Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 2 - 14

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vi raccomandi a qualcheduno dei nostri. Così detto, uscì, girò un
poco in ronda, finchè trovò un cappuccino, e condottolo alla capanna,
gli mostrò le due donne, e gli disse: Sono due derelitte: vi prego di
averne una cura particolare. Vi lascio con Dio, disse poi alle donne,
e uscì dalla capanna. Lucia lagrimando lo seguiva, egli le imponeva
che tornasse, e così si trovarono entrambi sulla grande strada, dove
videro una folla di monatti, che accorreva in tumulto, gridando:
aspetta, aspetta, ad altri monatti, che guidavano un carro verso
la porta. Il carro si fermò quasi davanti ai nostri due amici; quei
monatti sopraggiunsero tosto ansanti; e due, che portavano un morto, lo
gittarono sul carro, dicendo un d'essi: mettetelo bene in fondo costui,
che non torni a cavallo, a farci tribolare.
--Che diavolo è stato? disse più d'uno di quei carrettieri.
--Il diavolo, rispose il monatto, l'aveva in corpo costui: è andato su
e giù finch'ebbe fiato; se durava ancora, faceva crepare il cavallo: ma
è crepato egli, e allora, per amore, o per forza, ha dovuto venir giù.
Il Padre Cristoforo, rivolto allora a Lucia, le disse: ricordatevi
di pregare per questa povera anima, voi e vostro marito, per tutta
la vita, e di far pregare i vostri figliuoli, se Dio ve ne concede.
Tornate alla vostra compagna. Iddio sia sempre con voi. Dette queste
parole, prese in fretta il viale, per andarsene alla sua stazione;
Lucia, compunta di quella separazione e atterrita dallo spettacolo,
tornò a capo basso e col petto ansante alla sua capanna, e Don Rodrigo,
su la cima d'un tristo mucchio, fra lo strepito e le bestemmie, usciva
dal lazzeretto per andarsene alla fossa.


