Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 03

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gioghi di Pindo con fausto successo. Il carme in morte dell'Imbonati
sta presso ai _Sepolcri_ del Pindemonte, del Foscolo, del Torti. Gli
inni in onor di Maria spirano la soavità della grazia terrestre. In
altri lirici componimenti la sua musa si spinse a nobile altezza.
Trattosi quindi nel sentiero in cui quel d'Asti raccolse il retaggio
della Greca Melpomene, il Manzoni volle trattare argomenti semplici
sulle norme della scuola romantica. Delle due tragedie ch'ei scrisse
non rimangono nella memoria che alcuni concetti ed isolate bellezze di
stile. In fine egli attese alla prosa. Il Manzoni può dirsi il primo
che abbia ora compiuto un vacuo fra noi in un ramo di letteratura, nel
quale gli stranieri peccano d'abbondanza. Sia storia o romanzo, il suo
libro mancava all'Italia. Da lungo tempo non facciam che discutere sul
modo di concepire e di scrivere. Il Manzoni frattanto non discuteva,
ma concepiva e scriveva. Il nuovo parto della sua mente incatena
l'attenzione del leggitore: crediamo con queste parole averlo definito
abbastanza. La ragione della voga di quest'opera salta agli occhi
immediatamente. Varietà ed importanza di avvenimenti; pittura energica
d'usi e di costumanze, di cui non si è perduta la traccia; caratteri
vivamente tratteggiati; passioni poste in contrasto, le vie dell'animo
ricercate, e tutto ciò senza sforzo, senza l'orpello dell'esagerazioni,
senza sussidio di mezzi incomprensibili; ecco l'origine prima da cui
deriva quell'allettamento che infondesi alla lettura dei _Promessi
Sposi_. Se a questo s'aggiunga un bel calcolato riparto di tanti
episodi, che presi isolatamente parrebbe a prima giunta non potersi
unire al soggetto fondamentale, ma che vi si combinano come tanti raggi
nel centro d'un disco, e si avrà ragione dell'aura ond'è onorato il
lavoro del Manzoni. L'autore non attinse la principal vicenda narratavi
a fonte luminosa, in quanto che i veri protagonisti dell'azione non
sono illustri per alcun conto. Ma s'egli non comincia a intertenerci
che della promessa fede di due amanti poveri e oscuri, mano a mano
che va tessendo la loro istoria, da semplice che era, s'avviluppa
con grande artificio, collegandosi ad avvenimenti ed a persone di
grande importanza; locchè addoppia la sollecitudine del leggitore nel
momento in cui crederebbesi che dovesse scemare». Il Pezzi piglia poi
a riassumere «le cose esposte, sviluppate e condotte con finissimo
accorgimento nel primo e nel secondo volume dell'opera del Manzoni»;
promette di parlare «quanto prima del terzo e ultimo»; e di ragionare
anche, «colla guida d'onesta critica», della lingua e dello stile
usati dall'autore, «non senza provare com'egli, tutto pieno del suo
soggetto, siasi mostrato ad un tempo filosofo, moralista, uom di mondo
e pittore»[40].
Curioso è il giudizio che ne dette il _Corriere delle Dame_: «Appena
uscita l'opera, ognuno si fece a dire: _è uscito un Romanzo storico di
Manzoni_. La celebrità del nome trasse tosto numerosissimi ammiratori
all'acquisto, ed alcuni, sempre fermi nel volerlo battezzare _Romanzo_,
lo trovarono, sotto questo aspetto, sterile e poco interessante.
