannare una gran persona, come Ella è; e non sappiamo proprio
niente di più.
--Dio buono! disse il Cardinale: insidie, colpe, sciagure, incertezze,
ecco il mondo dei grandi e dei piccioli. Ma voi, disse a Lucia, che
pensate adunque di fare intanto?
--Io, rispose Lucia, io vedo che il Signore ha deciso altrimenti di
me, che non mi vuole in quello stato, e ho messo il mio cuore in
pace. E se trovassi dove vivere tranquillamente, fuor d'ogni pericolo;
se potessi esser ricevuta conversa in un monastero... consecrarmi a
Dio...
--Oh che furia! sclamò Agnese.
--Voi vi siete promessa, buona giovane, disse Federigo: vi siete allora
risoluta a promettere senza riflessione, leggermente?
--Questo no, disse Lucia arrossando.
--Bene, disse Federigo, potrebbe ora dunque esser leggiero il
ritrattarvi. Se quest'uomo fosse innocente, se potesse sposarvi, che
mutamento è accaduto nelle vostre relazioni? Nessun altro che una serie
di sventure ad ambedue, e non è questa una ragione per separarvi.
Questo non è il momento di pigliare una risoluzione. Sospendete, fate
ricerche, aspettate che Iddio vi riveli più chiaramente la sua volontà.
L'asilo[87] intanto ve lo troverò io.
Lucia fu tentata più d'una volta di rivelare il voto, ma una vergogna
insuperabile la ritenne. Federigo l'assicurò che non sarebbe partito
da quei contorni prima d'avere stabilito qualche cosa per lei; e dopo
qualche altra parola di consolazione e di avviso la lasciò partire con
Agnese[88].
XIII.
VISITA DEL CONTE DEL SAGRATO A LUCIA
Abbiamo detto che il Conte del Sagrato era venuto ogni mattina a quella
chiesa che il Cardinale visitava in quel giorno. Stava alquanto con
lui in quell'ora di riposo che precedeva il pranzo, e poi ripartiva.
Ma in questo giorno egli era venuto con un disegno, che fu cagione di
farlo rimanere più tardi. Sapeva il Conte che Lucia doveva tornare alla
sua casa: il Cardinale lo aveva informato di questo, anzi gliene aveva
chiesto consiglio: perchè, dove si trattava di pericolo e di cautela,
di bravi e di tiranni, non v'era uomo più al caso di dare un buon
consiglio[89]: e il Conte aveva confortato il Cardinale ad installare
pure sicuramente Lucia nel suo pacifico albergo. Prevedendo egli dunque
che quel giorno Lucia si sarebbe trovata dal Cardinale, non vi si
presentò all'ora consueta, ma stette nella chiesa, aspettando l'ora
in cui il Cardinale era solito di desinare, e quando questa gli parve
dover esser giunta, entrò nella cucina, dove Perpetua stava in grandi
faccende, e le chiese, con umile affabilità, di potere ivi trattenersi
ad attendere che il pranzo fosse finito, per chiedere udienza a
Monsignore. Chi entra in una cucina in un giorno di cerimonie è sempre
il mal venuto; ma il Conte aveva una antica riputazione di ribalderia
e una recente di santità, che imposero anche a Perpetua, la quale, per
levarsi dattorno nel modo più gentile quell'incomodo arnese, propose al
Conte d'entrare nella sala del pranzo.--Si faccia avanti, diss'ella,
sulla mia parola: Monsignore la vedrà molto volentieri; e anche il mio
padrone e tutta la compagnia: non faccia cerimonie.
Ma il Conte disse di nuovo che desiderava di attendere ivi in un canto.
Perpetua lo fece sedere al posto d'onore della cucina, nel banco sotto
la cappa del cammino, dicendo: Vossignoria starà come potrà: veramente
avrebbe fatto meglio d'entrare coi signori, che quello è il suo posto:
basta, com'ella vuole: mi scusi se non posso fare il mio dovere a
tenerle compagnia, perchè oggi ho tante faccende: ella vede. Il Conte
sedette, ringraziò, e cavato un tozzo di pane[90], che aveva portato
con sè, si diede a mangiare. Quando Perpetua vide questo, non lo volle
patire.--Come? un signore suo pari! non sarà mai detto ch'ella faccia
questo torto alla mia cucina. Ecco, si serva, mangi di questo: e lasci
fare a me per mandare in tavola il piatto senza un segno: non faccia
complimenti: che serve?--E come il Conte rifiutava, Perpetua gli si
avvicinò all'orecchio e gli disse a bassa voce:--Via, signor Conte;
che scrupoli son questi? so quello che posso fare; la padrona sono io
qui.--Ma tutto fu inutile. Il Conte ringraziò di nuovo, e continuò a
rodere ostinatamente il suo pane.