APPENDICI


I.
IL PRINCIPIO DEL ROMANZO NELLA PRIMA MINUTA.

_24 Aprile 1821._
CAP. I.
=Il Curato di=...
Quel ramo del lago di Como d'onde esce l'Adda e che giace fra due
catene non interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno, dopo aver
formati varj seni e per così dire piccioli golfi d'ineguale grandezza,
si viene tutto ad un tratto a ristringere; ivi il fluttuamento delle
onde si cangia in un corso diretto e continuato, di modo che dalla
riva si può, per dir così, segnare il punto dove il lago divien
fiume[145]. Il ponte, che in quel luogo congiunge le due rive, rende
ancor più sensibile all'occhio ed all'orecchio questa trasformazione:
poichè gli argini perpendicolari, che lo fiancheggiano, non lasciano
venir le onde a battere sulle rive, ma le avviano rapide sotto gli
archi; e presso a quegli argini uno può quasi sentire il doppio e
diverso rumore dell'acqua, la quale qui viene a rompersi in piccioli
cavalloni sull'arena, e a pochi passi, tagliata dalle pile di macigno,
scorre sotto gli archi con uno strepito per così dire fluviale. Dalla
parte che guarda a settentrione, e che a quel punto si può chiamare
la riva destra dell'Adda, il ponte posa sopra un argine addossato
alla estrema falda del Monte di S. Michele; il quale si bagnerebbe
nel fiume se l'argine non vi fosse frapposto. Ma dall'opposto lato
il ponte è appoggiato al lembo di una riviera che scende verso il
lago con un molle pendìo, sul quale per lungo tratto il passeggero
può quasi credere di scorrere una perfetta pianura. Questa riviera è
manifestamente formata da tre grossi torrenti, i quali, spingendo la
ghiaja, i ciottoli e i massi rotolati dal monte, hanno a poco a poco
spinte le rive avanti nel lago, ed erano abbastanza vicini perchè le
ghiaje gettate da essi a destra e a sinistra abbiano potuto col tempo
toccarsi e formare un terreno sodo. Allora hanno cominciato a correre
in un letto alquanto più regolare, poichè questi stessi depositi hanno
loro servito d'argine, e il successivo loro impicciolimento, cagionato
dall'abbassamento dei monti, dal diboscamento, e dalla dispersione
delle acque, gli ha rinchiusi in un letto più angusto. Così il terreno
che li divide ha potuto essere abitato e coltivato dagli uomini. Il
lembo della riviera che viene a morire nel lago è di nuda e grossa
arena presso ai torrenti, e uliginoso negli intervalli, ma appena
appena dove il terreno s'alza al di sopra delle escrescenze del lago e
del traripamento della foce dei torrenti, ivi tutto è prati, campagne
e vigneti, e questo tratto d'ineguale lunghezza è in alcuni luoghi
forse d'un miglio. Dove il pendìo diventa più ripido son più frequenti,
e assai più lo erano per lo passato, gli ulivi; al di sopra di questi
e sulle falde antiche dei monti cominciano le selve di castagni, e al
di sopra di queste sorgono le ultime creste dei monti, in parte nudo
e bruno macigno, in parte rivestite di pascoli verdissimi, in parte
coperte di carpini, di faggi e di qualche abete. Fra questi alberi
crescono pure varie specie di sorbi e di dafani, il cameceraso, il
rododendro ferrugigno ed altre piante montane, le quali rallegrano e
sorprendono il cittadino dilettante di giardini, che per la prima volta
le vede in quei boschi, e che non avendole incontrate che negli orti
e nei giardini, è avvezzo a considerarle colla fantasia come quasi
un prodotto della coltura artificiale piuttosto che una spontanea
creazione della natura. Dove poi la mano dell'uomo ha potuto portare
una più fruttifera coltivazione, fino presso alle vette non ha lasciato
di farlo, e si vedono di tratto in tratto dei piccioli vigneti posti
su un rapido pendìo e che terminano col nudo sasso del comignolo. La
riviera è tutta sparsa di case e di villaggi: altri alla riva del lago,
anzi nel lago stesso quando le sue acque s'innalzano per le pioggie,
altri sui varj punti del pendìo, fino al punto dove la montagna è nuda,
perpendicolare ed inabitabile. Lecco è la principale di queste terre
e dà il nome alla riviera: un grosso borgo a questi tempi e che altre
volte aveva l'onore di essere un discretamente forte castello; onore al
quale andava unito il piacere di avervi una stabile guarnigione ed un
comandante, che all'epoca in cui accade la storia che siamo per narrare
era spagnuolo. Dall'una all'altra di queste terre, dalle montagne
al lago, da una montagna all'altra corrono molte stradicciuole, ora
erte, ora dolcemente pendenti, ora piane, chiuse per lo più da muri
fatti di grossi ciottoloni e coperti qua e là di antiche edere, le
quali dopo aver colle barbe divorato il cemento, ficcano le barbe
stesse fra un sasso e l'altro e servono esse di cemento al muro, che
tutto nascondono. Di tempo in tempo invece di muri passano le anguste
strade fra siepi, nelle quali al pruno e al biancospino s'intreccia di
tratto in tratto il melagrano, il gelsomino, il lilac e il filadelfo.