Trattasi, dicono quelli, di due paesani (_Renzo e Lucia_) che s'hanno
a sposare e che un feudatario prepotente glielo impedisce con ogni
sorta di mezzi; dopo gran traversie si sposano, e lì finisce la
dolorosa istoria, poichè tutti gli altri fatti e narrazioni s'hanno a
considerare come altrettanti episodi, e formano invece il nerbo del
libro.--Io rispondo a questa prima questione che il rinomato autore di
tante belle poesie e di ben altri lodati componimenti non comincia
dal dire sua propria quest'opera, e quand'anche la si fosse, egli l'ha
intitolata: _Storia milanese del secolo XVII_; perchè dunque la si
vuole un _Romanzo_? Certo che se si fosse inteso di offrirci un romanzo
storico sulle tracce di Walter Scott doveasi innalzare fra più nobili
subbietti la scelta de' protagonisti, onde l'interesse generalmente
eccitato venisse per le avventure di personaggi degni veramente
d'istoria. Ma non vediamo noi forse che appunto l'illustre Scozzese,
costretto a non smuovere se non storicamente dalle capitali o dai
determinati luoghi i suoi personaggi illustri, inganna poi e tradisce
il lettore, facendo in un luogo accadere cose avvenute le mille miglia
lontane, e ravvicinando epoche distantissime fra loro, e confondendo
le costumanze e gli usi tutti propri di diverse età, soltanto per dare
in un _solo Romanzo storico_ l'idea completa di varie avventure, di
varie costumanze, e per stringere in un'epoca sola i vari periodi di
una vita illustre? Meno male sarà dunque che ideali sieno i personaggi
e tali da potere esser mandati qua e là ove più brama l'autore, purchè
storiche sieno le relazioni de' fatti che contiene il libro.--Meglio
sarebbe, lo dicon tutti e lo dico anch'io, che la scelta cadesse sopra
un'avventura d'illustri persone, e gli storici episodi corrispondessero
a que' tempi, per istruirne il lettore; ma qui sta la difficoltà, e non
già la difficoltà di invenzione, ma la difficoltà di rinvenire fatti
interessanti, contemporanei ad avventure particolari e specialmente
amorose di persone degne di storia.--Risponderà taluno, che è assai
comodo formare un romanzo di tal sorta, poichè non è alla fin fine
che una cronaca di quel determinato tempo, collegata ad una novella
amorosa qualunque ella siasi.--Sia pur facile e comodo l'inventare
una novelletta amorosa per condire quell'arida parte storica che vuol
narrarsi, non sarà comodo, nè a tutti facile sicuramente far buona
scelta dell'epoca che vuoi presentarsi, far che succosamente sieno le
cose narrate, e la sana filosofia, la buona morale, la vera politica
venga alla mente del lettore mediante la narrazione medesima; non sarà
comodo il frugare centinaia di volumi e manoscritti per determinare
alcune verità dapprima mal note; non sarà facile di belle e commoventi
pitture descrittive adornare l'opera che si offre; nè sarà tanto
comodo e facile mantenere le varie persone nel loro vero carattere,
e fare che le ammonizioni di un cardinale Federigo Borromeo sembrino
da quel medesimo chiarissimo porporato dettate e pronunziate; che le
espressioni di un prepotente signore sieno le vere e le sempre udite;
che la compassione fraterna di un P. Cristoforo dipinga una rara
pietà, ma probabile altronde in persone benemerite a Dio; che i tristi
effetti di una forzata monacale reclusione sieno que' tanti mali che
vediamo nell'opera del Manzoni vivamente scolpiti; non sarà facile,
nè comodo, in fine, far sì che in ogni parte dell'opera rilucente ed
esaltata veggasi la virtù, sotto rozzi panni, e in tutt'altri depresso
e annichilito il vizio.--Voi dunque, proseguon gli altri, ce lo date
per un capo d'opera, per un _non plus ultra_: ed io, che pur vorrei mi
si prestasse la debil penna a que' maggiori elogi che amo tributare ad
A. Manzoni, dirò che questo libro è bello, interessante e migliore di
tanti altri che menarono in questi ultimi tempi gran rumore: ma non
perciò lo veggo privo di qualche pecca, nè tale da dirsi insuperabile.