Quando poi da quello che accadeva in cucina s'avvide che erano cessati
i cibi e levate le mense, fece chiedere udienza a Federigo, dal quale
fu tosto fatto introdurre.
--Monsignore, diss'egli, quando gli fu in presenza, questo è un giorno
di festa singolare per questo paese e per voi: ma in questa allegrezza
comune, io, io ho una parte ben diversa da tutti gli altri; il gaudio
puro e sgombro della liberazione d'una innocente non è per colui che
l'aveva vilmente oppressa, angariata. A me conviene dunque un contegno
e un linguaggio particolare; lasciate che io faccia oggi la mia parte;
approvate che io vada ad implorare un perdono da quella innocente,
ch'io mi umilj dinanzi a lei, che le confessi il mio orribile torto, e
che riceva dalla sua bocca innocente dei rimproveri, che non saranno
certo condegni alla mia iniquità, ma che serviranno in parte ad
espiarla.
Federigo intese con gioja questa proposizione; e pel Conte, a cui
questo passo sarebbe un progresso nel bene e una consolazione nello
stesso tempo; e per Lucia, alla quale lo spettacolo della forza
umiliata volontariamente, sarebbe un conforto, un rincoramento dopo
tanti terrori; e pel trionfo della pietà, e per l'edificazione dei
buoni; e finalmente perchè una riparazione pubblica e clamorosa
attirerebbe ancor più gli sguardi sopra Lucia, e sul suo pericolo[91],
sarebbe una più aperta manifestazione del soccorso che Dio le aveva
dato, la renderebbe come sacra, e così più sicura da ogni nuovo
attentato dello sciaurato suo persecutore. Approvò egli dunque con
vive e liete parole la proposizione e aggiunse:--Dite: dite se
l'offesa la più ardentemente bramata, la più lungamente meditata, la
meglio riuscita reca mai tanta dolcezza quanto una umile e volontaria
riparazione?
--Ah! la dolcezza sarebbe intera, rispose il Conte, se la riparazione
potesse esserlo, se il pentimento, se l'espiazione la più operosa, la
più laboriosa potesse fare che il male non fosse fatto, che i dolori
non fossero stati sentiti.
--Ma v'è ben Quegli, rispose Federigo, che può far di più; che può
cavare il bene dal male, dare pei dolori sofferti il centuplo di gioja,
fargli benedire a chi gli ha sofferti. E quando voi fate per Lui e con
Lui quel poco che v'è concesso di fare, Egli farà il resto: Egli farà
che del male passato non resti a quella poveretta che un argomento
di riconoscenza e di speranza, e a voi di una afflizione umile e
salutare[92].
Detto questo, il Cardinale chiamò il curato, e gli impose che facesse
avvisare Lucia del disegno del Conte, e le dicesse ch'egli stesso la
pregava di accoglierlo. Partito il curato, Federigo richiese il Conte
che aspettasse tanto che Lucia potesse essere avvertita.
Dopo qualche momento il Conte uscì dalla casa di Don Abbondio e s'avviò
a quella di Lucia tra una folla di spettatori, fra i quali era già
corsa la notizia di ciò che si preparava.
La forza, che spontanea, non vinta, non strascinata, non minacciata,
si abbassa dinanzi alla giustizia, che riconosce nella innocenza
debole un potere, e domanda grazia da essa, è un fenomeno tanto bello
e tanto raro, che beato chi può ammirarlo una volta in sua vita. Quei
buoni terrieri (in quel momento erano tutti buoni) non si saziavano
di guardare il Conte, lo seguivano, lo circondavano in tumulto, lo
colmavano di benedizioni. Tanta è la bellezza della giustizia: per
tarda ch'ella sia, innamora sempre quando è volontaria: quelli che
dopo aver fatti patir gli uomini si vendicano dell'odio loro, che gli
tormenta, col fargli patire ancor più, non pensano che quell'odio è
pronto a cangiarsi in favore, in riconoscenza, al momento che una
risoluzione pietosa, un ravvedimento, anche senza confessione, faccia
cessare i patimenti.