Una di queste strade percorre tutta la riviera, ora abbassandosi, ora
tirando più verso il monte, ora in mezzo le vigne, ed ora sulla linea
che divide i colti dalle selve. Questa strada è talvolta seppellita fra
due muri che superano la testa del passeggero, dimodochè egli non vede
altro che il cielo e le vette dei monti: ma spesso lascia un libero
campo alla vista, la quale quasi ad ogni passo scopre nuovi, ampii
e bellissimi prospetti. Poichè guardando verso settentrione tu vedi
il lago chiuso nei monti che sporgono innanzi e rientrano e formano
ad ogni tratto seni o ameni o tetri, finchè la vista si perde in uno
sfondo azzurro di acque e di montagne; verso mezzogiorno vedi l'Adda,
che, appena uscita dagli archi del ponte, torna a pigliar figura di
lago, e poi si ristringe ancora e scorre come fiume, dove il letto è
occupato da banchi di sabbia portati da torrenti, che formano come
tanti istmi: dimodochè l'acqua si vede prolungarsi fino all'orizzonte
come una larga e lucida spira. Sul capo hai i massi nudi e giganteschi
e le foreste, e guardando sotto di te e in faccia, vedi il lungo
pendìo, distinto dalle varie colture, che sembrano striscie di varj
verdi, il ponte ed un breve tratto di fiume fra due larghi e limpidi
stagni, e poscia, risalendo collo sguardo, lo arresti sul Monte Barro,
che ti sorge in faccia e chiude il lago dall'altra parte. Ma non
termina quel monte la vista da ogni parte, poichè di promontorio in
promontorio declina fino ad una valle che lo separa dal monte vicino;
e come in alcune parti la stradetta si eleva al di sopra del livello
di questa valle, da quei punti il tuo occhio segue tra i due monti
che hai in prospetto un'apertura, che dalla valle ti lascia travedere
qualche parte dell'amenissimo piano che è posto al mezzogiorno del
Monte Barro. La giacitura della riviera, i contorni e le viste lontane
tutto concorrono a renderlo un paese che chiamerei uno dei più belli
del mondo, se avendovi passata una gran parte della infanzia e della
puerizia e le vacanze autunnali della prima giovinezza, non riflettessi
che è impossibile dare un giudizio spassionato dei paesi a cui sono
associate le memorie di quegli anni[146]. [_Alla estremità del ramo_]
[_Sulla riva meridionale del ramo del_ [_Lario_] _Lario che_] Quel ramo
del lago di Como d'onde esce l'Adda e che giace fra due catene non
interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno, dopo aver formati
varj seni e per così dire piccioli golfi d'ineguale grandezza, si
[_ristringe alla fine_] [_viene alla fine a ristringer per tal modo
che_] [_ristringe_] viene tutto ad un tratto a ristringere [_per tal
modo, e_ [_ri_] _avvicina le sue_ [_ri_] _due riviere a segno che
si può_ [_dire_] _fissare che a quel punto il lago cessi e il fiume
cominci_ [.] [_si può manifesta_] _e a cambiare l'ondeggiamento_] ivi
il fluttuamento [_vario_] delle onde si cangia in un corso [_diretto
e seguito che_] diretto e continuato di modo che [_si può_] dalla
riva si può per dir così segnare il punto dove il lago divien fiume.
Il ponte che in quel luogo congiunge le due rive, [_e che aumenta il
corso_ [_dell'acqua_] _e il rumore fluviale dell'acqua_ [_dell'acqua_]
_e le dà_ [_per così_] _un rumore per così dire fluviale_ [_compisce
all'occhio_] [_rendono_] _rende ancor più sensibile all'occhio questa
trasformazione_]». A questo punto si legge in margine: «[_gli argini_
[_che non lasciano batter_] _perpendicolari che non lasciano venir le
onde a battere sulla riva ma le costringono in un letto, e le fanno
correre sotto gli archi con uno strepito per così dire assolutamente
fluviale_]». Quindi prosegue nella colonna: «[_rendono_] [_rende ancor
più sensibile all'occhio ed alla fantasia_ [_ed all_] _questa subita
trasformazione_:] rende ancor più sensibile all'occhio ed all'orecchio
questa trasformazione: [_poichè gli argini_ [_non lasciano_]
_perpendicolari che lo fiancheggiano non_ [_perm_] _lasciano_]
[_poichè cessano le rive_] [_poichè gli argini perpendicolari che
lo fiancheggiano non lasciano ven_] [_poichè ivi cessano le rive_]
[_poichè gli argini perpendicolari che lo fiancheggiano non lasciano_]
[_poichè invece di batter sovra_] poichè gli argini perpendicolari che
lo fiancheggiano non lasciano venir le onde a battere sulla riva ma le
avviano rapide sotto gli archi; [_e l'uo_] [_e chi_] [_e l'uomo seduto
presso_] [_e stando presso gli argini_] [_e dove_] e presso a quegli
argini uno può quasi sentire il doppio e diverso rumore dell'acqua,
[_e dove ella_] la quale qui viene a rompersi in [onde sull] piccioli
cavalloni sull'arena, e [_dove scorre travolta dai_] a pochi passi
tagliata dalle pile di macigno scorre sotto gli archi con uno strepito
per così dire fluviale». (Ed.)]
Su questa stradetta veniva lentamente, dicendo l'ufizio ed avviandosi
verso casa, una bella sera di autunno dell'anno 1628, il curato di una
di quelle terre che abbiamo accennate di sopra[147].