È prima, fra le cose ch'io prenderei a censurare, una prolissità che
sfinisce e stucca in più d'un luogo; e basti, per accennarne uno, il
dire che la sommossa, accaduta in Milano per la carezza del pane, e
il saccheggio che voleasi dare ad una bottega di fornaio, fa muovere
il Gran Cancelliere Ferrer per sedare il tumulto, e 14 pagine, belle,
lunghe e larghe, come sono, tutte vengono impiegate a descriverci
l'andata non più di cento passi della carrozza di Ferrer, circondata
dal popolo.--Viene, in secondo luogo, l'inutilità di alcune nozioni
che non fanno bella, nè più interessante l'opera, e fra queste quello
sciocco e lungo contrasto fra Bortolo e Renzo, il quale di tutto avea
bisogno fuorchè di perdersi a cicalare sul nome di _bagiano_ con cui
sogliono i Bergamaschi distinguere i Milanesi.--Renzo poi lo trovo
talvolta ingenuo fuor di misura, tal altra perspicace oltre la naturale
sua condizione, ed atto a riportarmi perfino un'intiera predica del P.
Felice; in qualche incontro mancante troppo di un necessario ardimento
e facile a confondersi pel più piccolo imbarazzo, ed altrove di una
fortezza d'animo che lo innalza all'eroismo, e pronto a pronunciar
sentenze ed a filosofare più che non gli convenga; furibondo amante
della sua Lucia, talora passa molt'ore e giorni senza pur rammentarla;
tratto alla città per quell'amore di cui tutto vive, n'è dimentico e
spogliato per seguire que' tumulti che fanno d'ordinario allontanare
anche i meno timidi ed i più avvezzi alle popolari sommosse.
Illetterato, com'egli è, tiene corrispondenza col mezzo di un amico
con Agnese, madre di Lucia, la quale, fra l'altre, accompagna una sua
lettera di un soccorso a lui di cinquanta scudi... e come dunque sta
in seguito che Renzo non avesse fatto confidenza a nessuno di quel
denaro avuto?... È Renzo perciò l'unico personaggio intorno al quale
potrebbero insorgere ben fondate censure, e d'uopo avrebbe d'una
lima accurata la parte che lo risguarda.--Ma, insieme strette tutte
queste cose, non appariscono che nei fra mezzo a tante bellezze; e
le copie di quest'opera furono in meno di due mesi tutte spacciate,
e se ne fa ristampa a Torino, a Livorno, e si stanno preparando
comiche rappresentazioni, tratte dall'opera medesima, e finalmente si
è aperta associazione a dodici tavole litografiche, che i punti più
interessanti della storia rappresenteranno, essendo affidata a valenti
artisti l'esecuzione dei disegni»[41].
_La Vespa_, un altro de' giornali milanesi d'allora, invece si avventò
contro il nuovo romanzo con rabbia feroce; e chi scese in campo a farne
strazio fu il suo «compilatore» Felice Romani. «Sepolta per tre anni
nel magazzino del Ferrario, esce finalmente alla luce questa vecchia
ringiovanita, di cui si dicevano le meraviglie dai pochi che l'aveano
veduta e dai molti che l'avean da vedere. Esce finalmente alla luce:
e corrono staffette per l'Italia, e galoppano corrieri oltre monti ad
annunziare la comparsa della Bella del secolo XVII, abbigliata alla
foggia del secolo XIX. Gli amici dell'A. la van portando in trionfo
per le vie, per le case, pei caffè: bella! dice un giornalista:
bella! ripete un libraio: bella di qua, bella di là, bellissima,
arcibellissima, meravigliosa! Ch'io pure possa darti un'occhiata, o
veneranda virago, che meni tanto trionfo, e fai girare il cervello
di tutti i Narcisi della nostra letteratura!--Ahimè, o lettori, io
l'ho veduta... Io non conosco il Manzoni nè per benefici, nè per