Il Conte camminava ad occhi bassi e col volto infiammato, tutto
compunto e tutto esaltato, che poteva sembrare un re condotto in catene
al trionfo, o il capitano trionfatore, e Don Abbondio camminava al suo
fianco e pareva... Don Abbondio.
Giunti alla casetta di Lucia, il curato fece entrare il Conte, e con
ambe le mani ritenne la folla, o almeno le comandò che si rattenesse,
tanto che potè chiuder l'uscio, e lasciarla al di fuori.
Lucia, tutta vergognosa, condotta dalla madre, si fece incontro al
Conte, il quale, trattenendosi vicino alla porte, nell'atteggiamento
di un colpevole, le disse con voce sommessa: Perdono: io son quello
che v'ha offesa, tormentata: ho messe le mani sopra di voi, vilmente,
a tradimento, senza pietà, senza un pretesto, perchè era un iniquo: ho
sentito le vostre preghiere, e le ho rifiutate: ho veduto le vostre
lagrime, e son partito da voi senza esaudirvi. Vi ho fatta tremare
che voi m'aveste offeso, perchè era più forte di voi e scellerato.
Perdonatemi quel viaggio, perdonatemi quel colloquio, perdonatemi
quella notte; perdonatemi, se potete.
--S'io le perdono! rispose Lucia. Dio s'è servito di lei per salvarmi.
Io ero nelle unghie di chi mi voleva perdere, e ne sono uscita col
suo ajuto. Dal momento ch'ella m'è comparsa innanzi, che io ho potuto
parlarle, ho cominciato a sperare; sentiva in cuore qualche cosa che mi
diceva ch'ella mi avrebbe fatto del bene. Così Dio mi perdoni, come io
le perdono.
--Brava figliuola! disse Don Abbondio, così si deve parlare: fate bene
a perdonare, perchè Dio lo comanda; e già quando anche non voleste, che
utile ve ne verrebbe? Voi non potete vendicarvi, e non fareste altro
che rodervi inutilmente. Oh se tutti pensassero a questo modo, sarebbe
un bel vivere a questo mondo!
--È vero, disse Agnese, che questa mia poveretta ha patito molto...
ma bisogna poi anche dire che noi poveretti non siamo avvezzi a vedere
i signori venirci a domandar perdono.
--Dio vi benedica, disse il Conte, e vi compensi con altrettanta e
più consolazione i mali che io vi ho fatti, tutti quelli che avete
sofferti. Indi soggiunse titubando: Come sarei contento se potessi far
qualche cosa per voi!
--Preghi per me, disse Lucia, ora ch'è divenuto santo.
--Quello ch'io sono stato, lo so pur troppo anch'io: quello ch'io ora
sia, Dio solo lo sa, rispose il Conte... Ma voi, in questa vostra
orribile sciagura... in questa mia scelleratezza... non avete avuto
soltanto timori e crepacuori... La vostra famiglia... una famiglia
quieta e stabilita... i vostri lavori, l'avviamento... voi avete
sofferti danni d'ogni genere... se osassi... se osassi parlare di
compensar questi, io che v'ho fatto tanto male, che non potrò compensar
mai... ma Dio è ricco... frattanto datemi questa prova di perdono...
accettate, e qui cavò, con peritanza quasi puerile[93], un rotolo di
tasca... accettate questa picciola restituzione... non mi umiliate
con un rifiuto.
--No, no, disse Lucia: Dio mi ha provveduta abbastanza: v'ha tanti
poverelli che patiscono la fame: io non ho bisogno...
--Deh! non rifiutate, replicò il Conte con umile istanza: se sapeste!
questa somma... questo numero... pesa tanto in mano mia... e sarei
tanto sollevato se l'accettaste... Non mi farete questa grazia, per
mostrarmi che m'avete perdonato? e vedendo che il volto d'Agnese
esprimeva il consenso che il volto e le parole di Lucia negavano,
presentò alla madre il rotolo, implorando, pur con lo sguardo, il
consenso di Lucia[94].