II.
IL PRINCIPIO DEL ROMANZO NELLA SECONDA MINUTA.

=Gli Sposi promessi.=


CAP. I.

Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno, chiuso e come
guidato da due catene non interrotte di monti, stendendosi in seni e
golfi d'ineguale grandezza, a seconda dello sporgere e del rientrare
di quelli, viene quasi tutto ad un tratto a ristringersi e a prender
corso ed aspetto di fiume tra una montagna ed un'ampia riviera,
formata lentamente dal deposito di tre grossi e vicini torrenti. Il
lungo ponte, che in quel luogo congiunge le due rive, rende ancor più
sensibile all'occhio questa trasformazione, e par che divida il lago
dall'Adda. A diritta, la testa del ponte posa su le radici del monte
Sanmichele; l'altra è piantata nel lembo della riviera, che scende
con lento pendìo, appoggiata alle falde della montagna nominata _il
Resegone_ dai molti suoi comignoli acuti e separati a guisa d'una
sega. Il lembo estremo, interciso dalle foci dei torrenti, è di
nuda e grossa ghiaja, e ad intervalli uliginoso. Ma dove il terreno
comincia a sollevarsi sopra le escrescenze del lago e il traripamento
dei torrenti, tutto è prati, campi e vigneti, sparsi di ville e di
paesetti; al di sopra, dove l'erta si fa più ripida, e il monte
comincia a separarsi in promontorii e in valli, sono selve di castagni,
di carpini, di faggi, e al di sopra ancora le ultime creste dei monti,
in parte nudo ed eretto macigno, in parte rivestite di verdissimi
pascoli o di foreste, e cosparse di casali e di tugurii. Lecco, la
principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace su
la riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso,
quando egli ingrossa: un borgo considerevole al giorno d'oggi, e che
s'incammina a diventare città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che
siamo per narrare, Lecco era di più un passabilmente forte castello,
e aveva perciò l'onore di alloggiare un comandante, e il vantaggio di
possedere una stabile guarnigione di soldati spagnuoli, che insegnavano
la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavano di
tempo in tempo qualche marito, qualche padre, qualche fratello, e sul
finire dell'estate non mancavano mai di spandersi nelle vigne per
attaccare qualche grappolo ai tralci, ed aumentare così la vendemmia.
Dall'una all'altra di quelle terre, dalle alture al lago, da una altura
all'altra, giù per le picciole valli interposte, correvano, e corrono
tuttavia molte stradicciuole, ora erte, ora dolcemente inclinate,
or piane, chiuse per lo più da muri composti di grossi ciottoli, e
rivestiti qua e là di antiche edere, che dopo aver divorato colle barbe
il cemento, ne fanno le veci, e tengono legato il muro, che fanno
verdeggiare. Per qualche tratto quelle stradicciuole sono affondate
e come sepolte fra i muri, di modo che il passeggiero, levando il
guardo, non vede altro che il cielo e qualche vetta di monte; ad altri
intervalli il muro, che dalla parte più bassa sostiene la strada
a guisa di bastione, non s'innalza sul suolo di quella più che un
parapetto, e quivi la vista del viandante può spaziare per varii ed
amenissimi prospetti. Verso settentrione domina l'azzurro piano del
lago, tagliato da istmi e da promontorii, e su le rive paesetti che
l'onda riflette capovolti; a mezzogiorno l'Adda che appena uscita dagli
archi del ponte si allarga di nuovo in picciolo lago, poi si ristringe,
e serpeggia, e si prolunga fino all'orizzonte in larga e lucida spira:
sul capo del riguardante si mostrano i massi elevati, ineguali delle
montagne, sotto di lui il pendìo coltivato, i paesetti, il ponte, in
faccia la riva opposta del lago, e risalendo per essa il monte che lo
chiude.
Per una di queste stradicciuole tornava lentamente dal passeggio verso
casa, al cadere del giorno 7 di novembre dell'anno 1628, il curato
(questa è la prima reticenza del nostro autore) d'una delle terre
accennate di sopra.


III.
IL PRINCIPIO DEL ROMANZO NELLA COPIA PER LA CENSURA[148].
=Gli Sposi promessi.=


CAP. I.