ingiurie ch'io n'abbia ricevute, nè ho mai potuto e voluto frugare
nella sua coscienza per giudicare della sua pietà. Le verità sociali
e cristiane son meritorie d'innanzi a Dio e d'innanzi ai Governi: e
il mio cuore e la mia voce venera e loda chi le possiede veracemente:
ma esse non accrescon dramma di merito sulla bilancia ove si pesano
i letterati. Questi van giudicati dagli scritti; ed io plaudo al
Manzoni come lirico di vaglia, quando leggo i suoi versi in morte
di Carlo Imbonati, qualche squarcio degli Inni sacri e la battaglia
di Maclodio; ma cattivo tragico lo chiamo quando esamino il Conte
di Carmagnola e l'Adelchi, nè lo reputo miglior romanziere quando
svolgo...--Alto là, non è ancor deciso se _I Promessi Sposi_ siano
un romanzo, o una storia.--Tanto peggio per l'autore! se siete ancora
indecisi sul genere del componimento. Voi date campo ai maledici di
poter dire ch'ei non è nè romanzo, nè storia. Ma questo non voglio dir
io; e poichè i _Promessi Sposi_ è pur forza che sian qualche cosa, li
riguarderò come un romanzo fondato sulla storia. E i più concorrono in
siffatta opinione. Non udite voi tutto il giorno gridare a gola aperta:
finalmente abbiamo un Walter Scott anche noi! finalmente il Manzoni
ha _riempiuto un gran vuoto_ che nella nostra letteratura esisteva.
Benigni lettori! lasciatemi dire quattro parole a costoro».
Risparmio queste «quattro parole» ai lettori e seguito a spigolare. «Al
Manzoni è piaciuto comporre un romanzo storico, e come tale fu accolto
dal pubblico, e il rapido smercio che in poco tempo egli ottenne,
prova abbastanza ch'ei fu giudicato eccellente. Più vera sentenza, o
lettori, non fu mai proferita, nè più umiliante per certe gloriole
letterarie, di quella che ai Romani scrittori gridava il Venosino
poeta, cioè che i libri hanno anch'essi il loro destino. E sapete voi
da che cosa dipende siffatto destino? Se Orazio non l'ha detto, io ve
lo dico: dipende da mille passioncelle che in ogni tempo governarono
la repubblica letteraria, dalle mire dei lodatori, dall'influenza dei
lodati, e più di tutto dalle stravaganze del secolo. Nè a questo io
faccio torto, affibbiandogli qualche stravaganza, poichè i passati
aveano anch'essi le loro. Se qualcuno fra i Secentisti avesse osato
menare la sferza contro il mal gusto de' suoi tempi e dire a quel Re
di Francia che premiava di tant'oro il più detestabile sonetto del
nostro Parnaso: Sire, quest'atto di vostra munificenza sarà biasimato
da tutti i secoli futuri; costui ne avrebbe riportate le beffe dei
suoi contemporanei, e non avrebbe trovato un solo che facesse ragione
alla sua giusta censura. Noi, per ventura, viviamo a giorni in cui le
stravaganze dei letterati non sono premiate dai Re; e se son mille i
bizzarri cervelli che ad esse corrono dietro, pochi non sono i sapienti
che fanno argine alla corrente e sono custodi del bello e del vero.
Pago del suffragio di questi, io non farò conto della disapprovazione
di quelli; ed esaminando liberamente il romanzo storico del Manzoni,
mi studierò di provare ch'ei pecca d'invenzione, di condotta, di
caratteri, di stile; e che paragonandolo a quelli del Walter Scott, gli
è l'istesso che scoprire agli stranieri le nostre miserie... Peggior
epoca della storia milanese non poteva egli scegliere per base del suo
romanzo: l'epoca della dominazione spagnuola, in cui due nazioni, anche
straniere, entravano in guerra per contendersi un piccolo principato.