--Grazie, disse Agnese al Conte; e tu, continuò rivolta a Lucia, ora
non parli bene. Questo signore lo fa pel bene dell'anima sua, e noi
poveri non dobbiamo esser superbi. Così dicendo svolse il rotolo e
sclamò: Oro!
--Vostra madre ha ragione, disse Don Abbondio: accettate quello che
Dio vi manda, e se vorrete farne del bene, non mancheranno occasioni.
Così facessero tutti! Così Iddio toccasse il cuore a qualchedun altro e
gli spirasse di compensare anche me, povero prete, delle spese che ho
dovuto fare in medicine per quella maledetta... Voleva dire paura, ma
ebbe paura di parlare imprudentemente e si fermò.
--Vi ringrazio della vostra degnazione, disse il Conte a Lucia, e del
vostro perdono. E se mai in qualunque caso voi credete ch'io possa
esservi utile, voi sapete... pur troppo... dove io dimoro. Il giorno
in cui mi sarà dato di fare qualche cosa per voi, sarà un giorno lieto
per me: mi parrà allora che Dio mi abbia veramente perdonato.
--Ecco che cosa vuol dire avere studiato! disse Agnese: appena Dio
tocca il cuore, si parla subito come un predicatore.
Lucia ringraziò pure il Conte, il quale, dopo d'aver ripetute parole
di scusa[95] e di umiliazione e di tenerezza, si congedò, uscì con Don
Abbondio, e sulla porta si divisero. Il Conte, tra le acclamazioni
della folla, prese la via che conduceva al suo castello, e Don Abbondio
tornò a casa.
Appena le due donne furono sole, Agnese svolse il rotolo e in fretta
in fretta si diede a noverare. Dugento scudi d'oro! sclamò poi; quanta
grazia di Dio. Non patiremo più la fame certamente.
--Mamma, disse Lucia, poichè quel signore ci ha costrette ad accettare
questo dono e ha preteso che fosse una restituzione... quei denari non
sono tutti nostri. Non siamo noi sole che abbiamo sofferti danni...
non sono io sola che abbia dovuto fuggire, intralasciare i miei
lavori. Io sono tornata finalmente... e se non istarò qui, ho almeno
chi pensa a me, chi non mi lascerà mancare di nulla... Un altro è
lontano, e Dio sa quando potrà tornare. Mi parrebbe di aver rubati quei
denari, se almeno almeno non gli dividessi con lui.
--Glieli porterai in dote, disse Agnese, studiandosi di rotolare
come prima gli scudi, che, facendo pancia da una parte o dall'altra,
sfuggivano dalle sue mani inesperte.
--Non parliamo di queste cose, mamma, disse Lucia sospirando; non ne
parliamo. Se Dio avesse voluto... ah! le cose non sarebbero andate a
quel modo. Non era destinato che fossimo... non ci pensiamo per carità.
--Ma s'egli torna, voleva cominciare Agnese.
--È lontano, è profugo, ramingo... ah! c'è altro da pensare: forse
egli stenta, forse non ha pane da mangiare. Forse con questo ajuto egli
potrà collocarsi bene altrove, farsi un avviamento, uno stato...
--Ohe! disse Agnese, tu non pensi più a lui?...
--Penso a toglierlo d'angustia e di bisogno, rispose in fretta Lucia.
Questo lo possiamo fare; al resto provvederà Iddio.
Agnese era onesta e buona, e per quanto le piacessero quei begli scudi
giallognoli, non avrebbe potuto possederli con un contento puro e
tranquillo quando le fossero divenuti in mano un testimonio di dura e
_bassa avarizia_. Consentì ella dunque a destinarne la metà a Fermo
e promise a Lucia che avrebbe cercato tosto il mezzo di farglieli
tenere sicuramente. Ma Agnese era rimasta colpita di quella nuova
rassegnazione di Lucia all'assenza del suo promesso sposo, e non lasciò
di tentarla con interrogazioni dirette, tortuose, calzanti, subdole,
per venirne all'acqua chiara. Lucia però seppe per allora e per qualche
tempo schermirsi dal soddisfare alla curiosità materna, allegando
sempre che era inutile il pensare a cose che le circostanze rendevano
impossibili[96].
XV.
CURE DEL CARDINAL FEDERIGO PER METTERE AL SICURO LUCIA.