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, chiuso e come
guidato da due catene non interrotte di monti, stendendosi in seni e
golfi d'ineguale grandezza, a seconda dello sporgere e del rientrare
di quelli, viene quasi tutto ad un tratto a ristringersi tra una
montagna, ed un'ampia riviera formata lentamente dal deposito di
tre grossi, e vicini torrenti; _e prende quivi corso ed aspetto di
fiume_. Il lungo ponte, che in quel luogo congiunge le due rive, rende
ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione e par che divida
il lago dall'Adda. A diritta, la testa del ponte posa su le radici
del _monte_ Sanmichele; l'altra è piantata nel lembo della riviera
che scende con lento pendìo, appoggiata alle falde della montagna
nominata il Resegone dai molti suoi comignoli acuti e separati, a
guisa _dei denti d_'una sega. Il lembo estremo, interciso dalle foci
dei torrenti, è di nuda e grossa ghiaja e ad intervalli uliginoso. Ma
dove il terreno comincia a sollevarsi _al di_ sopra _delle_ escrescenze
del lago _e del_ traripamento dei torrenti, tutto è prati, campi e
vigneti, sparsi di ville e di paesetti. _Più su_, dove l'erta si fa
più ripida, ed il monte comincia a separarsi in promontorii ed in
valli, sono selve di castagni, di carpini, di faggi. _Più su_ ancora
le ultime creste dei monti, in parte nudo ed eretto macigno, in
parte rivestite di verdissimi pascoli o di foreste, e cosparse di
casali e di tugurii. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà
nome al territorio, giace su la riva del lago, anzi viene in parte a
trovarsi nel lago stesso, quando egli ingrossa: un borgo considerevole
al giorno d'oggi, e che s'incammina a diventare città. Ai tempi in
cui accaddero i fatti che siamo per narrare, Lecco era di più un
passabilmente forte castello, ed aveva perciò l'onore di alloggiare
un comandante, ed il vantaggio di possedere una stabile guarnigione
di soldati spagnoli, che insegnavano la modestia alle fanciulle ed
alle donne del paese, accarezzavano di tempo in tempo qualche marito,
qualche padre, qualche fratello; e sul finire dell'estate non mancavano
mai di spandersi nelle vigne per attaccare qualche grappolo ai tralci,
ed aumentare così la vendemmia. _Dall_'una all'altra di quelle terre,
dalle alture al lago, da una altura all'altra, giù per le picciole
valli interposte, correvano e corrono tuttavia molte stradicciuole,
ora erte, ora dolcemente inclinate, or piane, chiuse per lo più da
muri composti di grossi ciottoli, e rivestiti qua e _là di antiche
edere che divorando colle barbe il cemento, si pongono in suo luogo,
e tengono collegato il muro, che tutto d'esse verdeggia. Per qualche
tratto sono quelle stradicciuole affondate e come sepolte fra i muri,
di modo che il passeggiero, levando il guardo non iscopre altro che il
cielo e qualche vetta di monte_. _Altrove son terrapieni, o giranti
sull'orlo d'una spianata, o sporgenti in fuora dal pendìo come un
lungo scaglione, sostenuti da muraglie che piombano erte al di fuori
a guisa di bastione, ma sul sentiero non sorgono che ad altezza di
parapetto; e quivi la vista_ del viandante può spaziare per varii, ed
amenissimi prospetti. Verso settentrione, domina l'azzurro piano del
lago, tagliato da istmi, e da promontorii, e su le rive paesetti che
l'onda riflette capovolti; a mezzogiorno l'Adda che appena uscita dagli
archi del ponte si allarga di nuovo in piccolo lago, poi si ristringe
e serpeggia e si prolunga fino all'orizzonte in larga e lucida spira:
sul capo del riguardante si mostrano i massi elevati, ineguali delle
montagne: _al di sotto il_ pendìo coltivato, i paesetti, il ponte: in
faccia la riva opposta del lago, e risalendo per essa, il monte che lo
chiude.
Per una di queste stradicciuole tornava lentamente dal passeggio verso
casa, al cadere del giorno 7 di novembre dell'anno 1628, _don Abbondio
*** curato d'una delle terre accennate di sopra_. (_Il nostro autore
non la nomina; ed è questa la sua prima reticenza_).