Spento era il valore, morta ogni idea generosa, e la fame e la peste
desolavano queste infelici contrade. Ditemi ora, o lettori, qual sarà
il soggetto di un romanzo, che si raggira intorno a tal epoca? Quali
saranno le imprese dei Milanesi, perchè il romanzo è intitolato _Storia
Milanese_? O, per tacer delle imprese della nazione, quali almeno
saranno i fatti di un qualcheduno fra i Milanesi, quali le vicende di
lui, o vere, o immaginarie, che si colleghino colle vicende pubbliche,
e formino insieme un compiuto e commovente quadro dei tempi? Quali
saranno gli eroi? Forse l'ambizioso Governator di Milano promotore
della guerra che si accende in Italia? Forse il coraggioso Duca di
Nevers, che difende animosamente i diritti della sua casa? Forse il
Marchese Spinola, che viene a correggere gli errori del Cordova? Forse
gli oppugnatori o i difensori di Casale, di Vercelli e di Torino,
Spagnuoli o Francesi che sieno, Alemanni o Italiani, poichè tali sono
gli eroi e le vicende di quell'epoca? Nè un solo di cotesti personaggi
è l'eroe del romanzo, nè una sola di siffatte vicende forma il soggetto
dell'istoria scoperta e rifatta dal Manzoni. Renzo Tramaglino e Lucia
Mondella, due poveri lavoratori del contado di Como, sono gli eroi
per cui dobbiamo interessarci; se si sposeranno, o no, è l'importante
vicenda che tener deve gli animi nostri sospesi... Eccovi, o
lettori, tutto il tessuto di questa istoria milanese rifatta: e s'ella
è cosa che meriti il nome di storia, giudicatelo voi... Ditemi, per
vostra fede, il soggetto è egli interessante? Due contadini, che per
prepotenza di un nobile e per dappocaggine di un curato non si possono
sposare, sono essi gli eroi da collegare degnamente ad un'epoca storica
qualunque ella sia? E questa epoca storica vi par ella bene svolta e
presentata nel suo più bel punto di vista? E che cosa avete imparato
dalle vicende dei vostri maggiori, per cui possiate gloriarvi, o almeno
intenerirvi e piangere con quel generoso sentimento che ispirano le
nobili sventure? Gentiluomini scapestrati o sciagurati, popolo avvilito
o affamato, peste fomentata per ignavia dei dominatori e per ignoranza
dei dominati! Dov'è un sentimento generoso, un nobile affetto, una
grande passione? Dov'è un eroe su cui riposino con compiacenza i vostri
occhi affaticati dallo schifo spettacolo che avete dinanzi? Dove
un grand'uomo, che comparisca qual faro nella notte di quest'epoca
tenebrosa? Il solo cardinal Borromeo, personaggio episodico, è l'unica
figura che spicca in certo qual modo in questo quadro disgustoso. Ma
se l'A. voleva introdurre il cardinal Borromeo, perchè confinarlo in
un villaggio ad affaticarsi intorno a cose di sì lieve momento? E
un uomo di tanta autorità non poteva essere posto in situazione più
degna di lui? E i vizi dei tempi non gli presentavano più vasto campo
ove luminose apparissero le sue virtù? È bensì vero che ei divide il
suo pane cogli affamati, che si adopera ad allontanare il flagello
della peste, che si mostra pieno di cristiana carità: ma tutto ciò è
raccontato per incidenza, e in nulla coopera all'andamento dell'azione,
alla sostanza del soggetto. E dove pure ciò fosse, il cardinal Borromeo
era egli un personaggio da romanzo?».