Il Cardinale aveva risoluto di partire quella sera, di là[97], per
portarsi ad una parrocchia vicina; ma partiva col dispiacere di non
avere ancora potuto provvedere Lucia d'un asilo; e quantunque tutto
paresse ivi sicuro per essa, pure il cuore del buon vecchio non era
abbastanza tranquillo. Per avere la certezza che desiderava, egli non
si rivolse a Don Abbondio, perchè teneva per fermo (e nessuno dirà
ch'egli giudicasse temerariamente) che Don Abbondio per rispondere
Monsignor sì, o Monsignor no, avrebbe consultato piuttosto l'interesse
e la sicurezza sua propria, che quella di Lucia. Commise egli adunque
al suo cappellano crocifero di aggirarsi fra il popolo e di osservare
lo stato delle cose, la disposizione degli animi, di vedere se v'era
rimasta in paese gente di mala intenzione, se insomma si poteva
partire col cuore quieto, lasciando Lucia nel luogo dove alcuni giorni
prima non era stata sicura. Il cappellano fece ciò che gli era stato
imposto; parlò al sagrestano, agli anziani, al console, e da tutti fu
accertato che nulla v'era da temere. Anzi, appena si ebbe sentore dì
questa inquietudine del Cardinale, in un momento, giovani e vecchj
s'offersero di guardare la casa di Lucia, con quella risoluzione, con
quell'ardore con cui si veggono offrire le alleanze ad un principe
vittorioso.--Son qua io, diceva l'uno--tocca a me, diceva l'altro--io
son cugino, gridava un terzo--io, io che non ho paura di brutti musi,
schiamazzava il quarto, e così fino al centesimo. Non si sarebbe potuto
credere che Lucia pochi giorni prima avesse dovuto fuggire segretamente
da quello stesso paese. Perchè costoro non si presentavano quando v'era
il bisogno? Eh! perchè v'era il bisogno.
Avuta questa sicurezza, il Cardinale partì, facendo ancora ripetere a
Lucia ch'egli non si sarebbe scostato da quei contorni prima d'aver
provveduto alla sua sorte. Infatti, egli andò sempre in quei giorni
ripensando al modo di compire questa sua opera e ricercando in ogni
persona, in ogni circostanza se poteva farne un mezzo al suo benefico
intento. A forza di attendere e di ricercare, l'occasione si presentò.
Visitando una di quelle parrocchie, ricevette Federigo fra le altre
visite, che accorrevano da ogni parte, quella d'una famiglia potente di
Milano, che villeggiava in quelle vicinanze[98]. Don Valeriano[99],
capo di casa, Donna Margherita[100], sua moglie, Donna Ersilia, loro
unica figlia, e Donna Beatrice, sorella del capo di casa, rimasta
vedova nel primo anno di matrimonio e ritornata a vivere ritiratamente
in casa. Dei primi tre il Cardinale non aveva conoscenza molto vicina:
sapeva soltanto che la famiglia, benchè molto distinta, pure non faceva
terrore, che Don Valeriano non aveva riputazione di soverchiante e di
tiranno; e questo merito negativo bastava in quei tempi a conciliare
ad una famiglia potente la stima e la fiducia dei più savj. Oltre
di che, Donna Beatrice era nota a Federigo assai più da vicino; le
abitudini di una vita tutta consecrata alla pietà e alla assistenza dei
poveri, le avevano data, senza ch'ella se ne curasse, una riputazione
di santità, e il Cardinale, in più occasioni, incontrandosi con
essa nelle stesse intenzioni e nelle stesse occupazioni, aveva avuto
campo di accertarsi che quella riputazione non era menzognera. Quando
adunque questa visita gli fu annunziata, propose egli di trovare il
modo che Lucia andasse in quella casa; ma non dovette studiar molto
a condurre il discorso dov'egli desiderava: perchè l'affare di Lucia
era stato tanto clamoroso, che Don Valeriano non mancò di parlarne,
per fare un complimento al suo liberatore. Questi allora, dopo d'aver
modestamente rifiutate le lodi, ch'egli sapeva di non meritare,
raccontando semplicemente il fatto e togliendone tutto ciò che la fama
vi aveva aggiunto in suo onore, aggiunse che però tutto non era finito,
che quella povera giovane, uscita da un tanto pericolo, non era pure
in sicuro, non aveva un asilo, e che certamente avrebbe compiuta una
opera incominciata da Dio chi l'avesse raccolta. Don Valeriano guardò
in faccia a Donna Margherita, la quale assenti con una occhiata: Donna
Beatrice, non guardata da loro, gli guardò entrambi con ansietà per
vedere se avevano inteso, se avrebbero fatto vista d'intendere: Donna
Ersilia continuò a guardare la croce del Cardinale, la porpora, a
seguire con l'occhio la mano, per osservare l'anello, che erano le
cose per le quali s'era fatta una festa di venire a far quella visita.