IV.
LA FINE DEL ROMANZO NELLA PRIMA MINUTA.

Il tempo, che scorse tra le pubblicazioni e le nozze fu impiegato
dagli sposi ai preparativi pel traslocamento a Bergamo e pel trasporto
colà del loro modico avere, e Agnese, la quale, come il lettore se
n'è avveduto, pareva sempre voler dominare nei discorsi, ma in fatto,
povera donna, viveva per gli altri e faceva a modo dei suoi figlj,
anche in questo caso si arrabattò per la causa comune: la vedova
anch'essa non lasciava di dare una mano.
Forse taluno di quegli che credono di veder meglio negli affari
altrui, a prima giunta, che non vegga colui di cui sono gli affari,
dopo avervi molto pensato, domanderà per qual motivo quella famiglia
volesse abbandonare il luogo natale, la sua casuccia, il suo picciol
fondo, ora che era tolto di mezzo colui che gl'impediva di posarvisi
tranquillamente. Per tre ragioni principalmente.
La prima: quantunque Fermo allora non ricevesse alcuna inquietudine per
quella sua impresa di Milano, e la cattura fosse un titolo inoperoso,
pure un sospetto, una reminiscenza, un mal uficio, poteva far risorgere
l'antica querela e rimetterlo in Dio sa quale impiccio.
La seconda è una di quelle ragioni che nel parlare astratto non si
contano quasi per nulla, ma che nel caso concreto sono più potenti a
determinare che molte altre. Ciò che Fermo aveva sofferto e temuto nel
suo paese gliel'aveva reso spiacevole: il suo paese gli ricordava le
angherie d'un soverchiatore, i pericoli della prigione e di peggio, poi
il furore del popolo, che lo cercava a morte. Memorie di questo genere
disgustano l'uomo dai luoghi che le richiamano, e se quei luoghi sono
la patria, ne lo disgustano tanto più, appunto perchè gli guardava
prima con fiducia e con affezione. Anche il bambolo riposa volentieri
sul seno della nutrice, rifugge a quello da tutti i terrori, cerca
con avidità la poppa, che lo ha nutricato fin allora, e s'accheta
quando l'ha presa: ma se la nutrice, per divezzarlo, intinge la poppa
d'assenzio, il bambino torce con dolore e con pianto il labbro da
quella nuova amaritudine, e desidera un cibo diverso.
Finalmente, i nostri sposi erano entrambi lavoratori di seta: triste
circostanze gli avevano costretti a dismettere per molto tempo la loro
professione; ma nè l'uno, nè l'altro aveva amore all'ozio; e il loro
disegno era di ripigliare tosto il lavoro, per vivere tranquillamente
e onestamente, e per nutrire ed allevare i figliuoli, che speravano,
come tutti gli sposi fanno. Ora, l'industria della seta, come tutte le
altre, era già decaduta spaventosamente nel Milanese, prima di quelle
recenti sciagure; e queste le avevan poi dato l'ultimo crollo. Non
è questo il luogo di descrivere quello stato di cose e di toccarne
le cagioni. Già molte, nemiche d'ogni industria e d'ogni prosperità,
appajono anche troppo in questa lunga storia; chi volesse conoscere
le più immediate legga, se non le ha lette, le belle memorie storiche
del conte P. Verri sulla economia pubblica dello Stato di Milano;
e se vuol conoscere più a fondo, frughi nei documenti originali da
cui quel valent'uomo ha cavate le sue memorie. Basti a noi il dire
che l'uomo, il quale aveva abilità e voglia di lavorare, stentava
nel Milanese, e che nel Bergamasco, come in altri Stati vicini, si
offerivano esenzioni, privilegii ed altri incoraggiamenti ai lavoratori
che volessero trasportarvisi. Questa differenza fece uscire una folla
di operaj e rivivere in quegli Stati molte manifatture che perirono
nel Milanese, dove avevano fiorito. Differente, per conseguenza, era
anche l'aspetto dei due paesi. In Bergamo (non vogliam dire che fosse
il paradiso terrestre) dopo la pestilenza, si vedevano tuttavia i
tristi segni e i tristi effetti di quella: la spopolazione, le terre
incolte, l'ardire cresciuto nei ribaldi, le abitudini dell'ozio e
del vagabondare: ma in quella petulanza stessa v'era una cert'aria
di allegria, nata, se non dalla abbondanza, almeno dalla sufficienza
dei mezzi e dei capitali: quegli poi che avevano voglia di far bene
trovavano in quei capitali una facilità grande e pronta. Ma nel
Milanese una cagione viva e incessante di miseria sopravviveva alle
miserie della peste: un sistema che onorava l'orgoglio ozioso, che
favoriva la soverchieria perturbatrice, che alimentava tutti gli
studj del raggiro e delle ciarle, un sistema oppressivo e impotente,