Il Pezzi nella _Gazzetta di Milano_ pigliò le difese del Manzoni,
scrivendo, tra le altre cose: «Il voler nei romanzi restringere
l'importanza dei principali personaggi alle sole classi elevate,
sarebbe lo stesso che stendere un piede alla catena quando si può esser
liberi. Con un tal principio infinità di romanzi bellissimi avrebbero
avuto l'ostracismo. Ci ha grandezza d'animo, virtù luminose, importanza
in tutte le condizioni. E quanto più l'umiltà di alcune è posta in
conflitto colla baldanza d'alcune altre, tanto maggiore è quell'effetto
drammatico che debbe essere lo scopo delle opere destinate a
commuovere. Che la storia sia combinata colla finzione e questa con
quella, in guisa che l'una non possa stare senza dell'altra, il prova
l'opera del Manzoni; per riguardo alla quale anzi non esitiamo a dire
che la finzione è talmente fusa nella storia, che non si saprebbe
scernere l'una dall'altra. Infatti, da questa fusione appunto, a cui
l'autore volse i maggiori suoi studi, deriva l'interessamento che desta
la lettura d'un romanzo, che, a parer nostro, veste tutti i caratteri
della verità. In quanto al modo, nessuno potrà negarlo alle venture dei
_Promessi Sposi_, poichè dal cominciamento allo sviluppo, la condotta,
piana e regolare, s'unisce naturalmente a episodi senza incontrare
ostacoli. In quanto allo scopo, esso è semplicissimo, perchè morale, nè
sapremmo al certo indicarne un migliore. In fine, che l'azione conservi
una tal quale unità e che gli episodi siano connessi all'azione in modo
di concorrere all'andamento di essa, è provato del pari nell'opera del
Manzoni con questo argomento: tolga la _Vespa_ un solo degli episodi
importanti dall'opera stessa e ne vedrà l'orditura scompaginata in
modo da non potersene raccapezzare il filo. Se la _Vespa_ voleva di
botto veramente dar nel segno col pungolo, l'opera presentavale un lato
vulnerabile in alcune prolissità, in certe minutezze ed in parecchie
locuzioni non lodevoli; le quali cose, quantunque possano riguardarsi
come lievi macchie in molta luce, sarebbero da sopprimere, o da
emendare»[42].
Il Romani, che non era uomo da perdersi ne' panni, non ci si perse,
e così prese a ribattere le critiche: «Sapete voi, o lettori, che si
è risposto finora?--_L'edizione fu esaurita in pochi giorni_.--Lo
so anch'io.--_Moltissimi leggitori, che non furono in tempo di
procurarsela, la chiesero a prestito_.--Questi furono i più
fortunati.--_Molti altri, per averne gli esemplari, li pagarono il
doppio e il triplo_.--E i più sfortunati furono questi.--_Per tacere
dei Fogli italiani, quelli dell'estero ne fanno gli elogi_.--Pesateli
bene.--_Se ne preparano nuove edizioni, traduzioni, incisioni, pitture,
ecc. ecc._--Se ne son fatte per libri peggiori di questo.--L'_autore
è festeggiato in patria e fuori_.--Davvero che ci ho gusto.--Ma
lo smercio, le edizioni, le lodi dei giornali, le feste degli
amici e le mense reali[43], e mille altre vie di farsi largo in
letteratura, come provano che il soggetto dei _Promessi Sposi_ sia
interessante?--E la pubblica opinione la conti tu per niente, direte
voi?--Alle volte molto, alle volte poco, dirò io. Non ho forse udito,
in Italia, fischiare ad una tragedia dell'Alfieri ed applaudire a
_Santa Margherita da Cortona_? Preferire al Tasso i _Lombardi alla
prima crociata_? Vilipendere il Chiabrera ed altri sommi poeti ed
encomiare le _Melodie liriche_? Nausearsi delle tragedie dell'Alfieri e
dilettarsi perfino di _Ser Gianni Caracciolo_?[44].--_Che il soggetto
dei_ Promessi Sposi _sia interessante, lo prova la spontanea universal
confessione di quanti lo lessero in buona fede, di non averne
potuto sospendere la lettura che a malincuore, e con impazienza di
riprenderla_.--Gli è giusto a cotesti lettori di _buona fede_ ch'io
cerco aprir gli occhi, e ch'io grido: Signori miei, non è tutto oro
quel che luce: non badate all'apparenza, esaminate la sostanza»[45].