Don Valeriano offerse al Cardinale di prendere Lucia al servizio
della casa, o come il Cardinale avrebbe desiderato. Il Cardinale
accettò lietamente: fece avvertire Lucia ed Agnese, le quali vennero
all'obbedienza: Lucia fu consegnata a Donna Margherita e posta ai
servizj di Ersilia. Don Valeriano fu molto contento d'avere esercitata
una protezione: Donna Margherita di avere in casa una persona, alla
quale potè metter nome: quella giovane che mi è stata affidata dal
signor Cardinale arcivescovo; Donna Beatrice, di vedere in sicuro una
innocente, e di poterla soccorrere e consolare; Donna Ersilia, d'avere
una donna al suo servizio con la quale potere parlare senza che le
fosse dato sulla voce. Lucia pure fu contenta di avere una destinazione
che la toglieva da quel contrasto doloroso tra il voto e il cuore;
Agnese, di vedere la sua figlia in salvo e in casa di signori; e
finalmente il Cardinale, di aver messa quella pecorella al sicuro dalle
zanne del lupo[101].
XVI.
IL TOZZO DI PANE E IL BICCHIER D'ACQUA DEL CARDINAL FEDERIGO.
Prima però di staccarci da Federigo non possiamo a meno di non
raccontare un tratto accaduto nella visita da lui fatta in quei
contorni[102]; perchè questo racconto, quale lo troviamo nel nostro
manoscritto e altrove, serve assai a dipingere i costumi di quel tempo,
tanto lontani dai nostri e osservabilissimi per una certa pienezza
d'entusiasmo, per una esplosione dì sentimenti clamorosa, per un impeto
veemente, come troppo spesso al male, così pure qualche volta verso
ciò che era veramente stimabile. Oltre di che, Federigo è personaggio
tanto amabile, nelle sue azioni anche le più comuni v'è sempre una
tale espressione di gentilezza, di bontà, che fa riposarvi sopra la
fantasia con diletto, e cogliere ogni pretesto per rimanere il più che
si possa in una tale compagnia; che se qualche lettore osasse dire che
noi ve lo abbiamo trattenuto troppo a lungo, osasse confessare d'aver
provato un momento di noja, bisognerebbe concluderne delle due cose
l'una: o che noi raccontiamo in modo da annojare, anche con una materia
interessante, o che questo lettore ha un animo ineducato al bello
morale, avverso al decente, al buono, istupidito nelle basse voglie,
curvo all'istinto irrazionale. Ma il primo di questi due supposti è
manifestamente improbabile a parer nostro. Veniamo al racconto.
Dalle chiese delle quali abbiamo parlato si era Federigo trasportato a
visitar quelle della valle di San Martino, che era allora nel dominio
Veneto e nella diocesi milanese; e per tutto dov'egli si andava
fermando, oltre la folla dei parrocchiani, la chiesa, la piazza, la
terra formicolavano di moltitudine accorsa dai luoghi circonvicini.