insensato e immutabile, un sistema di rapine e di ostacoli, impediva
l'industria, la pace e l'allegria.
Scelta dunque un'altra patria, i nostri eroi erano però impacciati del
come convertire in danaro i pochi beni che dovevano lasciare nel paese
dove erano nati: ma la fortuna--non osiamo dire la provvidenza--la
fortuna, che voleva favorirli in tutto, come uno scrittore che voglia
terminar lietamente una storia inventata per ozio, trovò un ripiego
anche a questo. I beni di Don Rodrigo erano passati per fedecommesso
ad un parente lontano, il quale era un uomo di ben diverso conio, un
galantuomo, un amico del cardinal Federigo. Prima di anelare a prender
possesso di quella eredità, trovandosi egli col cardinale, gliene
parlò.--Avrete forse una occasione di far del bene e di riparare il
male che ha fatto Don Rodrigo, gli disse il Cardinale, e gli raccontò
in succinto la persecuzione fatta da quello sgraziato ai nostri sposi
e il danno di ogni genere che ne avevan patito. Se son vivi tuttora,
soggiunse, non vi prego di far loro del bene, che con voi non fa
bisogno; ma di darmi notizia di loro, e di dire a quella buona giovane
ch'io mi ricordo sempre di lei e mi raccomando alle sue orazioni. Il
galantuomo, appena giunto al castellotto, si fece indicare il villaggio
degli sposi e si presentò al curato. Don Abbondio, al vedere il nuovo
padrone di quella altre volte caverna di ladroni, umano, cortese,
affabile, rispettoso verso i preti, voglioso di far del bene, non si
può dire quanto ne fosse edificato. E quando quel signore lo richiese
di Fermo e di Lucia e gli manifestò le sue intenzioni benevole, Don
Abbondio non solo si prestò volentieri a secondarle, ma lo fece con una
ispirazione molto felice.
--Signor mio, diss'egli, questa buona gente è risoluta di lasciar
questo paese; e il miglior servizio ch'ella possa render loro è di
comperare quei pochi fondi che tengono qui. A lei potrà convenire di
aggiungerli ai suoi possessi, e quella gente si troverà fuori d'un
grande impiccio.
Il signore gradì la proposta, anzi con molto garbo richiese Don
Abbondio se non gli sarebbe dispiaciuto di condurlo a vedere quei fondi
e insieme a conoscere quella brava gente.
--È un onore immortale, disse Don Abbondio, facendo una gran riverenza;
e andò in trionfo alla casa di Lucia con quel signore, il quale fece la
proposta, che fu molto gradita. Il prezzo fu rimesso a Don Abbondio,
a cui il signore disse all'orecchio che lo stabilisse molto alto. Don
Abbondio così fece: ma il signore volle aggiungere qualche cosa: e per
interrompere i ringraziamenti dei venditori, gli invitò a pranzo nel
suo castello pel giorno dopo quello delle nozze.
Quel giorno benedetto venne finalmente; gli sposi promessi furono
marito e moglie; il banchetto fu molto lieto. Il giorno seguente ognuno
può immaginarsi quali fossero i sentimenti degli sposi e quelli di Don
Abbondio, entrando non solo con sicurezza, ma con accoglimento ospitale
ed onorevole nel castello che era stato di Don Rodrigo: a render
compiuta la festa mancava il Padre Cristoforo, ma egli era andato a
star meglio. Non possiamo però ommettere una circostanza singolare
di quel convito: il padrone non vi sedè, allegando che il pranzare a
quell'ora non si confaceva al suo stomaco. Ma la vera cagione fu (oh
miseria umana!) che quel brav'uomo non aveva saputo risolversi a sedere
a mensa con due artigiani: egli, che si sarebbe recato ad onore di
prestar loro i più bassi servigj, in una malattia. Tanto anche a chi
è esercitato a vincere le più forti passioni è difficile il vincere
una picciola abitudine di pregiudizio, quando un dovere inflessibile e
chiaro non comandi la vittoria.
Il terzo giorno, la buona vedova, con molte lagrime e con quelle
promesse di rivedersi che si fanno anche quando si ignora se e quando
sì potranno adempire, si staccò dalla sua Lucia e tornò a Milano: e
gli sposi con la buona Agnese, che tutti e due ora chiamavano mamma,
preso commiato da Don Abbondio, diedero un addio, che non fu senza un
po' di crepacuore, ai loro monti, e s'avviarono a Bergamo. Avrebbero
certamente divertito dalla loro strada per fare una visita al Conte
del Sagrato, ma il terribile uomo era morto di peste, contratta
nell'assistere ai primi appestati.
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