Il Romani, benchè scrivesse in fine al terzo de' suoi articoli: «sarà
continuato», non proseguì; tanta e così generale fu l'indignazione che
si levò contro di lui, da ridurlo al silenzio. Con rabbia feroce aveva
dilaniato i _Lombardi alla prima crociata_ del Grossi; questa nuova
rabbia contro il romanzo del Manzoni era la seconda di cambio. Gli fu
detto basta, e intese.
Chi passò il segno anche più del Romani nel malmenare i _Promessi
Sposi_ fu l'ab. Giuseppe Salvagnoli Marchetti di Empoli[46]; e
il «sunto» che ne fece merita d'essere dissepolto. «Bel modo in
vero d'istruire le donne! Empir loro la testa di stravaganze, di
sciocchezze, di fatti e di passioni fuori del naturale, che invece
d'insegnarti il vero e di dilettarti col bello, col buono, ti traggono
la mente all'errore e il cuore al disordinamento delle passioni,
insomma alla follia. Che utile verrà mai alle donne, se in uno stile
bislacco e pieno zeppo di similitudini sconce, e che in nulla tengono
al paragone; di metafore ardite e stravaganti; di parole non italiane,
e proprie di un cattivo dialetto; di frasi, composte d'idee e di parole
fra sè contrarie; che utile, io dico, ne verrà mai alle donne, se,
fra tanta sozzurra, tu mostrerai a colori vivissimi un parroco, che
tradisce per paura il suo alto ministero; un signorotto, che ruba le
fanciulle, e fa uccidere chi gli dice una mezza parola in contrario;
un cugino di questo birbo, che a furia di scherni più e più lo aizza
al malfare; un zio, che atterrisce un provinciale di cappuccini e
lo forza a mandar cento miglia lontano un buon frate, che voleva
opporsi al nipote, perchè tanto male non mandasse ad effetto; una
signora, fatta monaca per forza, che rompe sfacciatamente i suoi voti,
che fa uscire di vita la sua conversa, la quale si è accorta della
sua tresca, e che finalmente consegna, perchè ne sia fatto scempio
d'iniquità, a quel birbo signorotto un'innocente fanciulla, a lei
sotto la fede dell'ospitalità, o sotto la parola d'onore affidata;
una fanciulla imbecille, che trema al bene e al male e che crede di
aver fatto voto di verginità perchè si è messa una corona al collo;
uno scimunito lanaro, che mentre dovea fuggire il potente che lo
inseguiva, si ubbriaca in un'osteria e a tutti racconta dall'a fino
alla z le cose sue; un signore, anche più birbone dell'altro, che fa
d'ogni erba un fascio, e che per le lacrime di una ragazza (e chi sa
quante ne aveva rubate, e alle lacrime di quante mai aveva insultato!)
diviene un agnello? Basterà forse il contrapporre a tanto male e a
tanta sciocchezza la vera carità e franca di un buon cappuccino, e
l'angelico carattere di un santo arcivescovo? No davvero: chè, pur
troppo, nella gioventù gli esempi del male fanno sì forte impressione,
che non bastano a cancellarla, cento mila volte duplicati esempi di
bene. Ed è troppo grave errore e troppo nociva cosa il dipingere agli
uomini, e specialmente ai giovani, le scelleraggini, e le conversioni
al bene sì repentine e sì facili, che essi possano trarre per
conseguenza:--_Operiamo pur male a nostro talento quanto ci piace,
alla fine, quando saremo stanchi, ci volgeremo a Dio, ed egli non
ci ributterà, purchè tenghiamo sempre sopra il letto l'immagine del
Crocefisso e della Madonna_.--Queste son dottrine che rovesciano ogni
legge divina e umana e che riducono la società ad una selva di bruti,
ove chi ha più denari, e in conseguenza più forza, opprime, strazia
e divora il suo fratello, insultando all'umana giustizia; persuaso
che la divina non ha saette per coloro che hanno fisso in cuore di
ritornare a Dio quando saranno tutte sbramate le voglie e tutte spente
le passioni. Oh! la divina morale!»[47].

III.
Del romanzo si occupò anche un valentissimo giureconsulto, il prof.