In una di quelle terre, avendo egli sbrigate nella sera stessa del
suo arrivo le principali faccende, aveva egli disegnato di partire
prima del pranzo, per giungere più tosto alla stazione vicina. Era la
chiesa, dov'egli si trovava, posta sulla cima d'un lento pendìo, che
terminava in una vasta pianura. Celebrati i santi misteri, si volse
egli dall'altare per favellare al popolo, e stendendo dinanzi a sè
il guardo, che dalla elevazione dell'altare poteva trascorrere, per
la porta spalancata, sul pendìo e nel piano sottoposto, vide, dalla
balaustrata del presbitero, nella chiesa, sul pendìo, nel piano una
calca non interrotta, come un selciato continuo di teste e di volti;
se non che, al di fuori, quella superficie uniforme era interrotta
da tende alzate, che facevano parere quel luogo un campo, o una
fiera; guardando poi più fisamente, scorse fra quella moltitudine
abiti diversi di ricchezza e di foggia, che dinotavano una varietà di
condizioni e di paesi. Chiese egli a chi lo serviva più da vicino,
che cosa volesse dire quel concorso; e gli fu detto, che era gente
accorsa da tutta la diocesi di Bergamo, e dalla città stessa, per
vederlo, per udirlo. E perchè, diss'egli, non gli accoglieremo noi
gentilmente come si conviene con ospiti? Quindi dette alcune parole
di insegnamento e di salute ai popolani, che non avendo avuto viaggio
da fare avevano i primi occupata tutta la chiesa, propose loro che
facessero gli onori di casa e cedessero il luogo a quegli estranei, che
erano venuti da lontano per sentire un vescovo. La voce corse tosto
per la chiesa e per lo spazio di fuori; questi uscivano e cedevano
il luogo con pronta cortesia, quegli entravano con ritegno e con
rendimenti di grazie: contadini e signori parevano in quel momento
gente bene educata. Cangiata a poco a poco l'udienza, il Cardinale
parlò a quei sopravvenuti come gli dettava la sua abituale carità e la
simpatia particolare che aveva eccitata in lui quella ardente e comune
volontà, la quale egli si sforzava di credere attirata in tutto dal suo
ministero e per nulla da una inclinazione alla sua persona. Terminato
il discorso, benedisse egli tutto quel concorso, lo accomiatò, e si
dispose a partire. Salito sulla sua mula, si mosse col suo seguito, in
mezzo a quella moltitudine, ma dopo alquanto viaggio, quando credeva
d'abbandonarla, s'avvide che la moltitudine lo seguiva. Si volse
egli allora, ristette in faccia a quella e la benedisse di nuovo,
come per congedarla ultimamente. Ma rimessosi in via, s'accorse che
non era niente, e che la processione continuava. Li fece pregare di
ritornarsene e di non aggravare inutilmente la stanchezza del cammino
già fatto, ma tutto fu inutile: gli era come un dire al fiume torna
indietro. Si erano già fatte più miglia di cammino, l'ora era tarda,
quando il Cardinale, che era digiuno e già da lungo tempo combatteva
con la fame, sentendo mancarsi le forze e visto che quel giorno gli
era forza desinare in pubblico, si fermò sulla cima d'una salita,
dove vide spicciare una sorgente da una roccia che fiancheggiava il
cammino e chiese, così a cavallo, che gli fosse servito il pranzo.
L'ajutante di camera tolse da un cestello un pezzo di pane e glielo
presentò. Federigo lo prese, indi chiese che gli fosse riempiuto
un bicchiere a quella sorgente. Mentre questo si faceva, cominciò
Federigo a banchettare, non senza un qualche pudore per tutti quegli
spettatori, e chiuse il banchetto col bicchiere d'acqua, che gli fu
porto. Quando tutta quella folla vide quali erano le mense d'un uomo
così dovizioso e così affaticato, insorse un grido di maraviglia, un
gemito di compunzione: e questi sentimenti crebbero quando, fra quegli
accorsi, alcuni, i quali conoscevano più degli altri le costumanze
del Cardinale, affermarono che questo era il suo solito pranzo quando
doveva farlo in cammino, e che quello che gli era imbandito in casa non
ne differiva di molto. I poveri si rimproveravano la loro intolleranza
nel disagio, i ricchi la loro intemperanza; e quivi tosto molti fra
questi distribuirono ai bisognosi i danari che si trovavano in dosso.
Il Cardinale, così ristorato, pregò i più vicini che finalmente
tornassero e persuadessero gli altri a tornare, e alzata la mano su
tutta la turba, che egli dominava da quella altura, la benedisse di
nuovo, stendendo poi verso di quella affettuosamente ambe le mani in
atto di saluto. La turba rispose con nuove acclamazioni, e non osando
più resistere al desiderio di quell'uomo, si rivolse e tornò addietro.
- Parts
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 01
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 02
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 03
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 04
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 05
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 06
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 07
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 08
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 09
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 10
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 11
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 12
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 13
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 14
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 15
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 16
- Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 17
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