Giovanni Carmignani, e lo fece soggetto di un dialogo tra un critico
e un giornalista[48]. Il giornalista loda sempre e sempre difende; il
critico biasima e va cercando addirittura il pelo nell'ovo; finisce
però col ricredersi, e conchiude: «Eccomi pure a me:
..._il finto
mio rigore abbandono._
E sapete perchè mi piacque essere rigoroso! perchè nel romanzo mi punse
la frase derisoria ch'io c'incontrai contro quel Metastasio, co' versi
del quale chiudo adesso il nostro colloquio, non essendomi sembrato,
che l'anima più drammatica, che abbia natura prodotta, dovesse
deridersi come pittrice di eroi paragonabili a gente da piazza e da
trivio. Del resto, io sono d'avviso, che il romanzo è una originale
e classica produzione; che son sogni e ciance i supposti plagi dal
Walter Scott nelle _Prigioni di Edimburgo_ e ne' _Puritani di Scozia_;
che l'A. ha finalmente dato un romanzo alla prosa italiana e ha fatto
cessare l'antico e giusto rimprovero dell'Arteaga allorchè nelle sue
note alla dissertazione del Borsa rinfacciava alla Italia di non avere
un S. Real ed un Marmontel; che, prescindendo da certa mancanza di più
verisimil cemento nella struttura dell'azione del romanzo, il merito
della esecuzione vince sempre e riscatta qualunque più minuto difetto
dell'opera. E poichè incominciai col mostrarmi nemico del romanticismo,
ingenuamente vi dico, che se vi ha componimento nel quale quel genere
possa essere, onde servire all'effetto, adottato, egli è certamente il
componimento in prosa e il romanzo».
De' tanti appunti fatti dal critico a' _Promessi Sposi_, uno mi sembra
degno di nota. Toccando della «mala voglia» con la quale Lucia «si
presta a sorprendere il parroco», trova che l'espediente del matrimonio
clandestino «non era certo peccaminoso», ma «di tale evidente
giustizia, che, prescindendo dalla logica dell'amore, se ella ne aveva
pure per Renzo, doveva a lei dimostrarla il rifiuto d'un parroco
ignorante, pauroso, avaro e usuraio, come l'Autor lo dipinge». Poi, in
nota, aggiunge: «Le denunzie erano già fatte e il matrimonio non poteva
dirsi più clandestino, non rilevando molto la sua celebrazione in luogo
non sacro. SANCEZ, _De matrim._, lib. III, disp. 15, n. 20. E qualora
le denunzie non fossero state fatte, i migliori moralisti son concordi
nel dire, che quando il matrimonio è ritardato dall'immaginevole
rifiuto del parroco, non è peccaminoso il sorprenderlo, per contrarlo.
PAUL. GABRIEL. ANTOINE, _Theol. Moral. univ. tractat. de matrimonio_,
§ 13, not. 3. Ecco dunque un romanzo, il qual poggia tutto sopra un
errore di gius canonico e sopra un error di morale».
Al Carmignani è però sfuggito un altro piccolo scappuccio del Manzoni.
Fa del P. Cristoforo il confessore di Lucia; ora, la giovane fidanzata,
nel 1628, non poteva confessarsi da lui, perchè «i cappuccini di
quei tempi, giusta l'inibizione delle loro costituzioni, tolta solo
qualche tempo dopo, non confessavano assolutamente persone estranee
all'Ordine[49]».
Un critico milanese, a cui piacque di restare anonimo[50], prese a
leggere i _Promessi Sposi_; e sebbene, durante la lettura, non venisse
«giammai scemandosi» in lui la «stima grandissima» che aveva per
«quel celeberrimo autore, di cui tanto è vulgata la fama, che non pur
nell'itala terra, ma in tutte le più colte nazioni è molto apprezzato»;
nel romanzo trovò quella «imperfettibilità», che è «indivisibile
compagna de' figliuoli di Eva». Pensò dunque di «schiccherare un foglio
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